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“Questa Lega è una vergogna”
Pino Daniele e il coraggio di dire no al razzismo nei manifesti rimossi a Roma C’è una fotografia che oggi non vedrai in copertina. Non perché non esista, ma perché ogni replica non contestualizzata è una nuova diffusione del messaggio d’odio. Per questo non vogliamo contribuire a diffonderla. È l’immagine di un manifesto affisso in varie zone di Roma e firmato dalla Lega. Uno slogan gridato in maiuscolo: “Occupi una casa? Ti buttiamo fuori in 24 ore”. Accanto, una scena costruita con cura inquietante: persone visibilmente non italiane, con tratti che evocano lo stereotipo del “diverso”, neri, rom, volti caricaturali, vengono fermate dalla polizia davanti a un portone. Non è solo propaganda. È un attacco visivo e narrativo alla dignità umana. Per questo, abbiamo scelto di aprire con un altro tipo di immagine: la copertina dell’album ‘O scarrafone di Pino Daniele, che nel 1991 cantava: Un uomo in blues “Questa Lega è una vergogna”. Un verso che oggi suona come un monitor ancora attuale. Trentaquattro anni dopo, quella denuncia sembra ancora necessaria. Gli stessi pregiudizi, le stesse campagne denigratorie, le stesse immagini stereotipate restano affisse sui muri delle nostre città. Non è solo un ritorno nostalgico a una canzone del passato, ma il segno di una memoria viva e resistente. Una memoria che parla ancora, come quella Napoli profonda e meticcia che ha sempre saputo dire no al razzismo anche quando non faceva notizia. Non è solo un manifesto. È una battaglia del nemico La fotografia, visibile nell’articolo solo per scopi critici, non è documentazione giornalistica. È un set narrativo in scena per alimentare una percezione falsa e pericolosa: che l’abusivismo, l’illegalità, il pericolo per “la brava gente” hanno un volto preciso. E quel volto, guarda caso, non è mai bianco. Manifesto della Lega con contenuti discriminatori Si tratta di razzismo visivo, e la parola non è abusata. È esatto. Quando si usano immagini che assimilano minoranze etniche a comportamenti criminali, si viola un principio fondamentale: l’uguaglianza di tutte le persone davanti alla legge e alla dignità. La rimozione da parte del Comune: censura o responsabilità? Il Comune di Roma ha deciso di rimuovere quei manifesti. Una scelta che ha scatenato l’ira della Lega, che ha parlato di “bavaglio comunista” e attacco alla libertà d’espressione. Ma la libertà di espressione non è il diritto di diffondere odio. Non è il diritto di costruire narrazioni che identificano etnie con criminalità, povertà con pericolosità, disperazione con minaccia. La decisione del Comune non è censura. È difesa della Costituzione, che all’articolo 3 garantisce pari dignità sociale senza distinzione di razza, lingua o opinioni. È una presa di posizione civile, in un’epoca in cui anche l’indifferenza può essere complicità. In un contesto europeo in cui il razzismo è in crescita, come riportato dalla FRA (Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali), la difesa attiva dei principi costituzionali non è una forzatura ideologica, ma un obbligo morale. E lo è ancor di più in Italia, dove articoli come il 3 e il 21 della Costituzione stabilizzano che l’espressione libera non può mai tradursi in incitamento alla discriminazione. Propaganda che semplifica, divide, colpisce Il manifesto affisso a Roma è solo l’ultimo esempio di una strategia comunicativa fondata sulla costruzione di un nemico semplice: lo straniero, il povero, l’abusivo, che minaccia l’ordine. Nessun riferimento a cause strutturali, nessuna proposta di inclusione sociale, nessuna complessità, solo paura e repressione. Chi ha costruito quella fotografia, con ogni probabilità in un set o con un intervento di post-produzione, non ha scelto a caso i volti, gli abiti, le posture. Ha voluto che parlassero da soli. Ha iniettato razzismo nelle immagini, contando sulla rapidità con cui lo sguardo assorbe