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Noi migranti non siamo vittime, ma uomini dalla schiena dritta
SFIDE. Diario di un viaggio dal Ciad alla Sicilia di Abdelkadir Hissen Abdallah Alhilbawi, appena uscito per i tipi di Multimage, è il racconto del travagliato cammino intrapreso da un quattordicenne dal Ciad attraverso la Libia fino in Italia, percorso durato sette anni, a causa dei tentativi ripetutamente falliti di varcare il Mediterraneo e della necessità di racimolare ogni volta di nuovo i soldi per pagare i trafficanti, subendo prigionia e torture, lavorando anche in Tunisia e Marocco, ma incontrando pure persone generose e stringendo amicizie durature. Abdelkadir AlHilbawi ha oggi 23 anni e vive a Palermo, dove studia e lavora. La sua narrazione rivela una profonda capacità di introspezione ed un’autentica spiritualità. Non è suo intento svolgere un’accurata analisi politica dei problemi dell’Africa quanto piuttosto esprimere la sua sincera fede religiosa che lo ha indotto all’empatia e alla condivisione in tutti i suoi incontri, lo ha illuminato e sostenuto nei momenti di sconforto e che traspare nella sua visione del mondo e dei rapporti fra i generi. Lasciamo che sia lui a confidarci le motivazioni della sua scelta di scrivere. > Non ho scritto questo libro per amore della scrittura o per cercare la fama, > né il mio scopo era vantarmi o ostentare. Ci sono invece motivazioni più > profonde e gravi, ragioni che mi hanno imposto di intraprendere questa > difficile esperienza, con tutto il dolore che la rievocazione dei ricordi > porta con sé. > > La prima di queste ragioni nasce dalle domande ricorrenti degli europei: chi > sei? Da dove vieni? Come sei arrivato qui? Queste domande possono sembrare > semplici, ma in realtà sollecitano un dolore difficile da esprimere, come > fossero chiavi che aprono le porte di un passato pieno di sofferenza e lotte. > È difficile per chi ha vissuto esperienze dolorose essere costretto a > rievocarle, come se il sanguinamento delle ferite non fosse stato già > abbastanza. > > Non si può immaginare il peso che un migrante porta sulle spalle, né la sua > angoscia nel rispondere a interrogativi che per lui banali non sono. Non tutte > le anime sono in grado di raccontare il dolore passato senza riviverlo. Io > sono stato uno di quelli che hanno sofferto molto e l’ho capito chiaramente il > giorno in cui mi sono presentato in tribunale per richiedere i documenti di > protezione internazionale. Quel colloquio mi è sembrato un processo alla mia > anima, come se fossi accusato di un crimine che non avevo commesso e il mio > destino fosse nelle mani di persone che non sapevano nulla degli incubi delle > mie lunghe notti. La notte prima dell’udienza è stata la più lunga della mia > vita, come se aspettassi una condanna a morte o all’ergastolo. > > La seconda ragione è l’enorme flusso di dicerie e menzogne che ho sentito > sulla Libia da quando sono arrivato in Europa. Tutti parlano della Libia come > se fosse un inferno assoluto, dimenticando che la verità non è mai > completamente nera. Sì, ci sono sofferenza, oppressione e sfide > indescrivibili, e io stesso sono stato vittima di tortura, umiliazione e > ingiustizia, ma ho anche incontrato persone che mi hanno aiutato nei momenti > più difficili. È ingiusto negare il bene e sarebbe un’ingiustizia dimenticarlo > anche nel mezzo del dolore. Ho imparato che il vero successo è affrontare le > sfide e rialzarsi dopo le cadute, non dare la colpa agli altri e attribuire > loro il peso delle nostre tragedie. > > La verità che molti non comprendono è che noi migranti non possiamo > permetterci il lusso di rimanere nel ruolo di vittime, ma dobbiamo trovare il > coraggio di imparare dalle esperienze, per quanto dure possano essere, a > camminare a testa alta e con la schiena dritta. Uno dei più grandi errori che > commettiamo è ridurre i nostri vissuti al solo lato negativo, mentre la vita è > piena di lezioni che aspettano di essere valorizzate e apprezzate. > > La terza ragione, la più dolorosa, sono quegli incubi che non mi abbandonano: > le voci dei carcerati nei centri di detenzione mi perseguitano come un’ombra > costante. Ho cercato più volte di fuggire da esse, ma mi ritrovavo sempre > prigioniero di quei ricordi, ogni notte. Scrivere è stato il mio unico > rifugio, l’unico modo per sfogare i dolori che non osavo confessare nemmeno a > me stesso. Ho provato la terapia psicologica, ma non riuscivo ad esprimermi, > le lacrime erano sempre più veloci delle parole. > > Scrivere non è stato affatto facile, ho dovuto fermarmi per lunghi periodi > quando mi trovavo davanti a passaggi carichi di dolore, a volte per una > settimana o più. Ma ho capito che esprimersi, per quanto doloroso, è meglio > del silenzio che uccide l’anima lentamente. Forse non sono riuscito a rendere > pienamente giustizia alla storia in tutti i suoi dettagli, ma ho fatto del mio > meglio. Tappa dopo tappa il ragazzo Abdel aveva tenuto sui quaderni racchiusi nel suo zaino il resoconto quotidiano delle sue avventure; giunto finalmente in Italia, l’uomo Abdel ha rimesso mano agli appunti, stesi in arabo, e aiutato dal traduttore automatico (e un poco da me) ha dato forma a questo libro, che è innanzi tutto un documento e una testimonianza impareggiabile, ma che risulta anche una lettura gradevole e variegata. Troverete descrizioni di antiche città africane e di paesaggi sconfinati nel deserto, pagine buffe dedicate a scaramucce sul lavoro o all’apprendimento dei più diversi mestieri, momenti di tenera convivialità (persino con qualche ricetta) e pause di meditazione e di preghiera, episodi avventurosi come gli attraversamenti notturni delle frontiere o gli scontri con le milizie, spazi di riflessione filosofica e rievocazioni commoventi come quella della morte della madre. Si avverte talvolta, a fianco di un’ironia sorridente, una eco musicale del salmodiare dei versetti coranici. Questa è l’opera prima di Abdel, ma altre sorprese sono nel cassetto. Il libro sarà presentato in anteprima a Palermo nel pomeriggio di mercoledì 6 agosto a Moltivolti, centro sociale e culturale multietnico (e ottimo ristorante!) di Ballarò. Daniela Musumeci
Riflessioni, interrogativi, dubbi dopo il Festival Alta Felicità
La “convergenze” degli incontri e delle riflessioni dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Tra gli spunti di riflessione presentati al Festival Alta Felicità, mi pare importante dare risalto al primo appuntamento che ha aperto il Festival venerdi 25 luglio alle ore 10.00 con la presentazione del libro “Sotto il cielo di Gaza” di Don Nandino Capovilla e di Betta Tusset e con Enzo Infantino. Don Nandino è parroco di Marghera, Venezia, da anni impegnato in progetti di inclusione sociale per migranti e senza fissa dimora. Ha ricoperto il ruolo di coordinatore nazionale di Pax Christi Italia dal 2009 al 2013, ed è particolarmente noto per la campagna “ponti e non muri” sulla questione israelo‑palestinese. Betta Tusset, veneziana, consigliera nazionale di Pax Christi Italia, laureata in lettere moderne, è attiva nel mondo del volontariato sociale; dal 2018 al 2020 ha coordinato nella sua città un progetto di inclusione sociale, abitativa e lavorativa per persone migranti in situazioni di vulnerabilità. Enzo Infantino, cooperante calabrese e attivista per i diritti umani, è impegnato da oltre vent’anni nelle missioni di solidarietà e riflessione sui conflitti contemporanei. Originario di Palmi, in Calabria, ha lavorato in contesti difficili come i campi profughi in Grecia, Siria, Libano, Cisgiordania e Gaza. Enzo è stato protagonista di numerose missioni nei campi profughi di Grecia e Medio Oriente, compresi i campi di Idomeni, in Grecia al confine con la Macedonia, dove per mesi sono rimasti bloccati oltre sedicimila esseri umani. Il libro “Sotto il cielo di Gaza”, pubblicato l’11 marzo 2025 da Edizioni La Meridiana, è un libro-inchiesta realizzato attraverso una serie di conversazioni con Andrea De Domenico, funzionario dell’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, attivo nei territori palestinesi occupati e si presenta come “raccoglitore di storie, testimonianze e dati”, descrivendo il dramma vissuto quotidianamente a Gaza per il genocidio in corso: perdita della casa, della terra, della libertà di movimento, di pane, acqua, salute, istruzione con statistiche aggiornate all’inizio del 2025,  che riportano numeri drammatici: decine di migliaia di morti, la maggioranza donne e bambini, infrastrutture distrutte, tra cui scuole, case, strutture sanitarie; emergenza alimentare e malnutrizione diffusa tra la popolazione di Gaza. Il libro denuncia quella che Don Nandino definisce il genocidio del popolo palestinese come criminale e mette al centro la responsabilità internazionale di ridurre il massacro di civili inermi a soli dati numerici, dimenticandosi dei “volti e dei nomi” di ogni