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Le lettere di pace della Flottilla dei Bambini del Mondo
Le Lettere di Pace, inviate da scuole italiane e straniere ai responsabili politici attraverso la “Flotilla dei bambini del mondo” – che continua a solcare il mare – hanno ormai superato le diverse migliaia, trasformandosi in un movimento pedagogico e civile che sorprende per maturità, partecipazione e profondità. Promossa dal Gruppo Educazione alla pace e alla nonviolenza del Movimento di Cooperazione Educativa, con il sostegno di oltre quaranta associazioni nel mondo aderenti alla Federazione Internazionale dei Movimenti di Scuola Moderna, l’iniziativa ha coinvolto insegnanti e classi dagli asili alle scuole superiori, mostrando come l’educazione possa davvero diventare un laboratorio vivo di riflessione sulla pace. I docenti si sono assunti un ruolo ulteriore rispetto a quello tradizionale: non solo trasmettitori di contenuti, ma veri educatori alla pace. Hanno guidato alunne e alunni a interrogarsi sulle guerre che attraversano il pianeta, sulle responsabilità politiche e soprattutto sulle possibilità concrete di reagire, anche con un gesto semplice come la scrittura collettiva di una lettera. È nata così la pratica della “messa in mare” delle Lettere di Pace, un gesto simbolico e al tempo stesso concretissimo, perché quelle lettere sono finite sui tavoli di presidenti di organismi internazionali, figure apicali della politica europea e nazionale, amministratori locali e autorità morali come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Papa Leone XIV, ai quali gli organizzatori sperano di poter chiedere un incontro con gli studenti. Il Presidente della CEI, cardinale Matteo Zuppi, ha incoraggiato apertamente il progetto, sottolineando come sia fondamentale riconoscere ai giovani il diritto di esprimersi sulla pace, sulla guerra e su tutte le questioni che riguardano il loro futuro. È un incoraggiamento che ha trovato eco nel testo con cui il Movimento ha invitato le classi ad aderire: fermare le guerre non è semplice ma la pace si costruisce ogni giorno, iniziando proprio a scuola, imparando ad ascoltarsi, a parlarsi, a risolvere i piccoli conflitti nel rispetto reciproco. Se le lettere viaggiano numerose, se i media ne danno conto, allora anche i politici non potranno ignorare il messaggio delle giovani generazioni, che immaginano il loro futuro con una sola parola: pace. In un mondo in cui l’Unione Europea e le Nazioni Unite, nati come strumenti di prevenzione dei conflitti, non riescono più a garantire una prospettiva stabile di disarmo e riconciliazione, la voce dei più piccoli risuona come un monito e un atto di fiducia. Le guerre continuano a devastare territori e vite, a cancellare speranze e diritti, e parlare di disarmo sembra sempre più un’utopia. Per questo le scuole sentono su di sé un compito nuovo e urgente: educare alla pace, alle relazioni nonviolente, alla ricerca della giustizia come fondamento della convivenza. La didattica democratica e cooperativa, tradizione storica del Movimento di Cooperazione Educativa, permette alle classi di discutere, approfondire e confrontarsi su temi di vita reale. Tutti possono contribuire con passione, entusiasmo e sensibilità, sentendosi parte di un percorso collettivo. È questo approccio che ha favorito un’adesione così ampia da rendere necessaria la proroga dell’iniziativa fino al termine dell’anno scolastico. Le classi potranno continuare a partecipare inviando le proprie lettere e condividendone copia all’indirizzo dedicato, mentre sul sito del MCE è disponibile l’area con i materiali didattici utili alle attività. Accanto alle Lettere di Pace proseguirà anche “Facciamo la pace a…”, il progetto nazionale e internazionale che invita bambini e ragazzi a costruire pace nei luoghi quotidiani: in casa, a scuola, con gli amici, attraverso la gestione nonviolenta dei contrasti. È un modo per far comprendere che la pace non è un concetto astratto né un compito delegato solo ai potenti, ma una responsabilità che si esercita ogni giorno nei gesti più semplici. Il percorso è guidato dal Gruppo Nazionale di Ricerca sull’Educazione alla Pace e alla Nonviolenza del Movimento di Cooperazione Educativa, coordinato da Roberto Lovattini. Il MCE è riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione come ente qualificato per la formazione del personale scolastico, e questa iniziativa conferma il valore della sua azione educativa. In un tempo segnato da conflitti e polarizzazioni, le Lettere di Pace ricordano che un altro modo di guardare il mondo è possibile: basta ascoltare la voce limpida e determinata dei più giovani. Laura Tussi
Ancona, gli studenti universitari extracomunitari ricorrono alla Caritas
Nelle realtà di provincia c’è un magma bollente che non è sotto i riflettori del mainstream, ma che opera quotidianamente per il ribaltamento delle attuali dinamiche sociali e culturali; detenute saldamente da poteri adulti, maschi e gerontocratici. Ad Ancona, una di queste componenti fluide del magma giovanile è il collettivo Flag Eaters (lett. mangiatori di bandiere). Nato nel dicembre 2024, il concetto alla base del nome del collettivo è la lotta contro il simbolo come limite sociale umano. “Una popolazione veramente sviluppata e con spirito critico porta alla dissoluzione dei simboli politici”, si legge nel sito. Opera in modo autonomo da entità esterne come partiti politici e sindacati, concentrandosi sulla vita politica e culturale, rispondendo ai bisogni e ai desideri dei giovani e degli studenti che vivono nella zona. Recentemente hanno pubblicato un’inchiesta-studio dal titolo “L’università Politecnica delle Marche punta all’internazionalizzazione, ma i diritti degli studenti stranieri vacillano”. L’Università Politecnica delle Marche, infatti negli ultimi anni ha puntato sull’internazionalizzazione, diventando un polo di attrazione per migliaia di studenti provenienti da tutto il mondo. Corsi in lingua inglese, numeri in crescita, riconoscimenti economici: l’ateneo si racconta come un centro d’eccellenza globale. In particolare ha rafforzato il proprio percorso di internazionalizzazione grazie al successo del corso di laurea triennale in lingua inglese “Digital Economics and Business” (DEB), attivato presso la Facoltà di Economia. Negli ultimi anni, il corso si è affermato come uno dei principali poli di attrazione per gli studenti extra-comunitari, tanto da rappresentare attualmente il principale canale di accesso all’Ateneo per i candidati internazionali. Gli atenei ricevono dallo Stato fondi di finanziamento ordinari, proporzionali al numero di iscritti, e pro capite sono maggiori per gli studenti extra UE. Ma poi questi fondi non si traducono in condizioni di vita o di studio migliori per i beneficiari. Come ad Ancona. Infatti i numeri raccolti da Flag Eaters fanno emergere problemi molto seri: mancanza di alloggi, servizio sanitario troppo caro per gli studenti, impossibilità di accedere ai bandi per il diritto allo studio perché i permessi di soggiorno arrivano fuori tempo massimo. Gli attivisti hanno raccolto e incrociato un po’ si dati, relativi all’anno accademico 2024-2025. “Per l’anno accademico in corso – spiega lo studio – sono state presentate oltre 12.000 domande di prevalutazione, un dato in forte crescita rispetto al passato. Di queste, circa 8.500 candidature sono state ammesse, con o senza riserva: più del doppio rispetto alle ammissioni complessive registrate lo scorso anno. La