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Inaugurato il Centro Donna a Pianura. Ferrante: “Serve un cambio di mentalità per fermare la violenza”
Inaugurato questa mattina il Centro Donna di Pianura, un luogo dedicato all’ascolto, al sostegno e alla tutela delle donne. L’apertura del centro, finanziato dal Comune di Napoli e attivato in collaborazione con le cooperative sociali Xenia e Adesia, rappresenta un passo concreto nella lotta contro la violenza di genere e nella promozione delle pari opportunità. All’inaugurazione è intervenuta l’assessora alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante, che ha preso parte anche a un incontro di sensibilizzazione e confronto per sostenere e promuovere la cultura del rispetto. Durante l’incontro sono intervenute Maria Carillo, presidente di Xenia, ed Elena Giorgia Carrucola, di Adesia, che hanno illustrato il ruolo delle realtà sociali nella costruzione di reti di supporto. La coordinatrice del Centro Donna, Luciana Sullo, ha presentato il progetto e le attività già avviate, mentre la psicologa Francesca Diffidenti ha condiviso riflessioni sulle esperienze raccolte nei gruppi di ascolto. Momento centrale è stata la proiezione del video con le testimonianze delle donne che hanno scelto di raccontare la loro storia, segno di coraggio e speranza. “È un luogo di incontro accogliente e aperto, a cui tutte le donne possono accedere per trascorrere momenti di serenità e di svago – ha sottolineato l’assessora alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante – c’è la possibilità di fare sport, tenere colloqui con avvocati e psicologi, ma soprattutto le donne possono venire qui per dedicarsi del tempo, stare insieme e conoscersi. È molto importante per questa Amministrazione – ha concluso Ferrante – perché significa iniziare a cambiare cultura e mentalità e fare un piccolo passo verso quella rivoluzione culturale ancora necessaria per eliminare completamente il fenomeno della violenza sulle donne”. Redazione Napoli
Napoli, 25 novembre: la violenza si combatte molto prima della violenza
Arte, scuola, istituzioni, cultura e testimonianze. Un’unica direzione: educare alla libertà. Le notizie arrivano così fitte che i volti delle donne sembrano quasi sovrapporsi, uno sull’altro, senza il tempo di essere riconosciuti. Quando pensiamo di aver trovato le parole giuste per l’ennesimo femminicidio, arriva sempre un nuovo giorno che ci costringe a riformularle. Riaffiorano allora immagini che l’Italia non riesce a dimenticare. La pancia di Giulia Tramontano, spezzata insieme al figlio che portava in grembo. Il volto giovane di Giulia Cecchettin. La vicenda di Tiziana Cantone, divorata dalla violenza digitale. La vita interrotta di Martina Carbonaro, a soli quattordici anni. La storia di Roua Nabi, uccisa nonostante il braccialetto elettronico al marito. Storie diverse, lontane tra loro, eppure accomunate dalla stessa radice: la cancellazione della libertà altrui. E ancora una volta, la cronaca recente ci obbliga a fermarci. A Qualiano, vicino Napoli, un uomo già denunciato, già sottoposto a codice rosso e ai domiciliari con braccialetto elettronico, ha manomesso il dispositivo, ha raggiunto l’ex compagna e l’ha colpita più volte con un coltello. È viva per miracolo, dicono i medici. Ma quante volte ancora dovremo affidarci alla parola miracolo dopo che tutto il resto non ha funzionato? Questo episodio, come altri, mostra che la repressione, pur necessaria, non basta. Spesso arriva dopo, quando è già tardi. La violenza sulle donne non si esaurisce nelle storie che finiscono in prima pagina, con un nome, una fotografia e una sentenza. Esiste un territorio sommerso, silenzioso e ostinato, fatto di manipolazione, controllo, dipendenza affettiva, svalutazione e isolamento. È una violenza che non lascia lividi sulla pelle, ma scava dentro, corrode lentamente la voce, l’autostima, la libertà interiore. È quella che ti convince che sei tu il problema, che stai esagerando, che forse te la sei cercata. È fatta di parole trattenute, telefoni controllati, amori che diventano confini, e di una casa che, invece di proteggere, diventa prigione emotiva. È una violenza domestica non perché avviene tra quattro mura, ma perché mette la paura dentro la vita. Ha un effetto farfalla. Genera altre fragilità, altre bambine cresciute nella sudditanza, altri bambini educati all’idea del possesso. Perché in un contesto dove non si è liberi non si può insegnare la libertà, e nessuno può trasmettere ciò che non ha il permesso di vivere. I dati ci obbligano a non voltare lo sguardo. In Europa una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale. In Italia il 31,5 per cento delle donne tra i sedici e i settant’anni ha subito violenza. Tra le ragazze più giovani quella psicologica raggiunge il 35 per cento. Nei primi sei mesi del 2024 sono stati denunciati 8.592 atti persecutori, e nel 74 per cento dei casi le vittime erano donne. Il 75 per cento delle italiane ritiene che la violenza psicologica non venga riconosciuta come tale. La prevenzione autentica comincia molto prima della violenza. Prima dei tribunali, delle misure cautelari e dei braccialetti elettronici. Comincia nell’infanzia, nelle famiglie e soprattutto nelle scuole. È un’educazione quotidiana quella che serve, fatta di rispetto, limite, empatia, consenso e libertà. In questa direzione si muovono anche alcuni provvedimenti oggi in discussione in Parlamento: il Disegno di Legge S 979, che propone di introdurre in modo strutturato l’educazione affettiva e sessuale nei