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La comunità di Orta di Atella accende l’Albero della Pace
Un intreccio di mani, colori e testimonianze francescane trasforma un albero all’uncinetto in un messaggio collettivo di dialogo e solidarietà. A Orta di Atella, nell’Agro Aversano, la piazza del Santuario di San Salvatore da Horta si è trasformata in un luogo di incontro e di luce grazie all’accensione dell’Albero della Pace. L’installazione, alta circa dodici metri, è interamente ricoperta da una fitta trama di centrini all’uncinetto realizzati da quaranta donne del laboratorio parrocchiale. Da luglio queste volontarie hanno intrecciato più di dodicimila mattonelle colorate, lavorando insieme settimana dopo settimana e trasformando la semplice manualità in un gesto simbolico capace di parlare alla comunità. Il progetto è nato all’interno dell’Ordine Francescano Secolare, guidato localmente da Angelo Cervone, che ha voluto dare vita a un’iniziativa capace di trasmettere concretamente un messaggio di pace. L’idea ha trovato immediatamente sostegno nella famiglia francescana del Santuario, grazie alla vicinanza costante di fra Carlo D’Amodio, Ministro Provinciale dei Frati Minori di Napoli e Caserta, e di fra Agostino Esposito. Il contributo di numerosi volontari ha reso possibile ogni fase del lavoro, dalla cura degli spazi all’assemblaggio della struttura pensata appositamente per accogliere e sostenere il grande albero. La progettazione è stata affidata all’architetto Pasquale D’Ambrosio, che ha messo gratuitamente a disposizione la propria competenza per realizzare un’opera destinata a restare nella memoria del territorio. La cerimonia di accensione si è aperta con la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo. Le sue parole hanno richiamato il senso di un Natale che invita a riscoprire il valore della collaborazione e dell’ascolto reciproco. Subito dopo, la piazza si è riempita di voci e di partecipazione. Oltre agli interventi dei promotori, hanno portato la loro testimonianza alcuni giovani palestinesi, presenti per raccontare la propria esperienza e ricordare quanto il bisogno di pace continui a essere urgente in molte parti del mondo. La loro presenza, in un contesto di festa comunitaria, ha dato all’evento una dimensione ancora più ampia, capace di oltrepassare i confini locali. Uno degli aspetti più significativi del progetto riguarda ciò che accadrà dopo le festività. I centrini che oggi rivestono l’albero saranno smontati e trasformati in coperte destinate alle persone senza dimora attraverso la rete caritativa della diocesi. La cura paziente con cui ogni mattonella è stata realizzata continuerà così a portare calore a chi vive situazioni di fragilità. È un modo per far sì che l’albero non rimanga soltanto un’opera decorativa, ma un gesto concreto di solidarietà. Per gli abitanti di Orta di Atella questo progetto rappresenta anche un invito a guardare con occhi nuovi il proprio centro storico, spesso percepito come dimenticato o poco vissuto. L’albero, con la sua superficie di colori intrecciati, diventa una metafora di ciò che può accadere quando una comunità decide di unirsi. Ogni centrino porta con sé una storia, una mano, una scelta di esserci. E insieme danno forma a un’immagine di bellezza che ricuce, anima e restituisce dignità allo spazio pubblico. L’Albero della Pace non è soltanto un simbolo natalizio. È il risultato di un lavoro condiviso che ha coinvolto donne, religiosi, professionisti, giovani e famiglie. È il segno che anche un filo di lana può diventare messaggio, quando viene offerto con gratuità e trasformato attraverso l’incontro. In un tempo segnato da conflitti e da distanze, l’opera realizzata a Orta di Atella ricorda che la pace non nasce dai gesti straordinari, ma dalla capacità di intrecciare differenze, storie e speranze. In questo intreccio, la comunità ha trovato una voce. E quella voce, attraverso i fili colorati dell’albero, continua a dire che la pace è una possibilità reale quando nasce dal basso, dalle mani e dal cuore delle persone. Lavorazione e montaggio dell’albero. Lucia Montanaro