provenienza degli studenti conferma la forte attrattività del corso nei Paesi in via di sviluppo: il 45% degli ammessi è di nazionalità etiope, il 20% pakistana, il 7% indiana, il 6% afgana, il 6% bangladese e il 4% turca. Nei due anni precedenti il 6-7% degli ammessi si è poi effettivamente immatricolato; il trend di crescita delle richieste testimonia l’interesse crescente verso l’offerta formativa internazionale dell’Ateneo. Attualmente, gli studenti iscritti al corso DEB sono circa 800, su un totale di circa 1.300 studenti stranieri presenti all’Univpm”. Questo dati gli attivisti li hanno incrociati con il rapporto della Caritas diocesana. “Una parte – spiega ancora lo studio –riguarda la mappatura sull’utilizzo dei servizi offerti dalle strutture Caritas agli studenti universitari. L’indagine ha riguardato l’intero anno e ha evidenziato che, su un totale di 1.498 ospiti diversi, 107 erano studenti universitari stranieri, pari al 7,1% del totale. Le nazionalità più rappresentate tra questi studenti sono: Etiopia 46, Bangladesh 13, India 9, Pakistan 7. Venticinque si sono dichiarati persone senza dimora; per ulteriori 19 non disponiamo di alcuna informazione in merito. I restanti ospiti, sebbene abbiano un posto letto garantito, non hanno accesso alla mensa universitaria né dispongono di mezzi di sussistenza adeguati, stando alle notizie fornite”. Dai risultati si deduce una forte convergenza tra questi dati e la provenienza geografica del corso di ‘’Digital Economic and Business’’.  I dati evidenziano che circa il 8,23% degli studenti universitari stranieri ha richiesto il servizio mensa presso la Caritas Diocesana Ancona-Osimo nei mesi indicati; tale quota sarebbe sensibilmente maggiore se aggiustata della parte degli studenti che non risiede nel territorio poiché frequenta online. Emerge poi che le borse di studio non sono quasi mai in linea con le tempistiche burocratiche degli studenti stranieri. “Il 31,8% degli studenti internazionali a cui abbiamo sottoposto il sondaggio – racconta Flag Eaters – ha affermato di aver avuto bisogno tra i 3-4 mesi per ottenere il visto dopo la richiesta. Il 9,1% degli intervistati ha avuto bisogno di oltre 6 mesi. Una volta arrivati in Italia gli studenti internazionali devono anche rispettare gli adempimenti burocratici del bando. Il reperimento delle informazioni utili da parte degli studenti extracomunitari è anche esso molto difficile. Il 44% degli studenti stranieri ha affermato di non aver partecipato al bando ERDIS (Ente Regionale per il diritto allo studio) per mancanza d’informazioni e oltre il 22% per difficoltà legate all’ottenimento dei documenti necessari per partecipare al bando”. Anche la questione alloggio ad Ancona per gli studenti stranieri è tutta in salita. “Nel 2023 – si legge nello studio – si sono registrati 80 sfratti per fine locazione e 433 per morosità. Il 63,6% degli studenti internazionali che ha risposto al questionario non è riuscito ad assicurarsi un alloggio prima del proprio arrivo in Italia. Il 95,5% degli studenti ha dichiarato di aver trovato difficoltoso ottenere un alloggio ad Ancona. Il 22,7% ritiene che tali difficoltà siano legate a fenomeni di discriminazione da parte dei proprietari o degli attuali inquilini.”. Altro problema è l’assistenza sanitaria: per gli studenti extracomunitari, il costo dell’assicurazione sanitaria nazionale è aumentato; il governo Meloni ha innalzato la quota annuale da circa 150 euro a 700 euro. È importante ricordare che un’assicurazione sanitaria, sia privata che nazionale, è necessaria ai fini del rilascio del permesso di soggiorno. “Il 63,6% degli studenti – analizza il report – hanno optato per un’assicurazione sanitaria privata. Il 16,7% di questi studenti sono coperti solo relativamente ad infortuni mentre il 50% circa afferma di aver un’assicurazione privata che copre esclusivamente malattie ed infortuni”. Il collettivo Flag Eaters di fronte a questa situazione, non si ferma alla denuncia, ma avanza delle proposte: l’istituzione di un fondo che contribuisca alle spese sostenute per l’assicurazione sanitaria nazionale per soggetti particolarmente svantaggiati economicamente, assicurando il diritto alla salute per la componente straniera. Poi la rimodulazione degli strumenti di supporto economico per il diritto all’abitare alle nuove esigenze imposte dall’internazionalizzazione, ridefinendo gli importi e i criteri di calcolo del ‘Fondo Carlo Urbani” (istituito dall’Università con ulteriori riduzioni per studenti che hanno avuto situazioni di disagio personale e/o economico). Anche le tempistiche del bando ERDIS per gli studenti internazionali devono necessariamente essere rimodulate tendendo conto di quelle dei Paesi di provenienza. Infine, l’aumento delle strutture adibite all’alloggio degli studenti. Leonardo Animali
Successo delle Lettere di pace, l’iniziativa va fino al termine dell’anno scolastico
La Flotilla dei bambini del mondo sta navigando a gonfie vele. Ad oggi sono centinaia le Lettere di Pace inviate ai politici dalle scuole italiane e straniere. L’iniziativa è stata promossa dal Gruppo Educazione alla pace e alla nonviolenza del Movimento di Cooperazione Educativa, con la partecipazione di oltre 40 associazioni nel mondo, aderenti alla Federazione Internazionale dei Movimenti di Scuola Moderna (Fimem) e ha già coinvolto molti insegnanti, dalle scuole dell’Infanzia alle scuole superiori. I docenti si sono fatti educatori per la Pace, guidando bambine e bambini, ragazze e ragazzi ad interrogarsi su guerre e conflitti armati, a pensare sul da farsi con la “messa in mare” delle Lettere di Pace. L’idea di scrivere lettere ai politici e ai potenti della Terra è stata accolta con entusiasmo dagli studenti; le scrivanie di importanti presidenti di organismi Internazionali, nazionali ed europei sono state inondate dalle lettere, con osservazioni e proposte su come si possa raggiungere la Pace nel mondo. Utilizzando la scrittura collettiva, le classi hanno scritto ai politici che amministrano il loro territorio e ad importanti esponenti della politica nazionale e internazionale. Sono state spedite lettere anche al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a Sua Santità Papa Leone XIV. Per questo gli organizzatori pensano di chiedere loro di ricevere gli allievi. Il Presidente della CEI, Cardinale Matteo Zuppi, ha incoraggiato i promotori a proseguire su questa strada, per garantire il diritto di bambini e ragazzi ad esprimersi sulla Pace e la Guerra e su tutte le questioni che li riguardano. Con questa iniziativa possono farlo! Nell’invito alle classi a partecipare si legge: “Fermare le guerre non è facile ma abbiamo la possibilità di far sentire la nostra voce; la pace si comincia a costruire a scuola imparando ad ascoltare, a parlarsi e a risolvere i piccoli conflitti rispettando l’altro. Se in molti spedirete le lettere, se i giornali e le TV ne parleranno, allora i politici potranno capire che il futuro che immaginano i bambini e le bambine del mondo si chiama: Pace.” Nonostante la nascita dell’Unione Europea e dell’Onu, quali strumenti di Pace, viviamo una realtà sconvolta da guerre, che troncano la speranza di vita e i sogni di tante persone e dove parlare di disarmo sembra un’utopia. Per questo diviene centrale il compito delle scuole di Educare alla Pace, alle relazioni nonviolente, improntate alla ricerca della giustizia. Attraverso la didattica democratica e cooperativa, nelle classi si discute, ci si confronta, si analizzano e approfondiscono questioni di vita vera, a cui ciascuno può contribuire con passione ed entusiasmo. Vista la grande partecipazione, l’iniziativa viene prorogata sino al termine dell’anno scolastico. Le classi potranno comunicare ancora la propria adesione scrivendo e inviando poi copia delle lettere spedite a: educationpaix@mce-fimem.it I materiali di supporto alle attività didattiche si trovano nell’area dedicata del sito www.mce-fimem.it . Nel prossimo futuro continuerà anche il progetto nazionale ed internazionale “Facciamo la pace a…” , con il quale bambini/e e ragazzi/e sono invitati a costruire la pace ove vivono; a casa, a scuola, con gli amici, attraverso la gestione nonviolenta dei contrasti, dei piccoli conflitti, per iniziare a contribuire alla costruzione nonviolenta di un mondo più equo e più giusto. Gruppo Nazionale di Ricerca Educazione alla Pace e alla Nonviolenza del Movimento di Cooperazione Educativa Redazione Italia