programmi scolastici, e due proposte alla Camera, l’AC 2278, che riguarda l’educazione alle relazioni e al riconoscimento dell’identità di genere, e il C 2271, che disciplina le attività scolastiche sui temi dell’affettività e della sessualità prevedendo il consenso informato delle famiglie. È un segnale chiaro. Non è più possibile rimandare. Anche Napoli risponde, e lo fa attraverso linguaggi diversi: l’arte, la cultura, la memoria, l’esperienza, la cura. In Piazza Municipio, la ASL Napoli 1 Centro ha trasformato la riflessione in un’esperienza. All’interno di un grande cubo nero, simbolo del buio e dell’isolamento, si attraversa un labirinto sonoro fatto di voci, rumori, testimonianze e dati. Ogni passo è un frammento di paura, fragilità, controllo, ma anche resistenza. L’uscita è una Porta Rosa, luminosa, simbolo di rinascita. Fuori, operatori e volontari informano sui Percorsi Rosa attivi nei Pronto Soccorso cittadini, offrendo orientamento e protezione. La Direzione regionale Musei nazionali Campania ha diffuso il suo impegno lungo un’intera settimana, dal ventidue al ventinove novembre, trasformando musei e luoghi culturali in spazi di consapevolezza. A Montesarchio, la mostra fotografica Per Lei di Michele Stanzione racconta la presenza femminile attraverso luce, assenza e memoria. A Santa Maria Capua Vetere, l’Anfiteatro Campano si accende di arancione al crepuscolo, in un gesto collettivo che invita a dire insieme: accendiamo il rispetto. A Benevento, il Teatro Romano ospita studenti, psicologi e musicisti per riflettere sull’impatto invisibile della violenza. A Pontecagnano, una serata tra mito, danza e parola prova a immaginare relazioni libere da ruoli imposti. A Eboli, con Clitennestra o del crimine, il mito diventa voce contemporanea, che chiede ascolto e non solo giudizio. Anche il Teatro Trianon Viviani contribuisce a questo percorso. Il 25 novembre, dalle ore 10 alle 13, la Fondazione Campania dei Festival, insieme alla Regione Campania, promuove un incontro dedicato a studenti e famiglie, con interventi di istituzioni, associazioni e realtà impegnate nella tutela dei diritti e nella costruzione di una cultura del rispetto. È previsto anche un breve contributo artistico, con testimonianze e monologhi curati dall’Associazione Forti Guerriere, come forma di narrazione civile e restituzione della voce. Questi sono solo alcuni degli appuntamenti che Napoli e la Campania dedicano, lungo tutta la settimana, non a una celebrazione, ma a un impegno diffuso. Perché la consapevolezza non si costruisce in un giorno, e soprattutto non si costruisce da soli. Il venticinque novembre non è una data. È una domanda. A ciascuno di noi. E Napoli risponde mettendo al centro non solo la tragedia, ma la prevenzione. La cultura, l’ascolto, il linguaggio, la scuola, l’arte, la relazione. Perché la violenza si combatte molto prima della violenza. Nei gesti quotidiani. Nei bambini che imparano a rispettare. Nelle bambine che imparano a non abbassare gli occhi. Se vogliamo cambiare davvero questo tempo, dobbiamo ricominciare da lì. Dalle radici. Lucia Montanaro
Un uomo su tre giustifica la violenza economica, uno su quattro gli abusi
La violenza contro le donne è l’esito di disuguaglianze strutturali radicate nella vita quotidiana. Attraverso l’analisi di una giornata tipo di ragazze e donne – tra casa, spazi pubblici, trasporti, cultura e digitale – l’ultima ricerca di ActionAid, realizzata con il supporto dell’Osservatorio di Pavia, dal titolo “Perché non accada. La prevenzione primaria come politica di cambiamento strutturale”, fa emergere gli stereotipi e le norme di genere che ne condizionano libertà, sicurezza e opportunità di partecipazione. Per quanto riguarda i carichi di cura, il 74% delle donne si occupa da sola dei lavori domestici, contro il 40% degli uomini, con divari più ampi tra le Boomers (80% vs 27%) e le Gen X (83% vs 34%). Anche nella genitorialità il carico è sbilanciato: il 41% delle madri si occupa da sola dei figli/e, contro appena il 10% dei padri. I Millennials segnano un punto di svolta: il divario di genere si restringe a soli 2,1 punti percentuali, indicando un cambiamento culturale che spinge verso una genitorialità più condivisa ed equilibrata. Il 37% delle donne si prende poi cura da sola dei genitori contro il 33% degli uomini, ma il divario cresce tra le Boomers (40% vs 27%). Solo tra i Millennials emerge una parziale inversione: il 41% degli uomini si occupa dei genitori, contro il 33% delle donne. Il ricorso a figure retribuite è minimo (2%), a conferma del modello di cura mediterraneo, fondato sulla solidarietà familiare come dovere morale e affettivo. Quanto al divario finanziario, che alimenta la violenza economica: il 51% degli uomini gestisce da solo le finanze domestiche, contro il 38% delle donne, con divari più ampi tra i Boomers (52,6% vs 37,1%) e nella Generazione X (57% vs 46%). Nel Centro Italia il divario raggiunge il massimo (60% uomini vs 31% donne), mentre le donne Millennials (30%) mostrano la più alta propensione alla gestione condivisa. Dalla ricerca emerge, inoltre, che il 38% del campione ha avuto paura almeno una volta di viaggiare sui mezzi pubblici, con un forte divario di genere (32% delle donne vs 19% degli uomini). Tra le giovani della Gen Z, quasi due su tre (65,5%) dichiarano timore o evitano i mezzi (vs 33,8% tra le Boomers). La paura cresce nelle aree periferiche e rurali, tra le persone LGBTQ+ (50% donne non etero vs 43% etero; 37,9% uomini non etero vs 30,5% etero) e tra le persone con disabilità (46,2% donne