vittima, a cui è negata da decenni di occupazione militare ogni diritto. “Sotto il cielo di Gaza” è anche un libro di preghiera e di supplica, quelle che a partire dai testi biblici ha scritto Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme, chiedendo al Signore di “fermare la morte e la guerra e di convertire all’umanità quelli che hanno piani di morte nei loro cuori”. L’incontro con Don Nandino, Betta ed Enzo ha rappresentato delle voci autentiche, radicate nei propri contesti di vita ma rivolte al mondo, dove ogni gesto quotidiano può essere seme di cambiamento e resistenza. Gli interrogativi nascono dagli altri dibattiti ed eventi culturali: il Festival ha presentato un’ampia proposta di incontri, presentazioni e confronti, dal tema dell’Intelligenza Artificiale alla precarietà e al lavoro in “zone di sacrificio” (Ilva Taranto e  GKN di Campi Bisenzio); dal dibattito “Liberi tuttu: rappresentazione, cura e diritti” su disabilità, autodeterminazione e resistenza, al focus su nucleare, agrivoltaico, riarmo, riconversione ambientale; dall’assemblea “Guerra alla guerra” contro riarmo europeo e genocidio in Palestina al dialogo tra Patrick Zaki e Ilaria Salis su democrazia, repressione e diritti. A tutte queste occasioni – alle quali si sono affiancate altre presentazioni di libri nell’area autogestita –  la partecipazione è stata massiccia con tantissimi giovani interessati ad approfondire i vari temi toccati, dimostrandosi giustamente preoccupati per il futuro loro e del pianeta. La “convergenze” degli incontri che, per chi vuole, sono tutti disponibili sul sito del festival , dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Così arriviamo ai dubbi: davvero l’incendio di alcune sterpaglie e di alcuni manufatti sono solo segno di violenza? Non possono essere considerati sabotaggi? Qualcuno ha scritto che in questo modo si passa dalla parte del torto, che così non si è ascoltati, che non si riesce a dialogare… Sono 30 anni che si cerca il dialogo nel merito dell’opera, non degli slogan, sono 30 anni che si prova in tutti i modi ad avere degli incontri con i tecnici di LTF prima e Telt adesso, non vi è MAI stata data un’occasione che sia una di confrontarsi. Ricordo solo due occasioni: “Ascoltateci” digiuno a staffetta nel 2012 in Piazza Castello a Torino e in Valle, che non ha prodotto alcun risultato; un incontro pubblico in una parrocchia a Torino presente Virano, all’epoca presidente dell’Osservatorio sul TAV, e quando abbiamo fatto alcune domande precise e puntuali, siamo stati gentilmente accompagnati fuori con la motivazione che quello non era né il luogo né il momento: eravamo solo in 2 mio marito ed io. E potrei andare avanti ancora a lungo con tanti e tanti esempi di come la voluta mancanza di confronto sia sempre stata da parte dei proponenti l’opera. Le nostre argomentazioni non sono mai state considerate, saliamo agli onori della cronaca solo quando avvengono fatti “violenti” come quelli di sabato a margine della manifestazione ma nessuno ha dato risalto al comunicato di Amnesty International: > ”La manifestazione del 26 luglio in Val di Susa, organizzata a margine del > festival dell’Alta Felicità dal movimento “No Tav”, è stata caratterizzata da > fasi del tutto pacifiche e da momenti di tensione. Gli osservatori di Amnesty > International Italia erano presenti alla manifestazione e hanno potuto > monitorare due delle azioni realizzate dal gruppo di manifestanti, presso il > cantiere di San Didero e Traduerivi. Nella zona da loro monitorata a San > Didero, gli osservatori hanno documentato un uso sproporzionato e > indiscriminato di gas lacrimogeni da parte delle forze di polizia: tra i 180 e > i 200 in poco più di un’ora contro circa 500 manifestanti, in risposta al > lancio di oggetti. Le forze di polizia hanno utilizzato i gas lacrimogeni > anche contro persone che si stavano allontanando e che non rappresentavano > alcuna minaccia per l’incolumità altrui. In diversi casi, anziché essere > diretti verso l’alto, le granate contenenti gas lacrimogeni sono state > lanciate ad altezza persona: ne è stato testimone diretto anche uno degli > osservatori di Amnesty International Italia, che nonostante indossasse la > pettorina, è stato colpito sulla schiena. Sono state ferite altre due persone, > rispettivamente alla nuca e alla fronte.  Come già emerso in precedenti > osservazioni in Val di Susa, anche quest’anno le forze di polizia hanno dunque > fatto un uso dei gas lacrimogeni non rispettoso degli standard internazionali > sui diritti umani. Amnesty International Italia ricorda che, secondo i > medesimi standard, una protesta pacifica, seppur attraversata da circoscritti > atti di violenza, resta pacifica e le forze di polizia devono garantire che > possa proseguire, tutelando le persone che vi stanno partecipando; la forza > dovrebbe essere utilizzata come ultima risorsa, solamente laddove non esistano > altri mezzi per raggiungere obiettivi legittimi e solo quando sia necessaria e > proporzionata alla situazione.” Da oltre trent’anni le ragioni di critica e di opposizione sono sempre le stesse: la Torino-Lione è inutile, è costosissima, è devastante per l’ambiente, è un’opera vecchia, superata dai tempi e dalla storia, la cantierizzazione produrrà polveri sottili e movimenterà sostanze potenzialmente inquinanti e insalubri. Soprattutto è certificata la sottrazione di enormi quantità di acqua dalla montagna ed all’ambiente naturale, spreco dimostrato fin dal 2008 dalle decine di litri al secondo drenate ogni giorno dalle gallerie di servizio già realizzate. Cosa altro dobbiamo inventarci per far comprendere queste ingiustizie trasportistiche, economiche, climatiche, ambientali e sociali e far sì che l’enorme inutile investimento economico sia dirottato verso settori più necessari, a partire dalla messa in sicurezza dei territori? Centro Sereno Regis
Conflitti globali e guerre in corso, un video
Il mondo sta affrontando un numero di conflitti che è il più alto dalla Seconda Guerra Mondiale, con 56 conflitti attivi che coinvolgono 92 Paesi. Solo nel 2024 si contano più di 233mila vittime e oltre 100 milioni di persone costrette a fuggire dalle proprie case. A commentare in studio il tema caldo del momento Jeff Hoffman de “La Casa del Sole TV”, la giornalista Margherita Furlan, Angelo d’Orsi, già ordinario di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Torino e Antonio Mazzeo, giornalista, docente e attivista dell’Osservatorio, reduce dall’espulsione ad opera del governo israeliano per avere cercato di portare aiuti umanitari a Gaza a bordo della nave Handala di Freedom Flotilla. Qui il video della trasmissione  SCACCO MATTO 01.08.2025 – Il mondo in guerra –  Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
New York, la battaglia di Zohran Mamdani
Nell’odierno panorama politico polarizzato, leader in ascesa come Zohran Mamdani si trovano ad affrontare il fuoco di entrambi gli estremi: l’estrema destra e i centristi sostenuti dalle aziende. Accuse di antisemitismo, comunismo ed estremismo gli vengono rivolte in una campagna diffamatoria coordinata. Naturalmente, queste accuse sono infondate, ma come la storia ci ricorda – da Joseph Goebbels ai moderni troll della disinformazione – le voci spesso si diffondono più velocemente dei fatti, soprattutto nell’era dei social media virali. Ciò che rende la recente vittoria di Mamdani davvero storica è che ha sconfitto alle primarie l’establishment del Partito Democratico e il suo candidato di alto profilo, Andrew Cuomo. Sostenuto dai Clinton, dal ricchissimo ex sindaco Michael Bloomberg e da grandi interessi economici, Cuomo rappresentava la vecchia guardia della politica newyorkese. Eppure gli elettori democratici, soprattutto milioni di giovani, hanno scelto Mamdani con un netto margine, quasi dieci punti percentuali. Si è trattato di un coraggioso rifiuto della politica “business-as-usual”. E l’establishment politico dello status quo non è contento. I suoi media non sono contenti. Pertanto, la lotta non è finita. Con Cuomo che si rifiuta di cedere e l’attuale sindaco Eric Adams che si presenterà al voto di novembre, la posta in gioco è più alta che mai. Sia Cuomo che Adams hanno ora un chiaro bersaglio: il crescente movimento socialista democratico rappresentato da Mamdani e da altri in tutti gli Stati Uniti. Per Trump e i suoi, qualsiasi politica che parli di civiltà e uguaglianza viene automaticamente bollata come radicale, di estrema sinistra, comunista… persino terrorista. Purtroppo, molti americani della classe operaia – compresi quelli a cui ho insegnato per molti anni – credono alle loro bugie. Le tensioni sono aumentate ulteriormente in seguito alla recente sparatoria di massa a Manhattan, dove un uomo armato ha ucciso quattro persone, tra cui l’agente di polizia Didarul Islam. All’indomani della tragedia, la richiesta di Mamdani di “tagliare i fondi alla polizia”, avanzata