
La ballerina cilena contro la repressione e l’insurrezione del Royal Ballet and Opera britannico contro il genocidio a Gaza
Pressenza - Thursday, August 7, 2025L’immagine è commovente e sublime: una ballerina in pieno grand jeté, sospesa in aria con una bandiera cilena che sventola sopra la sua testa, mentre dietro di lei si ergono un blindato con idrante e un altro con munizioni, simboli della criminale repressione statale nella Santiago del Cile del 2019. Il rosso del suo vestito sventola come una ferita aperta. Il suo corpo, in perfetta tensione, non fugge: affronta il nemico con nient’altro che un tutù come armatura, perché l’altra la porta nello spirito. Lei tutta, il suo corpo, la sua anima e la sua danza, si sono elevate di fronte all’infamia in mezzo alla strada, posizionandosi come una barricata umana.
Quella foto scattata durante le rivolte sociali cilene dell’ottobre 2019 ha condensato in un unico gesto la volontà di un popolo che ha deciso di non collaborare con l’ingiustizia e di affrontare il terrorismo di Stato, in gran parte con le armi della creatività e della convinzione fragorosa della dignità. Ogni rivoluzione inizia con le barricate e il caos, come in Cile quell’ottobre, e in mezzo al fumo e alla confusione, all’improvviso, capisci che tutto è stato compreso e sappiamo che siamo tutti dalla stessa parte quando sono gli artisti più classici e colti a portare in strada le loro danze, le loro opere e i loro strumenti. E oggi, quando vedo che dal cuore di una delle più illustri istituzioni britanniche è sbocciato di nuovo lo stesso gesto, non posso che placare il mio cuore grazie alla certezza che deriva dal sapere, dall’essere sicura che ormai tutti sanno che, dopo aver tanto parlato di Gaza e aver riempito le strade di marce interminabili, ormai siamo tutti, tutti noi, dalla stessa parte.
Questo è un passo enorme. Da questo nessuno torna indietro uguale. Anche se poi la notizia non apparirà molto sulla stampa e nessun altro presterà attenzione alla questione, la verità vissuta dimostra che non si torna indietro uguali, ma consapevoli di essere germi di vita e di pace.
La decisione del Royal Ballet and Opera, la più grande e famosa delle quattro principali compagnie di balletto del Regno Unito, di cancellare la rappresentazione della Tosca a Tel Aviv non è una questione amministrativa, né una semplice riprogrammazione per motivi di sicurezza. È una frattura etica. Un atto di insurrezione morale nel cuore dell’apparato culturale europeo, guidato non dai direttori ma dai corpi di ballerini, tecnici, artisti di scena e lavoratori amministrativi che hanno firmato una lettera interna, forte e senza retorica. Hanno rifiutato di recarsi in Israele. Hanno rifiutato di collaborare. Hanno rifiutato di diventare complici.
La cancellazione, confermata il 4 agosto 2025, è radicata nella protesta di 182 membri del Royal Ballet and Opera, che hanno denunciato non solo i crimini di guerra a Gaza, ma anche il doppio linguaggio dell’istituzione, che mesi prima aveva offerto spettacoli gratuiti ai soldati israeliani dopo la produzione congiunta di Turandot. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’incidente del 19 luglio, durante una rappresentazione del Trovatore, in cui l’artista Daniel Perry ha sventolato una bandiera palestinese sul palco. Il direttore artistico Oliver Mears ha cercato di strappargliela nel bel mezzo dello spettacolo, un gesto autoritario che ha scatenato un’ondata di indignazione interna.
A differenza di altri atti simbolici, questa volta ci sono state conseguenze strutturali: il Royal Ballet and Opera non si esibirà in Israele, non finché Gaza sarà un territorio assediato, bombardato, assassinato. Non finché gli ospedali saranno fatti saltare in aria, come è successo alla clinica dell’ONU ridotta in macerie la notte del 5 agosto. E non finché il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, insieme al suo Ministro della Difesa Yoav Gallant, continuerà ad annunciare la preparazione di un’“invasione definitiva” per occupare la Striscia di Gaza. “La guerra continuerà fino a quando tutta Gaza sarà sotto il controllo israeliano”, ha dichiarato Gallant da Tel Aviv.
La reazione internazionale non si è fatta attendere. L’ONU, attraverso diversi relatori speciali, ha denunciato la decisione come un appello all’annessione forzata e una violazione del diritto internazionale umanitario. Artists for Palestine UK ha salutato la decisione del Royal Ballet and Opera come “una vittoria morale e politica senza precedenti nel panorama culturale britannico”. Voci inaspettate sono arrivate dall’interno di Israele: una rete di medici, rabbini ed ex soldati ha pubblicato un comunicato in cui si afferma che “bombardare gli ospedali a Gaza è un crimine, non una necessità”. Si tratta degli stessi settori che, mesi fa, avevano protestato quando l’attacco all’ospedale Al-Shifa era stato giustificato come un “obiettivo militare”.
La rottura simbolica all’interno del Royal Ballet and Opera è anche stilistica. Coreografi e direttori musicali si sono dimessi in silenzio. Ballerini veterani hanno consegnato lettere private di dimissioni o di ripudio. Le reti interne hanno fatto trapelare testimonianze di “logoramento morale” e “frattura irreversibile” tra la direzione esecutiva e i team artistici. Alex Beard, amministratore delegato del RBO, ha addotto pubblicamente ragioni di “sicurezza”, ma internamente è ritenuto responsabile di non aver protetto l’integrità etica del suo cast.
Nel mezzo del collasso della civiltà, questo gesto del RBO si inserisce in una nuova genealogia della resistenza, non quella delle barricate violente, ma quella delle barricate estetiche, sensibili e disobbedienti. Come la ballerina cilena davanti al blindato, questi corpi artistici si alzano, sospesi nell’aria della storia, per ricordarci che anche la bellezza può e deve sapere quando dire no. Basta. Mai più.
Fonti:
https://www.nytimes.com/2025/08/05/arts/music/british-opera-royal-tosca-israel-letter.html
Traduzione dall’inglese di Anna Polo