vs 42,6% senza; 42,1% uomini vs 29,6% senza), confermando che la mobilità resta uno spazio attraversato da disuguaglianze e insicurezze. Un quarto del campione (25%) ritiene che una donna sia al sicuro solo se accompagnata, mentre solo il 13% considera i mezzi pubblici sempre sicuri e il 40% lega la sicurezza alla luce del giorno. Tra gli uomini, il 28% condivide l’idea che una donna sia sicura solo se accompagnata (vs 21% delle donne), segno di un atteggiamento ancora paternalistico. La percezione condizionata è altissima tra le giovani generazioni (88,5% Gen Z; 86,9% Millennials) e resta elevata anche tra le Boomers (79,9%). Le differenze territoriali sono minime, con un picco nel Nord-Ovest (89%), confermando che il limite è soprattutto culturale e trasversale tra generi e generazioni. Sono gli uomini a frequentare maggiormente gli spazi pubblici (49% vs 44%). La partecipazione femminile cala con l’età (62% Gen Z -> 30% Boomers) e risente dei carichi di cura, che rendono la mobilità spesso “necessitata”, ovvero legata a esigenze pratiche più che al tempo libero. Tra le donne con disabilità la presenza scende al 37,6% (vs 45,6%).” Maggiore soddisfazione per le donne non etero rispetto alle etero (63,3% vs. 57,6%). La rilevazione di ActionAid fa emergere come le disuguaglianze di genere siano poco affrontate: solo il 50% del campione ritiene che i contenuti culturali stimolino la riflessione sulle disuguaglianze di genere; il 25% non ne percepisce alcun riferimento e il 9% segnala la presenza di stereotipi. Le giovani donne (58,4% vs 52,3% coetanei) risultano le più sensibili al tema, mentre tra le Boomers la quota scende al 42,1%. La percezione che i prodotti culturali non favoriscano uno sguardo critico sulle disuguaglianze cresce tra le donne non eterosessuali (65% vs 49% etero) e tra le persone occupate (58,8% donne; 54% uomini), ma cala tra chi non lavora (41,9% donne; 39,4% uomini). E quasi la metà del campione (47%) si è sentita svalutata nei contenuti culturali (55% donne vs 38% uomini). Tra le giovani donne della Gen Z, la mancata rappresentazione raggiunge il 70,8%, e resta elevata anche tra le Millennials (60,2%). Il senso di esclusione cresce tra le donne non etero (65% vs 49% etero) e tra le lavoratrici (59,4% vs 52% non occupate), mentre tra gli uomini i valori restano molto più bassi (26,3% Boomers). La violenza continua però a non essere vista. Infatti, solo un terzo agisce, mentre oltre la metà non vede la violenza. Solo il 34% del campione ha dichiarato di aver agito di fronte a episodi di violenza, mentre il 57% afferma di non aver mai assistito o saputo di casi simili. La propensione ad agire cresce tra la popolazione giovanile (50% Gen Z; 45% Millennials) e cala con l’avanzare dell’età (29% Gen X; 25% Boomers). Le donne non etero e quelle con disabilità mostrano maggiore consapevolezza (36,7% e 43,6% non hanno mai assistito a episodi, vs 57,3% e 58,3% delle altre). Anche la partecipazione lavorativa aumenta l’attenzione (51,4% lavoratrici vs 60,2% non occupate; 51,9% uomini vs 68,6%), segno che l’esposizione sociale favorisce il riconoscimento della violenza. “Alla luce di questi dati, si legge nel report, la prevenzione primaria deve diventare una responsabilità sistemica e continuativa delle istituzioni, fondata sull’applicazione effettiva del gender mainstreaming. In Italia, il principio è da tempo recepito, ma resta più dichiarato che praticato, con politiche frammentate. I Piani nazionali antiviolenza riconoscono l’importanza di agire sulle cause culturali, ma si limitano a interventi di sensibilizzazione, discontinui e finanziati con risorse inadeguate. Anche la Strategia nazionale per la parità di genere 2021–2026 non presenta un approccio di reale impatto trasformativo. Serve una visione strutturale e intersettoriale, capace di tradurre l’uguaglianza di genere in politiche concrete e durature: la vera rivoluzione culturale necessaria per prevenire la violenza maschile contro le donne in Italia”. Qui per scaricare il Rapporto: https://www.actionaid.it/pubblicazioni/perche-non-accada/.     Giovanni Caprio
Progetto SINAPSI: l’Ambito 9 rafforza l’impegno per il benessere giovanile e la prevenzione del gioco d’azzardo
L’Ambito 9 della Bassa Bresciana Centrale rinnova con forza il proprio impegno per la promozione del benessere psicologico e sociale dei giovani attraverso il Progetto SINAPSI, un’iniziativa articolata e condivisa realizzata in collaborazione con Associazione CRIAF e Cooperativa Il Calabrone, e attivata nell’ambito della convenzione stipulata con ATS Brescia, che ha approvato il Piano Locale di contrasto al Gioco d’Azzardo Patologico (GAP) promosso da Regione Lombardia. Questa convenzione rappresenta un passo importante nella costruzione di politiche locali integrate tra ambito sociale e sociosanitario, e ha l’obiettivo di: * Supportare la messa a sistema di policy e azioni locali per la prevenzione e il contrasto al GAP, con il coinvolgimento attivo degli Enti Locali e del Terzo Settore (prevenzione ambientale); * Promuovere l’aumento di conoscenze e competenze nei diversi target, a sostegno della health literacy; * Potenziare le attività di prevenzione e contrasto nei principali setting educativi e comunitari: scuola, luoghi di lavoro, comunità locali; * Rafforzare le opportunità di diagnosi precoce, cura e riabilitazione del Disturbo da Gioco d’Azzardo. UN PROGETTO INTEGRATO PER STUDENTI, FAMIGLIE E DOCENTI Attivo da diversi mesi, il Progetto SINAPSI si propone come risposta concreta al crescente disagio giovanile, attraverso