da tempo, è stata distorta e strumentalizzata. I media di destra, il candidato repubblicano e conduttore radiofonico Curtis Sliwa e la macchina Cuomo-Adams non hanno perso tempo per sfruttare la tragedia, accusando Mamdani di essere contro la polizia e ignorando convenientemente la crisi delle armi in America e l’influenza tossica della NRA. Siamo chiari: Mamdani non si è mai espresso contro le forze dell’ordine in quanto tali. Ciò che ha criticato, giustamente, è la militarizzazione della polizia di New York e gli abusi sistematici che hanno portato all’omicidio di George Floyd e di innumerevoli altre persone. Chiede riforme, responsabilità e ridistribuzione dei fondi pubblici a sostegno dell’istruzione, dell’edilizia popolare e della sanità, non brutalità. La stessa distorsione è evidente nella sua posizione sulla Palestina. Mamdani non ha mai parlato contro il popolo ebraico. Anzi, un gran numero di ebrei liberali, tra cui alcuni che conosco personalmente, lo sostengono. Si è espresso contro i crimini di guerra e le politiche di apartheid del regime di Benjamin Netanyahu. Per questo è stato etichettato come antisemita dai difensori dell’estrema destra israeliana, che ignorano la sua chiarezza morale e la sua posizione di principio a favore dei diritti umani. La reazione non è venuta solo dai gruppi filoisraeliani. Anche le forze di destra indù, in particolare i sostenitori del regime indiano di Modi e dell’RSS, sono entrate nella mischia. Il New York Times ha recentemente riportato come questi gruppi stiano conducendo una campagna attiva contro Mamdani. Lo vedono come un critico aperto dell’ultranazionalismo indù e un difensore della democrazia laica, sia in India che negli Stati Uniti e questo lo rende un loro nemico naturale. Con l’avvicinarsi delle elezioni di novembre, Zohran Mamdani dovrà affrontare una dura battaglia. Le diffamazioni si intensificheranno. Gli attacchi diventeranno più personali. Ma ciò che egli rappresenta – un movimento popolare per la giustizia, l’uguaglianza e la pace – è più potente di qualsiasi macchina politica. Seguiremo da vicino la situazione. E gli resteremo accanto. Traduzione dall’inglese di Anna Polo Questo articolo fa parte di una serie dedicata alle importantissime elezioni di novembre per scegliere il prossimo sindaco di New York. Il dottor Banerjee è uno scrittore, educatore e attivista per i diritti umani che vive a New York. Ex membro dell’RSS, organizzazione di estrema destra indù, ha in seguito denunciato il loro programma fascista globale attraverso i suoi libri e articoli. Email: thescriptline@yahoo.com       Partha Banerjee
Firenze: commemorazione del genocidio di Rom e Sinti
Oggi 2 agosto presso il Giardino dei Giusti  a Firenzesi è svolta la cerimonia di ricordo del genocidio dei Rom e dei Sinti da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Alla cerimonia, presenziata dal presidente del Consiglio Comunale Cosimo Guccione, hanno assistito cittadini e rappresentanti delle associazioni rom e dell’ANEP, Associazione Nazionale ex deportati. La cerimonia ricorda che il 2 agosto 1944  fu liquidato il “campo zingari” di Auschwitz-Birkenau: oltre 4.000 persone  furono sterminate nelle camere a gas. Per ricordare quella tragedia da alcuni anni si celebra il Roma Genocide Remembrance Day, la Giornata in memoria del genocidio dei Rom e dei Sinti durante la Seconda guerra mondiale. In lingua romanì, questo sterminio viene chiamato Porrajmos o Samudaripen  e causò complessivamente la morte di circa mezzo milione di persone appartenenti a questa popolazione. E’ stata presentata recentemente alla Camera dei Deputati una Proposta di Legge per far dichiarare il Samuradipen Giorno della Memoria; gli atti della conferenza stampa, il testo di legge e vari interventi storici sono stati pubblicati quest’anno, a cura di Andrea Vitello,  da Multimage sotto il titolo Il Samudaripen: genocidio dei rom e sinti nella Seconda guerra mondiale. Redazione Toscana
Tutte le guerre sono guerre dei banchieri
SEGUENDO IL DENARO Quando pensiamo agli imperi nel corso della storia, ci vengono in mente esempi come l’Impero Romano, l’Impero Britannico o l’Impero Americano. In altre parole, associamo automaticamente l’idea di impero a un particolare luogo del pianeta. Fino a non molto tempo fa, questa associazione automatica era un errore comprensibile. Nell’era moderna, però, questa tendenza a collegare indiscutibilmente gli imperi a particolari aree geografiche terrestri è un errore che ha contribuito a far cadere in  confusione la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Allo stesso modo, quando pensiamo alla storia delle guerre e delle conquiste, tendiamo a collegare particolari eventi a personalità particolari. Per esempio, leggiamo di Napoleone e delle sue gigantesche ambizioni che sono state lo stimolo dei “suoi” grandi successi e infine della sua prigionia. Sorge però la domanda: Chi ha finanziato queste imprese gigantesche? Chi ha pagato il suo esercito? Chi ha pagato il conto per tutte le armi, i rifornimenti da viaggio e le munizioni necessarie? Era un re a fornire il denaro? E se così fosse, era il denaro del re o di qualcun altro? Ora facciamo un salto al ventunesimo secolo negli Stati Uniti. Chi decide quali guerre devono essere combattute? Immagino che, se siete arrivati a leggere fin qui, abbiate almeno il sospetto che queste decisioni e attribuzioni non siano decise esclusivamente dai presidenti degli Stati Uniti e dalle loro amministrazioni. E se vi dicessi che, in quasi tutti i casi, questi funzionari governativi hanno ben poco a che fare con il decidere contro chi gli Stati Uniti vanno in guerra? “Allora chi decide?”, potreste pensare. L’ATTUALE SISTEMA MONETARIO È UNO SCHEMA PONZI PREDATORIO L’attuale sistema monetario occidentale è stato messo insieme dai banchieri più potenti del mondo, ma non deve essere per forza così com’è. “Il sistema monetario è così com’è perché coloro che lo gestiscono scelgono che rimanga così”, dice l’ex gestore di hedge fund e analista economico Alex Krainer.(1) Il sistema monetario, che è gestito dagli oligarchi bancari e dal sistema bancario, raggiunge i suoi fini attraverso l’uso della violenza fisica (militare), economica e psicologica. “Come mai?”, vi starete chiedendo. Il sistema è strutturato in modo tale da richiedere una crescita costante per rimanere in vita. In questo senso il sistema esistente è come una bicicletta. Se l’accumulazione si ferma, se il movimento in avanti (la crescita) si ferma, la bicicletta si ribalta e il ciclista cade. Quando un banchiere vi concede un prestito, diciamo 100.000 dollari per un mutuo, dovete restituirlo con gli interessi. In generale, nel tempo, finirete per ripagarlo due volte, per un totale di circa 200.000 dollari. Il problema è che solo il capitale, solo 100.000 dollari, entra in circolazione. Gli ulteriori 100.000 che sono necessari per saldare il vostro prestito devono essere guadagnati e quindi estratti da un insieme complessivo di denaro che non include altro che le assegnazioni di capitale. Questo crea una situazione dove la crescita non è solo vantaggiosa per i banchieri, è anche essenziale per mantenere a galla l’intero sistema. In altre parole, il sistema monetario è un enorme schema predatorio di prestito di denaro che intrappola finanziariamente le sue prede in cicli di indebitamento. Mentre tutto questo accade, il sistema bancario accumula continuamente riserve finanziarie offshore non tassate e “intoccabili” che ammontano complessivamente a oltre 50 TRILIONI di dollari e sono in continua crescita.(1a) TUTTE LE GUERRE MODERNE SONO GUERRE DEI BANCHIERI PER IL PROFITTO E LA CONQUISTA Come conseguenza logica di tutto ciò che è stato detto finora, l’unico modo per mantenere una crescita continua è uscire da determinati mercati una volta che questi sono saturi. In altre parole, se la crescita è essenziale per la sopravvivenza dell’attuale sistema e la crescita non è più possibile all’interno di una determinata regione, i produttori di profitto devono trovare nuovi mercati, nuove regioni, nuove risorse e nuovi obiettivi di sfruttamento, altrimenti il sistema collasserà. Negli Stati Uniti, in Europa e in Canada, abbiamo visto sempre più città sprofondare nella tossicodipendenza, nel suicidio e nella povertà. Questo perché le banche hanno spinto la classe politica controllata dai loro finanziatori a creare una sempre maggiore crescita e quindi profitti (per i banchieri) all’estero. Tutto questo è avvenuto a spese delle popolazioni dei Paesi citati. Questo feticismo della crescita è la vera causa di fondo della continua spinta bipartisan per un numero sempre maggiore di guerre in Medio Oriente, Europa dell’Est e ovunque sia possibile l’espansione e il saccheggio imperialista. Per fare un esempio: La ricchezza di risorse dell’Ucraina è stimata in 15 trilioni di dollari, mentre quella della Russia è stimata in 70 trilioni di dollari. Chiunque abbia dedicato un minimo di tempo a studiare l’attuale guerra tra Russia e Ucraina, prendendo in considerazione i punti di vista provenienti da fonti occidentali e non occidentali (fonti al di fuori della narrazione occidentale), sa che il “Progetto Ucraina” era in cantiere da quasi vent’anni.