e giudica. Secondo l’ultimo rapporto dell’Unione Inquilini, in Italia nel 2023 sono stati eseguiti oltre 29.000 sfratti, il 90% dei quali per morosità incolpevole. La vera emergenza abitativa riguarda famiglie italiane e straniere senza mezzi, non criminali o “furbetti”. Ma questa complessità non fa notizia. Meglio ridurre tutto a uno slogan da affissione. Il paradosso di CasaPound A rafforzare l’ipocrisia di certe narrazioni, c’è il caso di CasaPound. Fondata nel 2003, CasaPound è un’organizzazione politica di estrema destra che si definisce “fascista del terzo millennio”. È conosciuta per le sue azioni provocatorie e per l’occupazione di spazi pubblici. A Roma, in via Napoleone III, questo movimento occupa da oltre vent’anni un palazzo di proprietà pubblica senza pagare affitto, trasformandolo nella propria sede nazionale. Un’occupazione illegale mai realmente sanzionata. Nonostante le denunce, gli appelli e le mozioni approvate dal Consiglio Comunale, lo stabile non è mai stato sgomberato. È solo il caso più noto: altre occupazioni e concessioni opache si sono susseguite negli anni. Una realtà che mostra come le regole, in Italia, sembrano valere in modo diverso a seconda del colore della pelle o della bandiera che si sventola. Qualcuno ha suggerito, con amarezza, che forse la Lega dovrebbe affiggere un manifesto diverso: “Occupi un palazzo da vent’anni a Roma senza pagare affitto? Ti portiamo anche il caffè, basta che sei nostro amico”. Sarebbe più onesto. Fonti e approfondimenti: Unione Inquilini – Rapporto sugli sfratti in Italia 2023 https://www.unioneinquilini.it/index.php/rapporti-sfratti-2023/   Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali (FRA) – Relazione annuale 2023 https://fra.europa.eu/it/publication/2023/fundamental-rights-report-2023   Costituzione della Repubblica Italiana – Articoli 3 e 21 https://www.senato.it/1025?sezione=118&articolo_numero_articolo=3 https://www.senato.it/1025?sezione=118&articolo_numero_articolo=21   Movimento del Comune di Roma sullo sgombero di CasaPound (2020) https://www.romatoday.it/politica/casa-pound-via-napoleone-mozione-sgombero.html   Rimozione manifesti Lega a Roma – Notizia ANSA https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2025/07/27/roma-rimossi-i-manifesti-lega-stereotipi-razzisti Lucia Montanaro
Sanzioni ad Albanese: un attacco al diritto internazionale
Nel mondo al contrario nel quale viviamo, gli Stati Uniti, mentre accolgono in pompa magna il premier israeliano Netanyahu, destinatario di un mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale, accusano Francesca Albanese, Relatrice speciale per i territori palestinesi delle Nazioni Unite, di portare avanti «una campagna politica ed economica contro gli Stati Uniti e Israele». Il Segretario di Stato Marco Rubio ha infatti annunciato il 10 luglio sanzioni contro gli «illegittimi e vergognosi sforzi di Albanese per fare pressione sulla Corte penale internazionale affinché agisca contro funzionari, aziende e leader statunitensi e israeliani». > Al centro dell’attacco è chiaramente l’ultimo rapporto della Relatrice Onu, > pubblicato il 30 giugno, che denuncia il legame del settore privato con il > genocidio. Come leggiamo nel sommario: «Mentre i leader politici e i governi si sottraggono ai loro obblighi, molte aziende hanno tratto profitto dall’economia israeliana di occupazione illegale, apartheid e ora genocidio. La complicità esposta dal rapporto è solo la punta dell’iceberg; non sarà possibile porvi fine senza ritenere il settore privato responsabile, compresi i suoi dirigenti (…). Questo è un passo necessario per porre fine al genocidio e smantellare il sistema globale che lo ha permesso». Ma è tutto il suo lavoro ad essere denigrato. Il suo mandato è iniziato nel 2022, e da allora, convenzioni internazionali alla mano, denuncia le violazioni dei diritti umani del popolo palestinese a opera di Israele e dei suoi complici. La Relatrice speciale è