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Un ricordo di Pino Puglisi
Senza l’attivazione delle intelligenze dal basso, a mio avviso, non c’è speranza per dare senso alla “religiosità della vita”. Una “religiosità della vita” nel cui percorso c’è “la coscienza personale e c’è anche la coscienza collettiva”. La coscienza che, nella sua accezione, sta a significare la consapevolezza, la comprensione dei fatti nel territorio dove noi viviamo. Detto questo, per dare credito alle scelte sacrosante di Pino Puglisi e per non affogare il ricordo nei luoghi comuni della pura e semplice commemorazione, vorrei dare la mia testimonianza. Ho conosciuto Pino Puglisi al Liceo Vittorio Emanuele II di Palermo per l’intero anno scolastico 1992/1993. Ebbene, in quell’anno a mia memoria, non ho avuto il piacere di cogliere il suo sorriso così come emerge dalla foto che sta facendo il giro del mondo. Il mio ricordo di Pino Puglisi è legato alla convinzione di trovarmi dinanzi ad una personalità seria e riservata, non disgiunta da una autorità educativa che emergeva dai suoi brevi e profondi interventi che, nei vari consigli di classe, coincidevano solitamente con una lucida apertura aii problemi sociali, umani ed ambientali. Questa sua personalità mi incuriosì fin dai primi incontri, difatti tentai di interessarlo e coinvolgerlo in un mio progetto titolato: “Io non sapevo … La spettacolarizzazione della violenza”. (pubblicato nel 1993 con la Legge Regionale n.51 sull’antimafia). Un progetto che mirava a scoprire il senso delle scritte violente di cui erano pieni i muri dei gabinetti e i banchi, così come lo erano i muri adiacenti alla scuola e in tutta la città. Un progetto che, fra l’altro, si inseriva nelle attività curriculari proponendo anche l’attualizzazione del Novecento, stimolando le connessioni tra passato e presente e, precisamente, dalla Shoah a Via D’Amelio. Ma lui, con il garbo che lo distingueva, quando lo contattavo si allontanava dicendomi che aveva fretta di andare e che stava attraversando un periodo pieno di impegni. Fu dopo quel tragico giorno del 15 Settembre 1993 che cominciai a capire il suo atteggiamento. Capii che la sua premura era più che motivata. Capii che scappava verso Brancaccio, verso quel quartiere dove la mafia del luogo gli aveva tolto il sorriso e si preparava a togliere di mezzo un prete alquanto scomodo perché voleva, a tutti i costi, accendere una nuova luce proprio in quel quartiere dove il fare quotidiano dei bambini, e non solo, era carico di violenze materiali e spirituali. Capii che scappava verso gli abitanti di quel quartiere dominato dagli stessi mafiosi che avevano preparato l’esplosivo nel vile attentato contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Affinché questo giorno, così come ho già detto, non venga affogato tra i tanti luoghi comuni delle vuote commemorazioni, mi auguro che possa dar  seguito a molteplici iniziative per segnare finalmente un nuovo percorso di lunga lena anche nel nostro territorio. E chiudo questa mia breve testimonianza ricordando quello che un altro prete, Don Peppe Diana che fu ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 Marzo del 1994, soleva affermare:“A me non interessa sapere se Dio esiste. A me interessa sapere da che parte sta”. Con questa illuminante affermazione ci ha voluto dire che la “la giustizia terrena e la giustizia divina” non sono due giustizie separate: sono interconnesse. Don Peppe Diana ci invitava e ci invita a credere nella “religiosità della nostra vita” perché è questa che ci aiuterà a rompere i “recinti mentali”, quei recinti che tanto male hanno fatto e continuano a fare non solo nei quartieri cittadini ma anche nelle comunità di tutto il mondo, dove le violenze, le guerre e lo sfruttamento sono generate dal neo-capitalismo, dal neo-liberismo globalizzato e dalle privatizzazioni. Solo così saremo capaci di capire l’atto d’accusa di Papa Francesco contro il “colonialismo vecchio o nuovo che riduce i paesi poveri a meri fornitori di materie prime e di lavoro a basso costo. E nessun potere, di fatto o costituito,  ha il diritto di privare i paesi poveri della propria sovranità”. Solo così saremo capaci di capire le contraddizioni tirate fuori da questo papa – terreno – che, per difendere il creato, si unisce ai movimenti dal basso che, in ogni angolo del mondo, credono nella lotta per la pace, per il lavoro e per i Beni Comuni, compresa l’acqua e i relativi servizi idrici. Questo papa ha voluto mettere insieme cristianità e laicità, recuperando così l’alto significato di “religione”, una categoria che, nella sua più vera accezione, ci permette di “legare insieme le leggi terrene e le leggi cristiane”, i cui obiettivi coincidono non solo con i contenuti della nostra Carta Costituzionale, fondata sulla democrazia e sulla difesa dei diritti civili ed umani, ma coincidono anche con i contenuti evangelici, molto lontani dai crimini commessi dal vecchio potere cattolico di cui, ultimamente, la Chiesa ha dovuto giustamente chiedere scusa.   Pino Dicevi
La Statale di Milano per la Pace