(1b) Dal 2019 al 2022, per tre anni, il denaro e le armi statunitensi sono stati riversati in Ucraina per prepararla al ruolo di ariete, di esercito per procura contro la Russia. Questa non è un’illazione. È un fatto documentato che il governo e le forze armate statunitensi stavano contemplando di utilizzare la popolazione ucraina come esercito per procura almeno dal 2019.(2),(2a) Allo stesso modo, il governo statunitense aveva un piano per intraprendere “7 guerre in 5 anni in Medio Oriente” a partire dal 2003.(3) Queste guerre sono state intraprese per espandere la portata del sistema bancario statunitense e per estrarre risorse da questi Paesi ormai bombardati e martoriati. I nostri media occidentali tradizionali ci dicono che queste guerre, compreso il recente scontro con l’Iran, sono state intraprese per prevenire lo sviluppo e/o l’uso di armi di distruzione di massa, per contrastare il ‘male’, per diffondere la democrazia o per “scopi umanitari”. Parlerò in modo molto diretto: queste scuse che sono state usate per iniziare e intensificare le guerre sono tutte storie per bambini. Il nostro sistema elettorale, il nostro sistema politico e i nostri media tradizionali sono ormai in larga misura controllati da oligarchi, dal sistema bancario, che è legato direttamente al complesso militare industriale. In un certo senso, è così da molto tempo. Nel corso degli ultimi decenni gli Stati Uniti sono passati da una democrazia problematica ma funzionante a quella che oggi è essenzialmente un’oligarchia che ha mantenuto solo la forma esteriore di una democrazia.(4) Se non credete a questi fatti così come li ho presentati, allora date un’occhiata a ciò che l’Università di Harvard e il Guardian hanno detto in merito. IL SISTEMA MONETARIO PUÒ ESSERE CAMBIATO (UN RECENTE ESEMPIO DELLA VITA REALE NELLA GERMANIA DEL 21° SECOLO) Alcuni sostengono che le carenze dell’attuale sistema monetario globale siano semplicemente parte integrante dell’accordo e che non potrebbe essere altrimenti. Questa è una sciocchezza. Fino a circa 15 anni fa, uno dei maggiori successi economici del pianeta è stata la Germania. Era la superpotenza esportatrice numero uno al mondo. Il valore delle esportazioni tedesche era persino superiore a quello della Cina fino a poco più di un decennio fa. Ciò è accaduto perché il sistema bancario tedesco aveva una politica che non si limitava a concedere prestiti senza interessi alle piccole imprese, ma le sosteneva anche, offrendo loro consulenza, accompagnandole a conferenze, ecc. Le banche che erogavano questi prestiti erano  piccole banche regionali, il 70% delle quali erano enti senza scopo di lucro. In altre parole, queste banche non erano interessate a profitti enormi solo per sé stesse. C’era un aspetto reciprocamente vantaggioso in ciò che stava accadendo. Ciò ha permesso a queste aziende di sviluppare le proprie attività nel tempo senza la costante pressione di dover rimborsare rapidamente i prestiti a tassi di interesse elevati.(5) Sfortunatamente, la Germania alla fine ha ceduto al modello bancario basato sulla finanza, promosso dagli Stati Uniti, e ha iniziato la deindustrializzazione circa un decennio fa. Il risultato di questo cambiamento è stato disastroso. La Germania è sull’orlo della recessione da quasi tre anni. DOBBIAMO SMETTERE DI FINGERE Ultimamente è stato raggiunto un nuovo punto di svolta. Forse è successo un giorno o due fa, o una settimana o due fa, o un anno o due fa? Non sono sicuro del momento esatto in cui è successo (per voi). Il fatto è che voi, che state leggendo, sapete di cosa sto parlando. Forse nella vostra testa state pensando che non siete sicuri di cosa sto parlando. Nel vostro cuore, però, lo sapete. È ora che voi e io smettiamo di prenderci in giro. Dimenticate la vostra fedeltà a Donald Trump o al Partito Democratico per un momento. Le persone con un buon lavoro hanno difficoltà a pagare l’affitto e la situazione si fa sempre più difficile. E voi lo sapete. Vedete il modo in cui i prezzi sono saliti alle stelle, praticamente a intervalli di pochi mesi, nel corso degli ultimi anni. Ma l’economia “sta andando bene”, ci dicono sempre. Sapete che vi stanno mentendo. Sapete che le guerre in cui siamo stati costantemente coinvolti nel corso degli ultimi venticinque o più anni, sono state tutte puttanate. Sapete che i canali di informazione che guardate sulle TV tradizionali trasmettono per lo più sciocchezze quando si tratta di guerra e di guerre potenziali. Sapete che gli Stati Uniti e Israele hanno violato per anni tutte le leggi internazionali in vigore. Dai, lo sapete benissimo! Dovreste essere dei cretini per non saperlo. Ma non siete cretini. O lo siete? Ora basta. A parte le battute, niente di tutto questo è più un segreto. Il difetto principale, il percettibile peccato centrale che sta generando tutto questo caos e questo sconvolgimento è nel sistema monetario. In altre parole, non c’è nulla di magico in ciò che sta accadendo, tecnicamente parlando. La domanda è: cosa ci vorrà per spingere le persone ad approfondire questi temi? Forse sarà necessario un qualche tipo di risveglio spirituale? Onestamente, non so cosa ci vorrà. Forse tutti noi dobbiamo iniziare a porci seriamente la domanda: “Voglio vivere e, se sì, in quali condizioni? In che tipo di mondo voglio vivere?”. FONTI: 1-https://youtu.be/cvPVTp9e1eI?si=48bcvC8K6bWlMVC5 1a-https://gfintegrity.org/50-trillion-offshore-with-james-s-henry/ 1b-https://www.theguardian.com/world/2004/nov/26/ukraine.usa#:~:text=But%20while%20the%20gains%20of,rigged%20elections%20and%20topple%20unsavoury 2-https://www.rand.org/pubs/research_reports/RR3063.html  2a-https://www.pressenza.com/2024/08/the-us-calculated-sacrifice-of-the-ukrainian-population/ 3-https://www.youtube.com/shorts/TJpGoKqPM0k 4-https://www.hks.harvard.edu/faculty-research/policycast/oligarchy-open-what-happens-now-us-forced-confront-its-plutocracy 5- andare al minuto 22:50 in – https://www.youtube.com/watch?v=LM2b_youfAg&t=1662s -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dall’inglese di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Mark Lesseraux
Guerra alla guerra: dal Festival dell’Alta Felicità in Val Susa il più deciso NO al riarmo e al Genocidio in Palestina
Tra i momenti più importanti all’interno del programma del Festival dell’Alta Felicità che si è concluso pochi giorni fa a Venaus, merita senz’altro una menzione speciale l’assemblea in tema di Guerra alla Guerra, Stop Riarmo, Stop Genocidio, bella e partecipata sotto il tendone-dibattiti di domenica 27 luglio. Guerra alla Guerra  sarebbe in realtà il titolo di un libro che un certo Ernest Friedrich – cittadino prussiano, anarco-pacifista, reduce da un buon numero di anni di prigione per essersi rifiutato di partecipare alla 1ma Guerra Mondiale – decise di pubblicare un centinaio di anni fa per documentare quegli orrori che lui era riuscito a schivare, ma non la maggior parte dei suoi coetanei: i corpi trucidati in trincea senza possibilità di soccorso, le amputazioni, la sofferenza inflitta alle popolazioni, impressionante raccolta di 180 immagini rintracciate in vari archivi militari, che rilegò e pubblicò a sue spese con il titolo appunto Krieg del Kriegel (Guerra alla Guerra),  Riferimento e titolo quanto mai perfetto, dunque, per questa assemblea che era stata per tempo convocata tra il maggior numero di realtà territoriali, in forma di appello “per tutt* coloro che sentono la necessità di sviluppare un percorso il più possibile largo e partecipato contro la guerra, contro il riarmo dell’Europa e per dire NO al genocidio in Palestina; tutt* coloro che già si mobilitano e vogliono condividere i loro percorsi, mettersi in dialogo e convergere, per curvare un destino che sembra ormai ineluttabile (…) confidando nella capacità di far confluire e moltiplicare le occasioni che si potranno aprire nell’accelerazione degli eventi.” Assemblea che si è aperta con il messaggio di solidarietà all’equipaggio della nave Handale della Freedom Flotilla, che solo la notte prima era stata arrestata dall’esercito israeliano, e con gli applausi per la liberazione dell’attivista libanese George Ibrahim Abdullah, dopo una detenzione di 40 anni nelle carceri francesi. Il microfono è passato poi a Nicoletta Dosio che rievocando alcuni momenti cruciali nella storia del Movimento Notav, ha sottolineato il valore della solidarietà e della resistenza “soprattutto nei momenti di sconforto: voglio qui esprimere la gioia di vedere tanti volti giovani, in questo luogo, la piana di Venaus, che è stato il teatro di quell’epica vittoria per il nostro Movimento