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Per un Medio oriente libero da armi nucleari e da altre armi di distruzione di massa. La campagna parte da Napoli
Eirenefest Napoli 20-09-2025 Se siamo qui, oggi, è perché si è scelto di raccogliere le eredità e le proposte; se saremo qui, domani, sarà perché saremo capaci di fare memoria – informazione – futuro. Scriveva padre Alex Zanotelli, presentando un testo di Angelo Baracca (“Per la memoria, l’informazione e il futuro. Scritti per le prossime generazioni”): “Se l’umanità continuerà a camminare sulla strada che ha scelto, rischia di finire in un inverno nucleare oppure in un’estate infuocata. (…) Oggi la minaccia atomica torna a terrorizzare il mondo (…) Oggi rimangono 15.000 testate intatte nel mondo: una minaccia mortale per il futuro dell’umanità e del Pianeta. E i venti di guerra soffiano forti. (…) Baracca è l’autore di vari volumi importanti nel campo del nucleare: “A volte ritornano. L’Italia ritorna al nucleare” e soprattutto “SCRAM”, scritto insieme a Giorgio Ferrari”. Oggi siamo qui, a Napoli, terra su cui insistono le lotte e, nel contesto di questo Eirenefest, le persone, che quel grido di allarme accorato e competente (coerente) hanno lanciato. Continua padre Alex, ricordando Angelo: “Oltre a essere uno scrittore, è anche un impegnato attivista contro il nucleare. Infatti l’informazione deve portare all’azione per essere efficace. E non basta l’informazione individuale, ma deve essere collettiva”. Questo significa poter trasformare l’essere parte di, in termini di appartenenza, ad una dimensione di significato (entro e oltre l’essere religiosi, prima di tutto essendo orientati dentro un orizzonte spirituale, di ricerca del senso delle vite dell’essere donne e uomini in cammino per la costruzione di percorsi di Pace) nell’essere “parte di un grande movimento che, a gran voce, esiga che l’Italia aderisca al Trattato per l’abrogazione del nucleare (TPNA)”, quindi che, in una prospettiva di Utopia, “(l’Italia…) elimini dal proprio suolo tutto l’armamentario atomico”. Ad Angelo Baracca è stata dedicata una giornata, nel novembre 2023: eravamo a Firenze, padre Alex partecipava attraverso un suo contributo registrato ed inviato a noi, Giorgio aderiva ed era attivo sostenitore dentro la proposta di Medicina Democratica – Sez. Pietro Mirabelli, che umilmente contribuii a pro-muovere, nel luglio 2023; come scrivevo, a introduzione del testo – atti di quella giornata: “perché possano trasformarsi in proposte, perché il ricordo non sia pietra scolpita e tenuta a memoria nel tempo che cristallizza le immagini, bensì movimento collettivo che, nascendo dalla simpatia, dall’essere stati (ed ancora oggi essere) in cammino insieme, recupera le pietre e le lavora insieme”. “Uomo di scienza e di pace” e “amico e compagno di lotte”: Angelo così lo avevamo voluto ricordare, nel rappresentare due mondi e due anime: ambiti in cui il pensiero e le prassi si sono venuti contaminando e, restando nella fedeltà alla complessità della storia di Angelo, sceglievamo di tenerli insieme; Angelo negli ultimi (suoi) tempi, era attivo nell’impegno nell’appello, oggi sempre più attuale ed urgente, sempre più contingente: “fermare la guerra e imporre la pace”, consapevole di andare “verso l’apocalisse” e che l’eliminazione delle armi nucleari fosse “unico presupposto per evitarla”, “sull’orlo del precipizio”… Nel marzo 1999, scriveva: “Si pensi alla situazione della Palestina”: “una situazione di grave e sistematica violazione dei diritti individuali più elementari, oltre che di diritti collettivi, negati dalla perdurante politica israeliana di insediamento di “coloni”, e da un regime di segregazione etnica assimilabile all’apartheid” ed anche “una recrudescenza nella repressione della popolazione locale”, “un problema di esodi di massa e di “pulizia etnica” del territorio che va avanti da oltre quarant’anni”, “una serie continua e insistita di risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU”. Nel luglio 2020, scriveva la denuncia del rischio nucleare, rischio che oggi teniamo insieme rispetto al rischio (od alla quasi certezza, oltre l’utopia che possa invertire il senso della storia contemporanea) dello sterminio di un popolo attraverso “pulizia etnica”, utilizzo di mezzi – armi di distruzione di massa che difficilmente possono essere legittimate nell’uso pensando alla deterrenza (nucleare e non): “il processo di disarmo si è arenato e addirittura invertito, perché tutti i paesi nucleari hanno intrapreso programmi plurimiliardari di “modernizzazione” del sistema degli armamenti nucleari (avviati dal Nobel per la Pace Barack Obama!)”