La morbida durezza del tatami. Come affrontare la differenza della disabilità
Quando il tatami diventa un luogo di cura, crescita e inclusione per bambini e adolescenti Oggi utilizziamo la giornata internazionale delle persone con disabilità per parlare di un’iniziativa che riflette molto bene l’attività quotidiana del lavoro sul territorio campano, un fare costante e continuo che avvicina la fragilità e le neurodivergenze. In particolare, ci riferiamo al progetto Katautism appena partito all’interno dell’Istituto Comprensivo “De Amicis” a Succivo. Il paese campano accoglie la proposta della Federazione Nazionale Fijlkam (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) e osa un percorso innovativo e sperimentale avvalendosi di interventi psicologici specialistici: la disciplina judoka offre, quindi, alla comunità l’arte di alimentare, all’interno dell’individuo, una mentalità solidale e attenta al senso dell’essere giusti e del diritto alla libera scelta, tenta lo sviluppo della capacità di simbolizzare psichicamente la pratica dello stare in relazione con l’altro, creando, gradualmente e attraverso la guida dei maestri, un cambiamento nell’individuo e nel suo mondo interno, una trasformazione nel suo sé che, ad un certo livello, può definirsi profonda e strutturale. Il judo, in questo senso, ha molti punti in comune con la cura psicologica. La lotta sul tatami, tappeto da combattimento utile come superficie sicura per l’allenamento e le competizioni, è la conquista di un’esperienza di fiducia e di incontro con l’altro e insegna che imparare a cadere può diventare un vissuto di valore. La caduta, cioè, viene colta nel suo significato intrinseco dell’imparare-a-cadere-per-rialzarsi e, in tal senso, l’arte marziale del judo esprime la capacità di sollevarsi dalla caduta attraverso lo sguardo dell’altro avversario che tiene vivo l’atleta messo al tappeto condividendo con lui il vissuto di impotenza, in questo modo lo aiuta in un momento di sconcerto e fragilità. Potremmo pensare che il tatami, come base sufficientemente morbida su cui cadere, esprime la forza, il coraggio e il senso del giusto, insomma, con il judo c’è la possibilità di vivere un’esperienza di morbida durezza, ossimoro che ci porta ad immaginare il rapporto stretto che questa disciplina ha con l’essere umano e la sua comunità. Soprattutto, il progetto mette in evidenza molto bene la forte relazione tra l’Arte Marziale, la Psicologia e la Politica come rete necessaria affinché si possa creare un ambiente stabile, solido e affidabile, fonte di sviluppo e vera crescita nei bambini e negli adolescenti. L’obiettivo è di poter pensare, dentro un microcosmo qual è la scuola, ad esempio il dojo, luogo della “pratica marziale” come crescita e miglioramento personale, una modalità nuova di stare in relazione con l’altro e fare in modo che l’individuo possa esprimere le regole valoriali, apprese nella tecnica judoka, all’interno della società e dell’ambiente in cui vive. Lo scopo più lungimirante è provare a sviluppare, in ciascuno, il senso della cura per l’altro e, contemporaneamente, per sé. Manifestare, insomma, la necessità di proteggere i diritti dei più deboli e sentirne l’impegno e il dovere, e costruire una comunità in cui la vera forza è sentirsi meno spaventati ed esprimere, perciò, la libertà delle differenze nella loro molteplicità. Il progetto ricorda, e sottolinea, che il divertimento e il piacere sono ingredienti fondanti per poter imparare a vivere e a lottare per la conquista del diritto dello stare insieme in pace che non è assenza di conflitti, ma, al contrario, è renderli vivi e animati. Antonella Musella
La vicenda di Maha, architetta di Gaza: una vittoria della stampa e del diritto umanitario
Abbiamo parlato diverse volte di studentesse e studenti a Gaza sotto le bombe e oggi sotto tende che spesso galleggiano per le bombe d’acqua che in questa stagione imperversano anche da quelle parti. Questa volta dobbiamo registrare un granello di positività in tanta distruzione scellerata che è riuscito ad inceppare il cinismo della macchina burocratica che gestisce gli ingressi nella “Fortezza-Europa”: parliamo della vicenda di Maha, architetta a Gaza che grazie alla mobilitazione di giornalisti, avvocati e solidali ha avuto la conclusione che tutti speravano. Maha ora è in Italia per usufruire legittimamente della borsa di studio IUPALS presso Università degli Studi Roma TRE, in compagnia del figlio che in un primo momento, per le pastoie burocratiche che non hanno né occhi né cuore, sarebbe dovuto rimanere in Palestina col padre. La Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) il 7 maggio 2025 dà notizia sul suo sito del progetto di borse di studio IUPALS destinate espressamente a studenti e studentesse palestinesi, elencando tutte le paradossali peripezie da seguire per ottenerle e il 27 ottobre, vista la situazione di 10 su 150  che esprimevano la volontà di non lasciare all’inferno i loro familiari, decide di ricorrere al burocratese per riaffermare che il cinismo non conosce eccezioni: (…) si ricorda che il Progetto IUPALS, per cui è attivata l’evacuazione da Gaza con l’assistenza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, prevede esclusivamente borse di studio deliberate e gestite dagli atenei aderenti e non si occupa di ricongiungimenti familiari. Come segnalato dalle autorità competenti, gli interessati potranno attivare le richieste di ricongiungimento familiare una volta regolarizzata la propria posizione in Italia con permesso di soggiorno e presentando domanda presso le Prefetture del luogo di residenza (…). Per un governo che appoggia da sempre il governo sionista di Tel Aviv sia politicamente – anche attraverso “minacce di legge” come il DDL Gasparri che di fatto equipara l’antisionismo e la critica ad Israele all’antisemitismo o l’assenza assoluta di sanzioni – che sul piano commerciale, il via libera al visto congiunto madre-figlio appare il minimo sindacale. Trascriviamo qui l’ultima lettera da cui traspare, al tempo stesso, la gioia infinita di stare col proprio figlio al sicuro e l’angoscia per il marito che rimane in quella prigione a cielo aperto e ora rasa al suolo che è Gaza: Si può dire che dopo più di un mese dalla prima telefonata dell’ambasciata, in cui mi è stato comunicato che mi sarebbe stato permesso di viaggiare da sola, senza mio figlio, mi sono rifiutata di accettare questa situazione. Sapevo di avere pieno diritto alla borsa di studio che mi ero guadagnato con grande impegno, frutto di molti anni di studio, lavoro e risultati