Inaugurato il Centro Donna a Pianura. Ferrante: “Serve un cambio di mentalità per fermare la violenza”
Inaugurato questa mattina il Centro Donna di Pianura, un luogo dedicato all’ascolto, al sostegno e alla tutela delle donne. L’apertura del centro, finanziato dal Comune di Napoli e attivato in collaborazione con le cooperative sociali Xenia e Adesia, rappresenta un passo concreto nella lotta contro la violenza di genere e nella promozione delle pari opportunità. All’inaugurazione è intervenuta l’assessora alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante, che ha preso parte anche a un incontro di sensibilizzazione e confronto per sostenere e promuovere la cultura del rispetto. Durante l’incontro sono intervenute Maria Carillo, presidente di Xenia, ed Elena Giorgia Carrucola, di Adesia, che hanno illustrato il ruolo delle realtà sociali nella costruzione di reti di supporto. La coordinatrice del Centro Donna, Luciana Sullo, ha presentato il progetto e le attività già avviate, mentre la psicologa Francesca Diffidenti ha condiviso riflessioni sulle esperienze raccolte nei gruppi di ascolto. Momento centrale è stata la proiezione del video con le testimonianze delle donne che hanno scelto di raccontare la loro storia, segno di coraggio e speranza. “È un luogo di incontro accogliente e aperto, a cui tutte le donne possono accedere per trascorrere momenti di serenità e di svago – ha sottolineato l’assessora alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante – c’è la possibilità di fare sport, tenere colloqui con avvocati e psicologi, ma soprattutto le donne possono venire qui per dedicarsi del tempo, stare insieme e conoscersi. È molto importante per questa Amministrazione – ha concluso Ferrante – perché significa iniziare a cambiare cultura e mentalità e fare un piccolo passo verso quella rivoluzione culturale ancora necessaria per eliminare completamente il fenomeno della violenza sulle donne”. Redazione Napoli
Napoli: P’AZZ FESTIVAL
L’appuntamento è per venerdì 28 novembre 2025, alle ore 15:00, in una cornice spettacolare: il Palazzo Caracciolo Naples. L’evento, patrocinato dal Comune di Napoli, prende il via con i saluti istituzionali di Maurizio Bertolotto, Garante dei Diritti delle Persone con Disabilità del Comune di Napoli, Giovanni Pizzo, Hotel Resident Manager Caracciolo Hospitality Group, Rino Colavecchia, Presidente AFASP CAMPANIA e Consigliere Nazionale UNASAM. Ma il cuore della prima giornata è il Panel sui “Progetti di Inserimento Socio-Lavorativo per persone con disagio psichico e disabilità intellettiva a Napoli”. Siamo onorati di avere ospiti importantissimi come: • ANDEL – Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro, rappresentata dal Presidente Marino Bottà. • E gli interventi di ERA Cooperativa Sociale e NAPOLINMENTE APS. E non dimentichiamoci del Giorno 2 (Sabato 29 Novembre)! Sarà dedicato ai Tavoli di Lavoro sull’Autonomia Lavorativa e l’Autonomia Abitativa con gli speech di Agostino Borroso, Vice Presidente di TAM Cooperativa Sociale e Antonella Cammarota, Presidente di SOLARIS APS! Un’occasione unica per parlare di autonomia a 360 gradi. Tutto questo è reso possibile grazie agli organizzatori (NAPOLINMENTE APS, AFASP CAMPANIA), e ai nostri meravigliosi Partner (ERA Cooperativa Sociale, Why Inclusion, Le Muse per L’oro APS, Ta’-tta’ Media Group) e Sponsor (CHG Caracciolo Hospitality Group, Pio Monte della Misericordia, Stalker Cooperativa Sociale, Cantina Sociale Vite Matta). #attimidisanafollia! Programma completo Redazione Napoli
Il posto vuoto che ci riguarda tutti: memoria, responsabilità e impegno contro la violenza sulle donne