. Analizza il percorso promosso dalla campagna internazionale ICAN rispetto all’approvazione del TPAN, entrando nel merito di quanto, meglio e soprattutto con maggiore competenza e pertanto titolo a parlare rispetto a me, Giorgio Ferrari analizzerà, nelle evidenze di pericolosità di quelle “vere bombe a orologeria” rappresentate da reattori e testate nucleari e nella proposta politica specifica per la quale siamo qui. Se siamo qui, oggi, è perché riteniamo che il pensiero critico, quello insegnato dentro i luoghi dove si formano le persone, “le prossime generazioni”, ed anche nelle piazze dove si parla attraverso il megafono che amplifica riflessioni ed emozioni distopiche finalizzati a muovere le coscienze (anche attraverso quel rullo di tamburi e quel fare rumore, che, oggi, attraversa i luoghi dove si Urla per Gaza), sia ancora ancoraggio su cui anche questi Eirenefest basano le proposte di incontri – con-fronti, ancoraggio delle lotte alle basi che ne definiscono le ragioni; manifestare richiede alle persone partecipi di conoscere i perché, studiarli, confrontarli, dialogarli, se possibile anche metterli in crisi, mettersi in crisi: dobbiamo avere la Saggezza di tenere insieme e il Coraggio di mettere e mettersi in discussione. Oggi, ancora più di due anni fa, la convergenza è necessaria eppure è fondamentale mantenere i pensieri critici e orientati, non semplicemente messi accanto, ma finalizzati all’attuare proposte che non siano vuote di retorica ed orientati a plagiare le masse a-critiche e obbedienti. Scriveva Angelo Baracca nel suo testo, con il quale ho aperto queste mie brevi riflessioni (“Per la memoria, l’informazione e il futuro. Scritti per le prossime generazioni”), ricordando il proprio metodo di insegnamento, perché oggi siamo qui a fare memoria – informazione – futuro: “iniziavo i miei corsi dicendo: Le mie idee sono spesso diverse da quelle prevalenti (tanto più nel campo della scienza), io le enuncerò sempre nel modo più chiaro e senza reticenze, non intendo in alcun modo plagiarvi, ma sottoporvi a ragionare con la vostra testa: se, alla fine, arriverete a conclusioni opposte alle mie avrò comunque ottenuto il risultato, l’importante è che le idee siano vostre e non uno dei tanti stereotipi”. In un tempo come l’attuale, in cui non è facile trovare Vie, in uno spazio – tempo in cui spesso siamo stati sopraffatti da quell’impotenza derivante dal Che fare, perché la costruzione di percorsi di Pace (non di pacifismo) potesse essere sospinta verso anche solo una minima coscienza di cambiare uno scenario di Apocalisse (data dalle armi, nucleari e di distruzione di massa, particolarmente incidenti in questo), la richiesta di Giorgio Ferrari, al termine di Eirenefest (nazionale, a Roma) a giugno 2024, non poteva non essere accolta: la richiesta di mettere a disposizione conoscenza e scienza perché potesse esserci una spinta verso il governo italiano di un differente posizionamento. Oggi, nel tempo che ci separa da quel giugno 2024 (15 lunghi mesi) in una terra e per un popolo martoriato che sta subendo una pulizia etnica senza precedenti (o, se vogliamo rimettere memoria rispetto all’olocausto, anche se ogni paragone rischia – ed ha rischiato – di ridurre la portata dell’una piuttosto che dell’altra Storia, rischiando di creare una competizione tra drammi cui hanno concorso e stanno concorrendo responsabili diversi e simili perché le storie – purtroppo – si stanno in-consapevolmente ripetendo), siamo tutte e tutti coinvolti, corresponsabili, perché (sia pure giustificandoci attraverso l’impotenza – il non-potere) assistiamo e sentiamo di agire poco o di non agire. E se anche una piccola goccia possa alimentare un fiume di speranza, che sia realismo di utopie concrete, non è sovra- dimensionare la portata del messaggio di Giorgio assumerci la responsabilità di rispondere Sì a questa sua, specifica e motivata proposta, che è diventata collettiva, inizialmente con fatica eppure anche oggi con volontà che le informazioni messe a disposizione possano contribuire a spostare (o fermare) le lancette del Tempo (verso l’inverno nucleare o l’estate infuocata). Vi lascio con le parole di Samah Jabr, un messaggio di speranza, oggi forse di sola utopia: un sogno, frutto di un bisogno di ridare prospettiva al nostro continuo incessante persistente movimento dentro i movimenti di “Urla per Gaza”: “Abbracciando l’amore rivoluzionario dichiariamo che la lotta per porre fine all’occupazione della Palestina è una lotta ispirata dall’amore per l’umanità, non dall’odio – contrariamente a ciò che viene falsamente sostenuto dai nostri avversari. È una richiesta d’azione che incita le persone del mondo a unirsi non come osservatori passivi ma come partecipanti attivi nella lotta per la giustizia. (…) Sostenendo il popolo palestinese non solo contribuite alla nostra lotta, arricchite anche le vostre vite, entrando in connessione con un senso più profondo di scopo e umanità. L’amore rivoluzionario ci insegna che i nostri destini sono intrecciati, che la giustizia per uno è giustizia per tutti”. Emanuela Bavazzano   Eirenefest Napoli Eirenefest Napoli Eirenefest Napoli Cesare Dagliana
Eirenefest Napoli, “Il processo al libro”