all’interno di una lotta che all’inizio sembrava impossibile. Un percorso che, a partire dalla fine degli anni ’80, è stato lungo ma è stato soprattutto di crescita collettiva, mentre la guerra ci arrivava in casa, letteralmente. Con i militari reduci dalle guerre in Afghanistan, con i loro strumenti di morte, con i primi Lince che abbiamo visto in Clarea, le zone rosse a interdire il passaggio in territori che erano nostri. E questa è la grande lezione del Movimento No Tav: il territorio è una prima cellula di una realtà che si allarga, che abbraccia tanti problemi. Lo abbiamo detto tante volte. La nostra non è solo una lotta contro un treno, ma l’opposizione a tutto un sistema, che è lo stesso che vuole le guerre. E quindi l’unica possibile risposta a questa aggressione è la ricomposizione delle lotte: mettere insieme i temi del lavoro con le proteste per la casa, nelle università, nelle piazze, contro le solitudini. La lotta contro il Tav è andata avanti per tutti questi anni anche perché è stata una risposta alla sensazione di impotenza, se non di sconfitta, a quella ‘pigrizia del cuore’ che ci fa prende, a volte. (…) E noi dobbiamo imparare a resistere attingendo anche agli esempi del passato, non solo alla lotta partigiana, ma alla storia di continui scioperi dei ferrovieri, delle Officine Moncenisio che ebbe luogo non lontano da qui, nel comune di Condove, come rifiuto di tutti i lavoratori compati nei confronti di una produzione mortifera. La nostra è una Guerra alla Guerra perché come ben sappiamo quel treno è stato progettato come vettore di morte, lungo uno dei tanti corridoi militari che sono stati previsti da chi ci governa, precorrendo i tempi…” Dopo di lei è stata la volta di Marta Collot (Potere al Popolo) che ha ribadito la necessità di andare oiltre il No Rearm Europe: “dobbiamo dire con chiarezza che siamo contrari a qualsiasi progetto di riarmo europeo che ci venga proposto all’insegna della sicurezza, e la lotta alla NATO dovrà essere un elemento centrale della nostra opposizione alla guerra, non solo per la richiesta di aumento delle spese militari, che comporteranno un massacro sociale, ma perché le basi militari nei nostri territori rappresentano già un problema enorme per la sicurezza di tutti noi!”. Dal Movimento No Base di Pisa, da anni in lotta contro l’ennesima base militare, è arrivata una chiara consapevolezza circa l’irreversibilità del progetto “non perché debba considerarsi battaglia persa, ma perché qualunque sia l’opposizione la macchina sta andando avanti, ingenti investimenti sono stati fatti nella crescente cooptazione delle istituzioni comprese scuole e università, in un clima di segretezza che conferma quello che non è uno slogan ma una realtà: le guerre non scoppiano, piuttosto si preparano“. E tuttavia, anche in questo clima di crescente militarizzazione, ecco palesarsi delle opportunità: di reagire, organizzarci, darci degli obiettivi, mobilitarci insieme, nella sempre più capillare conoscenza delle problematiche che caratterizzano i nostri territori e dell’urgenza di costruire alleanze in grado di incidere. Per esempio recentemente abbiamo scoperto un accordo quadro da un miliardo di euro per la realizzazione di 29 infrastrutture militari !!! tra cui la nostra, oltre che in Piemonte, Puglia, Emilia Romagna, nei pressi di Bolzano… su questa traccia intendiamo lavorare, a più mani e a più voci.” Tantissimi gli interventi da parte delle realtà presenti, che per esigenze di spazio ci limiteremo ad elencare. Da Roma è intervenuto Quarticciolo Ribelle che ha ribadito l’importanza di dare voce alla società civile, intesa come realtà di collettivi e movimenti. Tra le realtà che in Italia si sono maggiormente impegnati per la Palestina, sono intervenuti i Giovani Palestinesi, Intifada studentesca, Udap. Per il movimento dei lavoratori portuali che concretamente si oppongono al transito di armi sono intervenuti i GAP di Livorno e i CALP di Genova. E poi le realtà transfemministe di Non Una di Meno, oltre a Extinction Rebellion, il Movimento Disoccupati 7 novembre  da Bagnoli e da Vincenza il movimento Notav e vari centri sociali dal Nord Est d’Italia. Della campagna Stop ReARM ha parlato la portavoce di Arci Nazionale che ha ribadito la necessità di una mobilitazione europea: Stop Rearm Europe! E poi ancora la Rete No DL Sicurezza che ha ricordato l’appuntamento del 21 settembre; Reset; gli operi della Tubiflex e di USB; i Movimenti di lotta per la casa di Roma, Militant… Una lunga, densa, ottimamente condotta e davvero importante assemblea che, ha posto le basi per un percorso collettivo che punti alla ricomposizione delle differenze e alla costruzione di un’unità il più possibile ampia e incisiva, con obiettivi condivisi, e in una prospettiva di lungo periodo. E “senz’altro tutti in convergenza” come ha concluso Dario Salvetti della GKN di Firenze, riprendendo il loro storico slogan. Prossimo appuntamento di mobilitazione nazionale: 8 novembre a Roma- E sarà un’ennesima data tra le tante già annunciate di questo molto prossimo autunno che, tra l’Altra Cernobbio (5-6 settembre), la Università Estiva di Attac (12-14 settembre) e vari altri appuntamenti andando verso la Marcia Perugia-Assisi (12 ottobre) si preannuncia bello caldo davvero. Centro Sereno Regis
La ‘Dichiarazione di New York’ redatta alla Conferenza ONU del 28-30 luglio approvata dall’ANP
IL FAVORE È STATO UFFICIALMENTE ESPRESSO NELLE COMUNICAZIONI INVIATE DA MOHAMMAD MUSTAFA, PRIMO MINISTRO DELL’AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE, AI MINISTRI DEGLI ESTERI SAUDITA E FRANCESE – FAISAL BIN FARHAN E JEAN-NOËL BARROT – CHE HANNO COORDINATO E PRESIEDUTO LO SVOLGIMENTO DEL CONGRESSO INTERNAZIONALE ALLA SEDE ONU DI NEW YORK. Faisal bin Farhan Al Saud e Jean-Noël Barrot (28 luglio 2025  © UN / Loey Felipe) Il ministro degli esteri francese, Jean-Noel Barrot, ha commentato: “Per la prima volta i paesi arabi e del Medio Oriente hanno condannato Hamas, di cui chiedono il disarmo e l’esclusione dal governo palestinese, ed espresso chiaramente la loro intenzione di normalizzare le relazioni con Israele”. La Conferenza internazionale di alto livello per la soluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due stati convocata a maggio per svolgersi a giugno a causa della guerra che in quel periodo veniva condotta da Israele e USA contro l’Iran è stata procrastinata a luglio. Il giorno precedente all’incontro AMNESTY INTERNATIONAL aveva esortato i partecipanti a “dare priorità alla fine del genocidio, dell’occupazione illegale e dell’apartheid israeliano” e a considerare una serie di proposte, tra cui “interrompere ogni forma di commercio o trasferimento che contribuisca o sia collegato al genocidio, all’apartheid o all’occupazione illegale” e “impegnarsi nella ricostruzione della Striscia di Gaza e nel sostegno alla sua popolazione, contrastando ogni tentativo di trasferimento forzato all’interno o all’esterno del suo territorio”. Al raduno, cui sono convenute tutte le rappresentanze degli stati membri dell’ONU tranne quelle di USA (United States Rejects A Two-State Solution Conference – 28 luglio 2025) e Israele, sono intervenuti 125 delegati delle rispettive nazioni e il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, che ha affermato: > … per i palestinesi lo Stato è un diritto, non una concessione, e la negazione > del riconoscimento della loro nazione sarebbe un regalo per gli estremisti di > tutto il mondo. L’unica soluzione realistica, giusta e praticabile è quella di > due Stati, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco in pace e > sicurezza, all’interno di confini sicuri e riconosciuti, cioè quelli > precedenti al 1967, con Gerusalemme capitale di entrambi, tracciati applicando > il diritto internazionale, le risoluzioni delle Nazioni Unite e gli altri > accordi in materia. Due Stati riconosciuti da tutti e pienamente integrati > nella comunità internazionale. > > Ciò significa: porre immediatamente fine alla violenza; cessare immediatamente > le attività di annessione e di insediamento, come richiesto dalla Corte > internazionale di giustizia; rifiutare lo sfollamento forzato della > popolazione palestinese da qualsiasi parte del Territorio palestinese > occupato, che costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale > dei diritti umani e del diritto umanitario e rifiutare qualsiasi forma di > pulizia etnica; garantire che non sia elusa la responsabilità per eventuali > crimini atroci e altre violazioni del diritto internazionale; ripristinare un > dialogo politico credibile e riaffermre la parità dei diritti e della dignità > di entrambi i popoli. Tutto ciò richiede coraggio da parte dei leader sul > campo e determinazione da parte della comunità internazionale nell’agire con > principi e perseveranza. > > Sappiamo che il conflitto israelo-palestinese dura da generazioni, sfidando > speranze, sfidando la