un’esperta indipendente con il compito di monitorare i diritti umani nei territori palestinesi, i suoi rapporti non hanno potere sanzionatorio ma possono aumentare la pressione internazionale e informano il lavoro della Corte penale internazionale. Israele aveva già cominciato una campagna per screditare Albanese. Oggi, infatti, se si cerca il suo nome su Google si troverà una pagina sponsorizzata dell’Israel National Digital Agency dove si legge che «Le sue dichiarazioni pubbliche sono state caratterizzate dalla distorsione dell’Olocausto, dalla negazione del diritto all’esistenza di Israele e da una retorica che minimizza o giustifica la violenza terroristica – un linguaggio fondamentalmente in contrasto con i principi della legge internazionale sui diritti umani». Come scrive Elisabetta Rosso su FanPage: «La pagina sponsorizzata fa parte di una campagna controversa del governo israeliano. Da mesi la Israeli Government Advertising Agency – agenzia che opera come gruppo di comunicazione per il governo di Benjamin Netanyahu – sta cercando di manipolare la narrazione con strumenti propri della comunicazione commerciale». Come il video costruito con l’intelligenza artificiale sugli aiuti umanitari distribuiti a Gaza e la campagna contro l’UNRWA.  Craig Mokhiber su Mondoweiss spiega che «L’ordine di sanzioni e le dichiarazioni che le accompagnano costituiscono una violazione diretta della Carta delle Nazioni Unite, della Convenzione sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite e dell’Accordo sulla sede delle Nazioni Unite (Accordo sul Paese ospitante)». E, continua Mokhiber, può essere considerata una violazione degli USA della Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite, in base alla quale Israele è attualmente sotto processo presso la Corte penale internazionale. Le sanzioni sono un vero e proprio attacco al sistema delle Nazioni Unite, di cui la Relatrice è parte insieme alla Corte penale internazionale, già sanzionata dagli USA lo scorso febbraio all’indomani del pronunciamento in cui giudicava «plausibile» il genocidio perpetrato da Israele. Si screditano gli organi che si sono fatti portavoce delle più forti denunce contro il genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità commessi da Israele. L’obiettivo finale del governo Trump, e del suo alleato Netanyahu, è far crollare l’intera impalcatura del diritto internazionale liberale e lasciare mano libera alla legge del più forte nello scacchiere internazionale. > Sono i governi reazionari occidentali, quindi, a essere i primi nemici del > sistema dei diritti umani e della pace.  Sono decine le dichiarazioni di solidarietà da parte della società civile in tutto il mondo: il portavoce delle Nazioni Unite Stéphane Dujarric ha dichiarato che «l’uso di sanzioni unilaterali contro i relatori speciali o qualsiasi altro esperto o funzionario delle Nazioni Unite è inaccettabile», così come l’Unione Europea tramite la portavoce della Commissione per gli Affari esteri El Anouni.  Ancora nessuna voce, invece, da parte del governo italiano, che da una parte aderisce alla delegittimazione della Corte penale internazionale, aiutando la fuga del torturatore Al-Masri, dall’altra rimane in silenzio di fronte all’annuncio delle sanzioni statunitensi a Francesca Albanese. Un silenzio imbarazzante che coinvolge anche il capo dello Stato Sergio Mattarella, ma che non stupisce dato il suo legame storico con Israele. Nel 2005 fu proprio Mattarella il relatore in commissione del Memorandum di intesa con Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa. Evidentemente, le istituzioni di questo Paese non considerano Francesca Albanese “un’eccellenza italiana” da sostenere così come non riconoscono il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione.  Immagine di copertina da Wikicommons SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Sanzioni ad Albanese: un attacco al diritto internazionale proviene da DINAMOpress.