Il Senato accademico dell’Università Statale di Milano ha approvato nella seduta di oggi, 16 settembre, all’unanimità, la mozione “sulle violazioni dei diritti umani nella Striscia di Gaza” Di seguito il testo del documento approvato. Di fronte al perdurare inaccettabile dell’azione militare di Israele nella Striscia di Gaza e in  particolare alla luce del piano di occupazione militare di Gaza City, l’Università degli Studi di  Milano si unisce agli atenei italiani e internazionali e alle rappresentanze della società civile in tutto  il  mondo, soprattutto tenendo conto della risoluzione dell’11 settembre 2025 del  Parlamento Europeo, nella denuncia delle gravi violazioni dei diritti umani fondamentali accertate  e continuamente reiterate nella Striscia, ivi compreso l’uso della fame nell’ambito di una quella che ormai si configura come una guerra di sterminio dalle conseguenze di portata catastrofica.  L’Università Statale di Milano ripudia l’uso della violenza in ogni sua forma. Nel riaffermare sdegno  e condanna per l’ingiustificabile attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, nel reiterare la  richiesta di liberazione di tutti gli ostaggi, fermo restando che ogni persona, popolo e Stato ha diritto  alla sicurezza, l’Ateneo ribadisce tuttavia con forza che l’autodifesa non può in alcun modo implicare  azioni di guerra indiscriminate, tali da giustificare, secondo autorevoli istituzioni come l’Alto  Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), Human Rights Watch, Amnesty  International e la Corte Internazionale di Giustizia, l’uso del termine genocidio. L’Ateneo condanna con determinazione ogni atto contrario al diritto internazionale, quali ad  esempio lo sfollamento forzato, la distruzione indiscriminata di edifici civili e l’impedimento  all’accesso agli aiuti umanitari, nonché l’uccisione di medici, paramedici e giornalisti. L’Ateneo  esprime profonda preoccupazione per il recente attacco alla Global Sumud Flotilla, effettuato con  l’obiettivo di ostacolare il passaggio di aiuti umanitari destinati alla popolazione civile, in chiara  violazione del diritto internazionale. Contestualmente l’Ateneo richiama l’assoluta necessità di un immediato cessate il fuoco,  dell’apertura di corridoi umanitari sicuri per soccorrere coloro che necessitano di urgenti cure  mediche e del rispetto delle Convenzioni di Ginevra. Ribadendo la necessità di una soluzione  politica fondata sul rispetto reciproco, l’Ateneo sottolinea l’urgenza di dare piena attuazione alle  risoluzioni delle Nazioni Unite e agli accordi internazionali che riconoscono il diritto  all’autodeterminazione del popolo palestinese.  Ma a poco valgono condanne e appelli se ad essi non si accompagna l’azione. Per questo motivo  l’Università degli Studi di Milano si è attivata concretamente bandendo e assegnando 22 borse di  studio a studentesse e studenti residenti nei Territori Palestinesi – quasi tutti nella Striscia di Gaza – nell’ambito di un’iniziativa nazionale, alla quale ha aderito con convinzione, integrandola con  fondi propri per ampliarne l’impatto e garantire un’accoglienza dignitosa e solidale. Al fine di  assicurare l’arrivo in Italia dei borsisti l’Università si impegna quotidianamente da settimane, di  concerto con le autorità competenti. L’Università degli Studi di Milano ribadisce inoltre il ruolo fondamentale delle università nella  società civile: esse sono non solo luoghi dove si costruisce il sapere, ma anche e  soprattutto istituzioni etiche, chiamate a formare coscienze oltre che competenze. Il motto della  Statale – Scientia illuminans dignum – è anche un monito a ricordare che la conoscenza è una  responsabilità: appartiene a chi la usa per costruire giustizia, libertà, dignità. Nel solco della propria  tradizione di impegno civile e accademico, improntata a questi principi, l’Università degli Studi di  Milano promuove da sempre il coinvolgimento attivo di tutta la comunità accademica in iniziative  di formazione, ricerca e cooperazione volte alla costruzione di una cultura della pace, della giustizia  e della solidarietà. È in questa tradizione consolidata che si colloca l’iniziativa “La Statale per la  Pace”, alla quale hanno aderito oltre 100 docenti e che vedrà la realizzazione, all’interno dei corsi,  di lezioni aperte al pubblico sul tema della pace declinato nelle forme specifiche delle varie  discipline. L’iniziativa vuole essere un invito a ricordare che la pace non è un concetto astratto, ma  una realtà vissuta in ogni ambito dell’esistenza.  L’Università degli Studi di Milano riconosce inoltre che la pace è un’impresa collettiva. Nel  riaffermare il ruolo centrale della cooperazione scientifica e didattica, l’Ateneo ribadisce che ogni  accordo di cooperazione accademica deve essere coerente con i diritti fondamentali, con la  promozione della pace, nonché con i diritti sanciti dal proprio Statuto e dal Codice di Integrità della  Ricerca.   In tale prospettiva l’Ateneo conferma che, stanti le attuali condizioni di grave violazione dei diritti  umani nella Striscia di Gaza – ma anche in Cisgiordania – in coerenza con i sopra citati principi, non  potrà che astenersi dal procedere a nuove stipule o rinnovi di accordi con università, istituzioni o  attori di altro tipo che siano direttamente o indirettamente implicati nelle violazioni attualmente in  essere. Nel rinnovare l’auspicio per un’immediata cessazione del conflitto in corso nella Striscia di Gaza,  nell’ottica della salvaguardia della vita, dell’identità e dell’autodeterminazione della popolazione ivi  residente, l’Università degli Studi di Milano si impegna infine a promuovere, in collaborazione con  le altre istituzioni accademiche nazionali e internazionali una posizione condivisa a sostegno della  pace e del rispetto del diritto internazionale.   Redazione Italia
Solidarietà all’IC2 di Biella: la scuola non può restare in silenzio