un approccio innovativo e sistemico che coinvolge studenti, famiglie e insegnanti in percorsi differenziati ma integrati. A oggi, sono già stati coinvolti oltre 230 studenti in 28 gruppi attivati in sette scuole del territorio. I laboratori proposti mirano a potenziare le competenze socio-affettive, prevenire comportamenti a rischio (inclusi quelli legati al gioco d’azzardo) e promuovere consapevolezza e benessere personale. Tra le azioni cardine, si segnala anche l’intervento di peer education promosso dalla Cooperativa Il Calabrone, che vede gruppi di pari coinvolti attivamente nella sensibilizzazione tra coetanei su temi di benessere, rischio e prevenzione, inclusi quelli legati al GAP. Parallelamente, oltre 180 docenti da tutta la provincia di Brescia hanno preso parte a un percorso formativo partecipato, finalizzato a prevenire il disagio scolastico e costruire linee guida operative da adottare nelle scuole. SPAZI DI ASCOLTO E FORMAZIONE PER LE FAMIGLIE Un’attenzione particolare è stata riservata al coinvolgimento delle famiglie, con percorsi dedicati come “Genitori in Rel-Azione” e “Genitori Sentinella”, che offrono strumenti pratici per comprendere, prevenire e affrontare il disagio adolescenziale, anche in relazione alle dipendenze comportamentali come il gioco d’azzardo. I PROSSIMI APPUNTAMENTI L’Ambito 9, in sinergia con i partner del progetto, ha in programma nuove iniziative che rafforzano l’impegno educativo e preventivo sul territorio: * Ripartenza dei laboratori con studenti presso gli istituti scolastici del territorio, con attività di gruppo e percorsi individualizzati; * Nuovi incontri formativi per genitori, per rafforzare la relazione educativa e il riconoscimento precoce dei segnali di disagio; * Ripresa del percorso formativo per docenti con incontri di approfondimento, tutoraggio e sperimentazione didattica, in vista della definizione finale delle linee guida territoriali; * Attivazione di spazi di consulenza e sportelli di ascolto rivolti agli adulti di riferimento (educatori, insegnanti, genitori), a supporto dell’azione educativa sul territorio. VERSO UN MODELLO REPLICABILE DI BUONE PRASSI La dottoressa Claudia Pedercini, Direttrice Ambito 9 ha così commentato: «ATS Brescia e Ambito 9 hanno raccolto una sfida e scommesso sulla costruzione di un modello integrato di prevenzione che mette al centro il benessere delle giovani generazioni, unendo competenze, risorse e visioni in una rete territoriale solida e condivisa. Il Progetto SINAPSI è la testimonianza concreta di come il lavoro sinergico tra istituzioni, scuole, famiglie e Terzo Settore possa generare interventi capaci di incidere realmente sulla qualità della vita dei ragazzi e delle loro comunità. Non si tratta solo di contrastare il gioco d’azzardo patologico, ma di costruire contesti educativi e relazionali che sappiano prevenire il disagio, valorizzare le risorse personali e promuovere una cultura della salute e della responsabilità.» Il Progetto SINAPSI si fonda su un approccio ecologico, che considera i molteplici livelli di influenza sul benessere giovanile: individuale, relazionale, scolastico e territoriale. L’azione congiunta dell’équipe interdisciplinare e i dati raccolti nelle fasi di monitoraggio e valutazione stanno contribuendo alla definizione di un modello integrato di prevenzione, con un’attenzione specifica anche al contrasto del GAP, da proporre come buona prassi replicabile in altri contesti. Con SINAPSI, l’Ambito 9 si conferma promotore di una cultura della prevenzione, dell’ascolto e del benessere, attraverso un lavoro di rete stabile, professionale e condiviso. Ciclo di incontri per genitori – ottobre > dicembre 2025 L’Associazione CRIAF, nell’ambito del progetto SINAPSI e in collaborazione con ATS Brescia e l’Azienda Territoriale per i Servizi alla Persona – Ambito 9, sta proponendo “Kit per genitori efficaci” un ciclo di 8 incontri online gratuiti per accompagnare i genitori di fronte alle criticità che interessano la crescita dei figli: bullismo, uso della rete, ansia, calo motivazionale, difficoltà relazionali. – Tutti gli incontri si terranno online alle ore 20:30 – Iscrizione obbligatoria: Modulo di iscrizione agli incontri – Info: CRIAF – Tel. 030 9937736 • info@criaf.it  CALENDARIO DEGLI INCONTRI * 30 ottobre 2025 – Proteggere i figli dai rischi della rete Cyberbullismo, uso inconsapevole di internet, GAP: strategie di protezione e prevenzione * 6 novembre 2025 – Il “mal di scuola”, cosa fare? Come promuovere motivazione e benessere scolastico nei figli * 13 novembre 2025 – Ansia, tristezza ed emozioni “negative” Come sostenere i figli nei momenti emotivamente difficili * 20 novembre 2025 – Mio figlio sta bene? Riconoscere i segnali di malessere nei ragazzi * 27 novembre 2025 – Ascoltare e farsi ascoltare Comunicare efficacemente in famiglia * 4 dicembre 2025 – Il valore delle regole per la crescita Promuovere autonomia e responsabilità nei figli * 11 dicembre 2025 – Che genitore sono? Riconoscere le proprie emozioni, difficoltà e il proprio stile genitoriale   Ufficio Stampa – Ambito 9 Bassa Bresciana   Redazione Sebino Franciacorta
Napoli, insediato l’Osservatorio “Città Sicura” per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro
A PALAZZO SAN GIACOMO IL PRIMO INCONTRO DELL’ORGANISMO CONSULTIVO CHE RIUNISCE ENTI, ISTITUZIONI E SINDACATI. Si è svolta questa mattina, nella Sala Giunta di Palazzo San Giacomo, la seduta di insediamento dell’Osservatorio comunale per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro “Napoli Città Sicura”, alla presenza del sindaco Gaetano Manfredi. All’incontro hanno partecipato il consigliere delegato dal sindaco per presiedere l’Osservatorio, l’assessore al lavoro e ai giovani, la presidente del Consiglio comunale, il presidente della Commissione consiliare lavoro e giovani, il garante comunale per i diritti delle persone con disabilità e i referenti di oltre venti tra istituzioni, ordini professionali, sindacati e organizzazioni territoriali. L’Osservatorio, ricostituito dopo alcuni anni, si propone di offrire risposte concrete all’emergenza degli incidenti sul lavoro. La necessità di un luogo permanente di confronto e proposta è testimoniata dai dati dei primi nove mesi del 2025: nonostante gli infortuni sul lavoro siano in calo in Italia, si segnalano dati in controtendenza come l’aumento delle malattie professionali e degli incidenti in itinere (il tragitto casa-lavoro-casa), senza dimenticare i fatti gravissimi come il decesso di tre operai edili nell’incidente del Rione Arenella del 25 luglio scorso. La Campania si trova così spesso in “zona rossa”, che rappresenta la fascia più pericolosa nel confronto con le altre regioni italiane. Secondo l’Amministrazione comunale, “questo organismo consultivo rappresenta uno strumento utile per promuovere il dialogo e il coinvolgimento tra istituzioni, parti sociali e mondo tecnico-professionale, e per puntare sempre di più sulla formazione continua delle maestranze al fine di rafforzare la cultura della prevenzione e della sicurezza sul lavoro”. Il Comune sottolinea inoltre che “il tema della sicurezza è prioritario. L’Osservatorio rappresenta un’occasione di confronto e di stimolo molto utile rispetto a un cambiamento normativo e all’organizzazione del mondo del lavoro, che oggi risulta molto frammentato. Questo strumento assume quindi un valore importante per aiutarci a fare meglio e a realizzare, con un’azione quotidiana e l’impegno delle migliori competenze, piccoli passi che condurranno a grandi risultati”. L’istituzione dell’Osservatorio “Napoli Città Sicura” segna così un impegno concreto dell’amministrazione Manfredi nel promuovere la tutela della salute, la prevenzione e la sicurezza dei lavoratori, temi centrali per una città che vuole crescere nel rispetto della dignità del lavoro. HTTP:// FONTE: COMUNE DI NAPOLI – UFFICIO STAMPA Redazione Napoli
Un nastro rosa contro il cancro al seno, per la prevenzione e la ricerca
Grazie ai progressi della ricerca nella prevenzione e nella cura del cancro al seno, la percentuale di sopravvivenza a questo tipo di tumore è in costante aumento: oggi l’88% delle donne sono vive dopo cinque anni dalla diagnosi. Il tumore al seno resta però la neoplasia più diffusa in Italia: ogni anno colpisce circa 53.000 donne e una donna su otto riceve la diagnosi nell’arco della vita. È quindi fondamentale intensificare gli sforzi per ridurre la percentuale del 12% di pazienti che non si riescono ancora a curare, attraverso nuove terapie più sicure ed efficaci contro i tumori più aggressivi.  Il traguardo può sembrare vicino, ma il cosiddetto “ultimo miglio” è sempre la sfida più difficile e complessa. Richiede infatti un impegno ancora maggiore da parte dei ricercatori perché è proprio qui che si affrontano gli ostacoli più ostici. Tra questi vi sono il tumore del seno triplo negativo, che risponde solo in parte ai trattamenti attualmente disponibili e colpisce soprattutto in giovane età, e il tumore del seno metastatico, che oggi riguarda circa 37.000 donne in Italia (https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2024/12/2024_NDC-web.pdf).  Come si legge sul sito dell’AIRC: “Sono stati identificati molti fattori di rischio per questo tipo di tumore. Alcuni sono modificabili, come abitudini e comportamenti dannosi, quali un’alimentazione povera di frutta e verdura e ricca di grassi animali, l’abitudine al fumo e una vita particolarmente sedentaria. Altri fattori di rischio, invece, non si possono modificare, come i fattori genetici e l’età: la maggior parte di tumori del seno colpisce donne oltre i 50 anni. Ci sono inoltre alcuni fattori legati alla vita riproduttiva della donna che possono influenzare il rischio di tumore del seno: per esempio, una prima gravidanza prima dei 30 anni e l’allattamento al seno sono protettive contro la malattia. Circa il 5-­10 per cento dei tumori della mammella sono associati a fattori di rischio ereditari, in particolare a mutazioni nel DNA che in circa un quarto dei casi interessano i geni BRCA1 o BRCA2. Secondo le stime di AIRTUM, AIOM e Fondazione AIOM, il rischio di ammalarsi nel corso della vita di tumore mammario è pari a circa il 65 per cento per le donne portatrici di mutazioni del gene BRCA1, mentre la percentuale scende al 40 per cento circa se la mutazione interessa il gene BRCA2. Pertanto, alle donne portatrici di tali mutazioni il servizio sanitario offre gratuitamente la possibilità di entrare in programmi di sorveglianza che includono anche la risonanza magnetica mammaria, a partire dalla giovane età. La prevenzione del tumore del seno deve cominciare a partire dai 25 anni con l’autopalpazione, affiancata alla mammografia biennale dopo i 45-50 anni. Nelle donne giovani, l’ecografia e la mammografia si eseguono solo in caso di necessità” (https://www.airc.it/).  