Noi siamo docenti Pacefondai. Il Liceo “Leonardo da Vinci” di Bisceglie per la Pace e i Diritti umani
DOCUMENTO APPROVATO ALL’UNANIMITÀ DAL COLLEGIO DOCENTI DEL LICEO “LEONARDO DA VINCI” DI BISCEGLIE (BT) NELLA SEDUTA DEL 7 LUGLIO 2025. Come docenti, a cui spetta anche l’insegnamento dell’Educazione Civica a ragazzi e ragazze che domani si presenteranno al mondo adulto come cittadine e cittadini, ci siamo trovate/i profondamente in imbarazzo nell’anno scolastico appena trascorso a spiegare le vicende che avvennero all’indomani del primo conflitto mondiale e quelle che si verificarono subito dopo la catastrofe nazifascista. Ai primi del Novecento la corsa al riarmo insieme al logoramento dell’equilibro internazionale generato dalla competizione imperialistica e dal nascente nazionalismo spinsero inesorabilmente verso l’ampliamento di conflitti secondari e periferici, “guerre per procura”, che diventarono lentamente di portata mondiale. In quegli anni le velleità autoritarie e le mire espansionistiche di un paio di discutibili personaggi, su cui abbiamo espresso un’inoppugnabile e contrita condanna morale, gettarono l’Europa e il mondo intero in una totale miseria corredata da un’inutile carneficina. Con sdegno e commozione abbiamo raccontato dei folli progetti dei nazifascisti, che furono comunque sostenuti dalla maggior parte del popolo, un po’ consapevolmente un po’ per indifferenza, progetti che condussero poi alla depredazione, alla colonizzazione, alla deportazione di popolazioni intere, al genocidio di gruppi di persone largamente riconducibili a categorie razziali, culturali, etniche e religiose. Il “Mai più” risuonato nel Preambolo della Carta dell’UNESCO ha trovato fondamento nella Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio dell’ONU entrata in vigore nel 1951, che all’articolo II riporta: «Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro». A partire da queste evidenze giuridiche, come docenti, come educatori, come costruttori di una umanità di pace, non possiamo non condannare i fantomatici progetti di fare di Gaza la riviera balneare del continente asiatico con la conseguente deportazione del popolo palestinese altrove; non possiamo non condannare quello che per la Corte Penale Internazionale e per accreditate ONG, tra cui Amnesty International, viene rubricato come genocidio nei confronti di tutta la popolazione palestinese, affamata, privata di ospedali, cure mediche essenziali, scuole e università. Non possiamo non guardare con preoccupazione la folle corsa al riarmo, che punta all’investimento del 5% del PIL nazionale in spese legate alla difesa e alla sicurezza, mentre le nostre scuole avrebbero bisogno di interventi strutturali per rendere più decoroso il nostro lavoro e più sicura la permanenza degli studenti e delle studentesse nelle aule. Il rischio che si intravede è che, oggi come un secolo fa, la mediocre normalità diventi abulia morale anche nell’ambito dell’educazione, giacché è proprio nell’abulia dei molti che trova spazio l’affaccendarsi violento e spregiudicato di pochi avidi di potere, mentre la consapevole scelta partigiana di pace viene messa costantemente sotto scacco. Come docenti, come educatrici ed educatori, noi ci opponiamo a questa deriva con questo documento che sottoscriviamo. Lavoriamo per costruire convivenze pacifiche, abilità nella cooperazione, pace come modello di vita autentica, fatta di responsabilità condivise. Insegniamo che ogni persona ha diritto a vivere con dignità, ad immaginare un futuro migliore, a coltivare sogni e quindi non accettiamo che questi valori vengano calpestati. Esistono alternative alla violenza: gli strumenti del diritto internazionale, le vie diplomatiche, le forme di pressione nonviolenta, come il disinvestimento o il boicottaggio e di questo vogliamo farci portavoce con il nostro lavoro. Noi siamo lavoratori e lavoratrici per la diffusione della cultura, della libertà, della dignità umana, della ricerca della giustizia. Noi siamo docenti Pacefondai.
Discorsi Mediterranei | Storie di diritti, migrazioni e solidarietà internazionale