19 Settembre 2025, Eirenefest Napoli – Presidio Permanente di Pace Il primo laboratorio di apertura: “Il processo al libro” La prima giornata dell’Eirenefest – edizione napoletana 2025, ospitata dal Presidio Permanente di Pace presso la Libreria IoCiSto, si è aperta con un’immagine potente: il sangue di San Gennaro. Le parole di saluto e presentazione hanno richiamato questo simbolo senza sapere che poche ore prima il vescovo di Napoli lo aveva legato al sangue innocente dei bambini di Gaza. Una coincidenza che ha reso la riflessione ancora più incisiva: la pace non è un miracolo da attendere, ma una responsabilità che ci tocca da vicino, nella carne viva delle vittime. Dopo questa apertura, la mattina si è accesa con il laboratorio “Il processo al libro”, condotto da Pietro Varriale, educatore e formatore di Global Districts, insieme a Serena Dolores Correrò, operatrice del progetto. L’iniziativa si inserisce nel percorso di WeWorld, organizzazione internazionale che da cinquant’anni lavora per i diritti di donne, bambini e persone ai margini; con Global Districts punta a superare le barriere che ostacolano la cittadinanza attiva delle nuove generazioni. Il laboratorio ha avuto la forza del teatro partecipato: i presenti, divisi in gruppi, hanno interpretato ruoli inediti — pubblica difesa, accusa, giuria, giudici — mettendo in scena un vero processo a tre libri. Due dei testi scelti, “Mediterraneo” di Armin Greder e “Io non sono razzista ma…” di Marco Aime, hanno fatto da specchio a due ferite brucianti del nostro tempo: la tragedia dei migranti nel Mediterraneo e la violenza del razzismo. Il momento più commovente è arrivato quando la difesa di due libri è stata affidata a una ragazza di appena 14 anni: voce incerta, pensieri forti. In quella fragilità si è fatta strada una forza che ricordava l’eco delle giovani vittime delle guerre evocate in apertura: voci che chiedono di essere ascoltate, nonostante tutto. Di fronte a lei, l’accusa era impersonata da adulti — rappresentanti di associazioni, volontari, operatori sociali — chiamati a indossare i panni di chi nega il dramma del Mediterraneo o legittima la discriminazione razziale. La dinamica ha prodotto un ribaltamento sorprendente: difendere il giusto è apparso difficile e faticoso, mentre accusare con argomenti razzisti e nazionalisti ha offerto una sorta di liberazione catartica, permettendo di esprimere odio e frustrazione senza pagarne le conseguenze. Qui è emersa la valenza psicoanalitica del laboratorio: il gioco di ruolo ha messo i partecipanti di fronte alle proprie ombre, mostrando come l’identificazione con l’aggressore possa attrarre e, al tempo stesso, destabilizzare; un passaggio che costringe a misurarsi con i lati oscuri della convivenza civile. L’esperienza ha confermato che l’educazione alla pace non può essere solo predicazione: deve passare attraverso il corpo, la voce, la possibilità di sentire dentro di sé anche la parte avversa. È in questo attraversamento che si sviluppano consapevolezza critica e capacità di scelta. La giornata si è chiusa con un clima di forte partecipazione: emozione, riso liberatorio, consapevolezze nuove. In questo spazio, anche piccolo e quotidiano come una libreria di quartiere, i libri si sono rivelati non solo oggetti da leggere, ma strumenti di confronto, specchi delle contraddizioni del presente e catalizzatori di immaginazione collettiva. È proprio questo il cuore dell’Eirenefest e del Presidio di Pace: fare della parola scritta e condivisa un terreno comune di resistenza e di costruzione. Seguendo lo slogan scelto per il festival dal Presidio, “ la pace è un cantiere aperto”, il primo mattone è stato posato. Stefania De Giovanni
Il veto USA alla risoluzione ONU sul cessate il fuoco a Gaza scatena proteste a New York
> Il 18 settembre gli Stati Uniti hanno nuovamente posto il veto su una > risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un > cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza, suscitando condanne diffuse e > scatenando proteste fuori dalla sede delle Nazioni Unite a Manhattan. La risoluzione, co-sponsorizzata da tutti i 10 membri eletti del Consiglio, ha ricevuto 14 voti a favore, ma è stata bloccata dagli Stati Uniti. Essa chiedeva un “cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente”, il rilascio di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas e la revoca delle restrizioni israeliane agli aiuti umanitari in entrata a Gaza. Un rappresentante degli Stati Uniti ha difeso il veto, sostenendo che la bozza era “inaccettabile” perché non condannava Hamas né riconosceva il “diritto all’autodifesa” di Israele. PROTESTE ALLE NAZIONI UNITE A poche ore dal voto, centinaia di persone si sono radunate davanti alla sede delle Nazioni Unite per denunciare la decisione di Washington. I manifestanti hanno portato cartelli con la scritta “Pace per Gaza” e “Non un bersaglio”, chiedendo la fine della guerra e l’accesso illimitato agli aiuti umanitari. La manifestazione ha attirato una folla eterogenea: il cofondatore dei Pink Floyd Roger Waters, la candidata presidenziale del Partito dei Verdi statunitense Jill Stein e membri della comunità ebraica chassidica di New York si sono uniti al personale delle Nazioni Unite, agli attivisti e ai newyorkesi comuni per chiedere la pace. Una manifestazione, organizzata dagli stessi dipendenti delle Nazioni Unite, ha messo in luce la crescente frustrazione all’interno dell’istituzione nei confronti della politica statunitense. Lo stesso giorno, alcuni documenti interni hanno