Riflessione sul patto di fiducia tra Stato e cittadini, a partire da una triste sentenzaPubblichiamo di seguito la riflessione che la giurista Rosanna Pierleoni ha
scritto per Pressenza Italia come commento alla vicenda della famiglia
anglo-australiana che vive nel bosco in Abruzzo. Un riflessione intrisa di
umanesimo che fornisce un parere critico ed esplicativo da parte di una persona
competente in materia.
Di pochi giorni fa l’ordinanza del Tribunale per i minorenni dell’Aquila che sta
portando sul fronte popolare tanto malcontento e che sta avviando, forse per la
prima volta, una dolorosa ma inevitabile riflessione sull’articolato sistema che
regola la sottrazione di minori nel nostro Paese.
Credo sia importante lasciare che questo tema abbia dignità di tema pubblico,
perché si tratta di prassi che toccano il rapporto di potere tra Stato e
cittadini, e delineano i confini della potestà sui minori: magistratura e
assistenti sociali da un lato, le famiglie dall’altro.
È altresì importante, a mio avviso, che il tema venga trattato nel rispetto
delle parti, delle visioni, e della immane sofferenza dei bambini e delle
famiglie coinvolte, che sono all’incirca 35.000 ogni anno, cifre in aumento ogni
anno.
Il discorso nasce con quella che viene definita a livello mediatico “la famiglia
nel bosco”, una famiglia che ha scelto di vivere nella casa di proprietà, nel
verde, a 10 km dal centro abitato a Palmoli, in Abruzzo, e di garantirsi
sostentamento in modo autonomo. La miccia che ha innescato un discorso
controverso e appassionato nel nostro Paese, forse perché ogni rimosso cerca
prima o poi l’espediente per uscire fuori. E questa è una ferita del nostro
apparato giuridico e democratico troppo grave perché noi si possa continuare a
tenerla nascosta o quale unico appannaggio di qualche associazione e qualche –
poco partecipata – manifestazione dei parenti dei bambini. È giunto il momento
che società civile e istituzioni si facciano carico di questo peso e diano
qualche risposta concreta.
Alle tante critiche mosse a coloro che prendono le parti della famiglia ricordo
che il buon cittadino è colui che si impegna, si interessa alle cose della
𝑝𝑜𝑙𝑖𝑠, chiede conto, perché tirerà fuori la parte migliore di chi lo
governa, che è un uomo come noi e – in quanto tale – è soggetto ai richiami più
limpidi e a quelli più oscuri della mente. Un atteggiamento servile, pigro,
fanatico, stimolerà sempre il volto peggiore del potere. Dunque, a mio avviso,
non bisogna temere di esprimere il proprio giudizio. Inoltre, è verissimo che
gli organi di magistratura devono essere liberi nel loro operato, ma allo stesso
tempo il nostro sistema tollera molto bene la critica pubblica, no? Facciamone
buon uso, senza mai trascendere in comportamenti violenti e persecutori verso i
singoli.
I fatti: la famiglia ha uno stile di vita che si discosta dalla media per una
scelta personale, coerente e ragionata, nonché condivisa dai due genitori. Ha
elettricità tramite fotovoltaico, usa la rete per videochiamare i parenti e per
lavoro o per guardare qualche documentario, ha il riscaldamento tramite camino e
stufa termica (essendo soli 40 mq c’è una temperatura media molto alta in
inverno, sui 21/22 gradi), ha un bagno a secco esterno, ha una casa che a detta
dei giornalisti con cui ho parlato personalmente e dei vicini è dignitosa e ben
tenuta. I bambini conoscono due lingue e hanno molte competenze pratiche, dal
cucito, alla cura dell’orto, dal riuso di materiali, alla costruzione di piccoli
oggetti; consumano cibo dell’orto autoprodotto e altro cibo reperito una volta a
settimana in città. I bambini sono abituati a partecipare attivamente al
benessere e alle incombenze familiari. Fanno equitazione con il cavallo di
famiglia, sotto la guida della madre che è istruttrice di equitazione. Hanno
rapporti quotidiani con altri animali. Sono curati da medici di fiducia; sono
sani. Sono seguiti con istruzione domiciliare. Intrattengono relazioni costanti
con persone del vicinato, adulti e bambini. Vanno in biblioteca spesso. Viene
loro letta una fiaba ogni sera nel letto.
