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Un appello dai lavoratori del porto di Ancona
Ancona 20 settembre 2025 Appuntamento al porto di Ancona alle ore 17.30 alla Mole Vanvitelliana per bloccare il porto di Ancona il 22 settembre, in occasione dello sciopero generale, di lavoro privato e pubblico impiego, indetto da USB. Lo sciopero generale del 22 settembre rappresenta un prioritario ed irrinunciabile spazio di azione per le pratiche di solidarietà attiva a fianco della popolazione palestinese. La gravissima e costante precipitazione degli eventi a cui stiamo assistendo impone un salto di qualità nelle mobilitazioni e la necessità di oltrepassare il piano meramente simbolico e testimoniale a vantaggio di iniziative in grado di incidere concretamente nella realtà materiale del traffico di armi verso Israele, della evidente complicità di istituzioni e organizzazioni economiche, degli interessi che i responsabili del genocidio nutrono anche nei nostri territori. L’appello con cui i camalli di Genova hanno lanciato il blocco dei flussi e delle attività portuali a tutela della Global Sumud Flotilla e l’indizione dello sciopero generale da parte di Usb per il 22 settembre vanno esattamente in questa direzione. Per questo riteniamo che l’appello lanciato dal Calp di Genova nell’ambito dello sciopero generale del 22 settembre vada accolto e praticato anche nel territorio marchigiano, il che significa chiaramente assumere senza tentennamenti che il 22 settembre anche il porto di Ancona dovrà essere annoverato tra quelli interessati dalle azioni di blocco. In Palestina si sta vivendo una situazione di straordinaria emergenza, in una costante e sempre più grave precipitazione degli eventi: l’esercito israeliano occupante ha intensificato i bombardamenti a Gaza City, costringendo la popolazione civile, ridotta alla fame, a cercare rifugio senza che sia possibile trovarlo, in un territorio che è quasi completamente dichiarato “zona di combattimento” da parte dei militari sionisti dell’Idf che sparano per uccidere, anche agli sfollati in fuga. E’ in atto un genocidio e sono le forze della resistenza, i combattenti partigiani di Gaza ad opporsi. E le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla sono il simbolo della solidarietà globale a questa resistenza. Lo sciopero generale del 22 settembre con l’appuntamento alle ore 17,30 al porto di Ancona sarà uno spazio di azione per le pratiche di solidarietà attiva a fianco della popolazione palestinese. La mobilitazione si sta allargando a una composizione sociale molto variegata: sono già arrivate conferme di partecipazione di lavoratori della logistica, dei trasporti, dei collettivi degli studenti per la Palestina, di tante cittadine e cittadini. Il concentramento al porto di Ancona sarà lunedì 22 settembre alle ore 17,30 Area ingresso Mole Vanvitelliana, lato Fiera della Pesca (area di fronte bar Baccà). LUNEDI’ 22 SETTEMBRE sarà sciopero generale e giornata nazionale di blocco in tutta Italia a sostegno della Global Sumud flottilla, contro il genocidio e dalla parte della resistenza palestinese. Centri Sociali Marche USB Redazione Italia
Eirenefest Napoli, “Il processo al libro”
19 Settembre 2025, Eirenefest Napoli – Presidio Permanente di Pace Il primo laboratorio di apertura: “Il processo al libro” La prima giornata dell’Eirenefest – edizione napoletana 2025, ospitata dal Presidio Permanente di Pace presso la Libreria IoCiSto, si è aperta con un’immagine potente: il sangue di San Gennaro. Le parole di saluto e presentazione hanno richiamato questo simbolo senza sapere che poche ore prima il vescovo di Napoli lo aveva legato al sangue innocente dei bambini di Gaza. Una coincidenza che ha reso la riflessione ancora più incisiva: la pace non è un miracolo da attendere, ma