continui. Così ho contattato l’ambasciata, diversi avvocati e numerosi giornalisti che lavorano per diversi media. È stato solo un mese, ma mi è sembrato un anno: ogni giorno era una battaglia, una vera e propria guerra all’interno di Gaza e una seconda guerra con il mondo esterno per sostenermi. Diversi avvocati e giornalisti, e anche l’università, hanno gentilmente creduto nel mio caso e mi hanno sostenuta. Senza la loro fiducia, non sarei arrivata a questo punto. Mi hanno fornito consulenza legale, supporto tecnico e mi hanno aiutata a diffondere i miei articoli al più ampio pubblico possibile. Tutti questi sforzi hanno portato l’ambasciata italiana ad accettare la mia richiesta di viaggiare con mio figlio. Sono stata informata dell’approvazione solo pochi giorni prima del viaggio e il volo è stato confermato solo 36 ore prima. Gli ultimi giorni mi sono sembrati un sogno. Sono molto felice di questo risultato, ma la mia felicità è mista a preoccupazione, perché gran parte della mia famiglia è ancora a Gaza, in particolare il mio amato marito, che mi ha sostenuto in ogni momento. Ora sono qui e spero che anche lui arrivi presto, così potremo essere di nuovo insieme come una famiglia completa, senza paura né ansia.       Stefano Bertoldi
Riflessione sul patto di fiducia tra Stato e cittadini, a partire da una triste sentenza
Pubblichiamo di seguito la riflessione che la giurista Rosanna Pierleoni ha scritto per Pressenza Italia come commento alla vicenda della famiglia anglo-australiana che vive nel bosco in Abruzzo. Un riflessione intrisa di umanesimo che fornisce un parere critico ed esplicativo da parte di una persona competente in materia. Di pochi giorni fa l’ordinanza del Tribunale per i minorenni dell’Aquila che sta portando sul fronte popolare tanto malcontento e che sta avviando, forse per la prima volta, una dolorosa ma inevitabile riflessione sull’articolato sistema che regola la sottrazione di minori nel nostro Paese. Credo sia importante lasciare che questo tema abbia dignità di tema pubblico, perché si tratta di prassi che toccano il rapporto di potere tra Stato e cittadini, e delineano i confini della potestà sui minori: magistratura e assistenti sociali da un lato, le famiglie dall’altro. È altresì importante, a mio avviso, che il tema venga trattato nel rispetto delle parti, delle visioni, e della immane sofferenza dei bambini e delle famiglie coinvolte, che sono all’incirca 35.000 ogni anno, cifre in aumento ogni anno. Il discorso nasce con quella che viene definita a livello mediatico “la famiglia nel bosco”, una famiglia che ha scelto di vivere nella casa di proprietà, nel verde, a 10 km dal centro abitato a Palmoli, in Abruzzo, e di garantirsi sostentamento in modo autonomo. La miccia che ha innescato un discorso controverso e appassionato nel nostro Paese, forse perché ogni rimosso cerca prima o poi l’espediente per uscire fuori. E questa è una ferita del nostro apparato giuridico e democratico troppo grave perché noi si possa continuare a tenerla nascosta o quale unico appannaggio di qualche associazione e qualche – poco partecipata – manifestazione dei parenti dei bambini. È giunto il momento che società civile e istituzioni si facciano carico di questo peso e diano qualche risposta concreta. Alle tante critiche mosse a coloro che prendono le parti della famiglia ricordo che il buon cittadino è colui che si impegna, si interessa alle cose della 𝑝𝑜𝑙𝑖𝑠, chiede conto, perché tirerà fuori la parte migliore di chi lo governa, che è un uomo come noi e – in quanto tale – è soggetto ai richiami più limpidi e a quelli più oscuri della mente. Un atteggiamento servile, pigro, fanatico, stimolerà sempre il volto peggiore del potere. Dunque, a mio avviso, non bisogna temere di esprimere il proprio giudizio. Inoltre, è verissimo che gli organi di magistratura devono essere liberi nel loro operato, ma allo stesso tempo il nostro sistema tollera molto bene la critica pubblica, no? Facciamone buon uso, senza mai trascendere in comportamenti violenti e persecutori verso i singoli. I fatti: la famiglia ha uno stile di vita che si discosta dalla media per una scelta personale, coerente e ragionata, nonché condivisa dai due genitori. Ha elettricità tramite fotovoltaico, usa la rete per videochiamare i parenti e per lavoro o per guardare qualche documentario, ha il riscaldamento tramite camino e stufa termica (essendo soli 40 mq c’è una temperatura media molto alta in inverno, sui 21/22 gradi), ha un bagno a secco esterno, ha una casa che a detta dei giornalisti con cui ho parlato personalmente e dei vicini è dignitosa e ben tenuta. I bambini conoscono due lingue e hanno molte competenze pratiche, dal cucito, alla cura dell’orto, dal riuso di materiali, alla costruzione di piccoli oggetti; consumano cibo dell’orto autoprodotto e altro cibo reperito una volta a settimana in città. I bambini sono abituati a partecipare attivamente al benessere e alle incombenze familiari. Fanno equitazione con il cavallo di famiglia, sotto la guida della madre che è istruttrice di equitazione. Hanno rapporti quotidiani con altri animali. Sono curati da medici di fiducia; sono sani. Sono seguiti con istruzione domiciliare. Intrattengono relazioni costanti con persone del vicinato, adulti e bambini. Vanno in biblioteca spesso. Viene loro letta una fiaba ogni sera nel letto. Nel provvedimento si parla – solo in riferimento alla bimba di 8 anni, dacché i gemelli ne hanno ancora sei – di un ritardo nel far pervenire alla scuola statale l’attestazione dell’istruzione impartita: una falla burocratica dunque, rientrata presto. Tutto qua. Secondo il Ministero dell’Istruzione e del Merito, risulta regolarmente espletato l’obbligo scolastico (ANSA, 24 novembre 2025). Interroga come una faccenda risolvibile con poco approfondimento sia stata inserita quale motivazione nell’ordinanza di allontanamento. Si parla poi di condizioni abitative non idonee in quanto l’abitazione non avrebbe i requisiti di agibilità e non rispetterebbe la normativa antisismica. Anche se la documentazione del geometra e dell’ingegnere che attestano l’assenza di lesioni strutturali non fosse considerata valida, questa mi sembra una motivazione non sufficiente se prendiamo in esame le condizioni edilizie e antisismiche di oltre metà degli istituti scolastici italiani (con bambini rimasti seppelliti sotto le macerie mentre erano tra i banchi di scuola), ma anche di alloggi per gli studenti universitari, case popolari, case private abusive, soluzioni abitative precarie assegnate dopo calamità varie. Basti poi pensare agli scandali legati agli abusi o a mancate regolarità di tipo edilizio da cui sono scaturiti danno e morte, come ad esempio nel famoso caso di Rigopiano o della Casa dello Studente a L’Aquila, solo per restare in Abruzzo. Affinché i cittadini non vivano questa motivazione come faziosa e la sentenza in modo persecutorio è importante limare il divario tra quanto si esige dai cittadini e quanto le istituzioni fanno a loro volta. Nella sentenza si propone poi una dottrina pedagogica secondo cui i bambini versavano in condizioni di isolamento e su come questo li avrebbe esposti tra qualche anno a rischi relazionali seri, facendo loro maturare condotte aggressive, tra cui il bullismo. Si fa coincidere il bisogno di socialità unicamente con la frequenza scolastica, nonostante il nostro ordinamento preveda l’istruzione parentale, considerandola dunque adeguata. Inoltre si prendono in esame non dei danni certi e attuali, ma