diplomazia, sfidando innumerevoli risoluzioni, sfidando > il diritto internazionale. Sappiamo che il conflitto continua a mietere > vittime, a distruggere speranze e a destabilizzare la regione e il nostro > mondo. Ma sappiamo anche che la sua persistenza non è inevitabile e che una > soluzione pacifica è possibile. > > Ciò richiede volontà politica e una leadership coraggiosa. > > E richiede verità. La verità è: siamo a una svolta decisiva. > > Nulla può giustificare i terribili attacchi terroristici del 7 ottobre [2023] > da parte di Hamas e la cattura di ostaggi. E nulla può giustificare la > distruzione di Gaza, affamare la popolazione, l’uccisione di decine di > migliaia di civili, l’ulteriore frammentazione del territorio palestinese > occupato, l’incessante espansione degli insediamenti, l’aumento della violenza > dei coloni contro i palestinesi, la demolizione delle case e lo sfollamento > forzato degli abitanti,… > > … l’annessione della Cisgiordania occupata è illegale, e deve cessare; la > devastazione di Gaza è intollerabile, e deve cessare; le azioni unilaterali > che compromettono la ‘soluzione dei due Stati’ sono inaccettabili, e devono > cessare. Questi non sono eventi isolati: fanno parte di una realtà sistemica > che sta smantellando i mattoni della pace in Medio Oriente e proprio per > questo dobbiamo insistere e agire per realizzare la ‘soluzione dei due Stati’… > l’unica prospettiva coerente con il diritto internazionale, approvata da > questa Assemblea e sostenuta dalla comunità internazionale … è la condizione > sine qua non per la pace in tutto il Medio Oriente. Il documento elaborato dai delegati delle nazioni dopo tre giorni di confronto, la Declaration on the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution detta Dichiazione di New York, esplicita i fatti esaminati, le valutazioni considerate e le decisioni deliberate. Per la promulgazione del proclama sono attese le ratifiche degli stati, dai referenti delle missioni permanenti all’ONU di Francia e Arabia Saudita attese entro il 5 settembre prossimo, così in tempo utile per la 80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA 80 / New York, 9-23 settembre 2025). DICHIARAZIONE DI NEW YORK Il testo, redatto a cura delle rappresentanze di Francia ed Emirati Arabi e di Brasile, Canada, Egitto, Indonesia, Irlanda, Italia, Giappone, Giordania, Messico, Norvegia, Qatar, Regno Unito, Senegal, Spagna e Turchia e delle Lega Araba e Unione Europea, è suddiviso in due parti. Nella prima parte, composta da 42 paragrafi e sezioni, sono riferite le valutazioni e le decisioni espresse dalle rappresentanze delle nazioni riunite alla sede dell’ONU di New York nelle giornate dal 28 al 30 luglio scorsi. Nella seconda, premettendo il riferimento alle proposte presentate dalle delelegazioni nazionali nell’occasione e alla Risoluzione 79/81 che l’UNGA (Assemblea Generale delle Nazioni Unite) ha deliberato il 3 dicembre 2024, sono elencate le azioni concrete che ciascun stato si impegna a realizzare e le indicazioni e raccomandazioni sugli interventi che i loro governi dovranno realizzare allo scopo. > NEW YORK DECLARATION ON THE PEACEFUL SETTLEMENT OF THE QUESTION > OF PALESTINE AND THE IMPLEMENTATION OF THE TWO-STATE SOLUTION > > § 1-7 / “We, Leaders and Representatives, gathered at the United Nations in > New York on 28–30 July 2025, at a historically critical moment for peace, > security, and stability in the Middle East … agreed to take collective action > to end the war in Gaza, to achieve a just, peaceful and lasting settlement of > the Israeli-Palestinian conflict based on the effective implementation of the > two-State solution … reiterated our condemnation of all attacks by any party > against civilians … We condemn the attacks committed by Hamas against > civilians on the 7th of October. We also condemn the attacks by Israel against > civilians in Gaza and civilian infrastructure, siege and starvation, which > have resulted in a devastating humanitarian catastrophe and protection crisis > … have thus committed to taking tangible, timebound, and irreversible steps > for the peaceful settlement of the question of Palestine and the > implementation of the Two-State solution … > > § 8-18 /  Ending the War in Gaza and securing the day after for Palestinians > and Israelis – The war in Gaza must end now …  We demanded the immediate, > safe, unconditional and unhindered delivery of humanitarian assistance at > scale through all crossings and throughout the Gaza Strip, in coordination > with the UN and ICRC and in line with humanitarian principles … Gaza is an > integral part of a Palestinian State and must be unified with the West Bank. > There must be no occupation, siege, territorial reduction, or forced > displacement … Governance, law enforcement and security across all Palestinian > territory must lie solely with the Palestinian Authority, with appropriate > international support … ensuring that Palestinians remain in their land … > Following the ceasefire, a transitional administrative committee must be > immediately established to operate in Gaza under the umbrella of the > Palestinian Authority … > > § 19-27 / Empowering a sovereign and economically viable State of Palestine, > living side by side, in peace and security with Israel – We stressed that > compliance with and respect for the Charter of the United Nations and > international law is a cornerstone of peace and security in the region … We > reaffirmed the need for the Palestinian Authority to continue implementing its > credible reform agenda—with international support, particularly from the EU > and the League of Arab States, focusing on good governance, transparency, > fiscal sustainability, fight against incitement and hate speeches, service > provision, business climate and development … We called on the Israeli > leadership to issue a clear public commitment to the Two-State Solution, > including a sovereign, and viable Palestinian State, to immediately end > violence and incitement against Palestinians, to immediately halt all > settlement, land grabs and annexation activities in the Occupied Palestinian > Territory, including East Jerusalem, publicly renounce to any annexation > project or settlement policy, and put an end to settlers’ violence, including > by implementing UNSC resolution 904 and enacting a legislation to punish and > deter violent settlers and their illegal actions … We reaffirmed our support > for the right of the Palestinian people to self-determination … We agreed to > promote Palestinian economic development, facilitating trade, and enhancing > Palestinian private sector competitiveness. We called for the removal of > movement and access restrictions and the immediate release of withheld > Palestinian tax revenues and committed to the revision of the Paris Protocol > on Economic Relations (1994), the establishment of a new framework for > clearance revenue transfers leading to Palestinian ownership over taxation, as > well as the full integration of Palestine into the International Monetary and > Financial System and ensuring sustainable corresponding banking relations for > the long-term. > > § 28-33 / Preserving the two-State solution and achieving regional integration > – … We committed to protecting peace efforts against potential spoilers who > seek to derail the implementation of the two-State solution through illegal > unilateral measures and violent actions … > > § 34-42 /Achieving regional integration through ending the Israeli-Palestinian > conflict  – … by ending the war in Gaza, releasing all hostages, ending > occupation, rejecting violence and terror, realizing an independent, sovereign > and democratic Palestinian State, ending the occupation of all Arab > territories and providing solid security guarantees for Israel and Palestine … > We agreed to support, in parallel to the conclusion of a peace agreement > between Palestine and Israel, renewed effort on the Syria-Israel and > Lebanon-Israel tracks with the aim of achieving a comprehensive, just, and > lasting peace in the Middle East, in accordance with international law and the > relevant UN resolutions, putting an end to all claims … We are determined to > ensure that the decisions made at this Conference constitute a turning point > where the international community as a whole is mobilized, at the political, > economic, financial and security levels, to set in motion a long overdue > bright future for the benefit of all States and all peoples … We agreed to > mobilize the international community at leaders’ level around these > commitments on the sidelines of the 80th United Nations General Assembly in > September 2025 … This Declaration and its annex reflect the outcome of the > eight working groups convened as part of the Conference, outlining a > comprehensive and actionable framework for the peaceful settlement of