una responsabilità che ci tocca da vicino, nella carne viva delle vittime. Dopo questa apertura, la mattina si è accesa con il laboratorio “Il processo al libro”, condotto da Pietro Varriale, educatore e formatore di Global Districts, insieme a Serena Dolores Correrò, operatrice del progetto. L’iniziativa si inserisce nel percorso di WeWorld, organizzazione internazionale che da cinquant’anni lavora per i diritti di donne, bambini e persone ai margini; con Global Districts punta a superare le barriere che ostacolano la cittadinanza attiva delle nuove generazioni. Il laboratorio ha avuto la forza del teatro partecipato: i presenti, divisi in gruppi, hanno interpretato ruoli inediti — pubblica difesa, accusa, giuria, giudici — mettendo in scena un vero processo a tre libri. Due dei testi scelti, “Mediterraneo” di Armin Greder e “Io non sono razzista ma…” di Marco Aime, hanno fatto da specchio a due ferite brucianti del nostro tempo: la tragedia dei migranti nel Mediterraneo e la violenza del razzismo. Il momento più commovente è arrivato quando la difesa di due libri è stata affidata a una ragazza di appena 14 anni: voce incerta, pensieri forti. In quella fragilità si è fatta strada una forza che ricordava l’eco delle giovani vittime delle guerre evocate in apertura: voci che chiedono di essere ascoltate, nonostante tutto. Di fronte a lei, l’accusa era impersonata da adulti — rappresentanti di associazioni, volontari, operatori sociali — chiamati a indossare i panni di chi nega il dramma del Mediterraneo o legittima la discriminazione razziale. La dinamica ha prodotto un ribaltamento sorprendente: difendere il giusto è apparso difficile e faticoso, mentre accusare con argomenti razzisti e nazionalisti ha offerto una sorta di liberazione catartica, permettendo di esprimere odio e frustrazione senza pagarne le conseguenze. Qui è emersa la valenza psicoanalitica del laboratorio: il gioco di ruolo ha messo i partecipanti di fronte alle proprie ombre, mostrando come l’identificazione con l’aggressore possa attrarre e, al tempo stesso, destabilizzare; un passaggio che costringe a misurarsi con i lati oscuri della convivenza civile. L’esperienza ha confermato che l’educazione alla pace non può essere solo predicazione: deve passare attraverso il corpo, la voce, la possibilità di sentire dentro di sé anche la parte avversa. È in questo attraversamento che si sviluppano consapevolezza critica e capacità di scelta. La giornata si è chiusa con un clima di forte partecipazione: emozione, riso liberatorio, consapevolezze nuove. In questo spazio, anche piccolo e quotidiano come una libreria di quartiere, i libri si sono rivelati non solo oggetti da leggere, ma strumenti di confronto, specchi delle contraddizioni del presente e catalizzatori di immaginazione collettiva. È proprio questo il cuore dell’Eirenefest e del Presidio di Pace: fare della parola scritta e condivisa un terreno comune di resistenza e di costruzione. Seguendo lo slogan scelto per il festival dal Presidio, “ la pace è un cantiere aperto”, il primo mattone è stato posato. Stefania De Giovanni
Si è si ripetuta a Cagliari la manifestazione Can’t stay silent, la corsa dell’indignazione per dire Stop al genocidio
Ieri, 19 settembre 2025, si è si ripetuta a Cagliari la manifestazione Can’t stay silent, “La corsa dell’indignazione”. «Con poco preavviso – diceva il comunicato stampa del 17 settembre – perché non c’è più tempo: Israele accelera la devastazione per “finire il lavoro”». La convocazione a scendere in piazza questa volta è stata diramata dal Comitato “Can’t stay silent”, dal Comitato sardo di solidarietà con la Palestina e dall’Associazione Amicizia Sardegna Palestina. Una manifestazione davvero imponente che ha visto circa 10 mila persone, tra cui molti/e giovani, famiglie