dei danni prevedibili e futuri. Si ipotizza, rendendo questa ipotesi una certezza, che questi bambini matureranno condotte aggressive. Nella mia esperienza come mediatrice familiare nelle scuole ho potuto vedere come i casi di bullismo siano in continua crescita. Dobbiamo dunque considerare che il modello educativo dominante, condiviso dalla maggior parte degli italiani, non sia molto migliore in tal senso. Sottrarremo allora i bambini anche a tutti quei nuclei familiari che hanno ragazzi con problemi di bullismo, e a tutti coloro i cui figli trascorrono molte ore chiusi in casa davanti a internet? Ricordiamo che la sindrome da ritiro sociale “hikikomori” è in continuo aumento nella nostra società. Se questo non accade dobbiamo ritenere che la dottrina pedagogica a fondamento dell’ordinanza sia ideologicamente orientata: essa ritiene un sistema educativo idoneo, anche se causa ritiro sociale e violenza, e l’altro non idoneo, nonostante non ci siano prove attuali che dimostrino la sua idoneità a creare simili condotte. Ma anche se questo rischio di socialità ridotta fosse reale, non si può in alcun modo immaginare di intervenire allontanando forzatamente il minore dal proprio nucleo familiare, impedendo il rapporto con il padre e una relazione normale e libera con la madre, che ricordiamo si trova nella medesima struttura impossibilitata a vederli liberamente: quella con i genitori è la relazione primaria per sperimentare l’alterità. In alcun modo la frequentazione dei propri pari può essere considerata in alternativa al rapporto con i genitori, da cui i figli, soprattutto nei primi anni di vita, traggono sicurezza, protezione, senso di appartenenza, riconoscimento. Nella sentenza si parla poi di come questi bambini abbiano un ritardo rispetto ai bambini della loro età. Viene introdotto un concetto di “metro”: qual è insomma il metro di questo paragone se noi abbiamo bambini, e persino adulti, che non conoscono affatto la propria lingua, che sono abituati a ripetere slogan anziché chiedersi il perché delle cose, che hanno perso ogni forma di sapere, mestiere, conoscenza, sia di tipo letterario artistico che di tipo manuale? L’ordinanza spiega anche che la decisione sia maturata perché la famiglia avrebbe danneggiato i bambini esponendoli a livello mediatico nel programma “Le Iene”. Si fa qui riferimento a delle normative internazionali che prevedono la tutela della privacy. Stupisce un uso così improprio delle fonti indicate: queste norme tutelano da violazioni della privacy compiute da terzi che siano in conflitto di interessi con gli interessati. Vi si potrebbe ricorrere, quindi, per proteggere e risarcire la famiglia dalla vergognosa esposizione mediatica del loro caso, ma su questo mi sembra che ben poco sia stato fatto. La famiglia aveva un atteggiamento piuttosto riservato, non essendo nemmeno presente sui social: dobbiamo presumere abbiamo partecipato alla trasmissione per avere quell’ascolto che dalle istituzioni non riuscivano ad avere, per dimostrare agli italiani di essere in grado di curare i loro figli, perché avevano il terrore di perderli. Ma in alcun modo possiamo immaginare che volessero danneggiare i propri figli, come emerge dall’ordinanza. Che dire allora di tutti quei genitori che fanno uso intensivo dei social, condividendo foto e spezzoni della vita dei propri figli, e ancor di più di coloro che traggono da questa attività seguiti professionali, vendite, introiti di diverso genere? Si tratta di famiglie di “influencer” sotto gli occhi di tutti, a cui non risulta siano mai stati sottratti i figli. A questi si aggiungono tutti quei minori che aprono illegalmente account e ne fanno un uso quanto meno improprio, evidentemente senza adeguato controllo dei genitori. Vi chiedo: che ruolo dà la nostra società alla diversità, non a parole, nei fatti? Simili condotte mediatiche e giudiziarie sono pericolosamente prossime alla vera e propria persecuzione delle minoranze. Questi provvedimenti sembrano fare continuo riferimento a un concetto di “norma”, che come sappiamo nelle varie epoche ha sempre generato violenza e oscenità. Quali sono il ruolo del diritto e della psicologia nel farci comprendere un simile concetto, in che modo possono aiutarci a non farcene schiacciare? Urge una riforma urgente e radicale dell’intero sistema di sottrazione di minore in Italia. I casi di allontanamento devono essere di extrema ratio perché nessuna casa famiglia né famiglia affidataria potrà mai garantire quel senso di appartenenza che il bambino sperimenta con le proprie radici. Il legame con i genitori va preservato ad ogni costo, fatti salvi casi estremi di violenza non risolvibili e non gestibili altrimenti ove non vi sia neppure l’aiuto di altri familiari. In tutti gli altri casi, nonostante il rilievo di alcune criticità, lo Stato deve aiutare in ogni modo il nucleo familiare a farcela in autonomia. Inoltre, le decisioni di allontanamento devono essere riviste ciclicamente e in tempi brevi e mai si dovrebbe venire a sapere di genitori che per anni non riescono più ad avere un contatto che sia uno con i loro figli o che non sappiano neppure dove siano stati destinati. Sono certa che qualora le istituzioni iniziassero un cammino di risanamento di questo strappo, istituendo commissioni esterne e professionisti indipendenti; qualora facessero marcia indietro su alcune valutazioni parziali o superficiali, e attribuissero le responsabilità laddove rinvenute, il patto di fiducia tra Stato e cittadini tornerà a saldarsi e il malcontento popolare scemerà automaticamente e i cittadini acquisiranno nuova fiducia per digerire quei casi comunque dolorosi, ma residuali, di allontanamento. Qualora questo non accadesse il patto di fiducia già gravemente compromesso non potrà che spezzarsi una volta per tutte. Nonostante tutto, ho fiducia.   ROSANNA PIERLEONI Rosanna Pierleoni nasce nel 1984 ad Avezzano. Dopo il liceo classico, consegue la laurea magistrale in giurisprudenza all’Università Tor Vergata di Roma. Completa poi tre master interdisciplinari che le forniscono competenze psico-educative e giuridiche nell’ambito dei minori e della famiglia, con abilitazione alla mediazione familiare e alla consulenza specialistica. È autrice di un saggio sull’adozione internazionale e di diversi romanzi.   Redazione Italia
Udine, mezzi militari NATO in un istituto comprensivo: annunciata interrogazione parlamentare
Pubblichiamo la segnalazione e la nota critica con la quale AVS stigmatizza, annunciando un’interrogazione parlamentare, la partecipazione di alunni e alunne di un istituto comprensivo di Udine ad una iniziativa con i militari della NATO. Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università condividiamo la preoccupazione e denunciamo la gravità dell’ingresso all’interno di una istituzione scolastica di mezzi militari, come annuncia la nota della Dirigente scolastica. Il processo di militarizzazione, dopo la discussione sul ripristino della leva, è ormai dilagante in tutta Europa e parte dalle nostre scuole, dalla normalizzazione della guerra, della violenza e della diffusione della cultura della difesa e della sicurezza. Ieri, con circolare 145, la dirigente dell’Istituto comprensivo V di Udine, annuncia “che in data 2 dicembre 2025 alcuni docenti della Scuola Secondaria di primo Grado ‘G. Ellero’ saranno interessati quali partecipanti nella simulazione di interazione tra contesto scolastico e coloro che operano in difesa dei civili in teatro estero per condurre operazioni nel settore della cooperazione civile-militare a supporto dei contingenti della NATO”. Inoltre, si legge sempre nella circolare, il “CIMIC Group sarà presente con due automezzi all’interno del cortile”. Da quanto ci è stato riferito da alcuni insegnanti, non ci risulta che il Consiglio d’Istituto sia stato informato e abbia deliberato in merito. Esprimiamo tutta la nostra contrarietà a questa simulazione a supporto dei contingenti NATO, con tanto di automezzi militari all’interno del cortile della scuola. Ci opponiamo alla corsa al riarmo e alla militarizzazione della società e ora pure della scuola. Annunciamo due interrogazioni: una alla Camera dei Deputati, che verrà presentata dall’on. Marco Grimaldi (AVS), e una in Consiglio regionale. La scuola sia il luogo della formazione civile dei ragazzi e delle ragazze e portatrice dei valori della pace, non dell’ideologia della guerra. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Dinknesh, una storia etiope