LA VICEPRESIDENTE DELLA REGIONE PIEMONTE ELENA CHIORINO E L’ASSESSORA ALL’ISTRUZIONE DI BIELLA LIVIA CALDESI HANNO DEFINITO “INACCETTABILE” CHE IL COLLEGIO DOCENTI DELL’ISTITUTO COMPRENSIVO BIELLA 2 ABBIA APPROVATO LA MOZIONE DEL SINDACATO USB IN SOLIDARIETÀ CON LA PALESTINA. PUBBLICHIAMO IL COMUNICATO CHE LA SCUOLA PER LA PACE DI TORINO HA REDATTO IN RISPOSTA A QUESTA PRESA DI POSIZIONE DELLE DUE ESPONENTI POLITICHE BIELLESI. La Scuola per la pace Torino e Piemonte esprime piena solidarietà alle/i docenti e al Dirigente scolastico Paolo Sisto dell’IC2 di Biella la cui mozione “in difesa del popolo palestinese” è stata oggetto di un pesante intervento sanzionatorio da parte della vicepresidente della Regione Elena Chiorino e della assessora all’Istruzione del Comune di Biella Livia Caldesi. Le due esponenti politiche parlano di “propaganda politica” e di “strumentalizzazione” probabilmente senza rendersi conto che l’IC2 Biella non è solo: in centinaia di scuole italiane centinaia di docenti, di studenti, e anche di dirigenti scolastici, hanno deciso di non restare in silenzio davanti a quello che proprio oggi la Commissione di inchiesta ONU ha definito un genocidio, un atto inaccettabile per ogni essere umano dotato di coscienza. Le istituzioni rappresentative delle/i cittadine/ avrebbero un altro dovere: quello di riconoscere i dettami del diritto internazionale e la volontà della maggior parte della cittadinanza, che chiede rescindere ogni rapporto diplomatico, politico ed economico con lo Stato di Israele al fine di fermare un genocidio di cui la storia chiederà conto. 16 settembre 2025 Redazione Piemonte Orientale
Un’altra scuola per Gaza
Mozione del Collegio del Docenti del Liceo Classico Statale “Vittorio Emanuele II” di Palermo approvata ieri Col presente documento, il Collegio dei docenti del “Liceo Classico Vittorio Emanuele II” intende esprimersi pubblicamente e con fermezza contro il genocidio in atto nella Striscia di Gaza e le sistematiche violenze perpetrate dai coloni in Cisgiordania. Abbiamo la certezza che il dramma del popolo palestinese non possa costituire solo un settore della riflessione pedagogica e didattica, ma che debba rappresentare il cardine del nostro percorso progettuale di docenti connessi alla realtà storica contemporanea, sia su un piano strettamente professionale che su quello morale e più ampiamente umano. Come è noto, le scelte di Israele soddisfano la definizione di genocidio dell’art. II della Convenzione delle Nazioni Unite: pertanto sono state condannate come pratiche genocidarie dalla Corte Internazionale dell’Aja e dalla commissione della IAGS, che ha votato una risoluzione contro “la normalizzazione dell’impensabile”, secondo le parole di Melanie O’Brien, presidentessa dell’associazione. Lo “scolasticidio” è certamente parte di questa normalizzazione, se la quasi totalità delle scuole della Striscia e la totalità delle sue università sono state distrutte dai bombardamenti israeliani. Per il secondo anno consecutivo centinaia di migliaia di studenti non avranno accesso ad alcun tipo di istruzione, fatta salva la resistenza pacifica da parte di docenti gazawi nell’allestire precari spazi di apprendimento e condivisione nonostante la fame, la disperazione, le condizioni critiche, la devastazione di ospedali, musei, archivi. Colpire l’istruzione e la cultura di un popolo per distruggerne memoria e identità: è questo il progetto radicale su cui non possiamo più tacere, pena l’esserne complici. Le istituzioni politiche e gli organi di stampa sono oggi pienamente coinvolti nella responsabilità del silenzio assordante, dell’indifferenza e della connivenza che si manifesta, oltre che nella scelta di sostegno a politiche sanguinarie, anche nel contributo alle narrazioni falsanti e, in ultima analisi, alla deformazione della realtà. L’Europa dei diritti, dell’accoglienza e del pluralismo sembra aver lasciato il posto a un progetto geopolitico, economico e civile radicato con determinazione sui valori della forza e della violenza, nell’intento di metabolizzarli e renderli digeribili tanto sul piano informativo quanto su quello istituzionale e sociale. Come istituzione scolastica, riteniamo che una nostra accettazione passiva o silenziosa di questo stato di cose sia pericolosa quanto la stessa violenza istituzionale esplicita. La nostra funzione di docenti è primariamente quella promuovere la costruzione di paradigmi nuovi, incoraggiando il vaglio attento dei fatti e delle loro fonti in una dimensione multidisciplinare e non settoriale del sapere, inteso come esperienza di crescita culturale e civile. Il nostro ruolo nella formazione degli studenti trova un suo presupposto fondamentale nell’idea che i diritti non siano un orizzonte perenne e immutabile, ma il frutto di lotte e conquiste politiche, sociali, scientifiche. Formare dei buoni cittadini significa per noi formare persone dotate di senso critico e di umanità: due valori, questi, che insieme al pacifismo e alla coscienza ecologica sembrano essere divenuti oggi oggetto di un dibattito surreale. Per tutte queste ragioni, il Collegio dei Docenti: – Esprime la sua solidarietà con le iniziative della rete Scuola per la Pace Torino e Piemonte, con il lavoro sulle fonti dell’associazione Docenti per Gaza, con le associazioni che studiano e denunciano atti e iniziative di militarizzazione interne al mondo della scuola e dell’università, con le ONG nazionali e internazionali che lavorano per la pace e la tutela dei diritti umani, con i medici che operano in condizioni disperate, con gli organi di stampa e i giornalisti che tentano di informare a costo della loro stessa vita, e infine con la Global Sumud Flotilla, che proprio in questi giorni è coraggiosamente impegnata a contrastare il blocco imposto da Israele nel tentativo pacifico, concreto e simbolico di aiutare la popolazione palestinese; – Aderisce all’iniziativa simbolica di osservare un minuto di silenzio per le vittime del genocidio il giorno 17 settembre alle 9.30; – Propone di affiancare la bandiera della pace alle bandiere istituzionali esposte sulla facciata principale dell’Istituto; – Si impegna nella promozione e costruzione di percorsi didattici e iniziative di formazione e confronto critico sui temi della pace e delle guerre in atto, che coinvolgano i docenti del Collegio, gli studenti e le loro famiglie in una esperienza condivisa di solidarietà, conoscenza e riflessione sul presente. Palermo, 15 settembre 2025 Il Collegio dei Docenti del Liceo Classico “Vittorio Emanuele II” Redazione Palermo