La campagna Nastro Rosa è un’occasione preziosa per sensibilizzare le donne sull’importanza della diagnosi precoce, perché individuare un tumore in fase molto inziale aumenta notevolmente la possibilità di curarlo in modo più efficace. Nel mese di ottobre tutto il mondo si mobilita contro il cancro al seno, indossando il nastro rosa diventato negli anni il simbolo della prevenzione e della ricerca sul tumore più diffuso tra le donne. In questa occasione Fondazione AIRC unisce ricercatori, pazienti e sostenitori per affrontare insieme la sfida più grande: trovare cure sicure ed efficaci per le donne colpite dalle forme più aggressive. Per questo il nastro rosa di AIRC è diverso dagli altri: incompleto, come l’obiettivo che non è stato ancora pienamente raggiunto. Il Nastro Rosa di Fondazione AIRC invita ad affrontare insieme il grande passo che ci separa dal traguardo: curare tutte le donne. Per rendere sempre più curabili tutti i tumori al seno, Fondazione AIRC solo nel 2024 ha destinato oltre 14 milioni di euro a progetti di ricerca e borse di studio in questo ambito. Qui gli eventi che si svolgeranno sul territorio: https://nastrorosa.airc.it/eventi.  Anche i Comuni italiani sono in prima linea nella sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione. E domani, lunedì 29 settembre alle ore 12, presso la Sala della Regina della Camera dei Deputati, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani – ANCI (https://www.anci.it/) e la Lega Italiana per la Lotta contro i tumori – LILT (https://www.lilt.it/) presenteranno la campagna di prevenzione Ottobre Rosa 2025 dedicata alla sensibilizzazione sul tumore al seno. All’evento, patrocinato dalla Camera dei Deputati, prenderanno parte tra gli altri: Roberto Pella, vice presidente Anci con delega alla salute, la segretaria generale dell’Anci Veronica Nicotra, il presidente di Federsanità Fabrizio d’Alba, il capo Dipartimento Prevenzione, Ricerca ed Emergenze Sanitarie del ministero della Salute Maria Rosaria Campitiello, la segretaria generale della Conferenza delle Regioni e della Province autonome, Alessia Grillo, Francesco Schittulli, presidente LILT, Gaetano Manfredi, presidente Anci e il  ministro per la Salute, Orazio Schillaci. Qui l’Opuscolo della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori – LILT predisposto per l’ultima “Settimana Nazionale per la Prevenzione Oncologica 2025”:  https://www.lilt.it/sites/default/files/guide/2025-03/ULTIMO%20OPUSCOLO%20SNPO%202025%20SINGOLE.pdf.  Giovanni Caprio
Quanti Paolo ancora? Storia di un fallimento collettivo
«Ogni bambino che non viene aiutato a essere se stesso diventa un adulto che faticherà a vivere». La morte di Paolo Mendico, il quattordicenne di Santi Cosma e Damiano che il 14 settembre ha deciso di togliersi la vita, rende questa frase terribilmente attuale. Sono passati alcuni giorni e ancora oggi le domande restano senza risposta. La Procura di Cassino ha avviato indagini, l’autopsia è in corso, i dispositivi del ragazzo sono stati sequestrati. Intanto il Ministero ha avviato audizioni nella scuola che frequentava. I familiari parlano di episodi di bullismo e di vessazioni online, che forse hanno scavato nel tempo un solco di dolore. Il fatto è avvenuto a poche ore dall’inizio del nuovo anno scolastico. Per molti ragazzi questo momento coincide con l’entusiasmo di rivedere i compagni, con il desiderio di fare progetti e condividere nuove esperienze. Per altri, invece, può trasformarsi in un passaggio doloroso, carico di ansia, isolamento e paura. È in ciò che non vediamo, nei dettagli che sfuggono al nostro sguardo distratto, che a volte si nasconde il dolore più profondo. Ogni comunità che vive una tragedia simile resta sospesa tra lo sgomento e il senso di colpa. Ci si interroga su ciò che forse non è stato visto, sui segnali che potrebbero essere sfuggiti. Non esistono risposte semplici, ma esiste il dovere di fermarsi e riflettere insieme. Quello di Paolo non è un caso isolato. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo oltre settecentoventimila persone si tolgono la vita ogni anno, e per i giovani tra i quindici e i ventinove anni il suicidio è la terza causa di morte. Anche tra i giovanissimi la realtà è dura: nella fascia dieci–quattordici anni si contano più di ottomila decessi l’anno. In Europa l’UNICEF stima che tre adolescenti al giorno muoiano per suicidio, e ricorda che ansia e depressione costituiscono più della metà dei disturbi mentali giovanili. In Italia l’ISTAT registra quasi quattromila suicidi nel 2021, con un aumento del sedici per cento tra i quindici e i trentaquattro anni rispetto al 2020. Questi dati non possono essere letti di fretta, come fossero solo statistiche. È importante leggerli con attenzione e soffermarcisi con il pensiero, perché sono gli unici che ci restituiscono la dimensione reale delle cose. Dietro ogni cifra ci sono volti, storie, famiglie, comunità. Solo se partiamo da qui possiamo comprendere la gravità del problema e la necessità di agire. La scuola, che dovrebbe essere il luogo dove crescere e sentirsi accolti, diventa a volte anche lo spazio dove emergono dinamiche di esclusione e bullismo. Non è per mancanza di volontà o negligenza degli insegnanti, ma perché troppo spesso mancano strumenti, tempo e formazione. Non si può lasciare la valutazione del disagio adolescenziale alla sola sensibilità individuale, anche quando a doverlo affrontare sono operatori dell’istruzione di grande dedizione. La scuola deve essere messa nelle condizioni di operare con competenze adeguate, supportata da figure professionali formate e da percorsi che rendano la prevenzione parte integrante della vita scolastica. Un altro nodo cruciale è la salute mentale. È stato avviato un piano per portare lo psicologo nelle scuole, ma la presenza resta frammentaria, legata