con bambini/e, partecipare al corteo per dire ancora una volta “Stop al genocidio!” del popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania. Perché di questo si tratta: quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza sotto gli occhi di tutte le nazioni e che la Commissione indipendente dell’Onu ha dichiarato essere  un genocidio in atto. Parola questa che gran parte degli intellettuali italiani non vuole usare, ma che descrive la realtà che sotto gli occhi di tutti: uccisioni di decine di migliaia di civili sotto i bombardamenti, procurata carestia sull’intera Striscia, morti per fame, a causa di mancanza di medicinali, sfollamento forzato di 450 mila persone da Gaza city. E non solo genocidio, ma ecocidio e archeocidio con la distruzione totale non solo delle abitazioni, di scuole, ospedali, moschee, ma anche delle vestigie del passato, della storia millenaria di Gaza. Le persone si sono radunate in Via Roma davanti al Palazzo del Consiglio Regionale, da cui è partito il corteo intorno alle 19:00 che ha percorso tutta la strada fino al congiungimento di Viale Trieste, da cui ha raggiunto il Corso Vittorio Emanuele fino a Piazza Yenne,  e salendo per Via Manno ha confluito in Piazza Costituzione.  Una manifestazione composta, ma partecipata con slogan ripetuti e anche cantati per la presenza nel corteo del gruppo musicale “La banda sbandati”: Free free Palestine!, Palestina libera!, Gaza libera!, Siamo tutti/e palestinesi! A ripetere gli slogan con tutta la voce in gola anche bambini e bambine. Non siamo ancora diventati ciechi per non vedere, né sordi per non ascoltare il dolore di famiglie martoriate, di bambini e bambine strappati alla vita, resi invalidi e orfani per sempre, né muti per non gridare “Stop al massacro!”. Piazza Costituzione, scalinate del Bastione di Saint Rémy – Foto di Pierpaolo Loi Arrivati in piazza Costituzione, sulle scalinate del Bastione di Saint Rémy, si sono succeduti gli interventi conclusivi. Ecco il testo del breve ma accorato intervento di Vania Erby, portavoce del Comitato Can’t stay silent: «Ringrazio anche oggi tutti voi per essere qui al fianco dei fratelli palestinesi. Abbiamo scelto le parole “non c’è più tempo” perché sotto i nostri occhi si sta consumando una tragedia che sta buttando l’intera umanità in un baratro senza fine. Non credo che il mondo potrà più essere lo stesso dopo queste atroci barbarie. Abbiamo capito che chi ci governa non ci vuole ascoltare, ma vuole continuare a perseguire logiche di guerra e di profitto.  Il mondo, quello che pulsa, quello che ancora ha un’anima, noi che siamo qui oggi non ci arrendiamo, non chiudiamo gli occhi e continueremo ad urlare che non possiamo accettare che un popolo venga sterminato. Noi non vogliamo rimanere impotenti. Cerchiamo di costruire pace intorno a noi, perché la pace come la guerra è contagiosa, ogni nostra azione conta anche nella quotidianità delle nostre vite. Giorno dopo giorno le piazze del mondo stanno prendendo coraggio e il messaggio che oggi dobbiamo mandare chiaro ai nostri governanti è che noi non ci faremo dividere e che continueremo a stare dalla parte di chi ingiustamente viene perseguitato. Rimaniamo uniti, rimaniamo umani ….continuiamo a credere che una Palestina libera potrà esistere. Palestina libera!». Il presidente dell’Associazione Amicizia Sardegna Palestina, dott. Fawzi Ismail, sempre in prima linea, ha ribadito ancora volta che il popolo palestinese non abbandonerà la sua terra. La grande folla che camminato per le strade di Cagliari testimonia – come succede in tante città italiane, europee e del Mondo intero – che i popoli non seguono i loro governi complici e chiedono di porre fine a questo immane crimine contro l’umanità, a questo ennesimo genocidio. E non a parole, come quando