Un percorso didattico di storia ed educazione civica su Israele e Palestina
Le persone che lavorano come docenti a scuola e si sentono professionalmente ed eticamente impegnate nella formazione della conoscenza e nella costruzione di un mondo di pace si pongono in questo momento l’interrogativo su come parlare di tutto ciò che sta accadendo nei territori israeliano e palestinese. Ecco come cercherei di parlarne io – per la crescita delle studentesse, degli studenti… e mia, che pure ho già una visione abbastanza ben definita su nascita, processo, torti e ragioni di quel conflitto (Storia). Non parlerei di questa mia visione e non certo per sottrarmi alle responsabilità personali che l’insegnamento necessariamente implica; piuttosto, direi, per impedirmi la possibilità di manipolazione – involontaria, è ovvio – delle mie classi, per evitare di fare ciò che vorrei che docenti che hanno una visione ben diversa dalla mia non facessero, cioè raccontare la ‘propria’ storia ognuno alle proprie classi. Perché so che il mio racconto (come, analogamente, anche il racconto degli ‘altri’) dipende dalla mia biografia – dalle mie esperienze, dalle persone che ho incontrato, dai libri sui quali sono stato educato e da quelli che mi è capitato di leggere per iniziativa personale (e che forse, a un certo punto, ho ricercato tra quelli all’interno della mia bolla culturale), dai miei presupposti e dalle mie speranze. Allora, qual è la responsabilità che mi assumo? E’ quella (pesante, faticosa, onesta) di cercare di farmi, con la classe, un’idea ancora più ricca di quale possa essere la storia di questo conflitto – fermo restando che l’etica impone intanto di riconoscere sempre le vittime, specialmente tutte quelle innocenti, a qualsiasi popolo esse appartengano. E come farmi un’idea più ricca di quella che ho adesso, per quanto essa derivi anche dall’aver letto non pochi libri? E, poiché forse vale lo stesso per l”altro’ docente, quello che racconta in classe la storia che io considero sbagliata, e le classi non sono il giocattolo dei loro docenti (sia pure in buona fede), come sfuggire al “paradosso del Buono”, che rischia di operare come il “Cattivo”, cioè presentando la sua narrazione come quella corretta? ll modo che vedo è quello di prendersi in mano, a titolo esemplificativo, due libri, uno di un filo israeliano e uno di un filo palestinese (attenzione: non ho detto “di un israeliano e di un palestinese”), e vedere in classe come raccontano quella storia, con quali presupposti, con quale ‘punteggiatura’ cronologica, con quali diverse interpretazioni di uno stesso “fatto” etc. Per ragioni di tempo scolastico – o universitario – non posso farlo con la classe? Posso farlo forse per conto mio e poi raccontare le due versioni, mostrando cosa sottolinea l’una e cosa l’altra, cosa omette l’una e cosa l’altra, quali implicazioni, nel modo di raccontare, ha ciascuna di esse, per esempio in termini di ‘educazione’ all’odio e rendermi conto del fatto che la violenza attualmente al massimo può derivare anche dai libri su cui gli stessi attori del conflitto hanno studiato… E potrei scoprire l’esistenza di una realtà frastagliata all’interno di ogni ‘fronte’, con gruppi che lavorano per la pace sia nell’uno sia nell’altro. Ne verrebbe fuori una complessità inaspettata che invita a non esprimere giudizi sommari e dicotomici, come invece siamo stati sempre abituati a fare: tutto il Male da una parte, tutto il Bene dall’altra. La quale sarebbe ancora più complessa e “giusta” se, senza fissare l’attenzione solo su israeliani e palestinesi, mettesse in campo costantemente anche il ruolo delle terze parti, quelle non direttamente coinvolte nel conflitto armato, ma che forse hanno contribuito in grandissima parte sia (attivamente) alla sua nascita sia (attivamente e passivamente) alla sua continuazione. Un elemento ulteriore, e preliminare dal punto di vista logico, che, anche senza bisogno di citare Marc Bloch, mi pare indispensabile che i docenti chiariscano – a se stessi innanzitutto e alla classe poi – è che “comprendere non significa giustificare” (una delle confusioni più diffuse trasversalmente, tra i ragazzi di 12 anni, tra i docenti, tra i giornalisti e tra gli intellettuali che vanno per la maggiore). Per semplificare: comprendere le ragioni degli oppressori, oltre che quelle degli oppressi, non ha nulla a che fare con la giustificazione dell’oppressione. Comprendere anche le ragioni dell’oppressore (anche per come le espone lui) significa darsi la possibilità di pensare il conflitto in termini non moralizzanti (basati sulla “propria” morale e sulle “proprie” informazioni) e capire, e abituare a capire, come le “percezioni” (anche sbagliate) delle parti in conflitto influiscano sul loro modo di agire, e come dunque i popoli e i governi potrebbero ‘lavorare’ su quelle percezioni in maniera proficua incontrandosi, per mettere in crisi l’idea dell’inevitabile ricorso alla violenza. Questo per l’aspetto storico. Invece, per una concreta soluzione all’orrore odierno (Educazione civica), proporrei di trascurare momentaneamente la Storia e di chiedersi: se avessi tutti i miei amici più cari, la mia famiglia e i miei parenti equamente distribuiti a Gaza e in Israele – alcuni dei quali magari impegnati lì e qui contro la violenza della propria parte verso l’altra – cosa proporrei, cosa vorrei che avvenisse? Andrea Cozzo, Università di Palermo, Dipartimento Culture e Società Bibliografia minima 2024. Marzano, Questa terra è nostra da sempre, Roma-Bari 2024. 