Ieri mi è arrivato un pacchetto a casa: conteneva “Dinknesh, una storia etiope”, un libro scritto da Carlo Presciuttini, un carissimo amico che per le nostre storie personali considero come un fratello maggiore. Carlo infatti ha 70 anni ed è nato nel 1955, esattamente 10 anni più di me e come me ha fatto il servizio civile e l’insegnante. Certo quando lui fece obiezione di coscienza al servizio militare non erano molti a fare questa scelta. Bisognava sottoporsi al giudizio di una commissione esaminatrice, che aveva il compito di verificare l’autenticità della propria dichiarazione di contrarietà all’uso individuale e collettivo delle armi, ovviamente partendo dal presupposto che essere invece favorevoli all’uso delle armi sia la normalità che non ha bisogno di essere indagata e sottoposta a giudizio.  Inoltre, con una forma punitiva abrogata molti anni più tardi dalla Corte Costituzionale, vi era l’obbligo di prestare un Servizio Civile alternativo a quello militare di 20 mesi invece di 12. Carlo svolse quindi il suo servizio civile a Roma, tra la fine del 1977 e la metà del 1979, con il Movimento Internazionale per la Riconciliazione e aderì alla Lega Obiettori di Coscienza.  Si occupò in particolare della produzione e del commercio delle armi, che già allora l’Italia forniva con disinvoltura a feroci dittature e a Paesi in guerra, talvolta, con una buona dose di cinismo, addirittura ad entrambe le parti contrapposte (all’Iran e all’Iraq giusto per fare un esempio).  Carlo si occupava soprattutto allo studio di progetti di fattibilità finalizzati alla riconversione della produzione industriale, dal settore bellico a quello civile, collaborando con la Federazione Lavoratori Metalmeccanici, potente organizzazione sindacale che allora univa gli operai e gli impiegati metallurgici di Cgil, Cisl e Uil. Il principale interlocutore era il sindacalista Alberto Tridente, che in seguito sarebbe diventato europarlamentare per Democrazia Proletaria, partito della nuova sinistra rosso-verde affine alle opinioni politiche di Carlo e alle mie. Tra la fine del 1979 fino al termine del 1980, Carlo venne assunto come responsabile del Centro di Formazione di Trappeto da Danilo Dolci, uno dei maestri del pensiero nonviolento, che fondò e fu per molti anni responsabile del Centro Studi e Iniziative di Partinico; le due località si trovano a pochi chilometri di distanza in provincia di Palermo. I principali interlocutori di Carlo furono la Chiesa Valdese, le scuole elementari e medie del territorio e le realtà politiche e sindacali più sensibili ai temi del disarmo e della difesa dell’ambiente. Carlo seguì inoltre con interesse l’avviarsi dell’esperienza della scuola comunitaria di Mirto, fortemente voluta da Danilo Dolci. Rientrato a Roma fu tra i promotori di Archivio Disarmo, esperienza nata nel 1982 su sollecitazione del senatore Anderlini della Sinistra indipendente (composta da intellettuali eletti come indipendenti nelle liste del Partito Comunista Italiano). I primi anni Ottanta del secolo scorso (nonostante il crescente riflusso politico successivo al lungo Sessantotto italiano, che percorre tutti gli anni Settanta, fino alla sconfitta degli operai della Fiat di Torino del 1980) furono gli anni di un vasto movimento pacifista italiano ed europeo contro l’istallazione dei missili dotati di testate nucleari Pershing e Cruise da parte della Nato e SS20 da parte dell’Unione Sovietica. Il dispiegamento degli euromissili, in un periodo di forte tensione tra la Nato ed il Patto di Varsavia, aumentava esponenzialmente i rischi di una guerra atomica combattuta sul teatro europeo. Soltanto l’avvento di Michail Gorbaciov come Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica portò a una politica di distensione e di disarmo, purtroppo abbandonata in questi ultimi anni, riesumando toni bellicisti finalizzati a far accettare le politiche di riarmo europeo a scapito della difesa delle conquiste dello stato sociale. Nel 1983 anche Carlo partecipò alle lotte per tentare di fermare la conversione dell’Aeroporto “Magliocco” di Comiso in una base militare statunitense dove posizionare i missili Cruise, che peraltro erano montati su veicoli in grado di disperderli nel territorio siciliano, come infatti accadeva durante le esercitazioni. In questa occasione tuttavia possiamo  registrare un vittoria postuma del movimento pacifista poiché l’Aeroporto di Comiso è ora civile e la base militare statunitense è stata smantellata. A quel tempo io e Carlo non ci conoscevamo, ma in qualche modo le nostre vite si intrecciarono: nel 1982 a Varese, mentre frequentavo l’istituto magistrale, ascoltai Danilo Dolci raccontare la storia delle lotte nonviolente in Sicilia, anch’io partecipai a Comiso al movimento pacifista e feci il Servizio Civile tra il 1984 e il 1985 per Pax Christi a Napoli, nel quartiere popolare Ina Casa di Secondigliano.  Infine collaborai a Roma con il Centro Interconfessionale per la Pace, diretto allora da Padre Gianni Novelli, che negli anni Settanta era stato giornalista della rivista COM/Nuovi Tempi (edita dalle Comunità Cristiane di Base e dai Valdesi). Successivamente, nel 1984, Carlo vinse il concorso come insegnante di Italiano, Storia, Geografia ed Educazione Civica di Scuola Media, diventò quindi Preside nel 1993 e, dopo un incarico presso il Ministero degli Affari Esteri alla Farnesina, andò a lavorare, a partire dal 2002, ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia come Direttore della Scuola Italiana. La Scuola Italiana di Addis Abeba è tuttora una delle numerose istituzioni scolastiche statali che operano all’estero per i dipendenti delle ambasciate e per i figli degli italiani che vogliono mantenere un più stretto contatto con la madrepatria. La Scuola Elementare e la Scuola Media di Addis Abeba avevano tuttavia la caratteristica di essere frequentate da un buon numero di bambine e bambini etiopi. Durante questa sua esperienza Carlo fece il possibile e l’impossibile per favorire l’inserimento di questi alunni etiopi e soprattutto per impedirne l’allontanamento per cause economiche, arrivando a pagare di tasca propria la retta alle famiglie più povere, con le quali strinse rapporti di sincera ed intensa amicizia. A circa 1 km dall'Università statale di Addis Abeba: moschea in costruzione (nel 2015). Sui lati sinistro e destro del corso d'acqua (maleodorante) vi sono abitazioni simili a quella di Shiromeda, dove Dinknesh, la protagonista del racconto e narratrice, ha vissuto per diversi anni. Foto di Carlo