si propone il riconoscimento di uno Stato palestinese come un diritto concesso, mentre è il diritto primario di un popolo che vive nella propria terra. Infine, la richiesta alle alle istituzioni regionali di prendere posizione attraverso azioni concrete per porre fine al massacro, per es. chiudere il Porto di Cagliari al traffico di armi della fabbrica RWM di Domusnovas-Iglesias. Al microfono Fawzi Ismail – Foto di Pierpaolo Loi Non solo a Cagliari, ma anche in altre città della Sardegna, in queste ancora calde giornate di fine estate, tante persone si stanno mobilitando per testimoniare la loro solidarietà al popolo palestinese e la vicinanza alla Global Sumud Flotilla, finalmente in viaggio verso la Striscia di Gaza per rompere l’assedio e portare viveri e medicinale alla popolazione martoriata. Pierpaolo Loi
Melissa Parke: «Con la ratifica del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari la Grecia si metterà dalla parte giusta della storia»
I membri dell’ICAN (Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari) e dell’Alleanza antinucleare greca hanno invitato ad Atene Melissa Parke, direttrice esecutiva di ICAN. Durante il suo soggiorno in Grecia Melissa Parke, con il suo ricco curriculum come ministra australiana per lo Sviluppo interno ed esperta delle Nazioni Unite in Kosovo, Gaza, Yemen, Libano e New York, ha tenuto una serie di incontri con i membri del Parlamento greco, il segretario generale dell’Associazione dei Comuni e il sindaco di Atene. Lo scopo principale degli incontri era quello di rafforzare l’Alleanza Antinucleare, con l’obiettivo di ottenere il voto e la ratifica del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari da parte del Parlamento ellenico. In occasione dell’80° anniversario del bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki da parte degli Stati Uniti, il 16 settembre si è tenuta una conferenza stampa dal titolo: “Guerra, minacce e conflitti: il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari come strumento di pace”. Melissa Parke ha avuto l’opportunità di riferire sugli sviluppi internazionali relativi alla ratifica del Trattato e al suo utilizzo come mezzo per esercitare pressione sui paesi che possiedono armi nucleari. Nel giugno 2025 ICAN ha pubblicato una scheda informativa dal titolo “Costi nascosti: la spesa per le armi nucleari nel 2024”. Uno dei fatti principali evidenziati è che lo scorso anno, mentre oltre 750 milioni di persone vivevano in condizioni di povertà, i nove Stati dotati di armi nucleari hanno speso per i loro arsenali nucleari 100 miliardi di dollari, quasi 3.169 dollari al secondo. Cinque di essi sono attualmente coinvolti in conflitti armati (Stati Uniti, Russia, Israele, India e Pakistan). Qual è stato il risultato di questa visita? Melissa Parke e i partner greci hanno compreso che i membri del Parlamento ellenico e il rappresentante del Presidente del Parlamento sono desiderosi di creare e partecipare a una commissione interparlamentare per ratificare il Trattato. Inoltre, il Segretario Generale della KEDE (unione dei Comuni greci) dedicherà una sessione parallela durante la loro riunione nazionale annuale nel 2026 a questo tema. Ad oggi, a seguito della mobilitazione dell’organizzazione World Without Wars and Violence, 93 comuni in Grecia hanno approvato una risoluzione all’interno dei loro consigli dichiarando la volontà che il Trattato sia ratificato dal Parlamento ellenico. Il Comune di Atene, che ha anch’esso approvato la risoluzione, è tra le dodici capitali del mondo che stanno aprendo la strada con azioni per la pace e per la proibizione delle armi nucleari. Qui sotto è possibile guardare il discorso di Melissa Parke nella conferenza stampa moderata dall’ufficio greco di Pressenza.   Pressenza Athens
La vergogna dell’Europa