2025. Podeh, S. Alayan (Eds.), Multiple Alterities. Views of Others in Textbooks of the Middle East, London 2018. 2026. Sandri, Città santa e lacerata. Gerusalemme per ebrei, cristiani, musulmani, Saronno 2001. Redazione Palermo
Fiori colorati a difesa del Parco Agricolo della Piana
Sabato 13 settembre, al Giardino Pubblico della Querciola a Sesto Fiorentino, una testimonianza di conoscenza e partecipazione del parco agricolo della Piana, un luogo colorato di persone, adulte e bambine, prodotti della terra e creazioni artigianali, confronti in prospettiva. La giornata è stata preceduta da un evento, tenutosi Venerdì 12 settembre, alla Villa San Lorenzo a Sesto Fiorentino, in cui le associazioni promotrici hanno sottoscritto un documento di impegno (Protocollo), che è nato da un lavoro di coprogettazione, finalizzato a definire il parco non tanto una “opera compensativa di infrastrutture mostruose e inutili”, quanto un “elemento regolatore del futuro sviluppo sostenibile della piana fiorentina e pratese”. Con l’intento di salvare le aree residuali di interesse naturalistico, agricolo e culturale, nelle due giornate, associazioni e persone abitanti il territorio si sono unite con lo scopo di pretendere pertanto programmazioni urbanistiche e politiche sostenibili, nella sostanza e non solo di facciata. Il parco si intende quindi che sia luogo materiale e simbolico di tutte le lotte che insistono su questo e su altri territori con caratteristiche similari e la Politica locale oggi non può distogliere lo sguardo dal rischio che si ripresentino danni ambientali conseguenti la continua costruzione di opere inutili, la speculazione edilizia e lo sfruttamento di un suolo “malato” che a sua volta contribuisce a creare “malattie” sindemiche (episodi alluvionali con danni alle case, sversamenti di sostanze chimiche con presumibilmente correlabili patologie organiche). L’Importanza delle aree naturali nella piana nella prevenzione della salute del territorio e delle persone diventano quindi sostanza determinante la lotta che continua nel percorso del No Aeroporto, No Inceneritore ed anche la dimensione ludica di coinvolgimento delle giovani generazioni sostanzia la necessità di preparare e prepararsi ad acquisire elementi utili a promuovere azioni a difesa della Piana, motivata razionalmente oltre che sentita emotivamente. Fiori colorati sono le orchidee che nascono spontanee, è l’aloe che attraverso le sue proprietà naturali lenisce il dolore curando le ferite; il nostro territorio malato ha bisogno di una cura, cura che richiede conoscenza, consapevolezza, coerenza di prassi; il nostro territorio può tornare a darci salute, solo se sapremo prevenire danni più gravi, alleggerendo i carichi derivanti dall’azione dell’essere umano, capace di sfruttare la natura, fino quando non torni a ricordarsi che la natura stessa ha bisogno di essere liberata e resa disponibile, perché non è dall’asfalto, ma è dal letame che nascono i fiori… L’appello alla Politica, con sguardo rivolto alle prossime elezioni regionali, continuerà nei prossimi giorni: attesi nuovi momenti di confronto sui temi, le associazioni firmatarie il Protocollo dovranno essere sentinelle attente a leggere i programmi ed interrogare le persone candidate in merito alla conversione delle parole dentro proposte coerenti con una visione di sviluppo sostenibile; è da questo territorio che sono partiti ormai da tempo i primi cortei contro le “banche dei fumi”, denunciando gli interessi dietro la costruzione di opere non solo inutili, ma dannose per la salute. Dalla piana l’appello ad associazioni e persone ad essere dentro la co-progettazione e la co-programmazione partecipata.   Emanuela Bavazzano Immagini della giornata CONOSCERE E SVILUPPARE IL PARCO AGRICOLO DELLA PIANA Intervento clowncare con i bambini alla festa del Parco Agricolo della Piana Paolo Mazzinghi
Restituiamo le strade ai bambini per farli giocare in libertà
Secondo i recenti dati di Unicef, in Italia la percentuale di bambini e bambine di età compresa tra i 5 e i 19 anni che vivono con sovrappeso è del 27% (dato al 2022), seppur in diminuzione rispetto al 32% di 2 anni prima. La percentuale di bambine e bambini di età compresa tra i 5 e i 19 anni che vivono con obesità è rimasta invece stabile al 10% (unicef.org/reports/feeding-profit). Oltre al problema di una non corretta alimentazione dei nostri bambini, con gli alimenti ultra-processati che stanno sostituendo sempre più spesso frutta, verdura e proteine in un momento in cui l’alimentazione svolge un ruolo fondamentale nella crescita, nello sviluppo cognitivo e nella salute mentale dei bambini, vi è anche una diffusa sedentarietà. Per l’ISTAT, nel 2024 il 62,5% della popolazione di 3 anni e più non pratica nessuno sport e i bambini di 3-5 anni fanno sport meno