Presciuttini Un mercato etiope molto distante da Addis Abeba (2011), Foto Carlo Presciuttini Addis Abeba - Palazzina primo Novecento in legno e muratura nei pressi della scuola statale italiana. In basso: vecchie Lada (Fiat 124 prodotte in Russia) adibite a taxi. Foto Carlo Presciuttini Donne manovali in zona agricola. Foto di Carlo Presciuttini. Addis Abeba, Shiromeda, verso la chiesa, di domenica. Foto di Carlo Presciuttini Rientrato quindi a Roma nel 2010, sempre come Dirigente Scolastico, negli ultimi tre anni del suo lavoro approdò  alla mia scuola di allora, la Lola di Stefano, dell’Istituto Comprensivo Crivelli a Monteverde Nuovo. Io ero stato eletto come RSU della FLC CGIL, condividevamo principi di massima trasparenza ed equità nell’assegnazione del Fondo di Istituto (spesso invece utilizzato con grande disinvoltura a beneficio della ristretta corte di zelanti e fedeli collaboratori di Dirigenti Scolastici autoritari). Soprattutto ricordo l’impegno di Carlo (mio e di alcune altre insegnanti) per favorire l’inserimento nella nostra scuola delle bambine e dei bambini rom di origine rumena e bosniaca del Campo di Via Candoni, peraltro assai distante dalla nostra scuola, come atto di solidarietà nei confronti delle scuole più limitrofe (come quella in cui insegno attualmente al Trullo) che non potevano assumersi da sole questo compito gravoso ma fondamentale. Ricordo una visita che facemmo io e Carlo al campo di via Candoni per incontrare le famiglie di alcuni nostri alunni: non è facile trovare dirigenti scolastici così aperti e disponibili. Dopo essere andato in pensione nel 2016, Carlo è tornato per un anno nella sua amata Etiopia. Da anni divorziato e padre di tre figli ormai grandi (curiosamente due dei suoi quattro figli hanno lo stesso nome di due dei miei quattro figli: Irene e Francesco), si sposò con Alem, una donna etiope, anzi più precisamente tigrina, ma per ragioni di salute della moglie che necessita di cure specialistiche, è rientrato in Italia e vive ora a Terni, con la moglie e la sua quarta figlia Betty (a questo punto, per non farle un torto scrivo che l’altra figlia si chiama Chiara).  Betty frequenta l’Università di Terni, dove ha ritrovato due studentesse etiopi della Scuola Italia, e dove collabora in particolare, come sempre con paziente spirito unitario, con i giovani di Potere al Popolo. Nel suo libro, con grande affetto Carlo mi ringrazia di averlo spinto a scrivere la sua straordinaria storia di educatore, militante nonviolento e dirigente di un’istituzione scolastica della Repubblica Italiana fedele ai valori della Costituzione più che ai desiderata dei vari governi. Una persona estremamente gentile e pacata nei modi, capace di dialogo, ma al tempo stesso di idee radicali. Un uomo sensibile e capace di empatia, di ascolto e di condivisione con le famiglie povere ed emarginate della capitale etiope per aiutarle a dare un futuro alle loro bambine ed ai loro bambini. . Dal fiume al villaggio, portatrici d’acqua, Foto Carlo Presciuttini Il suo libro è sicuramente uno strumento utilissimo per avvicinarsi alla cultura e alla vita quotidiana di un popolo, quello etiope, verso il quale peraltro l’Italia ha un debito storico per gli efferati crimini contro l’umanità commessi durante l’occupazione fascista. Soprattutto ci aiuta a capire perché molte donne e uomini rischiano di essere imprigionate, torturate e violentate e sfidano la morte attraversando il deserto ed il Mar Mediterraneo per sfuggire alla guerra e alla fame, pur restando intimamente legate alla propria terra e alla propria cultura. Buona lettura dunque. Dalla prefazione: Una giovane donna etiope racconta la propria vita e quella della sua famiglia a un amico italiano, dando voce a chi solitamente è costretto al silenzio. Emergono scene di un’infanzia difficile, lotte quotidiane per sopravvivere, speranze riposte nel futuro dei figli. E’ un racconto di precarietà endemica, ma anche di coraggio, solidarietà familiare e dignità. E’ il ritratto di un popolo che resiste e sogna, che non teme di guardarsi in uno specchio ove anche noi, lettori d’Occidente, possiamo osservarci, accorgendoci dell’indifferenza e superficialità che dimostriamo nel giudicare chi vive ai margini senza conoscerne la storia. “Laddove è sofferenza, non voltiamoci dall’altra parte: ciascuno di noi ha momenti difficili da affrontare e necessita del conforto di una persona amica.” Carlo Presciuttini Il libro può essere acquistato contattando ILMIOLIBRO seguendo questo link: > Dinknesh, una storia etiope Etiopia villaggio rurale. Foto di Carlo Presciuttini Capanna Barche di pescatori a Wenchi (2004), Foto ddi Carlo Presciuttini Chiesa Tewahedo (cristiano-ortodossa di rito etiope) a Wenchi. Foto di Carlo Presciuttini Mauro Carlo Zanella
Educare alle differenze: quattro proposte contro il Decreto Valditara sull’educazione socio-affettiva
Il 10 novembre si è svolta una grande assemblea online, promossa da Educare alle differenze, per  approfondire il DDL 2423 – “Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico”, il provvedimento voluto da Valditara che mira a vietare l’educazione sessuo-affettiva nella scuola dell’infanzia e primaria e a subordinarla al consenso dei genitori per la scuola secondaria di I e II grado. Si sono succeduti tanti interventi sottolineando la gravità della legge che colpisce i diritti di intere generazioni, la libertà d’insegnamento e l’autonomia scolastica. La scuola è e deve restare uno spazio aperto, libero, capace di educare alla libertà, alle relazioni, al consenso, un luogo che protegge, che previene, che dà strumenti e che non può essere trasformato in un campo di battaglia ideologico. Il messaggio che è uscito dall’assemblea è netto e chiaro: non arretriamo, anzi vogliamo andare avanti. Per questo abbiamo immaginato 4 azioni da realizzare insieme ora, che l’iter del provvedimento è momentaneamente fermo. Infatti, dopo l’arrivo alla Camera per la discussione, il DDL ha scatenato forti e plurali manifestazioni pubbliche di dissenso e una crescente agitazione nel mondo studentesco. Polemiche alimentate anche in Parlamento dalla difesa contraddittoria e provocatoria del ministro. Di fronte a questa pressione, la discussione è stata sospesa: il provvedimento tornerà alla Camera a dicembre. È una tregua solo temporanea. E questo tempo ci può essere utile a prepararci per organizzare una risposta collettiva, per costruire reti territoriali e momenti di mobilitazione. Durante il confronto sono emerse alcune proposte che abbiamo reso in questi giorni strumenti concreti di opposizione al DDL. * Un appello nazionale contro il DDL: un testo pubblico, da firmare come insegnanti, associazioni, enti, gruppi informali e realtà educative di qualsiasi tipo, per esprimer in modo corale la contrarietà delle comunità educanti al DDL 2423. Un appello aperto e condivisibile ovunque: nelle scuole, nei territori, nelle reti civiche. Uno strumento semplice ma potente, capace di mostrare quanto sia vasta, plurale e competente la parte di Paese che rifiuta censure e divieti, e che rivendica il diritto a un’educazione sessuo-affettiva scientificamente autorevole, libera, in ogni ordine scolastico. FIRMA L’APPELLO * * Un ordine del giorno da portare nei Consigli Comunali: un testo pensato per difendere un’educazione sessuo-affettiva scientificamente fondata, libera da censure e condizionamenti ideologici, capace di accompagnare tutto l’arco formativo. È uno strumento politico e simbolico insieme: permette di rendere