Ogni femminicidio lascia un vuoto. Non solo negli affetti, ma nello spazio pubblico, nella coscienza collettiva, nella società che osserva, commenta, si indigna, ma poi spesso dimentica. Per provare a contrastare questa rimozione, la sezione ANPI collinare Aedo Violante porta avanti da tempo l’iniziativa Il Posto Occupato: una sedia lasciata vuota, presente in ogni assemblea, manifestazione o incontro pubblico. È il posto che sarebbe spettato a una donna che non può più sedere accanto a noi, perché uccisa da un uomo, spesso il marito, il fidanzato, un familiare o un conoscente. Quel posto vuoto non è un semplice simbolo, ma un atto di responsabilità. Ricorda che ogni donna aveva una vita, dei progetti, dei sogni, e che la sua assenza pesa. Secondo i dati più recenti del Ministero dell’Interno, nel 2024 in Italia sono state uccise oltre cento donne. Nella grande maggioranza dei casi l’autore è un uomo conosciuto. La violenza non è destino e non è fatalità. È un sistema che continua a trovare spazio, linguaggi, giustificazioni e silenzi. Quest’anno, nell’ambito della rassegna Memoria Attiva, l’ANPI insieme all’associazione IoCiSto ha scelto di accompagnare il gesto del Posto Occupato con un momento di approfondimento e testimonianza, presentando il libro di Lella Palladino Non è un destino. L’autrice, da anni impegnata nella costruzione e nel rafforzamento dei Centri Antiviolenza in Campania, ha condiviso storie che attraversano paura, dolore, ma anche ricostruzione e libertà. Racconti che dimostrano quanto sia urgente garantire alle donne strumenti, luoghi sicuri e reti territoriali capaci di sostenerle. Dalle parole dell’autrice emerge un punto essenziale: la protezione delle donne non può essere affidata solo al coraggio individuale, ma deve diventare un diritto garantito. La violenza si combatte anche prima che accada, riconoscendone i segnali, contrastando gli stereotipi, educando al rispetto, al limite e al consenso. L’impegno quindi non può esaurirsi in una giornata. La lotta alla violenza sulle donne è un percorso quotidiano, che parte dal contrasto a ogni forma di patriarcato, anche quelle più sottili e normalizzate. È un lavoro di educazione, responsabilità sociale, vicinanza alle realtà che operano sul territorio, costruzione di una cultura libera dalla prevaricazione e dalla paura. Come nella Resistenza, è una questione di libertà, dignità e responsabilità collettiva. Alle donne che non ci sono più. A quelle che resistono, denunciano e ricominciano. A chi ogni giorno le accompagna. Il posto vuoto continuerà a ricordarcelo. Redazione Napoli
Napoli, 25 novembre: la violenza si combatte molto prima della violenza
Arte, scuola, istituzioni, cultura e testimonianze. Un’unica direzione: educare alla libertà. Le notizie arrivano così fitte che i volti delle donne sembrano quasi sovrapporsi, uno sull’altro, senza il tempo di essere riconosciuti. Quando pensiamo di aver trovato le parole giuste per l’ennesimo femminicidio, arriva sempre un nuovo giorno che ci costringe a riformularle. Riaffiorano allora immagini che l’Italia non riesce a dimenticare. La pancia di Giulia Tramontano, spezzata insieme al figlio che portava in grembo. Il volto giovane di Giulia Cecchettin. La vicenda di Tiziana Cantone, divorata dalla violenza digitale. La vita interrotta di Martina Carbonaro, a soli quattordici anni. La storia di Roua Nabi, uccisa nonostante il braccialetto elettronico al marito. Storie diverse, lontane tra loro, eppure accomunate dalla stessa radice: la cancellazione della libertà altrui. E ancora una volta, la cronaca recente ci obbliga a fermarci. A Qualiano, vicino Napoli, un uomo già denunciato, già sottoposto a codice rosso e ai domiciliari con braccialetto elettronico, ha manomesso il dispositivo, ha raggiunto l’ex compagna e l’ha colpita più volte con un coltello. È viva per miracolo, dicono i medici. Ma quante volte ancora dovremo affidarci alla parola miracolo dopo che tutto il resto non ha funzionato? Questo