frequentemente. Quasi 1 minore su 5 non fa sport. Per il 30 per cento circa dei bambini dai 6 ai 10 anni la causa è la condizione economica del nucleo familiare. E comunque non tutti possono praticare sport in aree sportive all’aperto (campi sportivi, piscine, campi polivalenti), in quanto non sono presenti ovunque, così come pochi sono gli spazi per lo sport nelle scuole, con forti differenze territoriali. Per i nostri bambini è poi del tutto impossibile pensare di poter giocare per strada, poiché esse sono “piegate” all’uso e all’abuso dell’automobile. É l’auto, sempre più grande e sempre più ingombrante (in media, le nuove auto immatricolate in Europa sono 1 centimetro più larghe ogni due anni), la padrona assoluta delle nostre strade: nel 2025, il 78% degli italiani possiede almeno un’auto, una percentuale che supera di oltre il 10% la media europea. 46.5 milioni di auto che sfrecciano di giorno e di notte lungo le nostre strade, inquinando e facendo vittime (oltre 3mila morti all’anno, 51 vittime ogni milione di abitanti, un dato superiore alla media europea che si attesta a 45) e, quando ferme, vanno ad occupare tutti gli spazi pubblici possibili delle nostre città, in modo legittimo o meno (in alcune città si parcheggia anche in seconda e terza fila e sui marciapiedi). In strade “ostaggio” degli automobilisti e delle auto, è impensabile poter vedere bambini che giocano felici, che corrono o rincorrono una palla. I nostri bambini le nostre strade le attraversano soltanto in auto e anche le strade scolastiche per permettere loro di andare a scuola a piedi fanno fatica ad attecchire nel nostro Paese. Per cercare di restituire le strade e le piazze a bambini e ragazzi per farli incontrare e giocare liberamente, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, ispirandosi alle play streets del Regno Unito, ha lanciato il progetto “Strade in gioco. Spazi sicuri di incontro e gioco libero in città per bambini e adolescenti”, destinato ai comuni tra i 10 mila e i 200 mila abitanti e densità abitativa di almeno 1.500 abitanti per chilometro quadrato. “Vogliamo rafforzare, ha sottolineato l’Autorità garante Marina Terragni, la socialità offline attraverso un’alternativa concreta alla dipendenza dagli ambienti virtuali, dall’intrattenimento passivo e dalle dinamiche negative dello spazio online. Sono gli stessi ragazzi a chiedere spazi sicuri, luoghi di disconnessione dove non si sentano giudicati”. Ai comuni, per beneficiare dei finanziamenti stanziati dall’Autorità, viene chiesto di offrire spazi e tempi per il gioco e l’incontro libero senza attività strutturate. Si tratterà di chiudere al traffico, anche solo a cadenza fissa, strade o piazze esistenti e interne ai quartieri residenziali. Luoghi con installazioni di piccoli arredi urbani (fioriere, tavoli, casette per lo scambio di giochi o libri eccetera) e con decorazioni anche di street art. Perché siano luoghi “vivi” sarà necessario coinvolgere soggetti pubblici o del terzo settore già attivi sul territorio, promuovendo anche, ove possibile, forme semplici di consultazione della comunità locale. Il bando, finanziato con 450 mila euro, è stato pubblicato sul sito dell’Autorità garante e si rivolge ai 198 comuni italiani che hanno la popolazione e la densità abitativa previste da “Strade in gioco”. Saranno finanziati 15 progetti, per un massimo di 30 mila euro ciascuno a copertura di 24 mesi di attività. “Non si tratta, ha precisato Marina Terragni, di organizzare feste, eventi occasionali o allestire parchi gioco, ma di attivare esperienze di socialità libera e spontanea, leggere e diffuse capaci di radicarsi nel territorio anche oltre la durata del progetto finanziato. Inoltre, la speranza è che esse possano divenire un modello replicato anche da altri comuni”. Qui l’Avviso pubblico “Strade in gioco” dell’Autorità garante: garanteinfanzia.trasparenza-valutazione-merito.it. Giovanni Caprio
Il minuto di silenzio unisce la comunità educante italiana
Secondo i nostri dati, sicuramente sottostimati, l’appello per un minuto di silenzio il primo giorno di scuola per le/i bambine/i di Gaza è stato finora accolto da circa 250 scuole di tutta Italia, da Torino a Trento a Treviso a Venezia, a Siena, Palermo, Napoli, Mantova, Como, Cagliari, Bari, Cosenza, Potenza, Perugia, Lucca, Lecce e molte altre, nelle città come nelle campagne e sulle montagne. Molte scuole delle regioni che cominceranno le lezioni il 15 settembre ci hanno già comunicato la loro adesione. Ampia parte della comunità educante italiana si unisce così contro il genocidio in Palestina e per la pace nel mondo, in un momento comune di solidarietà e consapevolezza. In 52 istituti, di cui 9 a Torino e 8 nella regione Piemonte, sono state coinvolte tutte le classi, per la quasi totalità con deliberazioni dei Collegi docenti. Possiamo per ora calcolare 53.000 alunne/i, con le/i loro docenti, ma le/i partecipanti sono e saranno certamente molte/i di più: attendiamo ulteriori riscontri nei prossimi giorni. Le/i DS si sono mostrate/i favorevoli in un gran numero di scuole, emanando circolari e facendo suonare le campanelle. Le/gli insegnanti hanno interpretato nei modi più diversi questo momento, alcune/i rendendolo solenne ed emozionante, altre/i con letture e riflessioni, altre/i ancora con attività creative per i più piccoli. “Un reale minuto di silenzio, assorto e commosso”, perché “i ragazzi vogliono sapere e vogliono capire”, scrivono. Questo sarà il compito del futuro anno scolastico: generare conoscenza e comprensione in modo aperto e limpido, affinché le/i nostri studenti apprendano a fare le loro scelte. Il nuovo e forte impegno della scuola italiana per Gaza, per la Palestina, per la pace e la giustizia è cominciato! La Scuola per la pace Torino e Piemonte Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Docenti per Gaza La Scuola per la pace Torino e Piemonte