Questa Europa che si prepara alla guerra contro la Russia, che urla frasi di violenza per abituarci al conflitto, questa Europa che non è certo la culla della democrazia si indigna per dei razzi rozzi o uno sconfinamento aereo sulla Lettonia ma non dice nulla e sopratutto non fa nulla contro il genocidio compiuto da Israele sul popolo palestinese. Perché la NATO non protegge il popolo palestinese?  E’ questo il vero volto della libertà propagandata dall’Europa e sopratutto dagli USA?  Come possiamo non soffrire per le donne e di bambini macellati in Palestina? Questa Europa non ha il diritto di esistere come Unione pacifica di popoli perché, a senso unico promuove e prepara una guerra sanguinosa, perché con gli USA ha sempre voluto e preparato il conflitto in Ucraina, ed ora, vergognosamente non fa nulla contro il governo Israeliano che uccide degli innocenti in Palestina.  Sono ormai oltre 10 anni che l’Europa ha attuato l’embargo contro la Russia e da 70 anni non fa nulla contro Israele? Perché pur esistendo due risoluzioni dell’ONU, che obbligherebbero Israele a ritirarsi dalla vallate del Golan, nessuno va a farle applicare?  Dove sono i famigerati  (ricordate pristina) caschi Blu che dovrebbero  difendere gli innocenti? Certo, siamo alla fine  del diritto internazionale, siamo alla fine dei trattati sui diritti dell’uomo. Il becero interesse alla guerra sta vincendo e solo noi possiamo fermarlo. Acquistare, investire in bombe ed armi vuol dire prepararsi alla guerra e forse viene fatto per nascondere e giustificare la crisi  economica devastante che sta per arrivare. Si! Da sempre la guerre sono state un businness e queste ancora di più. Che vergogna l’Europa. Redazione Italia
Intervento di Giorgio Canarutto al convegno Peace TO Gaza a Torino
Intervento di Giorgio Canarutto al convegno Peace TO Gaza del 18 settembre 2025 presso la Sala delle Colonne del palazzo del Comune di Torino. In corsivo quanto detto a braccio. -------------------------------------------------------------------------------- Sono Giorgio Canarutto, appartengo alle organizzazioni ebraiche Laboratorio Ebraico Antirazzista, Mai Indifferenti, Gruppo Studi Ebraici; parlo a titolo personale. Ricordo che circa 20 anni fa in questa sala o in una qui vicino si celebrava il gemellaggio tra la città di Torino e le città di Haifa e di Gaza. Credo che questo possa voler dire una maggiore responsabilità della città di Torino riguardo a Gaza. Israele si presenta come rappresentante dell’ebraismo ma io considero l’ebraismo una cosa diversa. Avevo imparato che Hillel avesse detto che per riassumere l’ebraismo mentre si sta su una gamba sola fosse “Non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te. In Cisgiordania villaggi beduini sono distrutti e i loro abitanti cacciati; l’anno scorso insieme all’organizzazione Center for Jewish Non Violence ho vissuto per una decina di giorni nel villaggio beduino di Umm Al-Khair. Awdah Hathaleen, il capo villaggio, è stato ucciso da un colono quest’anno a fine luglio. L’assassino, filmato mentre sparava, è stato in carcere un solo giorno e in detenzione domiciliare per pochi altri; questa settimana questa medesima persona, Yinon Levy, al comando di altri, ha interrotto l’approvigionamento di acqua ed elettricità del villaggio e ha posato nuove case container per i coloni in modo da circondare Umm Al-Khair. Senza acqua, senza spazio, Umm-Al-Khair non può sopravvivere. A Tulkarem pochi giorni fa sono stati arrestati senza motivo centinaia di abitanti. In questi giorni Israele ha cominciato a distruggere Gaza City. Centinaia di migliaia di persone spesso non hanno i mezzi per scappare né una destinazione da raggiungere; il ministro della difesa di Israele Israel Katz esulta dicendo “Gaza brucia”. Il livello di sofferenza