a progetti temporanei. Un ragazzo che soffre non può aspettare: ha bisogno di un punto di ascolto stabile, di un adulto formato, di una porta aperta sempre. Il disagio adolescenziale non è soltanto un dramma privato, ma una ferita sociale. È il segno che la comunità non è stata capace di proteggere i suoi membri più vulnerabili. Non possiamo pensare che sia un problema della sola scuola, o della sola famiglia. È una responsabilità che riguarda tutti: istituzioni, operatori sanitari, associazioni, media. Servono strumenti concreti, serve formare genitori e docenti a riconoscere i segnali di disagio, serve coinvolgere i ragazzi stessi e dare loro la possibilità di diventare parte di una rete di sostegno. La storia di Paolo non deve restare un titolo di cronaca. È un appello che chiede a tutti noi di guardare oltre le statistiche e imparare a prenderci cura, ogni giorno, delle fragilità che attraversano le nostre comunità. Se hai bisogno di aiuto 114 – Emergenza Infanzia (h24, gratuito) Telefono Azzurro 1.96.96 (h24, anche chat e app) Telefono Amico Italia 02 2327 2327 (tutti i giorni 9–24) — WhatsApp 324 011 7252 (18–21) In caso di emergenza: 112 -------------------------------------------------------------------------------- FONTI * OMS – Suicidio nel mondo (2025): https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/suicide * http://UNICEF Europe – On My Mind (salute mentale adolescenti): https://www.unicef.org/eca/reports/my-mind * http://ISTAT – Cause di morte 2021 (Italia): https://www.istat.it/it/archivio/cause-di-morte Lucia Montanaro
Tennis, prevenzione e carri armati: la militarizzazione avanza spedita
Dal 12 al 14 settembre Torino ha ospitato la manifestazione “Tennis and Friends – Salute e sport”, svoltasi nella centralissima Piazza Castello, che gli studenti e le studentesse dell’acampada di quella che ormai è nota come “Piazza Palestina” – presidio permanente a sostegno della popolazione di Gaza che ha da poco “compiuto” 100 giorni di vita – hanno dovuto lasciare, trasferendosi in una piazza non lontana (clicca qui per la notizia). “Tennis and Friends”, che si svolge dal 2011 “come Official Charity delle Nitto ATP Finals” (https://www.tennisandfriends.it/torino-25/), riscuote un buon successo di pubblico in questo periodo di “sinnerizzazione” della società e di innamoramento collettivo per il tennis, che sembra aver affiancato il calcio come potente “arma di distrazione di massa”. Ciò che però è rilevante agli occhi dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università è che tra gli enti patrocinanti dell’evento troviamo il Ministero della Difesa, poiché le Forze Armate, così come la Polizia di Stato, sono coinvolte nelle attività di prevenzione e screening proposte in queste giornate. Sul sito del dicastero leggiamo: “Lo Stato Maggiore della Difesa contribuisce al “Villaggio della Salute”, aperto nei giorni sabato e domenica, con un’area promossa dall’Ispettorato Generale della Sanità Militare […]. Cittadini e cittadine possono usufruire di visite gratuite in Otorinolaringoiatria, Cardiologia, Oculistica e Ginecologia: un’occasione concreta per prendersi cura della propria salute, in modo semplice e accessibile” (https://www.difesa.it/smd/news-italia/difesa-a-torino-per-tennis-and-friends-tre-giorni-sport-salute-prevenzione/78942.html).  Il personale in divisa ha proposto alla cittadinanza non solo visite mediche garantite dalle strutture sanitarie militari, ma anche momenti ludici rivolti in particolare alle scuole (https://www.tennisandfriends.it/wp-content/uploads/2025/09/PROGRAMMA-TORINO2025.pdf). Nel programma della giornata di venerdì 12 troviamo proposte che spaziano dal simulatore di tiro Biathlon a fucili laser al simulatore di pagaiata, passando per una dimostrazione di blsd a cura della Polizia di Stato e senza dimenticare attività proposte dagli atleti dei gruppi sportivi militari. Il tutto è stato allietato dalla fanfara della Brigata Alpina Taurinense e dalla presenza di madrine e padrini del calibro di Cristina Chiabotto e Albano Carrisi. Le giornate di sabato 13 e domenica 14 sono state dedicate ad attività di screening e prevenzione “offerte” in parte dalla ASL di Torino e in parte da medici in divisa, mentre proseguivano le manifestazioni sportive e gli incontri con specialisti della salute e personaggi pubblici, fino alla chiusura della manifestazione con l’esibizione della Fanfara III Reggimento Carabinieri.  Dal punto di vista dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università eventi e manifestazioni come quella in esame sono pienamente riconducibili al progetto di diffusione della “cultura della difesa”, di cui il Programma di Comunicazione del Ministero della Difesa indica obiettivi e intenti. Tra i “temi di comunicazione” individuati dal documento troviamo proprio la sanità, che è inserita tra le funzioni che devono essere valorizzate e ricondotte a un sistema volto a presentare la “Difesa al servizio del Paese non solo per la sicurezza” (https://www.difesa.it/assets/allegati/3706/pc_md_2025.pdf, p. 25), con l’obiettivo di “cambiare la percezione dello Strumento Militare nazionale” attraverso “una mutua contaminazione reciprocamente vantaggiosa con il mondo civile” (p. 17). Ciò che qui intendiamo ribadire è che il processo di normalizzazione della presenza di Forze Armate e Forze dell’Ordine in ambito civile non è né casuale né (tantomeno) neutro, ma è al contrario l’esito di un progetto di lungo periodo, intenzionalmente e consapevolmente pianificato proprio con la finalità di “occupare” spazi e