episodio, come altri, mostra che la repressione, pur necessaria, non basta. Spesso arriva dopo, quando è già tardi. La violenza sulle donne non si esaurisce nelle storie che finiscono in prima pagina, con un nome, una fotografia e una sentenza. Esiste un territorio sommerso, silenzioso e ostinato, fatto di manipolazione, controllo, dipendenza affettiva, svalutazione e isolamento. È una violenza che non lascia lividi sulla pelle, ma scava dentro, corrode lentamente la voce, l’autostima, la libertà interiore. È quella che ti convince che sei tu il problema, che stai esagerando, che forse te la sei cercata. È fatta di parole trattenute, telefoni controllati, amori che diventano confini, e di una casa che, invece di proteggere, diventa prigione emotiva. È una violenza domestica non perché avviene tra quattro mura, ma perché mette la paura dentro la vita. Ha un effetto farfalla. Genera altre fragilità, altre bambine cresciute nella sudditanza, altri bambini educati all’idea del possesso. Perché in un contesto dove non si è liberi non si può insegnare la libertà, e nessuno può trasmettere ciò che non ha il permesso di vivere. I dati ci obbligano a non voltare lo sguardo. In Europa una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale. In Italia il 31,5 per cento delle donne tra i sedici e i settant’anni ha subito violenza. Tra le ragazze più giovani quella psicologica raggiunge il 35 per cento. Nei primi sei mesi del 2024 sono stati denunciati 8.592 atti persecutori, e nel 74 per cento dei casi le vittime erano donne. Il 75 per cento delle italiane ritiene che la violenza psicologica non venga riconosciuta come tale. La prevenzione autentica comincia molto prima della violenza. Prima dei tribunali, delle misure cautelari e dei braccialetti elettronici. Comincia nell’infanzia, nelle famiglie e soprattutto nelle scuole. È un’educazione quotidiana quella che serve, fatta di rispetto, limite, empatia, consenso e libertà. In questa direzione si muovono anche alcuni provvedimenti oggi in discussione in Parlamento: il Disegno di Legge S 979, che propone di introdurre in modo strutturato l’educazione affettiva e sessuale nei programmi scolastici, e due proposte alla Camera, l’AC 2278, che riguarda l’educazione alle relazioni e al riconoscimento dell’identità di genere, e il C 2271, che disciplina le attività scolastiche sui temi dell’affettività e della sessualità prevedendo il consenso informato delle famiglie. È un segnale chiaro. Non è più possibile rimandare. Anche Napoli risponde, e lo fa attraverso linguaggi diversi: l’arte, la cultura, la memoria, l’esperienza, la cura. In Piazza Municipio, la ASL Napoli 1 Centro ha trasformato la riflessione in un’esperienza. All’interno di un grande cubo nero, simbolo del buio e dell’isolamento, si attraversa un labirinto sonoro fatto di voci, rumori, testimonianze e dati. Ogni passo è un frammento di paura, fragilità, controllo, ma anche resistenza. L’uscita è una Porta Rosa, luminosa, simbolo di rinascita. Fuori, operatori e volontari informano sui Percorsi Rosa attivi nei Pronto Soccorso cittadini, offrendo orientamento e protezione. La Direzione regionale Musei nazionali Campania ha diffuso il suo impegno lungo un’intera settimana, dal ventidue al ventinove novembre, trasformando musei e luoghi culturali in spazi di consapevolezza. A Montesarchio, la mostra fotografica Per Lei di Michele Stanzione racconta la presenza femminile attraverso luce, assenza e memoria. A Santa Maria Capua Vetere, l’Anfiteatro Campano si accende di arancione al crepuscolo, in un gesto collettivo che invita a dire insieme: accendiamo il rispetto. A Benevento, il Teatro Romano ospita studenti, psicologi e musicisti per riflettere sull’impatto invisibile della violenza. A Pontecagnano, una serata tra mito, danza e parola prova a immaginare relazioni libere da ruoli imposti. A Eboli, con Clitennestra o del crimine, il mito diventa voce