Discorsi Mediterranei è un festival su diritti, migrazioni e solidarietà internazionale, promosso da Arci Cassandra Aps e Ets Associazione culturale Narrazioni cofinanziato da Regione Puglia, Comune di Specchia e Istituto di Culture Mediterranee e sostenuto  da un ampio partenariato pubblico-privato. Spin-off del festival Armonia. Narrazioni in Terra d’Otranto – ideato e organizzato da Narrazioni Ets e giunto quest’anno alla sua 11 a edizione – Discorsi Mediterranei porterà per la prima volta nel Capo di Leuca un’occasione di riflessione approfondita sulle questioni sociopolitiche e culturali del bacino del Mediterraneo, con un approccio intersezionale attento ai legami tra diritti, identità sociali, questioni di genere, contesto ambientale e fenomeni migratori e con un focus sulle nuove narrazioni delle migrazioni e dei Sud globali. Il festival ospiterà alcune delle voci più importanti del panorama nazionale: studios_, espert_, giornalist_, reporter, cooperanti, attivist_ che prenderanno parte ai discorsi – conversazioni aperte al pubblico – e contribuiranno a informare, sensibilizzare, promuovere conoscenza e consapevolezza sui temi e sull’impegno che persone e organizzazioni della società civile mettono quotidianamente nella promozione dei diritti umani. Con la direzione artistica di Mariangela Ciriello e Riccardo Buffelli, Discorsi Mediterranei sarà articolato in tre tappe: una prima a Specchia il 28 e 29 giugno, una seconda a Santa Maria di Leuca il 19 luglio (qui il festival Armonia e Discorsi Mediterranei torneranno ad intrecciarsi), una terza ed ultima tappa a Patù il 6 e 7 settembre. Cartella Stampa Instagram Redazione Torino
Mozione IIS “Leonardo da Vinci” di Aversa per la difesa dei diritti umani nella Striscia di Gaza
Le docenti e i docenti dell’IIS “Leonardo da Vinci”, considerato che: * La tutela dei diritti umani è un principio universale sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) e da numerose convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, tra cui la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (1989); * il contesto internazionale attuale e, in particolare, quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza, presenta una drammatica emergenza umanitaria che coinvolge migliaia di civili, tra cui un numero elevatissimo di bambini e bambine, vittime dirette e indirette della violenza; * l’art.11 della Costituzione Italiana afferma il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; * l’educazione alla pace, alla solidarietà e al rispetto reciproco è parte integrante delle finalità della scuola italiana; * il crescente rischio di normalizzazione di atteggiamenti discriminatori, razzisti o indifferenti di fronte alla sofferenza umana impone un chiaro posizionamento etico e pedagogico delle istituzioni educative; Esprimono una ferma condanna verso ogni forma di guerra, violenza indiscriminata contro i civili e violazione dei diritti fondamentali, con particolare riferimento alla crisi umanitaria in atto nella Striscia di Gaza. Ribadiscono il ripudio della guerra e di ogni forma di razzismo, apartheid o discriminazione etnica, religiosa o culturale. Sostengono il diritto dei bambini e delle bambine, in ogni parte del mondo, a vivere in sicurezza, salute, istruzione e dignità, come previsto dalla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia. Si impegnano a promuovere, nell’ambito delle attività scolastiche ed educative, iniziative, percorsi didattici, momenti di riflessione, manifestazioni o eventi che contribuiscano a formare una coscienza civica, critica e solidale, nel pieno rispetto del pluralismo e della missione educativa della scuola. Invitano infine tutte le componenti della comunità scolastica a partecipare attivamente e responsabilmente a tali iniziative, promuovendo il dialogo, la pace e la cooperazione tra i popoli.
Beyond Borders: un viaggio attraverso l’Africa e la salute globale
Mostra fotografica di Giulio Di Meo dal 6 al 21 giugno 2025 Inaugurazione: Venerdì 6 giugno 2025 ore 17 Ore 18,00 presentazione del volume BEYOND BORDERS L’Associazione Culturale TerzoTropico-APS e QR Photogallery presentano la mostra fotografica BEYOND BORDERS di Giulio Di Meo, che racconta l’esperienza umana e professionale di un’ONG italiana nel Corno d’Africa, con un focus speciale sulla sanità oncologica. L’esposizione, in collaborazione con l’ONG Patologi Oltre Frontiera, inaugurerà venerdì 6 giugno 2025 alle ore 17 presso la QR Photogallery di Bologna (Via Sant’Isaia 90). Alle ore 18.00 seguirà la presentazione del libro fotografico BEYOND BORDERS (Edizioni Pendragon), che raccoglie il lavoro del fotografo e documenta l’intervento sanitario realizzato dalla ONG, offrendo uno sguardo profondo e toccante oltre i confini geografici e umani. Interverranno, oltre all’autore, Vincenzo Stracca Pansa dell’Ong Patologi Oltre Frontiera e Antonio Bagnoli della casa editrice Pendagron. La mostra sarà visitabile fino al 