rivelato che sia gli Stati Uniti che Israele avevano inviato lettere di protesta alla leadership delle Nazioni Unite accusando il personale di parzialità riguardo alle loro posizioni su Gaza, alimentando ulteriormente le tensioni. CRESCENTE DIVISIONE INTERNAZIONALE Questo è stato il sesto veto degli Stati Uniti su una risoluzione relativa a Gaza dall’inizio del conflitto nell’ottobre 2023. La mossa ha sottolineato il crescente isolamento internazionale di Washington e Tel Aviv: solo pochi giorni prima, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva approvato a larga maggioranza una risoluzione a sostegno della soluzione dei due Stati, una misura osteggiata solo dagli Stati Uniti e da Israele. Con l’indignazione globale in aumento, New York è diventata il punto focale del dissenso, con i manifestanti che hanno promesso di mantenere la pressione sul governo degli Stati Uniti fino al raggiungimento di un cessate il fuoco. Foto di Anthony Donovan Pressenza New York
Aumentano i chirurghi pediatrici in Uganda
Entebbe (Uganda), 17 set. – Chirurghi che fanno crescere l’Africa. Capaci di renderla più forte e più in salute, grazie a un impegno comune che permette la condivisione di esperienze e competenze. “Qui in Uganda nel 2012 c’era un solo chirurgo pediatrico, mentre adesso sono in 12” calcola Giacomo Menaldo, direttore nazionale di Emergency, già al lavoro in aree di crisi e conflitto come l’Afghanistan e l’Iraq. Alle spalle i mattoni di terra cruda del Centro pediatrico di Entebbe, disegnato dall’architetto Renzo Piano e aperto dall’ong italiana nel 2021, aggiunge: “Noi ovviamente speriamo che presto siano 20, 30 o 50 certificati, con un approccio panafricano che garantisca l’eccellenza della formazione insieme con un alto livello di competenze e la qualità delle cure”. I chirurghi, in arrivo non solo dall’Uganda ma anche dall’Etiopia o dal Sudan, li incontriamo nelle corsie e nei reparti del Centro pediatrico. “Questo ospedale è divenuto parte della rete del Cosecsa, il Collegio dei chirurghi dell’Africa centrale, orientale e meridionale” spiega Menaldo: “Un risultato raggiunto negli ultimi due anni, grazie alla collaborazione con il Mulago Hospital, che nella capitale Kampala è un fiore all’occhiello”. Istituto nel 1999, il Collegio ha stabilito la propria base ad Arusha, in Tanzania. Si propone di alzare lo standard professionale, garantendo livelli uniformi tra i Paesi del continente. Il training riguarda le diverse branche del settore, dalla chirurgia pediatrica a quella ortopedica, dalla cardiochirurgia alla neurochirurgia. La cura dei bambini, in particolare nei casi di malformazioni congenite, ha un valore particolare: secondo le statistiche internazionali, l’età media della popolazione supera di poco i 19 anni. “Qui da noi arrivano fellow e studenti che, in un percorso di specializzazione triennale, si fermano da noi per tre mesi” riprende Menaldo. “I nostri punti di forza sono la chirurgia addominale, quella urologica e quella plastica”. Di formazione parliamo anche al Mulago Hospital, all’ultimo piano di un grattacielo, mentre gli alberi nel cortile sono sferzati da un temporale tropicale. Ci accoglie il vice-direttore della struttura, John Sekabira, esperto e figura di riferimento: fino a poco più di dieci anni fa era proprio lui l’unico chirurgo pediatrico dell’Uganda. “Gli specializzandi devono poter imparare nei nostri Paesi e non essere costretti ad andare lontano, magari nel Regno Unito o in Sudafrica come è capitato a me” sottolinea il dottore. “Il rischio è che poi restino all’estero, mentre qui ci sono tanti bisogni e servono specialisti e professionalità: solo in questi padiglioni abbiamo 1.700 posti letto”. Buone notizie stanno arrivando anche grazie a una collaborazione tra Cosecsa e Kids Operating Room, un’organizzazione internazionale che si è impegnata per la chirurgia pediatrica a partire dal 2018, con un primo progetto proprio a Kampala, realizzato insieme a Sekabira. Programmi di tirocinio hanno coinvolto Paesi che non hanno mai avuto specialisti, come il Burundi: i suoi primi chirurghi generali che si stanno specializzando in pediatria si chiamano Alliance Niyukuri e Carlos Nsengiyumva.     Redazione Italia
Continua la strage degli invisibili nel Mediterraneo in guerra
Mentre nella Striscia di Gaza si sta consumando un vero e proprio genocidio, e le complicità internazionali con il trumpismo dilagante, inclusa la complicità del governo italiano, stanno allontanando la soluzione di tutti i numerosi conflitti in corso nel mondo, continua la serie di naufragi nel Mediterraneo centrale. Stragi di sistema, frutto degli accordi con il governo tunisino e con le entità militari e statali che si contendono la Libia, supportate dal monitoraggio aereo di Frontex e dalle prassi operative di “difesa” dei confini marittimi e di contrasto dell’immigrazione illegale, attuate nel Mediterraneo centrale dall’Italia ed i misura minore, dal governo maltese. In nome della sicurezza dello Stato, e addirittura della lotta al terrorismo, si violano ormai tutte le norme di diritto internazionale sulla salvaguardia della vita umana in mare e