contemporanea, che chiede ascolto e non solo giudizio. Anche il Teatro Trianon Viviani contribuisce a questo percorso. Il 25 novembre, dalle ore 10 alle 13, la Fondazione Campania dei Festival, insieme alla Regione Campania, promuove un incontro dedicato a studenti e famiglie, con interventi di istituzioni, associazioni e realtà impegnate nella tutela dei diritti e nella costruzione di una cultura del rispetto. È previsto anche un breve contributo artistico, con testimonianze e monologhi curati dall’Associazione Forti Guerriere, come forma di narrazione civile e restituzione della voce. Questi sono solo alcuni degli appuntamenti che Napoli e la Campania dedicano, lungo tutta la settimana, non a una celebrazione, ma a un impegno diffuso. Perché la consapevolezza non si costruisce in un giorno, e soprattutto non si costruisce da soli. Il venticinque novembre non è una data. È una domanda. A ciascuno di noi. E Napoli risponde mettendo al centro non solo la tragedia, ma la prevenzione. La cultura, l’ascolto, il linguaggio, la scuola, l’arte, la relazione. Perché la violenza si combatte molto prima della violenza. Nei gesti quotidiani. Nei bambini che imparano a rispettare. Nelle bambine che imparano a non abbassare gli occhi. Se vogliamo cambiare davvero questo tempo, dobbiamo ricominciare da lì. Dalle radici. Lucia Montanaro
Napoli, al Villaggio Esercito la contestazione dell’Osservatorio contro la militarizzazione
Ieri, domenica 17 novembre 2025, a Napoli una ventina di persone tra attivisti dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, del Comitato Pace e Disarmo Campania, che ha convocato il presidio, insieme ad altri cittadini e altre cittadine, ha tentato di avvicinarsi il più possibile alla sconcertante esibizione bellicista, ma le forze dell’ordine hanno impedito che il presidio si avvicinasse a meno di 500 metri. Sullo sfondo del lungomare, fra il Vesuvio e Castel dell’Ovo, l’imponente profilo della portaerei inglese “HMS Prince of Wales”, mentre dall’altro lato, sotto l’architettonica protezione del massiccio palazzo del consolato USA, il “Villaggio Esercito”, con i suoi 17.000 mq di esposizione di armi. Si è tenuto poco distante, invece, lungo via Caracciolo, un volantinaggio e uno speakeraggio, mentre alcuni singoli sono entrati e hanno potuto documentare la parata bellicista in cui strumenti di morte venivano presentati anche a molti bambini e molte bambine come oggetti tecnologici da ammirare. Tutto ciò aumenta lo sconcerto da parte dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università per una invasiva presenza delle Forze Armate nei territori. Dopo essere stati a Bari e successivamente a Palermo, adesso il Villaggio Esercito si è spostato a Napoli per continuare a mostrare una prova muscolare della militarizzazione dilagante nel nostro Paese, che comincia dalle strade e finisce nelle scuole e nelle università con l’unico scopo di normalizzare nella mente delle persone l’idea della guerra, quella che presto ci accingeremo a intraprendere al seguito delle scellerate imprese della NATO. Qui alcune foto del Villaggio Esercito a Napoli. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Napoli
A Napoli il “Villaggio Esercito” con sfoggio di carri armati da ammirare per le scolaresche
In occasione dei 2500 anni di storia di Napoli, venerdì 14 novembre è stato inaugurato anche nella “Città di pace”, sul lungomare Caracciolo, il “Villaggio Esercito”, che resterà aperto fino a domenica 16, con il patrocinio del Comune e l’attiva partecipazione della Giunta nella persona dell’assessore alla Legalità, che ha sottolineato come l’iniziativa sia stata pensata soprattutto per i giovani e si è compiaciuto per la presenza di diverse scolaresche. Uno spazio espositivo di oltre 17.000 metri quadrati, in cui gli studenti, le studentesse e la cittadinanza tutta sono invitati per “vedere di persona le novità tecnologiche, l’addestramento e le