21 giugno con questi orari: lunedì-venerdì dalle 09:00 alle 19:00; sabato: dalle 09:00 alle 14:00. In un’epoca in cui l’Africa è raccontata da numerosi fotografi, spesso con immagini forti e drammatiche, il lavoro di Giulio Di Meo si distingue per la sua capacità di andare oltre la mera documentazione. Le sue fotografie, pur non nascondendo le difficoltà e le sfide del continente, portano alla luce anche storie di speranza, resistenza e ricerca di un futuro migliore. Le sue immagini sono un invito a riflettere sulla sanità globale, con un focus sulle iniziative di cambiamento in Africa, dove le difficoltà in ambito sanitario sono enormi. Come scrive Fausto Podavini nell’introduzione al libro, “In Beyond Borders, il fotografo Giulio Di Meo, con sensibilità e delicatezza, suggerisce e documenta con uno sguardo personale. Ci prende per mano e ci conduce in contesti duri, alternandoli per a situazioni di ricerca e speranza, mantenendo il focus su un aspetto sanitario importantissimo per il mondo intero, ma ancora di più per l’Africa, dove ben conosciamo le grandi difficoltà sanitarie che investono questo continente. Con sapienza ed un attento sguardo, Giulio non solo ci mette davanti gli sguardi di quei ragazzi adolescenti durante il loro quotidiano ma in alcuni frangenti decontestualizza luoghi e persone per rendere tutto più personale. Ed è in quelle fotografie che la narrazione prende più forza.” E aggiunge: “La fotografia ha il potere di evocare riflessioni profonde e stimolare un dialogo interiore. In questo progetto, Giulio Di Meo ci invita a guardare oltre le difficoltà e a scoprire il volto umano di chi lotta per un mondo migliore.” Gino Strada diceva che “i diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio tutti, sennò chiamateli privilegi”. BEYOND BORDERS si propone come uno strumento di riflessione e consapevolezza, capace di stimolare una nuova comprensione delle sfide e delle speranze del continente africano. Per informazioni: QR Photogallery: Via Sant’Isaia, 90, Bologna Email: info@qrphotogallery.com – terzotropico@gmail.com Orari di apertura della mostra: Lunedì-venerdì: 9:00-19:00 Sabato: 9:00-14:00 Redazione Bologna
MEMORANDUM ITALIA-ISRAELE SOTTO ACCUSA: UNA DECINA DI GIURISTI PRESENTANO UNA DIFFIDA FORMALE AL GOVERNO DI ROMA
  Una decina di giuristi italiani ha lanciato un appello deciso: “bloccare il rinnovo dell’accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele”. Il documento non è solo una presa di posizione simbolica, ma un atto legale formale, una diffida indirizzata al Governo italiano affinché cessi ogni collaborazione che possa configurarsi come complicità nelle gravi violazioni del diritto internazionale in corso nei territori palestinesi”. L’accordo in questione è il Memorandum firmato nel 2005 e rinnovato automaticamente ogni 5 anni; la prossima scadenza è quella dell’8 giugno. Dietro un’apparente questione formale e burocratica, si cela una cooperazione militare segreta che – secondo i giuristi – rischia di trasformare l’Italia in complice delle gravi violazioni commesse nei territori occupati. La diffida – siglata da Michele Carducci, Veronica Dini, Domenico Gallo, Ugo Giannangeli, Fausto Giannelli, Fabio Marcelli, Ugo Mattei, Luigi Piccione, Luca Saltalamacchia e Gianluca Vitale, rappresentanti dallo studio legale Piccione di Bari – si basa in particolare su due elementi: le violazioni costanti, perduranti e ripetute dei diritti umani perpetrate da Israele a Gaza è il mancato diritto all’informazione per i cittadini italiani. Ne abbiamo parlato su Radio Onda d’Urto con l’avvocato Fausto Gianelli, tra i promotori dell’iniziativa. Ascolta o scarica
Stop alle terapie riparative, raggiunto 1 milione di firme: la Commissione UE dovrà pronunciarsi seriamente
Quando mancava solo un giorno alla chiusura della raccolta firme, è stato raggiunto il milione di sottoscrizioni per chiedere all’Unione europea di legiferare sul divieto alle terapie riparative per le persone Lgbtq+. Con l’espressione “terapie riparative” (definite anche “terapie di conversione”) si fa riferimento ad alcuni interventi di natura psicologica o pseudo-medica che avrebbero l’obiettivo di sopprimere, reprimere e modificare l’orientamento sessuale e/o l’identità di genere delle persone Lgbtq+. Questi presunti trattamenti terapeutici includono in realtà manipolazioni mentali e fisiche, indottrinamenti psicoipnotici, esorcismi e altri atti abusivi e violenti, che umiliano e creano danni psicologici profondi nelle persone che li subiscono: secondo la World Medical Association queste pratiche sono “lesive della dignità umana” e, secondo le Nazioni Unite, sono equiparabili alla tortura, a causa della loro natura discriminatoria e fraudolenta. Una tortura che dovrebbe risultare inconcepibile per tutti dal momento che l’omosessualità è riconosciuta come una “variante naturale dell’essere umano”. L’omosessualità non è più considerata una malattia mentale, né dall’American Psychiatric Association (APA) né dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). L’APA ha rimosso l’omosessualità dal suo Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) nel 1973, mentre l’OMS ha fatto lo stesso nel 1990. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha eliminato anche la transessualità dall’elenco delle malattie mentali nel 2018, definendo la disforia di genere come un disturbo della salute sessuale. Questo significa che non è più considerata una patologia, ma piuttosto una condizione di disagio e sofferenza vissuta da persone che non si identificano con il sesso assegnato alla nascita.  Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le “terapie di conversione” non hanno alcuna base scientifica e possono causare: ansia, depressione, disturbi post-traumatici e, in alcuni casi, tendenze suicide. Il percorso di depatologizzazione dell’orientamento omosessuale si inserisce nel quadro dell’emancipazione progressiva dai modelli psicoanalitici e psichiatrici di inizio Novecento che, a partire dai rispettivi riferimenti eziologici, determinavano il trattamento di ri-orientamento su base psicologica o su base somatica. Nel corso degli anni Novanta, con l’emergere di propugnatori di terapie cosiddette “riparative” o “di conversione”, l’American Psychiatric Association (1998) ha elaborato un proprio documento nel quale si legge: “L’APA si oppone ad ogni trattamento psichiatrico, come le terapie riparative o di conversione, basato sull’assunto che l’omosessualità sia di per sé un disturbo mentale o basato sull’assunto aprioristico che il paziente debba modificare il proprio orientamento sessuale”. Nel marzo del 2000, sempre l’American Psychiatric Association, ha elaborato una nuova risoluzione, il “Position Statement” sulle terapie mirate al tentativo di modificare l’orientamento sessuale, in cui si afferma: “[…] Le modalità psicoterapeutiche per convertire o “riparare” l’omosessualità sono basati su teorie dello sviluppo la cui validità scientifica è dubbia […] L’APA raccomanda che i professionisti etici si astengano dal tentare di cambiare l’orientamento sessuale dell’individuo, tenendo presente la massima medica: “Primo, non nuocere”. […] La letteratura inerente le terapie “riparative” […] non solo ignora l’impatto dello stigma sociale […] ma è una letteratura che attivamente stigmatizza l’omosessualità […]. Nel 2009, l’APA pubblica il report sulle “Appropriate Therapeutic Responses to Sexual Orientation”. Nel 2008, l’Ordine Nazionale degli Psicologi in Italia si è espresso in merito, dichiarando che “lo psicologo non può prestarsi a nessuna terapia riparativa dell’orientamento sessuale”. In assenza, tuttavia, di chiare linee guida (di cui si è dotato soltanto l’Ordine degli Psicologi della Campania) tale dichiarazione ha determinato l’emergere sulla scena italiana di approcci che potremmo definire “post-riparativi”(Graglia, 2009): non essendo più possibile sostenere che l’omosessualità sia una malattia, tali approcci mirano al cambiamento dell’orientamento sessuale aggirando la questione legittimando le terapie di conversione dei pazienti (e terapeuti) credenti, a dispetto di quanto indicato inequivocabilmente nel Position Statement dell’APA del 2000, facendo appello ai concetti di “identità religiosa” e del “principio di autodeterminazione” dei pazienti. https://www.sinapsi.unina.it/terapieriparative_bullismoomofobico In Italia, nonostante l’opinione contraria di gran parte del mondo medico e scientifico, non esiste una norma che vieti esplicitamente queste pratiche. Il 14 luglio 2016 il senatore dem Sergio Lo Giudice depositò al Senato il Ddl 2402 con il titolo “Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori” proprio in contrasto alle terapie riparative: una proposta che venne ignorata. Tentativi come il ddl Zan, sono stati osteggiati politicamente, in particolare dalle forze di centrodestra. Nel mondo sono 80 i Paesi che ancora permettono pratiche disumane del genere e, ad ora, sono ancora tollerate in alcuni Stati dell’Unione Europea. Anche in Italia, secondo una stima