sulla protezione dei richiedenti asilo. La vicenda Almasri, ancora torbida nei suoi più recenti sviluppi in Libia, e i tentativi di insabbiamento in corso per nascondere le gravissime responsabilità istituzionali, confermano il tracollo dei diritti umani nelle relazioni bilaterali tra Stati e la crisi di legittimazione delle Corti internazionali. A nessuno sembra più importare la sorte delle persone intercettate in mare o arrestate e respinte dalla Tunisia e trasferite nei centri di detenzione diffusi in tutta la Libia. Negli ultimi mesi sono aumentate le partenze ed i naufragi dalle coste della Cirenaica. La zona SAR ( di ricerca e salvataggio) “libica” sembra ormai sfuggita a qualsiasi controllo, a parte le intercettazioni violente, con l’uso di armi da fuoco, da parte della sedicente guardia costiera libica. Le autorità marittime che intervengono, spesso colluse con i trafficanti, ed alle quali secondo il governo italiano si dovrebbe obbedire, sono prive di qualsiasi legittimazione internazionale, oltre a commettere gravi crimini. Una “zona SAR”, quella “libica”, che andrebbe sospesa immediatamente, con il ripristino degli obblighi di soccorso in acque internazionali a carico delle autorità italiane e maltesi, con il supporto dell’agenzia europea FRONTEX, che non può ritirarsi dalle operazioni di ricerca e salvataggio. Oltre cento rifugiati sudanesi sono morti o risultano dispersi dopo due naufragi avvenuti sabato 13 e domenica 14 settembre al largo della costa di Tobruk, nella Libia orientale, come hanno annunciato mercoledì 17 settembre l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Con questi ultimi naufragi, nel 2025 secondo l’Oim sono oltre 500 le persone che hanno perso la vita e altre 420 risultano disperse lungo la rotta del Mediterraneo centrale. I dati sono aggiornati, conferma Oim Libia, dall’inizio dell’anno al 13 settembre. Nello stesso periodo, precisa l’agenzia dell’Onu, i migranti intercettati in mare e riportati in Libia sono stati 17.402, di cui 15.555 uomini, 1.316 donne, 586 minori e 145 di cui non si conoscono i dati di genere. Pochi giorni fa un altro naufragio al largo delle coste tunisine, di cui nessuno ha scritto. Dopo il capovolgimento del barcone che li trasportava sono morte 39 persone, tra cui diversi cittadini camerunensi. Il 15 settembre una ragazza ventenne ha perso la vita in un naufragio a 45 miglia nautiche da Lampedusa. Il barchino di ferro su cui viaggiava insieme a una cinquantina di persone ha iniziato ad affondare, e secondo i sopravvissuti anche un’altra donna sarebbe dispersa. In una sola settimana dal 6 al 13 settembre, approdavano a Lampedusa oltre 3000 persone. E il 9 settembre venivano sbarcati nell’isola anche i cadaveri di due donne. Un fallimento su tutta la linea delle politiche migratorie italiane basate su accordi con governi che non rispettano i diritti umani. Ma in proporzione aumentano più le vittime che i cosiddetti “sbarchi”. E nei paesi di transito la condizione dei migranti peggiora sempre di più, nella totale impunità degli autori di abusi che vanno dalla violenza sessuale alla detenzione arbitraria ed all’estorsione attraverso torture atroci. Questa volta non sono arrivate neppure le dichiarazioni contrite ed ipocrite della presidente del Consiglio, come invece era avvenuto dopo i naufragi a sud di Lampedusa, lo scorso mese di agosto. Se non si vedono cadaveri, le vittime non esistono. Ormai l’interesse generale deve essere deviato verso i discorsi d’odio contro il governo, in vista delle prossime scadenze elettorali, e il vicepresidente del Consiglio Salvini annuncia l’ennesimo decreto legge contro le persone migranti. Intanto si rilancia in tutta Europa una violenta campagna anti-immigrati basata su fake news e manipolazioni con l’intelligenza artificiale. Secondo un recente Rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Michael O’Flaherty. “La cooperazione esterna in materia di asilo e migrazione deve essere progettata e attuata con grande attenzione, per non mettere a repentaglio i diritti umani. I governi che sviluppano politiche di esternalizzazione in questo campo dovrebbero valutare attentamente il loro potenziale impatto negativo sui diritti umani, poiché tali politiche possono esporre donne, uomini e bambini a rischi significativi di gravi danni e sofferenze prolungate”.  Una valutazione puntualmente elusa dal governo Meloni, dopo il fallimento del modello Albania,  fortemente voluto dalla presidente del Consiglio e da Ursula von der Leyen, senza l’approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio UE. Un modello perverso e personalistico di gestione delle relazione esterne dell’Unione europea, che oggi sta mostrando una serie di fallimenti a catena, purtroppo sulla pelle di persone innocenti. Mentre continuano i fermi amministrativi delle navi umanitarie e degli aerei civili, che permetterebbero di salvare migliaia di persone, il governo italiano, malgrado le pronunce di annullamento o di sospensione dei tribunali, continua a supportare le autorità di quei governi, o meglio entità statali neppure riconosciute dalla comunità internazionale, che sparano