e distruzione è insostenibile allo sguardo, figuriamoci per le persone che vi vivono. I massimi organismi sanitari a livello mondiale hanno detto che c’è fame a Gaza. Dopo che una quantità di studiosi di fama internazionale l’aveva affermato, anche una commissione dell’ONU ha detto in questi giorni che a Gaza è genocidio. Con quali parole descrivere quello che Israele fa a Gaza se non pulizia etnica e genocidio? La volontà di cacciare i palestinesi da Gaza è stata dichiarata fin dall’inizio. Leggo che il ministro Smotrich ha detto che Gaza sarebbe un ottimo investimento immobiliare. Israele dichiara il diritto di distruggere perché si sentirebbe vittima. (I progetti immobiliari farebbero pensare ad altro). “Siamo vittime dell’olocausto, vittime del 7 ottobre”. Il 7 ottobre è una cosa enorme, l’olocausto è una cosa enorme. Ma l’oppressione dei palestinesi viene prima del 7 ottobre e i palestinesi non sono responsabili dell’olocausto. C’è un tentativo di far passare i palestinesi come responsabili dell’olocausto al posto dei tedeschi e magari degli italiani. La Germania oggi è tra i più acritici e inflessibili sostenitori di Israele, proprio perché non venga troppo rinvangato il suo passato nazista. In Germania vengono arrestati quelli che sventolano la bandiera palestinese, in Germania è stata annullata la premiazione del film No Other Land perché avrebbero dovuto premiare il regista palestinese Basel Adra oltre a quello Israeliano Yuval Abraham. La destra, e Israele in questo ambito, con il suo linguaggio violento riesce spesso a zittire le voci democratiche. C’è un fascismo globale che avanza, pensiamo a Putin, a Trump e a Netanyahu, e dobbiamo prepararci alla resistenza. Se i nostri governi sono inerti, deve rispondere la società civile. Oggi c’è la Flottilla, le auguro buon vento, ha una funzione politica, come ha detto Enzo che mi ha preceduto ha l’obbiettivo di far intervenire i nostri governi; a fine luglio le parrocchie hanno suonato le campane per Gaza, so che anche la chiesa valdese è attiva sull’argomento. Il cardinale Pizzaballa e il suo omologo greco-ortodosso Teofilo III hanno annunciato che Israele aveva sollecitato ad andarsene da Gaza, invece ci resterà, il cardinale Zuppi, a Monte Sole, ha letto i nomi di 18000 bambini uccisi a Gaza. Le organizzazioni ebraiche Mai Indifferenti e LeA cui appartengo tengono manifestazioni a Milano tutte le settimane con cartelli su cui è scritto ad esempio “Voci ebraiche dicono stop al genocidio”. In una conferenza Zoom organizzata dal Gruppo Studi Ebraici il rabbino Joseph Levi, purtroppo senza più incarichi ufficiali, dicendo che Israele a Gaza non sta rispettando gli insegnamenti dell’ebraismo, ha ricordato Deuteronomio 20:10: “Quando ti avvicinerai ad una città per combattere contro di essa dovrai offrirle la pace”. Devono parlare le voci palestinesi e con piacere vedo che domani parlerà qui Omar Bargouthi, credo anch’io a questo punto che si debba passare alle sanzioni, sabato pomeriggio ci sarà una manifestazione regionale per Gaza qui a Torino indetta da organizzazioni per il BDS. Tutti i sabati[1] grandi folle in Israele scendono in piazza contro il governo, per la liberazione degli ostaggi e, anche se in misura minore, per la fine del massacro a Gaza. Israele, con Netanyahu ed il suo governo, mostra di volere essere il solo padrone tra mare e Giordano. In manifestazioni pro Palestina non è sempre chiaro che si dia valore ad una presenza ebraica in quel territorio.  