the > question of Palestine and the implementation of the two-State solution. These > outcomes reflect proposals across the political, security, humanitarian, > economic, legal, and strategic narrative dimensions, and constitute a concrete > time-bound action plan to guide international engagement and implementation, > operational coordination, and follow-up efforts towards the implementation of > the Two-State solution and full regional integration. > > ALLEGATO: > > Ceasfire – Security – Humanitarian response – Gaza recovery and recostruction > plan – Humanitarian situation in the West Bank – Realization of a sovreign, > unified and indipendent Palestinian State – Support implementation of the > Palestinian Authority’s reform agenda towards an economically viable State of > Palestine – Unholding international law – Peaceful Coexistence – Achieving > regional integration through ending the Isreali-Palestinian conflict   FONTI : * programma della High-level International Conference for the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution / programma * Conferenza Onu per il processo di pace in Palestina. Le raccomandazioni di Amnesty / PRESSENZA – 27.07.2025 * Secretary-General’s remarks at the Opening Segment of the High-level International Conference for the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution / ONU – July 28, 2025 * With Gaza smouldering, ministers renew push for two-State solution at UN / ONU – July 30, 2025 * High-Level Conference on Two-State Solution Concludes General Debate, Will Reconvene to Consider Outcome Document / ONU –  July 30, 2025 * French Mission to the United Nations / July 30, 2025 *  UN Declaration on the “Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution” / Jewish Virtual Library – July 30, 2025 * Prime Minister Mustafa affirms support and endorsement for New York Declaration in letters to Saudi and French FMs / State of Palestine, Prime Minister’s Office – July 31, 2025 * Reviving the Two-State Solution: The UN Conference and The Recognition of Palestine / ISPI – July 31, 2025 Maddalena Brunasti
La Ocean Viking salva 37 naufraghi. La Guardia Costiera libica le intima di lasciare l’area
“Questa mattina la Ocean Viking ha ricevuto un allarme dall’aereo Seabird per una imbarcazione in difficoltà con 37 persone a bordo in acque internazionali nell’area di ricerca e soccorso libica. Dopo aver ricevuto l’ok a procedere dalle autorità di competenza, abbiamo salvato i naufraghi. Una nave della Guardia Costiera libica ci ha intimato di lasciare l’area. I sopravvissuti sono ora a bordo della nostra nave. La maggior parte di loro viene dal Sudan, dove c’è una gravissima crisi umanitaria in corso.” Lo riferisce SOS Mediterranee Italia su X.     Redazione Italia
La strage. Bologna 2 agosto 1980 – 2 agosto 2025
Questo discorso pronunciato sabato 2 agosto 2025 è il ricordo commosso che le amiche e gli amici della nonviolenza, riuniti contro l’atomica, tutte le guerre e tutti i terrorismi per la 179° settimana a Torino, in piazza Carignano, rivolgono alle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980: la strage forse più orribile. Una strage indiscriminata che a distanza di 45 anni ci appare tanto più terrificante quanto più appare ingiustificata, gratuita, e come tale imprevedibile e irreparabile. Quella mattina, ore 10 e 25, stazione di Bologna, un’esplosione assordante, una strage: 89 morti, 200 feriti. La leggerezza dell’estate inghiottita in un boato, perduta per sempre. Da allora ho imparato ad associare il mese di agosto non più alla spensieratezza, semmai si potesse stare senza pensieri, bensì alla luce che racchiude la speranza. Come scrive il maestro Edgar Morin, oggi, nel secolo nuovo, “l’atteggiamento di chi spera si fonda sulle possibilità inespresse del genere umano, è una scommessa sull’improbabile. Non è più la speranza escatologica dello scontro finale, ma è la speranza coraggiosa della lotta che inizia” (E. Morin, Semi di saggezza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2025, p. 88). Vi ricordate dove eravate la mattina del 2 agosto 1980? Io lo ricordo perfettamente. Il 2 agosto 1980, 24 anni, ero a Oliveri, in provincia di Messina, la prima e unica vacanza in campeggio libero, la tenda vicina al mare, accanto alla nostra, quella di due altri giovani che non ho più rivisto, forse anche loro venivano da Torino. Nel primo pomeriggio li ho visti arrivare dal vicino paese, il capo chino, scossi, turbati, angosciati, il pianto trattenuto. Da loro ho avuto la notizia che a Bologna era scoppiata una bomba. Seduti accanto alle due tende a lungo, guardando l’orizzonte del mare per non guardarci negli occhi, abbiamo parlato di come eravamo prima di Bologna 2 agosto 1980. Quella mattina un treno entrò nella stazione di Bologna, i passeggeri al finestrino aperto, era estate, si respirava aria di vacanza, tante e tanti giovani coi loro zaini e sacchi a pelo, a un certo punto lo schermo di fece buio, l’Italia si spezzò, in pochi attimi non eravamo più come prima. A distanza di 45 anni possiamo dire che i mandanti e gli esecutori della strage un solo errore l’hanno fatto, aver scelto come obiettivo Bologna, che non si è piegata, non si è arresa, non vuole dimenticare. Stringe il cuore che alcuni studenti interpellati possano confondere la strage di Bologna (2 agosto 1980) con la strage di Marzabotto (29 settembre 1944). Tornando a quel tragico 2 agosto, la mattina del giorno dopo la strage, domenica 3 agosto 1980, leggemmo su “il manifesto” una prima pagina interamente dedicata alla strage: “Mai tanti morti. Bomba nera fa saltare in aria mezza stazione a Bologna. Questa sembra la verità, paurosa, dopo una giornata di ansiosi interrogativi. La città scende in sciopero generale”. In un lungo articolo si raccontava l’accaduto sulla base delle prime notizie si legge: “Più passa il tempo e più l’ipotesi della strage acquista credito. E tutti sono attoniti. Perché? Contro chi? Può giustificare una strage di queste dimensioni il fatto che stia per scoccare l’anniversario dell’Italicus?”. Nell’articolo di fondo intitolato Se è un attentato, il grande giornalista Luigi Pintor sembrava non volerci credere, sembrava quasi volersi illudere che “il macello alla stazione di Bologna” fosse stato causato dall’esplosione di una conduttura e non di una bomba. Per poi domandarsi: “Ma se è un attentato?”. La risposta non ha perso nulla della sua inquietante drammatica crudeltà: “Come si può progettare e attuare a freddo una simile carneficina? Come, chi, perché? […] In questa nuova e più grande strage, c’è qualcosa di apparentemente così insensato e immotivato che non è facile considerarla come l’ennesimo filo di una vecchia trama, inscriverlo in quel disegno di «destabilizzazione» che abbiamo già conosciuto”. A distanza di 45 anni giova rileggere la parte iniziale di La strage. L’atto di accusa dei giudici di Bologna (a cura di Giuseppe De Lutiis, prefazione di Norberto Bobbio, Editori Riuniti, Roma 1986): “l’accertamento della verità, opera di per sé sempre difficoltosa, è stato in questo processo ostacolato in ogni modo, poiché le menzogne, gli inquinamenti e le congiure di ogni genere hanno raggiunto un livello talmente elevato da costituire una costante”. Una costante che accomuna le stragi che hanno segnato la storia di questo Paese. Pietro Polito
Gaza: i bisogni sono enormi dopo 22 mesi di guerra e due mesi di blocco degli aiuti
Dichiarazione di Ted Chaiban, Vicedirettore generale UNICEF 2 agosto 2025 – “…Sono appena tornato da una missione di cinque giorni in Israele, Gaza e Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. I segni della profonda sofferenza e della fame erano visibili sui volti delle famiglie e dei bambini. Dall’inizio della guerra, a Gaza sono stati uccisi oltre 18.000 bambini. Si tratta di una media di 28 bambini al giorno, l’equivalente di una classe scolastica, che non ci sono più. I bambini hanno perso i loro cari, sono affamati e spaventati e traumatizzati. Gaza ora rischia seriamente la carestia. Si tratta di una situazione che si è andata aggravando, ma ora abbiamo due indicatori che hanno superato la soglia della carestia. Una persona su tre a Gaza passa giorni senza cibo e l’indicatore di malnutrizione ha superato la soglia della carestia, con la malnutrizione acuta che ora supera il 16,5% [nella città di Gaza]. Oggi, oltre 320.000 bambini piccoli sono a rischio di malnutrizione acuta. A Gaza ho incontrato le famiglie dei 10 bambini uccisi e dei 19 feriti da un attacco aereo israeliano mentre erano in fila con i loro genitori per ricevere cibo presso una clinica nutrizionale a Deir el-Balah sostenuta dall’UNICEF. Abbiamo incontrato Ahmed, che ha 10 anni, e suo padre. Quel giorno Ahmed era in fila con sua sorella Samah, di 13 anni. Lei è morta. Ho visto una foto in cui lui agitava furiosamente le braccia per fermare un carro trainato da un asino nel tentativo di salvarla