del 2022 della Società italiana di Andrologia (Sia ), 1 persona su 10 ancora subisce le terapie riparative. Non è un caso che neuropsichiatri come Massimo Gandolfini propongano di risolvere l’incidenza dei suicidi tra i giovani Lgbt con una “correzione del disagio identitario”. In poche parole: se si suicidano i gay, li spingiamo a “convertirsi all’eterosessualità”. Un avallo vergognoso e disumano alle pratiche riparative che non hanno alcuna intenzione di andare alle radici della disforia di genere. Nel 2023, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ha ribadito l’illegittimità professionale delle terapie riparative e ha ricordato ai suoi iscritti che tali pratiche violano il codice deontologico. Tuttavia, la mancanza di una legge penale lascia aperta la possibilità che soggetti non regolamentati possano continuare a proporle, spesso nell’ambito religioso o pseudoscientifico. Le “terapie di conversione” – che vanno da subdoli abusi verbali e umiliazioni, fino a violenze psicologiche fisiche, per arrivare all’isolamento, alla somministrazione di farmaci, finanche a sfociare atti estremi, come esorcismi e stupri, con l’obiettivo di cambiare o reprimere l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona, sopprimendo così la libertà personale e di autodeterminazione – sono pratiche discriminatorie, degradanti e fraudolente che hanno un impatto devastante sulla salute di chi le subisce, aumentando i casi di ansia, depressione e suicidio, soprattutto tra i giovani. Per questo un gruppo di attivisti e associazioni di diritti umani ha formalmente richiesto alla Commissione Europea la creazione di una direttiva che vieti sul territorio europeo queste pratiche medievali. Come si legge sul sito dedicato alle Iniziative dei cittadini europei, infatti, “l’Ue svolge un ruolo fondamentale nella protezione dei diritti e dovrebbe prendere provvedimenti per combattere tutte le pratiche disumane. La Commissione dovrebbe proporre una direttiva che aggiunga le pratiche di conversione all’elenco dei reati dell’Ue e/o modificare l’attuale direttiva sulla parità (2008) per includervi il divieto di tali pratiche. Inoltre, per contrastare la moratoria legislativa, la Commissione dovrebbe anche attuare una risoluzione non vincolante che chieda il divieto generalizzato delle pratiche di conversione nell’Unione”. Lo stesso sito riporta inoltre dei dati estrapolati da alcuni studi svolti in Svezia e nel Regno Unito tra il 2017 e il 2022, da cui si evince che circa il 5% dei giovani Lgbtq+ intervistati è stato sottoposto a pressioni o minacce per entrare in questi percorsi. La raccolta firme ha centrato l’obiettivo di 1 milione di firme giusto un giorno prima della chiusura, prevista per oggi 17 maggio, giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia. Ora la Commissione Ue dovrà esaminare la proposta e si pronuncerà sulle azioni da intraprendere. https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/05/16/terapie-conversione-omofobia-giornata-17-maggio-commissione-ue/7991103/ Inoltre bisogna ricordare che la Commissione LIBE (Libertà civili, giustizia e affari interni) del Parlamento europeo ha approvato una revisione della direttiva contro gli abusi sessuali sui minori. All’interno del testo sono stati inseriti due emendamenti presentati dall’eurodeputato italiano Alessandro Zan (Partito Democratico, gruppo S&D), che rappresentano un potenziale punto di svolta per la tutela dei diritti delle persone Lgbt in Europa. L’emendamento approvato inserisce nel testo legislativo una definizione ufficiale delle pratiche di conversione e le riconosce come potenzialmente dannose. Inoltre, introduce un’aggravante per i reati sessuali compiuti su minori per motivi discriminatori legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere. «Si tratta di un passo storico per i diritti Lgbt in Europa», ha dichiarato Zan. «In un momento in cui i diritti delle persone Lgbt sono sotto attacco in molti paesi, l’Europa manda un messaggio chiaro: siamo dalla parte della libertà e dell’autodeterminazione», ha aggiunto. La direttiva, inclusiva degli emendamenti Zan, non è ancora legge. Per ora, la definizione delle pratiche di conversione sarà inserita nella direttiva come parte interpretativa: non obbliga ancora gli Stati membri a vietarle, ma crea una base legale su cui l’UE potrà costruire nuove norme più vincolanti in futuro. https://www.editorialedomani.it/fatti/terapie-di-conversione-anti-lgbt-lue-le-vieta-il-governo-meloni-le-ignora-se1gio8m   Lorenzo Poli