a dare risposte a esigenze non sempre adeguatamente soddisfatte da un welfare in crisi. Questo è particolarmente evidente proprio guardando al settore sanitario: la tenuta del Sistema Sanitario Nazionale, già erosa da decenni di tagli, è oggi minacciata dal disinvestimento in questo capitolo di spesa a favore della crescita delle spese militari nel contesto del piano riarmo europeo. Il paradosso è evidente: le Forze Armate guadagnano credibilità e sostegno offrendo “gratuitamente” ed erogando come se fosse un “regalo” alla cittadinanza servizi che il SSN non riesce più a fornire. La distorsione è grave e incisiva anche dal punto di vista della percezione da parte dei cittadini: quello che è un diritto (la salute, le cure mediche, la prevenzione) non è garantito dai soggetti istituzionali che appaiono (e sono, in effetti) carenti per scelte (politiche) che rafforzano anche economicamente il settore militare, il quale ha così buon gioco nel presentarsi come un deus ex machina salvifico nel vicariare funzioni che non gli pertengono. L’esito perverso è l’aumento, da parte dei cittadini, della sfiducia nei confronti di settori che non vengono adeguatamente finanziati, parallelamente alla crescita di prestigio e popolarità delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine, anche perché il contesto in cui il servizio è erogato è appositamente pensato per attrarre i destinatari sia con iniziative ludiche, sia grazie a una sapiente regia capace di giocare (indirettamente) su crescenti sentimenti di paura e insicurezza: non a caso proprio a Torino ha “vegliato” sulla manifestazione “un VTMM ‘Orso’, mezzo militare in configurazione ‘ambulanza’, che consente al personale medico di operare in sicurezza, garantendo un rapido intervento in area di operazioni”. A essere normalizzata, è evidente, non è più la sola presenza di personale in divisa nelle città, ma l’idea stessa che le stesse città o comunque il “nostro” tranquillo Occidente possa in un tempo neanche troppo remoto doversi riabituare all’idea e alla presenza della guerra. Qui alcuni scatti di compagni e compagne della Scuola per la Pace di Torino e Piemonte. Irene Carnazza, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Torino
La fragilità come forza educativa: il progetto “Forza Uguale e Contraria” a Napoli
-------------------------------------------------------------------------------- Nell’estate appena trascorsa, a Napoli, si è discusso molto del tema della fragilità grazie a un progetto che unisce scuola e terzo settore. “Forza Uguale e Contraria” nasce dalla collaborazione tra il Liceo Artistico Statale, la Cooperativa Era, la Cooperativa Partecipiamo e il Centro Polifunzionale Ciro Colonna di Ponticelli (Cooperativa NuReCo), con il sostegno del Comune di Napoli. L’iniziativa si propone come punto di riferimento per l’assistenza specialistica nelle scuole, con l’obiettivo di accompagnare i ragazzi più vulnerabili e sostenere, al tempo stesso, gli adulti che se ne ricevono cura. L’idea di fondo è affrontare la fragilità non come un limite, ma come condizione umana universale e valore da riconoscere. Oggi spesso mancano parole capaci di contenere emozioni e sentimenti, e sembra rifiutata una convivenza basata su equilibrio e ascolto reciproco. Rendere la fragilità un terreno possibile di incontro significa contrastare l’isolamento e la violenza, e aprire la strada a una vita condivisa, in cui l’altro non è percepito come minaccia ma come possibilità di relazione. Il progetto si concentra sugli adolescenti con dipendenze, disturbi dell’umore o tratti di personalità problematici. Con loro si lavora partendo da un presupposto semplice ma potente: nell’istinto animale la ferita deve restare nascosta per non diventare debolezza; l’essere umano, invece, può trasformare la ferita in parola, pensiero, desiderio di futuro. Durante gli “incontri di mezza luna”, che si svolgono ogni martedì, ragazzi, docenti e specialisti si siedono in semicerchio e riflettono insieme sul vissuto della settimana. È un tempo sospeso, in cui il ragazzo si sente al centro dei pensieri di un adulto che lo accoglie e lo contiene, trovando il coraggio di esprimere emozioni difficili. La metodologia prevede una coppia educativa formata da docente e specialista: l’insegnante guida la lezione, mentre lo psicologo osserva in silenzio, posizionato alle spalle degli studenti. Questa presenza discretamente crea uno spazio di fiducia: i ragazzi sanno che l’adulto c’è, pur non vedendolo, e possono affidarsi a lui per dare forma a pensieri e parole. Così si costruisce una terza area intermedia, protetta, in cui nasce la possibilità di trasformare paure e conflitti in dialogo. Il progetto chiama in causa anche il mondo interiore degli adulti. Per sostenere i giovani, infatti, docenti e specialisti devono fare i conti con le proprie emozioni più resistenti e dolorose, imparando a elaborarle e trasformarle. È qui che prende senso il richiamo al “comandante”: la parte più profonda dell’Io che, attraversando tempeste emotive e fragilità, cerca di mantenere il rottame, tenendo insieme il mondo interno e il contatto vivo con l’esterno. In questo spazio di ricerca condivisa, l’arte del progettare insieme diventa cura: emergono pensieri cupi, fragilità e sofferenze, ma anche possibilità di trasformazione. Lo stupore e la meraviglia, motori del progetto, evidenziano una dimensione educativa che accoglie la differenza e la pluralità, offrendo ai ragazzi e alla comunità un futuro più libero e consapevole. Per informazioni: info@nureco.it Redazione Napoli