sulle imbarcazioni cariche di migranti e sulle navi umanitarie. Al di là delle gravissime responsabilità che dovranno essere accertate sul caso Almasri, occorre denunciare i responsabili delle politiche di morte che, in giorni in cui l’umanità sembra cancellata dal genocidio in corso a Gaza, continuano a produrre vittime nascoste nel silenzio prodotto dalle prassi di abbandono sistematico in mare e dalla censura dei canali informativi sui crimini che si consumano nelle acque del Mediterraneo. Le imbarcazioni civili dei cittadini solidali, comunque vengano contrastate, non abbandoneranno quelle zone di ricerca e salvataggio (SAR) in acque internazionali che, in virtù di accordi bilaterali come il Memorandum Italia-Libia del 2017, sono diventate spazi di intercettazione e deportazione. Occhi e voci di operatori umanitari che salveranno quante più vite possibile, ma anche testimoni inflessibili degli abusi e delle omissioni perpetrati dalle autorità statali e dalle milizie con la divisa di guardia costiera. Quelle autorità e quelle milizie che il governo italiano, con il sostegno dell’Unione europea, continua a finanziare e ad assistere, malgrado le sentenze che affermano come il Centro di Coordinamento del Soccorso libico e la Guardia Costiera libica non possano essere considerati soggetti legittimi per le operazioni di ricerca e soccorso. Fulvio Vassallo Paleologo
Cosa può una città? Margini, feticci e spazi sociali
Questo il titolo di Assemblea cittadina che si svolgerà alle ore 18 del 26 settembre prossimo, in occasione dei cinque anni della biblioteca sociale “booq” alla Kalsa a Palermo. Se ne discuterà insieme a Marco Assennato della Université PSL, Verdiana Mineo del Centro Sociale Ex Carcere, Laura Pavia della Fondazione Don Calabria ETS, un rappresentante di Corrente Cinema, Loriana Cavaleri di Send, Vivian Celestino di Handala e Flora La Sita di booq. Così gli organizzatori presentano il dibattito. > Un campetto, una piazza, una biblioteca di quartiere. Guardare la città a > partire da luoghi marginali può rivelare un’immagine non appiattita di un > territorio: delle sue tensioni e delle sue passioni. > > Nella Palermo duale, le distanze tra i dentro e i fuori, materiali e > simbolici, sono siderali. > Ogni spazio diventa terreno di contesa e l’accesso a beni, luoghi e diritti > diventa impresa individuale. La solitudine diviene, trasversalmente, una > condizione di massa. > Quello che era lo spazio della politica diventa oggi lo spazio dei consumi. > > Chi è impegnato nel lavoro sociale deve costantemente confrontarsi, oltre che > con le problematiche dei quartieri, anche con le narrazioni stridenti che > parlano di rinascita e rigenerazione. > > La città è stata sostituita dal suo feticcio, la partecipazione ridotta ad > edulcorata organizzazione del consenso, la cittadinanza ha smesso di essere > l’insieme degli abitanti di un territorio diventando lo spazio della > competizione individuale all’accesso ai diritti. > Il racconto di una città diventa un operazione di marketing, il suo nome un > brand e la polvere del territorio viene nascosta sotto il tappeto di una > mappa, artefatta e pacificata. > > Ma la spinta fagocitante della merce non è mai totalizzante e incontra > continui piani di resistenza. Costantemente emergono pratiche di > attraversamento dei territori che sfuggono ad ogni ipotesi preordinata e > disegnano relazioni inedite. > > È importante allora pensare pratiche che rompano gli argini e tengano insieme > solidarietà, cura e conflitto. > > In un suo recente articolo sul rapporto tra Urbanistica, Architettura e > Politica, Marco Assennato scrive: > > “occorre domandarsi quale soggettività politica, quale livello istituzionale, > insomma chi può (chi ha sufficientemente forza per) «rallentare, selezionare e > diversificare la mobilità del capitale» e la sua riproduzione urbana? > Possiamo limitarci a redarguire i gestori degli enti locali – il Comune e i > suoi Municipi – per la loro mancanza di coraggio e ricordare agli > amministratori il loro dovere di difesa dei pubblici diritti contro i privati > interessi? > O non è forse necessario chiedersi perché mai ciò non accada praticamente più? > Ed avviare una ricerca, difficile, rigorosa ma possibile attorno a > contropoteri efficaci e realistici rispetto alla delirante dinamica del > capitale contemporaneo e delle sue politiche”. > > Il recente sgombero, dall’altra parte del paese, del Leoncavallo ha portato, > oltre che ad una straordinaria risposta solidale, anche ad una ripresa del > dibattito pubblico sugli spazi sociali, la cui importanza non è riducibile > soltanto ad un discorso sui dispositivi di repressione e resistenza. Bisogna > interrogarsi piuttosto sulle soggettività politiche adeguate alle attuali > trasformazioni urbane. > > Ci chiediamo in altro termini: a chi appartiene una città? > > Quali sono oggi i luoghi della politica e come pensare oggi una politica dei > luoghi? > Insomma, cosa può una città? > ___________ > Il programma completo della due giorni per i 5 anni di booq: > https://www.booqpa.org/amore-citta-e-altre-catastrofi-5-anni-di-booq-nella-galassia-kalsa/ Redazione Palermo