Catania, docenti e scuole esprimono condanna per le guerre e solidarietà alla Palestina
A Catania i collegi docenti di tre scuole (Liceo E2. “Boggio Lera”, Istituto “M. Cutelli” e IC “Parini”) hanno approvato la mozione che riportiamo più sotto; altri collegi (IC “Rapisardi -Dante Alighieri”, Istituto “Musco”, IC “Sauro- Giovanni XXIII”, IS “Vaccarini”) hanno espresso una chiara condanna delle guerre e solidarietà verso il popolo Palestinese. Non è tempo di silenzi o reticenze. Oltre 56 conflitti (di varia natura) attraversano il nostro pianeta. Una guerra mondiale a pezzi, che rischia di diventare globale. Un conflitto, vista la qualità, e la quantità, degli armamenti che non avrebbe né vincitori, né vinti. La scuola, quella che non addestra, che non esalta le competenze, che non rinuncia alla riflessione e allo spirito critico, può giocare un ruolo decisivo. Può provare a rovesciare la “normalizzazione” della guerra e della violenza che sembrano oggi prevalere. Non soltanto perché “se vuoi la pace, devi preparare la pace”, ma perché se vuoi costruire il futuro, se vuoi pensare/progettare il futuro, non puoi non partire dall’articolo 11 della nostra Costituzione, dal ripudio della guerra. Ma, pur condannando tutte le guerre, dobbiamo anche affermare che non sono tutte uguali. Il genocidio in Palestina, dove non c’è uno scontro fra due eserciti, rappresenta, infatti, la riproposizione di logiche e politiche che, dopo la sconfitta del nazi-fascismo, pensavamo sconfitte per sempre. L’idea della pulizia etnica (a Gaza, come in Cisgiordania) va contrastata in tutti i modi possibili. Né si può accettare che il “democratico” Occidente si volti dall’altra parte, applicando la politica dei due pesi e delle due misure (nessuna sanzione, prosecuzione di tutti i rapporti politici e commerciali, cooperazione militare…) che rafforza Israele nel perseguire i suoi obiettivi. Al punto che lo stato di Tel Aviv può, come se fosse normale, radere al suolo Gaza, fare morire di fame la popolazione, bombardare Libano, Siria, Yemen, Iran, Qatar… Come si può pensare che dopo questi crimini si potrà nuovamente percorrere il cammino della pace? Di fronte a un tale fallimento, politico e culturale, non stupisce che le classi dirigenti, europee e statunitensi, complici e silenti abbiano paura del confronto e della discussione, sino ad affermare che la scuola non può, non deve, occuparsi di tali problematiche. Lo fanno attraverso il linguaggio burocratico degli uffici scolastici regionali, ma anche, come nel caso del ministro Valditara, tentando di distribuire genericamente fra tutti le responsabilità. Un modo per evitare il giudizio su ciò che sta effettivamente accadendo. Se sono tutti colpevoli, nessuno è colpevole. Se la scuola non vuole voltarsi dall’altra parte, deve impegnarsi a fianco di chi, dal basso, pratica la solidarietà (per ultima la Global Sumud Flotilla) e, soprattutto, non rinunciare alle analisi, alle riflessioni e al confronto. Bisogna essere coscienti che non basta la pace, ma occorre una pace giusta. Nino De Cristofaro, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Mozione approvata dagli istituti di Catania: *La Scuola ripudia la guerra* La barbarie bellica sembra essersi impadronita della nostra esistenza. In questo momento, nel nostro pianeta sono in atto oltre 50 conflitti, fra stati e/o fazioni civili: la guerra russo-ucraina, o quelle in Myanmar, Sudan, Siria sono solo alcune di un elenco purtroppo molto lungo. Bombardamenti, droni killer, massacro di civili (soprattutto donne e bambini) ci vengono riproposti quotidianamente, quasi a certificarne la normalità, come se dovessimo abituarci all’indifferenza. In Palestina, nella Striscia di Gaza e non solo, l’orrore è ancora maggiore. La popolazione è affamata, le strutture abitative distrutte per oltre il 70%, ospedali e scuole rasi al suolo, sfollamento continuo di oltre due milioni di persone. Israele parla apertamente di allontanamento di tutti i palestinesi dalla Striscia. Un progetto di pulizia etnica. Non a caso la Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto per la leadership israeliana (inclusi Netanyahu e Gallant) per presunti crimini e violazioni del diritto umanitario nel conflitto a Gaza e più voci autorevoli hanno definito quello in corso nella Striscia un genocidio. Ebbene, di fronte a tutto questo la scuola non può più tacere. Se lo facesse, abdicherebbe al proprio compito educativo, al dovere di lavorare per la pace, per l’inclusione e contro ogni forma di discriminazione e di pregiudizio. La scuola non può rinunciare a far vivere la nostra Costituzione che, come recita l’art.11, “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.” Per questi motivi il Collegio dei Docenti del ………… si impegna 1) Ad esporre la bandiera della Pace per ribadire la condanna di tutte le guerre; 2) Ad effettuare in tutte le classi, giorno …. settembre alle ore 9,15, un minuto di silenzio per chiedere l’immediato cessate il fuoco in Palestina e lo sblocco degli aiuti umanitari; 3) Ad affrontare, all’interno dei programmi di studio, il tema della pace e della guerra, affinché tutti gli studenti e tutte le studentesse possano maturare conoscenze adeguate ed esprimere autonomamente le loro riflessioni. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
