
Napoli, 25 novembre: la violenza si combatte molto prima della violenza
Pressenza - Monday, November 24, 2025Arte, scuola, istituzioni, cultura e testimonianze. Un’unica direzione: educare alla libertà.
Le notizie arrivano così fitte che i volti delle donne sembrano quasi sovrapporsi, uno sull’altro, senza il tempo di essere riconosciuti. Quando pensiamo di aver trovato le parole giuste per l’ennesimo femminicidio, arriva sempre un nuovo giorno che ci costringe a riformularle.
Riaffiorano allora immagini che l’Italia non riesce a dimenticare. La pancia di Giulia Tramontano, spezzata insieme al figlio che portava in grembo. Il volto giovane di Giulia Cecchettin. La vicenda di Tiziana Cantone, divorata dalla violenza digitale. La vita interrotta di Martina Carbonaro, a soli quattordici anni. La storia di Roua Nabi, uccisa nonostante il braccialetto elettronico al marito. Storie diverse, lontane tra loro, eppure accomunate dalla stessa radice: la cancellazione della libertà altrui.
E ancora una volta, la cronaca recente ci obbliga a fermarci. A Qualiano, vicino Napoli, un uomo già denunciato, già sottoposto a codice rosso e ai domiciliari con braccialetto elettronico, ha manomesso il dispositivo, ha raggiunto l’ex compagna e l’ha colpita più volte con un coltello. È viva per miracolo, dicono i medici. Ma quante volte ancora dovremo affidarci alla parola miracolo dopo che tutto il resto non ha funzionato? Questo episodio, come altri, mostra che la repressione, pur necessaria, non basta. Spesso arriva dopo, quando è già tardi.
La violenza sulle donne non si esaurisce nelle storie che finiscono in prima pagina, con un nome, una fotografia e una sentenza. Esiste un territorio sommerso, silenzioso e ostinato, fatto di manipolazione, controllo, dipendenza affettiva, svalutazione e isolamento. È una violenza che non lascia lividi sulla pelle, ma scava dentro, corrode lentamente la voce, l’autostima, la libertà interiore. È quella che ti convince che sei tu il problema, che stai esagerando, che forse te la sei cercata. È fatta di parole trattenute, telefoni controllati, amori che diventano confini, e di una casa che, invece di proteggere, diventa prigione emotiva. È una violenza domestica non perché avviene tra quattro mura, ma perché mette la paura dentro la vita.
Ha un effetto farfalla. Genera altre fragilità, altre bambine cresciute nella sudditanza, altri bambini educati all’idea del possesso. Perché in un contesto dove non si è liberi non si può insegnare la libertà, e nessuno può trasmettere ciò che non ha il permesso di vivere.
I dati ci obbligano a non voltare lo sguardo. In Europa una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale. In Italia il 31,5 per cento delle donne tra i sedici e i settant’anni ha subito violenza. Tra le ragazze più giovani quella psicologica raggiunge il 35 per cento. Nei primi sei mesi del 2024 sono stati denunciati 8.592 atti persecutori, e nel 74 per cento dei casi le vittime erano donne. Il 75 per cento delle italiane ritiene che la violenza psicologica non venga riconosciuta come tale.
La prevenzione autentica comincia molto prima della violenza. Prima dei tribunali, delle misure cautelari e dei braccialetti elettronici. Comincia nell’infanzia, nelle famiglie e soprattutto nelle scuole. È un’educazione quotidiana quella che serve, fatta di rispetto, limite, empatia, consenso e libertà. In questa direzione si muovono anche alcuni provvedimenti oggi in discussione in Parlamento: il Disegno di Legge S 979, che propone di introdurre in modo strutturato l’educazione affettiva e sessuale nei programmi scolastici, e due proposte alla Camera, l’AC 2278, che riguarda l’educazione alle relazioni e al riconoscimento dell’identità di genere, e il C 2271, che disciplina le attività scolastiche sui temi dell’affettività e della sessualità prevedendo il consenso informato delle famiglie. È un segnale chiaro. Non è più possibile rimandare.
Anche Napoli risponde, e lo fa attraverso linguaggi diversi: l’arte, la cultura, la memoria, l’esperienza, la cura.
In Piazza Municipio, la ASL Napoli 1 Centro ha trasformato la riflessione in un’esperienza. All’interno di un grande cubo nero, simbolo del buio e dell’isolamento, si attraversa un labirinto sonoro fatto di voci, rumori, testimonianze e dati. Ogni passo è un frammento di paura, fragilità, controllo, ma anche resistenza. L’uscita è una Porta Rosa, luminosa, simbolo di rinascita. Fuori, operatori e volontari informano sui Percorsi Rosa attivi nei Pronto Soccorso cittadini, offrendo orientamento e protezione.
La Direzione regionale Musei nazionali Campania ha diffuso il suo impegno lungo un’intera settimana, dal ventidue al ventinove novembre, trasformando musei e luoghi culturali in spazi di consapevolezza. A Montesarchio, la mostra fotografica Per Lei di Michele Stanzione racconta la presenza femminile attraverso luce, assenza e memoria. A Santa Maria Capua Vetere, l’Anfiteatro Campano si accende di arancione al crepuscolo, in un gesto collettivo che invita a dire insieme: accendiamo il rispetto. A Benevento, il Teatro Romano ospita studenti, psicologi e musicisti per riflettere sull’impatto invisibile della violenza. A Pontecagnano, una serata tra mito, danza e parola prova a immaginare relazioni libere da ruoli imposti. A Eboli, con Clitennestra o del crimine, il mito diventa voce contemporanea, che chiede ascolto e non solo giudizio.
Anche il Teatro Trianon Viviani contribuisce a questo percorso. Il 25 novembre, dalle ore 10 alle 13, la Fondazione Campania dei Festival, insieme alla Regione Campania, promuove un incontro dedicato a studenti e famiglie, con interventi di istituzioni, associazioni e realtà impegnate nella tutela dei diritti e nella costruzione di una cultura del rispetto. È previsto anche un breve contributo artistico, con testimonianze e monologhi curati dall’Associazione Forti Guerriere, come forma di narrazione civile e restituzione della voce.
Questi sono solo alcuni degli appuntamenti che Napoli e la Campania dedicano, lungo tutta la settimana, non a una celebrazione, ma a un impegno diffuso. Perché la consapevolezza non si costruisce in un giorno, e soprattutto non si costruisce da soli.
Il venticinque novembre non è una data. È una domanda. A ciascuno di noi.
E Napoli risponde mettendo al centro non solo la tragedia, ma la prevenzione. La cultura, l’ascolto, il linguaggio, la scuola, l’arte, la relazione.
Perché la violenza si combatte molto prima della violenza. Nei gesti quotidiani. Nei bambini che imparano a rispettare. Nelle bambine che imparano a non abbassare gli occhi. Se vogliamo cambiare davvero questo tempo, dobbiamo ricominciare da lì. Dalle radici.