Tra sionismo e antisionismo vorrei che si andasse al di là di queste parole, vorrei che si dicesse chi è che ha diritto di viverci e con quali diritti. Al centro degli obiettivi secondo me si dovrebbe dire che non importa se con due stati, una confederazione di stati od uno stato solo, i due popoli devono vivere sotto il chiaro principio di libertà e uguaglianza. Partiti arabi e arabo ebraici come Balad e Hadash sembrano essere più aperti ad un futuro condiviso che gran parte dei partiti ebraici. Condivido i principi di una coalizione chiamata CAPI che mi hanno segnalato. È composta da più di 60 organizzazioni, movimenti, attivisti ebrei e palestinesi che si ritrovano sotto questi principi: finire la guerra[2], un accordo di scambio di tutti i prigionieri da entrambe le parti, una soluzione politica sostenibile, la fine della persecuzione politica e razzista e piena uguaglianza civile e nazionale per tutti. Concludo citando il direttore d’orchestra israeliano Ilan Volkov che ha interrotto il suo concerto alla BBC e ha detto: “Israeliani, ebrei e palestinesi, non siamo capaci di fermare questo da soli. Vi chiedo, vi imploro tutti di fare qualsiasi cosa sia in vostro potere per fermare questa follia.” [1] Un’amica israeliana mi ha avvisato che dopo che Netanyahu ha ripreso gli attacchi su Gaza le manifestazioni ci sono tutti i giorni [2] Lo stesso direttore il 19 settembre è stato arrestato mentre partecipava ad una marcia al confine della Striscia, Etan Nechin su X: “Israeli conductor Ilan Volkov, who last week called for an end to the war during a London concert, was arrested at a demonstration on the Gaza border against the war. “Stop the genocide. It’s ruining everything. Stop it now.” https://t.co/7gzi8eCrF9” / X   Redazione Torino
Il vittimismo criminale di Israele
Per chi da anni si batte per una Palestina libera vedere Gaza totalmente distrutta, con un popolo in fuga che si lascia dietro i cadaveri dei propri bambini, è un colpo al cuore che si accompagna ad un grande senso di impotenza. Cosa sarebbe necessario fare?  Sarebbe necessario che lo sdegno fosse universale e che tutti gli Stati rompessero qualunque tipo di rapporto politico, diplomatico e commerciale con gli assassini sionisti. Sarebbe necessario che l’ONU inviasse truppe di interposizione. Ma purtroppo gli interessi della geopolitica, a partire dalle scelte imperiali degli USA fino alla insignificanza servile dell’Europa, vanno da un’altra parte. Noi, militanti e gente comune, possiamo solo riempire le piazze e insistere nella nostra denuncia. A proposito di denuncia e di esigenza di fare chiarezza, uno degli aspetti più sorprendenti dell’attuale genocidio è il fatto che per la prima volta nella storia, il carnefice, per giustificarsi, costruisce la sua narrazione ingannevole spacciandosi per la vittima. Si è detto spesso del senso di colpa che annebbia la vista dell’Occidente e soprattutto di noi europei. La cosa merita però una riflessione più approfondita. Era appena finita la guerra e il mostro nazifascista era stato sconfitto. L’enormità dei crimini commessi era sotto gli occhi di tutti e tutto contribuiva a farli diventare memoria condivisa del comune sentire della gente. “I cattivi” erano ridotti al silenzio senza potersi inventare contronarrazioni ingannevoli e giustificative. I vincitori, al contrario, avevano tutto l’interesse a pubblicizzare gli orrori commessi dal nemico sconfitto per indossare gli abiti dei “liberatori”, quando in realtà, durante il conflitto, del destino degli Ebrei non fregava niente a nessuno di loro.  Il clima generale, inoltre, era favorevole: il vecchio Stato legislativo fondato sulla sola “legalità” era sostituito dal moderno Stato costituzionale che proclamava la centralità dei “diritti”. Lo stesso mondo bipolare si annunciava pieno di positive aspettative. Da una parte c’era “il sogno americano” che prometteva ricchezza e democrazia per tutti, dall’altra parte “il mito sovietico” che alimentava la speranza del riscatto degli sfruttati e della conquista della uguaglianza sociale (sappiamo poi come è andata a finire, ma questo ora non ci interessa).  