Nel provvedimento si parla – solo in riferimento alla bimba di 8 anni, dacché i
gemelli ne hanno ancora sei – di un ritardo nel far pervenire alla scuola
statale l’attestazione dell’istruzione impartita: una falla burocratica dunque,
rientrata presto. Tutto qua. Secondo il Ministero dell’Istruzione e del Merito,
risulta regolarmente espletato l’obbligo scolastico (ANSA, 24 novembre 2025).
Interroga come una faccenda risolvibile con poco approfondimento sia stata
inserita quale motivazione nell’ordinanza di allontanamento.
Si parla poi di condizioni abitative non idonee in quanto l’abitazione non
avrebbe i requisiti di agibilità e non rispetterebbe la normativa antisismica.
Anche se la documentazione del geometra e dell’ingegnere che attestano l’assenza
di lesioni strutturali non fosse considerata valida, questa mi sembra una
motivazione non sufficiente se prendiamo in esame le condizioni edilizie e
antisismiche di oltre metà degli istituti scolastici italiani (con bambini
rimasti seppelliti sotto le macerie mentre erano tra i banchi di scuola), ma
anche di alloggi per gli studenti universitari, case popolari, case private
abusive, soluzioni abitative precarie assegnate dopo calamità varie. Basti poi
pensare agli scandali legati agli abusi o a mancate regolarità di tipo edilizio
da cui sono scaturiti danno e morte, come ad esempio nel famoso caso di
Rigopiano o della Casa dello Studente a L’Aquila, solo per restare in Abruzzo.
Affinché i cittadini non vivano questa motivazione come faziosa e la sentenza in
modo persecutorio è importante limare il divario tra quanto si esige dai
cittadini e quanto le istituzioni fanno a loro volta.
Nella sentenza si propone poi una dottrina pedagogica secondo cui i bambini
versavano in condizioni di isolamento e su come questo li avrebbe esposti tra
qualche anno a rischi relazionali seri, facendo loro maturare condotte
aggressive, tra cui il bullismo. Si fa coincidere il bisogno di socialità
unicamente con la frequenza scolastica, nonostante il nostro ordinamento preveda
l’istruzione parentale, considerandola dunque adeguata. Inoltre si prendono in
esame non dei danni certi e attuali, ma dei danni prevedibili e futuri. Si
ipotizza, rendendo questa ipotesi una certezza, che questi bambini matureranno
condotte aggressive. Nella mia esperienza come mediatrice familiare nelle scuole
ho potuto vedere come i casi di bullismo siano in continua crescita. Dobbiamo
dunque considerare che il modello educativo dominante, condiviso dalla maggior
parte degli italiani, non sia molto migliore in tal senso. Sottrarremo allora i
bambini anche a tutti quei nuclei familiari che hanno ragazzi con problemi di
bullismo, e a tutti coloro i cui figli trascorrono molte ore chiusi in casa
davanti a internet? Ricordiamo che la sindrome da ritiro sociale “hikikomori” è
in continuo aumento nella nostra società. Se questo non accade dobbiamo ritenere
che la dottrina pedagogica a fondamento dell’ordinanza sia ideologicamente
orientata: essa ritiene un sistema educativo idoneo, anche se causa ritiro
sociale e violenza, e l’altro non idoneo, nonostante non ci siano prove attuali
che dimostrino la sua idoneità a creare simili condotte.
Ma anche se questo rischio di socialità ridotta fosse reale, non si può in alcun
modo immaginare di intervenire allontanando forzatamente il minore dal proprio
nucleo familiare, impedendo il rapporto con il padre e una relazione normale e
libera con la madre, che ricordiamo si trova nella medesima struttura
impossibilitata a vederli liberamente: quella con i genitori è la relazione
primaria per sperimentare l’alterità. In alcun modo la frequentazione dei propri
pari può essere considerata in alternativa al rapporto con i genitori, da cui i
figli, soprattutto nei primi anni di vita, traggono sicurezza, protezione, senso
di appartenenza, riconoscimento.
Nella sentenza si parla poi di come questi bambini abbiano un ritardo rispetto
ai bambini della loro età. Viene introdotto un concetto di “metro”: qual è
insomma il metro di questo paragone se noi abbiamo bambini, e persino adulti,
che non conoscono affatto la propria lingua, che sono abituati a ripetere slogan
anziché chiedersi il perché delle cose, che hanno perso ogni forma di sapere,
mestiere, conoscenza, sia di tipo letterario artistico che di tipo manuale?