E anche questo nuovo anno scolastico parte senza educazione affettiva
Il nuovo anno scolastico ricomincia, ma resta ancora inascoltata la richiesta dei giovani di una vera educazione alla sessualità e all’affettività in classe. Come evidenzia la ricerca di ActionAid “Affettività e stereotipi di genere. Come gli adolescenti vivono relazioni, genere e identità”, condotta da Webboh Lab su un campione di adolescenti tra i 14 e i 19 anni e finanziata attraverso i fondi 8×1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, i giovani e le giovani chiedono con forza che la scuola offra momenti di informazione, riflessione e scambio guidati da esperti indipendenti (educatori, psicologi, medici, etc.) su temi come il consenso, il piacere, su come costruire relazioni positive e su identità e orientamenti. Un’educazione, dunque, che non si soffermi solo sul funzionamento del corpo, ma che li aiuti a stare bene con se stessi e con gli altri. Le giovani e i giovani si trovano infatti sempre più soli ad affrontare aspettative sociali rigide, etichette di genere e pressioni che arrivano dai social: otto su dieci dichiarano di non sentirsi a proprio agio nel proprio corpo, più della metà racconta di aver cambiato il proprio modo di vestire per timore delle critiche, sei su dieci raccontano di aver subito prese in giro o provocazioni legate a peso, altezza, colore della pelle o capelli. E gli stereotipi pesano ancora moltissimo: il 93% dei ragazzi e delle ragazze intervistate sente ancora dire che esistono “cose da maschi” e “cose da femmine” e otto su dieci hanno dichiarato di ricevere spesso commenti su come “dovrebbero” comportarsi in base al genere. Allo stesso tempo però cresce il senso critico: le giovani e i giovani riconoscono infatti che i modelli proposti on line sono irrealistici e chiedono più spazi sicuri di confronto. I risultati dell’indagine di ActionAid dimostrano la persistenza di una cultura e di una società patriarcale e discriminante nei confronti di soggetti che non si riconoscono nel binarismo maschio/femmina e nei ruoli di genere tradizionalmente attribuiti. Ragazzi e ragazze sentono e percepiscono ancora una società che distingue rigidamente tra generi, in particolare nelle espressioni del linguaggio e nei comportamenti quotidiani, che rinforza aspettative e stereotipi e minaccia l’autodeterminazione personale. Oltre a questo, denunciano frequentemente una correlazione tra stereotipi e rischio di discriminazioni. Quasi la totalità, e cioè il 93% del campione, dichiara di sentire ancora spesso l’affermazione secondo cui “ci sono cose da maschi e cose da femmine”. Quasi l‘80% dichiara di aver sentito con una certa frequenza (spesso o qualche volta) battute o commenti anche nel gruppo di pari su come “dovrebbe” comportarsi in base al proprio genere. Intorno al 70% ragazzi e ragazze reputano che frequentemente (spesso o qualche volta) si è soggetti a discriminazioni a causa di scelte sul vestiario e modalità espressive considerate o troppo “femminili” o troppo “maschili”. Interrogati rispetto a comportamenti e modelli personali, ragazzi e ragazze, al contrario, dimostrano che le giovani generazioni possiedono una crescente consapevolezza critica verso i modelli di genere rigidi e imposti, nonostante alcune idee restino radicate, in particolare riguardo ai ruoli nella coppia e nelle relazioni affettive. “Le ragazze e i ragazzi non solo ci parlano con grande consapevolezza di una società sessista e discriminante, ma anche di quanto il giudizio e stereotipi provochino disagio e malessere psicologico: un campanello d’allarme considerata la fragilità in questa fase delicata di crescita e di scoperta, sottolinea Maria Sole Piccioli, Responsabile Education di ActionAid. Ancora una volta torniamo sui banchi di scuola, senza una riforma organica che introduca l’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole. Questo Governo e il Ministro Valditara rispondono in modo discontinuo o inopportuno alle richieste di studenti, docenti e società civile, applicando una lettura di genere binaria e strutturando dei passi indietro su questi temi nell’ambito di alcune proposte politiche, come ad esempio il recente decreto sul consenso informato preventivo dei genitori e l’esclusione di infanzia e primaria da programmi didattici sull’educazione sessuale e affettiva, questioni pedagogicamente inscindibili tra loro.” ActionAid avanza alcune raccomandazioni al Parlamento, al Ministero dell’Istruzione e del Merito e al Ministero della Salute. In particolare, chiede Parlamento di approvare una legge che preveda l’inserimento dell’educazione all’affettività e alla sessualità rispettosa delle caratteristiche per età secondo quanto indicato dalle Linee guida UNESCO e dagli standard OMS, all’interno del percorso curricolare fin dalla scuola dell’infanzia. Al Ministero dell’Istruzione e del Merito chiede invece: di prevedere percorsi formativi per il personale docente e ATA rispetto alla CSE, garantendo un approccio multidisciplinare e quindi, con il coinvolgimento degli organi collegiali, degli Uffici scolastici territoriali, dei presidi socio-sanitari territoriali, degli ordini e delle associazioni professionali e del Terzo settore; di approvare un decreto che disciplini le carriere Alias in modo tale da assicurare la corretta equità di trattamento a prescindere dall’adozione del regolamento da parte dell’Istituto scolastico o meno. Qui per scaricare la sintesi dell’indagine di ActionAid: https://www.actionaid.it/a-scuola-senza-educazione-affettiva/ Giovanni Caprio