CGIL per Gaza a Firenze:le foto
Un corteo affollatissimo tutto istituzionale  con la partecipazione del sindaco di Firenze e i vertici sindacali toscani, quello chiamato dalla CGIL regionale  per Gaza  che ieri pomeriggio che ha attraversato la periferia nord fiorentina. Una manifestazione e uno sciopero ( limitato) indetto in tutta  fretta forse  sollecitato dal basso e dovuto dalla situazione a Gaza che non ammette più silenzi ed ambiguità.  Ma anche separato da quello nazionale di lunedì prossimo indetto dalle sigle sindacali di base. La lotta comune per valori più alti per la giustizia e la salvaguardia dei diritti internazionali e per la pace, avrebbe consigliato il superamento delle divergenze sindacali fra i due scheramenti per realizzare una potente opposizione popolare unitaria per la salvaguardia del diritto internazionale violato e contro  la deriva governativa nell’appoggio e complicità con il governo genocitario Israeliano; così non è stato. Si allontana la possibilità  di creare un movimento ampio dal basso nella società civile e nel mondo del lavoro,  gli unici  che possono contrastare efficacemente  col boicottaggio l’obbiezione di coscienza e la disobbedienza civile la produzione militare, una economia di guerra folle, il proseguimento del genocidio in Palestina e delle guerre in generale. ph Cesare Dagliana cgil per gaza fi ph C.Dagliana CGIL per Gaza ph C.Dagliana CGIL per Gaza ph C.Dagliana CGIL per Gaza ph C.Dagliana CGIL per Gaza ph C.Dagliana CGIL per Gaza ph C.Dagliana CGIL per Gaza ph C.Dagliana CGIL per Gaza ph C.Dagliana CGIL per Gaza ph C.Dagliana CGIL per Gaza ph C.Dagliana   Cesare Dagliana
La musica contro il silenzio. Manifestazione nazionale a Roma
Sabato 28 settembre 2025 alle 16 Piazza Santi Apostoli, Roma Nel mese di giugno abbiamo attraversato l’Italia da Nord a Sud, e siamo scesi in 26 piazze per esprimere il nostro dissenso contro il genocidio in atto a Gaza e in tutta la Palestina: un massacro contro l’umanità provocato dalla politica criminale di Netanyahu e di Israele, che parte da lontano e che continua inesorabile sotto gli occhi del mondo. Con musica e arte, abbiamo cercato di rompere il silenzio e l’inerzia complici delle istituzioni italiane ed europee, sostenendo la lotta dei Palestinesi per la propria sopravvivenza. A luglio, abbiamo lanciato un appello europeo, accolto da diversi Paesi: ne è nato un movimento culturale che affianca le tante realtà che da sempre lottano per i diritti del popolo palestinese, un movimento apartitico che attraversa l’Europa toccando Svizzera, Germania, Austria, Grecia, Svezia, Scozia… Anche in Italia siamo pronti per unirci ancora una volta, tutti insieme in un’unica piazza: il 28 settembre alle ore 16, ci troveremo in Piazza Santi Apostoli a Roma, per un momento di solidarietà e protesta condivisa. Invitiamo tutti a partecipare, musicisti e non: insieme possiamo portare avanti una mobilitazione culturale, di solidarietà, giustizia, sensibilità, umanità, partecipazione e impegno, in difesa del popolo palestinese e dei suoi diritti fondamentali. Per informazioni seguite il profilo Instagram o Facebook “La Musica contro il Silenzio” lamusicacontroilsilenzio@gmail.com – @lamusicacontroilsilenzio Redazione Italia
Arrivare a Gaza. Diario di bordo dalla Global Sumud Flotilla
Prosegue a fasi alterne la comunicazione con la studentessa Nancy Hamad, laureanda in Economia, a cui vorrei, inseguendo un sogno consegnare di persona  la laurea honoris causa da parte di dei ricercatori e solidali di “RomaTre Etica”, che già fece il gesto, ma solo virtualmente. La Global Sumud Flotilla è in procinto di partire e ora che ci hanno raggiunto le delegazioni tunisine e spagnole saremo circa 50 imbarcazioni, la maggior parte a vela e una minima parte a motore.  Non sappiamo se Israele, all’ultimo e a sorpresa, sotto la pressione della comunità internazionale e soprattutto di milioni di cittadini solidali, molti dei quali sono scesi in piazza da mesi in ogni parte del mondo a sostegno della flottiglia, farà arrivare questa variopinta delegazione di popolo nonviolento fino alle spiagge di Gaza Ma ci piace pensare così Ecco le ultime notizie ricevute da Nancy. Ciao Stefano, spero che tu stia bene. Volevo dirti che io e la mia famiglia siamo stati costretti a fuggire dal nord di Gaza verso sud sotto il fuoco dell’artiglieria e dei bombardamenti aerei. Lo sfollamento è stato molto difficile e ci sono volute più di sei ore di viaggio per raggiungere una destinazione sconosciuta, poiché non sapevamo dove saremmo andati. Le persone gentili del sud ci hanno accolto in una terra deserta, dove non ci sono acqua, elettricità o internet. Abbiamo montato le nostre tende e ci siamo seduti al buio della notte. Ho piantato del basilico nei primi giorni del mio arrivo al nord e, quando abbiamo deciso di trasferirci al sud, l’ho sradicato e portato con me, sperando che mi infondesse speranza dopo tutti gli sfollamenti e la distruzione che avevamo subito. Stefano Bertoldi
L’Osservatorio contro la militarizzazione sostiene lo sciopero del 22 settembre: manifestazioni in tutta Italia!