visibile il dissenso nei territori e di riportare, dentro i luoghi istituzionali, la voce delle comunità educanti e la loro capacità di autodeterminarsi. *  SCARICA ODG * * * La declinazione dei curricoli d’istituto: un impegno diretto delle scuole: utilizzare gli spazi già esistenti – pienamente legittimi – per costruire curricoli che mettano al centro la valorizzazione delle differenze, la prevenzione della violenza di genere e il contrasto alle discriminazioni fondate su genere, orientamenti, identità, provenienze, abilità. Un’azione educativa che rafforza la libertà d’insegnamento e permette di restare dentro il quadro normativo, senza arretrare di un millimetro sul piano dei contenuti. * * La partecipazione alle mobilitazioni locali e nazionali. L’assemblea ha ribadito che la prevenzione oggi più che mai è la priorità nella lotta ai femminicidi e alle violenze di genere. Per questo, nei prossimi giorni, sarà fondamentale essere presenti nelle piazze, nei consigli scolastici, nei tavoli territoriali e nelle reti civiche, per difendere una scuola pubblica laica, libera, plurale. Inoltre, Educare alle differenze, a livello nazionale così come nei territori, è disponibile a partecipare e sostenere iniziative politiche per il contrasto al DDL, per valorizzare le reti territoriali, mapparci e contarci e accrescere le forme di autotutela, come insegnanti e associazioni (scarica il nostro vademecum di autotutela) A dicembre, al ritorno alla Camera del DDL, ci arriveremo insieme, senza rinunciare a nulla, anzi con 4 passi avanti. Educare alle Differenze Olivier Turquet
La professione docente nella scuola di domani
Entro il 2035, il 60% delle competenze richieste ai docenti italiani sarà ridefinito dall’impatto dell’intelligenza artificiale (IA), della digitalizzazione e dall’evoluzione delle metodologie didattiche. Solo il 36% delle competenze rimarrà stabile. E’ quanto si legge nel nuovo studio “La professione docente nella scuola di domani”, realizzato da EY in collaborazione con Sanoma Italia. Una ricerca basata su strumenti di analisi predittiva, che analizza l’evoluzione delle competenze dei docenti per livello di istruzione e area disciplinare, anticipando trend futuri e rischi di obsolescenza. Lo studio evidenzia tre direttrici fondamentali che guideranno l’evoluzione delle competenze dei docenti nei prossimi dieci anni, in risposta a un contesto scolastico radicalmente trasformato. L’integrazione di agenti intelligenti e strumenti digitali avanzati permetterà di automatizzare attività standardizzate, pur mantenendo centrale il ruolo del docente nelle scelte pedagogiche e nel percorso educativo degli studenti. In parallelo, le competenze relazionali, adattive ed emotive diventeranno determinanti nell’esperienza didattica delle nuove generazioni, abituate alle interazioni digitali, ma bisognose di connessioni umane autentiche. Infine, la didattica si orienterà verso modelli personalizzati e data-driven, con l’uso di piattaforme interattive e strumenti di monitoraggio in tempo reale che richiederanno nuove abilità in ambito data literacy e progettazione digitale. Questo cambiamento si inserisce in un quadro in cui il divario tra competenze scolastiche degli studenti e richieste del mercato del lavoro ha raggiunto in Italia il 47%, superando la media OCSE del 40,9%, e rendendo fondamentale un ripensamento sistemico della formazione docente. La ricerca condotta evidenzia come l’evoluzione delle competenze dei docenti seguirà traiettorie differenti in funzione del grado scolastico e dell’area disciplinare. Nella scuola primaria, il modello stima che oltre il 40% delle competenze sarà ridefinito e questo a supporto delle competenze legate alla personalizzazione didattica e allo sviluppo personale. Tra le nuove abilità figurano l’uso di strumenti digitali interattivi, l’implementazione di attività didattiche cross‑modali [1]e di protocolli di inclusione digitale. Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, il docente manterrà un profilo più verticale, centrato su un nucleo di competenze legate al supporto emotivo e sociale degli studenti – infatti, secondo il modello, il 39% di queste competenze risulterà stabile. Nella scuola secondaria di I grado, invece, l’evoluzione si articolerà per area disciplinare. Nell’ambito scientifico, il 44% delle competenze subirà una trasformazione orientata alla tecnologizzazione e alla personalizzazione della didattica, mentre il 36% sarà rafforzato nella dimensione relazionale e formativa. Il 27% delle competenze sarà introdotto come nuovo requisito professionale, in integrazione con la funzione amministrativa, evidenziando un ampliamento del ruolo docente. Nell’area umanistica, la trasformazione sarà più accentuata: il 41% delle competenze relative al nucleo di comunicazione e insegnamenti evolverà verso la facilitazione espressiva e la personalizzazione, attraverso l’introduzione di strumenti per l’analisi semantica dei testi, assistenti virtuali alla scrittura e ambienti di confronto peer-to-peer. Nella scuola secondaria di II grado, l’area scientifica registrerà un’evoluzione del 42% delle competenze nell’ambito della personalizzazione, adattamento didattico, sostegno e supporto individualizzato. Nell’area umanistica, il 55% delle competenze evolverà e il 12% sarà esposto al rischio di sostituzione da parte dell’IA, soprattutto per attività come la generazione di contenuti e l’analisi semantica dei testi. Inoltre, il 38% delle competenze afferenti al nucleo “sostegno e supporto individualizzato” sarà rafforzato o ridefinito in chiave emotiva, con particolare attenzione alla mindfulness e alla resilienza relazionale. Infine, il ruolo dei docenti di sostegno evolverà verso una funzione di interfaccia tra studenti, tecnologie e famiglie. Entro il 2035, il 40% delle competenze sarà ridefinito, con un focus su adattamento della didattica, supporto emotivo e utilizzo di strumenti digitali per l’inclusione. Tra le competenze emergenti si segnalano la co-progettazione con chatbot [2] educativi, la gestione di ambienti digitali sicuri e la promozione della consapevolezza digitale. “Questi dati, si legge nelle conclusioni del rapporto, indicano la necessità di ripensare i programmi formativi per il personale scolastico non solo in funzione dell’aggiornamento tecnologico, ma come interventi di riconfigurazione professionale. I percorsi dovranno integrare tre linee d’azione: a. Formazione tecnica sull’uso consapevole e integrato dell’IA e dei sistemi digitali intelligenti, calibrata sui diversi gradi scolastici. b. Sviluppo delle competenze socio-emotive, narrative, relazionali, con un’attenzione alla dimensione etica, interculturale e inclusiva. c. Ristrutturazione dei modelli valutativi, didattici e organizzativi, con l’introduzione di strumenti automatizzati che liberino tempo per l’interazione pedagogica di qualità”. Qui per scaricare il report: https://www.ey.com/it_it/functional/forms/download/ey-sanoma-competenze-docenti [1] Cross modale” descrive la capacità del cervello di integrare stimoli sensoriali diversi. Per esempio, il cervello può combinare informazioni visive (un volto) e uditive (una voce) per identificare una singola persona. Questo processo, chiamato anche integrazione cross-modale, è fondamentale per la percezione unitaria del mondo. [2] Un chatbot è un programma informatico che simula una conversazione umana, utilizzando testo o voce per rispondere a domande, fornire informazioni o eseguire azioni. Giovanni Caprio