possibilità professionali offerte dal mondo militare”. Nel villaggio sono proposte attività sportive e tecnologia all’avanguardia, compreso un cane robot, musica e intrattenimento, presentando un’immagine patinata e distorta che glorifica il ruolo delle forze armate e tace completamente sulle atrocità della guerra e sullo scopo di questi strumenti di morte, configurandosi come l’ennesima iniziativa di propaganda militarista volta a reclutare giovani pronti a uccidere e a morire per la patria e a produrre consenso nella popolazione, chiamata a sopportare sacrifici di ogni tipo per la stessa idea astratta, dietro la quale è evidente il concretissimo interesse di quei pochi che dalle guerre hanno da guadagnare. ESPRIMIAMO TOTALE CONDANNA NEI CONFRONTI DI TALE ESIBIZIONE MILITARISTA, IN UN MOMENTO COSÌ DRAMMATICO IN CUI LA PACE E LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE DOVREBBERO ESSERE AL CENTRO DELL’ATTENZIONE. Alcuni scatti dell’iniziativa a Napoli. Fonti: (https://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/55676) https://www.ilmattino.it/napoli/citta/villaggio_esercito_lungomare_napoli_piazza_plebiscito-9188733.html
Il MIR esprime contrarietà anche al Villaggio Esercito di Napoli
Il MIR Italia, storico movimento italiano per la pace e la nonviolenza, manifesta totale contrarietà alla decisione di installare un Villaggio Esercito anche sul lungomare di Napoli, soprattutto in un momento così grave per gli equilibri internazionali ed in totale dispregio della pressante richiesta di pace e di ripudio della guerra e delle sue atrocità, che sta provenendo da milioni di cittadini italiani ed anche dal popolo siciliano. “Come movimento di matrice spirituale che si batte da decenni per il rifiuto della violenza distruttiva dei conflitti armati e per la risoluzione nonviolenta delle controversie internazionali – dichiara Ermete Ferraro, Presidente del MIR Italia e Coordinatore del MIR di Napoli – manifestiamo totale dissenso nei confronti la realizzazione nella nostra ‘Città di Pace’ d’una assurda esibizione di stampo militarista, dove s’invitano i cittadini ad ‘ammirare da vicino’ strumenti di morte e distruzione, come mine, carri armati, elicotteri, ed altri veicoli bellici. Altro che ‘avvicinamento’ dell’Esercito alla cittadinanza e ‘orgoglio’ delle forze armate per un preteso ruolo di ‘peacekeeping’! Noi chiediamo ai Cittadini di Napoli – ed in primo luogo a genitori, docenti e studenti – di disertare questa inopportuna esibizione militarista. Viceversa, continueremo a proporre ai giovani l’obiezione preventiva al servizio militare. Il MIR continuerà ad opporsi alla militarizzazione che pervade le istituzioni formative, la cultura, la società e perfino lo sport, e solleciterà la partecipazione attiva percorsi di educazione alla pace e ai diritti umani». MIR Italia - Movimento Internazionale della Riconciliazione
HOPE – La rinascita attraverso il dolore: quando il corpo diventa linguaggio
Il nuovo lavoro di Matteo Anatrella usa il corpo nudo come linguaggio essenziale, vulnerabile e potentissimo. La bellezza salverà il mondo? La domanda resta aperta, ma una cosa è certa: l’arte continua a mostrarci ciò che spesso non vogliamo vedere. È un linguaggio che non consola, ma rivela; che non nasconde, ma espone l’essenziale. E quando sceglie il corpo come strumento, lo fa nella sua forma più sincera, priva del superfluo. In questa nudità, vulnerabile e potentissima, nasce HOPE , il nuovo lavoro di Matteo Anatrella. Nel video HOPE , la figura femminile emerge dal simulacro della sofferenza per ritrovare sé stessa. Un percorso visivo e simbolico che trasforma il corpo in linguaggio universale di libertà. HOPE è un’opera intensa e viscerale del videoartista napoletano Matteo Anatrella, realizzata nell’ambito di Anema Project, una ricerca visiva che esplora i confini tra arte, corpo e spirito. Il video si apre con un’immagine quasi claustrofobica: una figura femminile, velata di bianco, chiusa in un involucro che ricorda un sudario insanguinato. È il simbolo di una prigionia interiore, della paura e del dolore che immobilizzano l’essere umano. Poco a poco, il corpo inizia a muoversi e a liberarsi. La pelle si ripulisce lentamente dal sangue, metafora di ferita ma anche di vita che pulsa, di rinascita che passa attraverso il dolore. Il movimento della modella, Giada Onofrio, è allo stesso tempo contorto e liberatorio: ogni gesto diventa un atto di resistenza e un grido di speranza. Nella sequenza finale, la figura alza le mani verso l’alto, i palmi aperti verso chi guarda. È un gesto che contiene insieme resa e rivelazione, vulnerabilità e potenza. L’essere umano, spogliato di ogni maschera, torna a respirare e ad affermare la propria esistenza. La forza dell’opera sta nel suo linguaggio visivo puro, privo di parole ma capace di evocare con immediatezza la condizione umana: la sofferenza, la trasformazione, la speranza. Il lavoro si inserisce nel percorso di Anema Project, che unisce arte visiva, performance e ricerca spirituale in una visione condivisa da Annarita Mattei, con la collaborazione di Aldo Romana come primo assistente, Giuseppe Maturo come fotografo di backstage e Luca Anatrella per l’editing. HOPE si lega idealmente a un altro progetto di Matteo Anatrella: In Memoriam – Manifesto Visivo , presentato ai Magazzini Fotografici di Napoli nel maggio 2025. In quell’occasione l’artista, insieme al team di Anema Project, trasformò lo spazio espositivo in un luogo di commemorazione e denuncia, invitando decine di donne a offrire il proprio corpo e il proprio volto contro il femminicidio. Il corpo vivo, guidato a terra e chiuso in un sacco scuro, diventava simbolo di assenza e resistenza. Un atto corale, politico e poetico, capace di rendere visibile il lutto e la memoria attraverso la partecipazione diretta. Con HOPE , questa ricerca prosegue in una dimensione più intima e individuale, ma non meno universale. Se In Memoriam rappresentava il lutto collettivo, HOPE incarna la rinascita. L’interesse di Anatrella per i temi sociali non si limita alla violenza di genere. La sua visione artistica, richiamata anche in contesti di cittadinanza attiva e di autodeterminazione femminile, unisce interiorità e collettività, spiritualità e responsabilità. Le sue opere ci ricordano che la libertà passa attraverso la consapevolezza e che ogni gesto artistico può essere un atto di liberazione. In chiusura dell’articolo sarà possibile trovare il link al video HOPE e alcune immagini tratte dal backstage. La visione diretta è essenziale: nessuna descrizione può sostituire la forza del corpo che prende forma nell’immagine, il gesto che si compie, la trasformazione che accade sotto lo sguardo. Crediti Videoartista: Matteo Anatrella Produttore: Annarita Mattei Modella: Giada Onofrio Primo assistente: Aldo Romana Fotografo di backstage: Giuseppe Maturo Montaggio: Luca Anatrella Progetto: Anema Project DAL SET DI HOPE: ALCUNI MOMENTI DIETRO LE QUINTE” Il video https://www.instagram.com/reel/DQKLF3dCZG4/?igsh=eXF4bzZzODkxc245 Articolo “In Memoriam: la fotografia contro il femminicidio” > In Memoriam: la fotografia contro il femminicidio Lucia Montanaro
Libreria IoCiSto riapre il Presidio Permanente di Pace
Martedì 11 novembre, alle ore 18:30, presso la libreria IoCiSto in piazzetta Aldo Masullo al Vomero, riprendono le attività del Presidio Permanente di Pace con la presentazione del libro “IN Rivolta. Manifesto dei corpi liberi”, a cura di Martina Albini, edito da Castelvecchi. In un tempo sospeso, segnato da tensioni e conflitti, si rinnova la necessità di mantenere viva una presenza costante che promuova la cultura della pace, del dialogo e della nonviolenza, ponendo al centro il tema del diritto, declinato nelle sue molteplici dimensioni. È il diritto del corpo – che trattiene memorie e ferite, che resiste, che