L’ordinanza spiega anche che la decisione sia maturata perché la famiglia
avrebbe danneggiato i bambini esponendoli a livello mediatico nel programma “Le
Iene”. Si fa qui riferimento a delle normative internazionali che prevedono la
tutela della privacy. Stupisce un uso così improprio delle fonti indicate:
queste norme tutelano da violazioni della privacy compiute da terzi che siano in
conflitto di interessi con gli interessati. Vi si potrebbe ricorrere, quindi,
per proteggere e risarcire la famiglia dalla vergognosa esposizione mediatica
del loro caso, ma su questo mi sembra che ben poco sia stato fatto. La famiglia
aveva un atteggiamento piuttosto riservato, non essendo nemmeno presente sui
social: dobbiamo presumere abbiamo partecipato alla trasmissione per avere
quell’ascolto che dalle istituzioni non riuscivano ad avere, per dimostrare agli
italiani di essere in grado di curare i loro figli, perché avevano il terrore di
perderli. Ma in alcun modo possiamo immaginare che volessero danneggiare i
propri figli, come emerge dall’ordinanza. Che dire allora di tutti quei genitori
che fanno uso intensivo dei social, condividendo foto e spezzoni della vita dei
propri figli, e ancor di più di coloro che traggono da questa attività seguiti
professionali, vendite, introiti di diverso genere? Si tratta di famiglie di
“influencer” sotto gli occhi di tutti, a cui non risulta siano mai stati
sottratti i figli. A questi si aggiungono tutti quei minori che aprono
illegalmente account e ne fanno un uso quanto meno improprio, evidentemente
senza adeguato controllo dei genitori.
Vi chiedo: che ruolo dà la nostra società alla diversità, non a parole, nei
fatti? Simili condotte mediatiche e giudiziarie sono pericolosamente prossime
alla vera e propria persecuzione delle minoranze. Questi provvedimenti sembrano
fare continuo riferimento a un concetto di “norma”, che come sappiamo nelle
varie epoche ha sempre generato violenza e oscenità. Quali sono il ruolo del
diritto e della psicologia nel farci comprendere un simile concetto, in che modo
possono aiutarci a non farcene schiacciare?
Urge una riforma urgente e radicale dell’intero sistema di sottrazione di minore
in Italia. I casi di allontanamento devono essere di extrema ratio perché
nessuna casa famiglia né famiglia affidataria potrà mai garantire quel senso di
appartenenza che il bambino sperimenta con le proprie radici. Il legame con i
genitori va preservato ad ogni costo, fatti salvi casi estremi di violenza non
risolvibili e non gestibili altrimenti ove non vi sia neppure l’aiuto di altri
familiari. In tutti gli altri casi, nonostante il rilievo di alcune criticità,
lo Stato deve aiutare in ogni modo il nucleo familiare a farcela in autonomia.
Inoltre, le decisioni di allontanamento devono essere riviste ciclicamente e in
tempi brevi e mai si dovrebbe venire a sapere di genitori che per anni non
riescono più ad avere un contatto che sia uno con i loro figli o che non
sappiano neppure dove siano stati destinati.
Sono certa che qualora le istituzioni iniziassero un cammino di risanamento di
questo strappo, istituendo commissioni esterne e professionisti indipendenti;
qualora facessero marcia indietro su alcune valutazioni parziali o superficiali,
e attribuissero le responsabilità laddove rinvenute, il patto di fiducia tra
Stato e cittadini tornerà a saldarsi e il malcontento popolare scemerà
automaticamente e i cittadini acquisiranno nuova fiducia per digerire quei casi
comunque dolorosi, ma residuali, di allontanamento. Qualora questo non accadesse
il patto di fiducia già gravemente compromesso non potrà che spezzarsi una volta
per tutte.
Nonostante tutto, ho fiducia.
ROSANNA PIERLEONI
Rosanna Pierleoni nasce nel 1984 ad Avezzano. Dopo il liceo classico, consegue
la laurea magistrale in giurisprudenza all’Università Tor Vergata di Roma.
Completa poi tre master interdisciplinari che le forniscono competenze
psico-educative e giuridiche nell’ambito dei minori e della famiglia, con
abilitazione alla mediazione familiare e alla consulenza specialistica. È
autrice di un saggio sull’adozione internazionale e di diversi romanzi.
Redazione Italia