e portarla in ospedale, ma non ci è riuscito. È profondamente traumatizzato e non sa cosa fare. Questo semplicemente non dovrebbe accadere. I bambini che ho incontrato non sono vittime di una catastrofe naturale. Sono affamati, bombardati e sfollati. In un centro di stabilizzazione nella città di Gaza ho incontrato bambini gravemente malnutriti, ridotti pelle e ossa. Le loro madri erano sedute lì vicino, disperate ed esauste. Una madre mi ha detto che non produce più latte materno perché lei stessa è troppo affamata. L’UNICEF sta facendo tutto il possibile per affrontare la situazione: sostiene l’allattamento al seno, fornisce latte artificiale e cura i bambini affetti da malnutrizione acuta grave. Ma i bisogni sono enormi dopo 22 mesi di guerra e due mesi di blocco, che ora è stato allentato ma continua ad avere un impatto, e gli aiuti non stanno arrivando abbastanza velocemente o nella misura necessaria. In mezzo a tutto questo, il nostro personale a Gaza, la maggior parte del quale ha subito perdite personali devastanti, continua a lavorare giorno e notte. L’UNICEF sta fornendo acqua potabile: 2,4 milioni di litri al giorno nella parte settentrionale di Gaza, raggiungendo 600.000 bambini. Si tratta di una media di 5-6 litri di acqua al giorno a persona – meglio di prima, ma ancora ben al di sotto della soglia di sopravvivenza. Abbiamo ricostruito la catena del freddo per i vaccini e continuiamo a vaccinare i bambini. Stiamo fornendo assistenza psicosociale ai bambini che sono stati terrorizzati da ciò che hanno vissuto. Stiamo salvando la vita ai neonati, aiutando a riunire le famiglie separate, sia all’interno della Striscia che, in alcuni casi, a livello internazionale, e fornendo latte artificiale ai bambini più vulnerabili, ma c’è ancora molto da fare. Dopo la tregua annunciata da Israele, l’accesso umanitario è stato in parte facilitato. Abbiamo oltre 1.500 camion carichi di forniture di prima necessità pronti nei corridoi tra Egitto, Giordania, Ashdod e Turchia. Alcuni hanno iniziato a muoversi e negli ultimi due giorni abbiamo consegnato 33 camion di latte in polvere salvavita, biscotti ad alto contenuto energetico e kit igienici. Ma questa è solo una minima parte di ciò che serve; quindi, gran parte della nostra missione è stata dedicata alla sensibilizzazione e al dialogo con le autorità israeliane a Gerusalemme e Tel Aviv. Abbiamo insistito affinché venissero riviste le loro regole militari di ingaggio per proteggere i civili e i bambini. I bambini non dovrebbero essere uccisi mentre aspettano in fila in un centro nutrizionale o mentre raccolgono l’acqua, e le persone non dovrebbero essere così disperate da dover assalire un convoglio. Abbiamo chiesto un aumento degli aiuti umanitari e del traffico commerciale – avvicinandoci a 500 camion al giorno – per stabilizzare la situazione e ridurre la disperazione della popolazione, nonché i saccheggi e quella che chiamiamo auto distribuzione, quando la popolazione insegue un convoglio, e anche i saccheggi, quando i gruppi armati lo inseguono perché il prezzo del cibo è così alto. Per affrontare questo problema, dobbiamo inondare la Striscia di rifornimenti utilizzando tutti i canali e tutti i valichi.   Questo non sarà possibile solo con gli aiuti umanitari, quindi abbiamo anche insistito affinché nella Striscia entrassero beni commerciali – uova, latte e altri beni di prima necessità che integrano ciò che la comunità umanitaria sta portando. Abbiamo insistito affinché fossero ammessi articoli “a duplice uso” e più carburante, in modo da poter riparare il sistema idrico: tubi, raccordi, generatori.  A Gaza fa molto caldo – 40 gradi – e l’acqua scarseggia, con il rischio di epidemie che incombe ovunque. Continueremo a impegnarci affinché le pause umanitarie non causino ulteriori sfollamenti, costringendo la popolazione in un’area sempre più ristretta. Anche in Cisgiordania i bambini sono in pericolo. Finora quest’anno sono stati uccisi 39 bambini palestinesi. Ho visitato una comunità beduina a est di Ramallah, che è stata costretta ad abbandonare le proprie case a causa delle violenze. Abbiamo anche incontrato bambini israeliani colpiti dalla guerra. Bambini che hanno subito paura, perdite e sfollamenti. I bambini non iniziano le guerre, ma sono loro a subirne le conseguenze Ci troviamo a un bivio. Le scelte che faremo ora determineranno la vita o la morte di decine di migliaia di bambini. Sappiamo cosa bisogna fare e cosa si può fare. L’ONU e le ONG che compongono la comunità umanitaria possono affrontare questo problema, insieme al traffico commerciale, se vengono messe in atto misure che consentano l’accesso e che alla fine garantiscano la disponibilità di beni sufficienti nella Striscia, in modo da attenuare alcuni dei problemi legati all’ordine pubblico. Sono necessari finanziamenti. L’appello dell’UNICEF per Gaza è gravemente sottofinanziato: solo il 30% delle esigenze sanitarie e nutrizionali è coperto. Dobbiamo ricordare che le pause umanitarie non sono un cessate il fuoco. Speriamo che le parti possano concordare un cessate il fuoco e il ritorno di tutti gli ostaggi rimasti nelle mani di Hamas e di altri gruppi armati. Questa situazione va avanti da troppo tempo. 22 mesi. Onestamente non mi sarei mai aspettato che saremmo arrivati a 22 mesi di guerra. Quello che sta accadendo sul campo è disumano. Ciò di cui hanno bisogno i bambini, i bambini di tutte le comunità, è un cessate il fuoco duraturo e una via d’uscita politica.” FOTO E VIDEO: https://weshare.unicef.org/Share/0e2ryciq0w65jai05u62f7q6078w2et4 UNICEF
Una riflessione del Tavolo Asilo e Immigrazione sulla sentenza della Corte di Giustizia Europea
Riprendiamo dal sito della Rete delle Comunità Solidali il comunicato stampa redatto dal Tavolo Asilo e Immigrazione -TAI- di cui Recosol è parte integrante sulla sentenza della Corte di Giustizia Europea pubblicata ieri, 1 agosto 2025 La Corte di Giustizia UE sconfessa il “modello Albania”: il governo ha costruito un impianto fuori dalla legalità europea Roma, 1 agosto 2025 – Con la decisione diffusa oggi, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito un principio chiaro: uno Stato membro non può designare un Paese di origine sicuro senza garantire un controllo giurisdizionale effettivo e trasparente, né può mantenere tale designazione se nel Paese non è assicurata protezione a tutta la popolazione, senza eccezioni. Si tratta di una decisione dirompente, che smentisce in modo radicale la linea del governo italiano. Il cosiddetto “modello Albania”, ideato per esternalizzare le procedure di frontiera verso centri collocati fuori dal territorio nazionale ma sotto giurisdizione italiana, è stato costruito e mantenuto su basi giuridiche oggi dichiarate incompatibili con il diritto dell’Unione. La sentenza colpisce al cuore uno degli assi portanti dell’intero impianto: la possibilità di processare richieste di asilo in procedura accelerata, basandosi sulla presunzione automatica di sicurezza del Paese d’origine. Non è più possibile, alla luce della pronuncia, utilizzare atti legislativi opachi e privi di fonti verificabili per giustificare il respingimento veloce delle domande di protezione. E non è ammissibile trattare come “sicuro” un Paese che non offre garanzie a tutte le persone. È esattamente quanto avvenuto nei trasferimenti verso l’Albania, e ciò rende evidente che ogni ripresa di questa pratica comporterebbe gravi violazioni e un elevato rischio di annullamento da parte dei tribunali. Il Tavolo Asilo e Immigrazione sollecita il governo a non riattivare il Protocollo Italia-Albania: una richiesta avanzata dal TAI fin da prima dell’avvio delle operazioni, e che ora diventa più forte nella cornice di questa sentenza. Nell’ultimo anno l’esecutivo ha più volte cercato di piegare le sentenze al proprio racconto, presentando come legittimazione ciò che non lo era affatto. Ma questa volta la pronuncia della Corte è inequivocabile, ed è difficile immaginare che possa essere strumentalizzata. L’architettura giuridica del modello viene demolita. C’è un altro fronte giuridico ancora aperto, e riguarda i trasferimenti verso l’Albania direttamente dai centri di permanenza per il rimpatrio (CPR): la questione è oggetto di un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Ma si tratta di un iter che richiederà almeno due anni. Nel frattempo, anche il nuovo modello è stato oggetto di molteplici censure giudiziali ed è incompatibile con i diritti umani, come raccontato nel report “Ferite di confine” recentemente diffuso dal TAI. Il modello Albania, anche nella sua seconda fase, va dismesso immediatamente. Il Tavolo Asilo e Immigrazione chiede al governo di prendere atto della pronuncia, cessare ogni iniziativa orientata alla riattivazione del Protocollo, e ricondurre la politica migratoria all’interno del diritto internazionale ed europeo, e delle garanzie costituzionali.     Redazione Italia