si rivela – soprattutto il corpo delle donne abusate, manipolate, controllate, reinventate. È il rispetto per la prima terra che abitiamo: il nostro corpo. Un corpo che il libro invita a guardare non come oggetto da giudicare o possedere, ma come spazio di libertà e autodeterminazione. “In Rivolta” dà voce alle lotte per la giustizia sessuale e riproduttiva, ai diritti delle donne e alle battaglie per tutte le forme di autodeterminazione. Un testo che affronta temi cruciali: diritti delle donne, identità di genere, cura, invecchiamento, salute riproduttiva. La libertà corporea oggi è una questione quotidiana. Il libro afferma che nessun corpo è un’isola, ma trasformazione, relazione, alleanza. Un terreno nuovo su cui riflettere sul modo in cui la società costruisce norme e sul modo in cui possiamo agire per ampliarne gli spazi di libertà e inclusione. Il corpo normato e regolato; il corpo che infrange stereotipi; il corpo costretto alla maternità, non sempre scelta; il corpo che invecchia e subisce discriminazione; il corpo che diventa campo di battaglia per violenza e sfruttamento. Il corpo, insomma, come luogo di potere e di resistenza. Un libro corale che raccoglie più di venti voci tra attiviste, giornaliste, ricercatrici e scrittrici. Voci che intrecciano esperienze personali e professionali, riflessioni sulla giustizia sessuale e sulle disuguaglianze di genere. Voci che mostrano come il corpo femminile continui a essere spazio di controllo, ma anche terreno da liberare. Le autrici parlano di maternità, sessualità, desiderio, salute, lavoro, età. Parlano di come possiamo riprenderci i nostri corpi. Il volume si conclude con un Manifesto in dieci punti, che afferma che i corpi si liberano solo se vengono visti, ascoltati e riconosciuti nella loro pluralità. “In Rivolta” è un testo potente perché ricorda che nessun corpo è neutro: ogni corpo ha bisogno di spazio, ascolto, riconoscimento. La presentazione si svolgerà nella libreria IoCiSto, dove dal novembre 2023 è attivo il Presidio Permanente della Pace. IoCiSto è molto più di una libreria: è uno spazio accogliente, colorato, interamente autogestito da soci volontari che, con passione per il sapere, hanno deciso di essere protagonisti nella costruzione e diffusione della cultura. Dieci anni fa, quando a Napoli – e non solo – chiudevano librerie e aprivano paninerie, un gruppo di persone scelse di lanciare una sfida: “E se la facessimo noi una libreria?” IoCiSto fu la risposta. E il sogno continua: oggi è un luogo di accoglienza, inclusione, confronto. È anche Presidio Permanente di Pace perché la pace non è un concetto astratto, né un’assenza di guerra: è costruzione, è cultura, è impegno quotidiano. Il Presidio nasce come reazione allo scoramento per l’incapacità di incidere sulle decisioni dei potenti del mondo, in un tempo segnato dalla guerra in Ucraina e dal genocidio in Medio Oriente. Reagisce con la forza del dialogo, della cultura, del pensiero critico. Usa ogni forma d’arte e di sapere: filosofia, letteratura, poesia, scienza. Il suo obiettivo è chiaro: “La Pace impariamo a costruirla tutti, in un percorso impegnativo, lungo e pieno di ostacoli, che deve radicarsi nel cuore di ognuno. ”Ognuno può contribuire a gettare piccoli semi di Pace. Il simbolo scelto dal Presidio è il melograno, frutto di prosperità: i chicchi separati ma uniti rappresentano l’unità nella diversità. Tra i temi affrontati: pace, superamento dei conflitti, guerre dimenticate, obiezione di coscienza, diritti umani negati, arte e bellezza come strumenti di riconciliazione, lessico della pace, consapevolezza del diritto. Il Presidio ha ospitato docenti universitari, filosofi, scrittori, testimoni, giornalisti, poeti, portando riflessioni capaci di aprire prospettive nuove e di far crescere la speranza: la speranza che la pace si possa costruire attraverso cultura, partecipazione e impegno collettivo. Gina Esposito