Il 22 settembre è stato indetto uno sciopero generale dai sindacati di base e da numerose associazioni e movimenti dal basso a sostegno del popolo palestinese, massacrato da un genocidio perpetrato dallo Stato sionista d’Israele, e della missione della Global Sumud Flotilla, che proverà a rompere la gabbia dell’embargo costruita da Israele per scongiurare il rifornimento dei generi di prima necessità alla inerme popolazione di Gaza. L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università invita i/le suoi/sue aderenti e simpatizzanti ad aderire e seguire l’esempio dei portuali di Genova, dei ferrovieri e di altri lavoratori e lavoratrici della logistica che con determinazione hanno bloccato carichi di morte. Non possiamo accettare il silenzio e l’inerzia del nostro Governo complice di Israele visto il continuo rifornimento di armi e tecnologie sperimentate proprio sui Palestinesi. Non possiamo accettare in silenzio il genocidio del popolo palestinese che avviene contemporaneamente ai processi di militarizzazione del mondo della scuola e dell’università, piegando la ricerca a fini militari, la cultura alle ragioni della propaganda di guerra. La Legge di Bilancio europea evidenzia come l’economia di guerra taglia risorse economiche al sociale, alla sanità e alla scuola che avrebbero invece bisogno di essere aiutate, rafforzate e potenziate. Non è dato sapere quali saranno gli scenari delle prossime settimane ma le ultime notizie mostrano un esercito israeliano che opera per cancellare ogni presenza palestinese da Gaza. L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università nasce per affermare una cultura di pace e una società senza guerre. Ebbene, se vogliamo concretizzare questi propositi è impossibile tacere davanti al genocidio del popolo palestinese. Per questo invitiamo alla partecipazione allo sciopero generale e generalizzato del 22 settembre e auspichiamo la riuscita delle manifestazioni in solidarietà al popolo palestinese che si svolgeranno in tutta Italia. Continuiamo a costruire lo sciopero del mondo della scuola del prossimo 4 novembre in una crescente mobilitazione contro la guerra e contro la finanziaria dell’economia di guerra. Elenco delle manifestazioni per il 22 settembre (in aggiornamento continuo). * 1. Bergamo: ore 18:00 Prefettura Via Tasso * 2. Torino: ore 10:30 Piazza Carlo Felice * 3. Trieste: ore 10 al Varco 4 del Porto * 4. Milano: ore 10:00 Piazzale Cadorna * 5. Novara: ore 10:00 Piazza Matteotti * 6. Cuneo: ore 10,00, Piazza Europa * 7. Verbania: dalle ore 17,00 da Palazzo Flaim (Intra) al Municipio di Pallanza. * 8. Genova: ore 8:00 porto, Varco Albertazzi * 9. Pisa: ore 9:00 Piazza XX Settembre * 10. Ancona: ore 17:30 Mole Vanvitelliana * 11. Pescara: ore 10:00, Piazza Sacro Cuore * 12. Livorno: ore 6:00 porto, Varco Valessini * 13. Civitavecchia: ore 9:30 Porto, Molo Vespucci * 14. Roma: ore 11:00 Piazza dei Cinquecento * 15. Napoli: ore 9:30, Piazza Mancini * 16. Salerno: ore 9:00 Varco Ponente * 17. Potenza: ore 9:30 Chiesa di Santa Maria (Piazza Aldo Moro) * 18. Cosenza: ore 17:30 Piazzale Loreto * 19. Lecce: ore 10:00, Piazza Sant’Orazio * 20. Palermo: ore 10:00, Piazza Verdi * 21. Catania: ore 10:00 Piazza Stesicoro * 22. Ragusa: ore 10:00, Piazza Matteotti * 23. Bari: ore 9:30, Molo San Nicola Redazione Italia