È in queste condizioni che secondo alcuni analisti si determina un ribaltamento nel modo di concepire il passato, che non riguarda soltanto il mondo accademico ma che diviene comune nella cultura di massa. La figura di riferimento che emblematicamente viene considerata il soggetto che fa la storia, cessa di essere “l’Eroe” per divenire “la Vittima”. Naturalmente, nel gioco delle interpretazioni e delle contro-interpretazioni, così come nel mondo degli eroi albergano i “finti eroi” allo stesso modo accanto alle vittime si producono le “finte vittime”. È questo il gioco fatto da Israele a partire da quando nel 1972 il suo ministro degli esteri Abba Eban dichiarò che dietro l’antisionismo si celava sempre l’antisemitismo. Da allora Israele ha teso a identificarsi come unica e indiscutibile erede delle vittime dell’Olocausto e di tutte le persecuzioni subite nel corso dei tempi dalle comunità ebraiche.  Il fatto che, in questo modo, “l’Ebreo” sia diventata la figura emblematica che rappresenta la vittima per eccellenza, una sorta di “vittima assoluta” della storia, può anche apparire plausibile vista l’incommensurabile nefandezza dell’Olocausto, anche se in questo modo sembra determinarsi una paradossale forma di etnocentrismo nel definire i martiri della storia, in considerazione del fatto che le comunità ebraiche sono principalmente parte dell’Occidente, e dimenticando, per esempio, gli Armeni massacrati per mano dei Giovani Turchi, o peggio ancora i milioni di morti (forse dieci, forse venti) che segnarono nel Congo la dittatura personale del grande macellaio Leopoldo II del Belgio. Ma sorvoliamo su questo. Il punto che ci preme sottolineare è un altro. Ciò che ci appare inammissibile è che Israele si arroghi il diritto di essere l’erede testamentario delle vittime dell’Olocausto, delle vittime per antonomasia, e con esse simbolicamente di tutte le vittime della storia,  proponendo il sionista di oggi come il modello dell’uomo giusto a cui tutto è concesso per vendicare il passato che chiede giustizia.  La storia reale del sionismo ci racconta altre cose. Ci racconta, per esempio, delle strane relazioni col regime nazista  (Accordo di Haavara), quando l’interesse del regime tedesco di liberarsi degli ebrei coincideva con quello sionista di popolare le colonie in terra di Palestina considerata come res nullius, vale a dire come terra disabitata e di nessuno. Ci racconta inoltre di altri episodi oscuri di quel periodo, raccontati da Faris Yahia nel libro Relazioni pericolose, oggi “stranamente” introvabile. Ci racconta dell’uso sistematico del terrorismo contro i civili, che data da prima della nascita dello Stato sionista, a colpire non solo i palestinesi ma allora anche gli inglesi, colpevoli di non lasciare campo libero ai nuovi padroni che prendevano possesso di terre che non gli appartenevano. Il resto è la cronaca di un genocidio che non si è mai arrestato giungendo fino al triste presente. Non ci vorrebbe certo molto a smascherare la ridicola narrazione vittimistica del sionismo. Ma per i nostri governanti non è così. D’altra parte si sa che non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.             Antonio Minaldi
La libreria IoCiSto ospita l’Eirenefest, “Le parole di Pace”
Si è svolta ieri venerdì 19 settembre nella libreria IoCiSto nel cuore del Vomero a Napoli, per la prima volta dopo Roma, la prima giornata dell’Eirenefestival del libro per la Pace e la non Violenza. Sostenuto dal Presidio di Pace Iocisto, il Festival nelle tre giornate napoletane vuole riflettere sul valore della parola, del libro, del confronto, del dibattito come potente strumento di dialogo e di disarmo in tempi segnati da odio e conflitti. La Pace non è gratuita, ma è un cantiere aperto in continua costruzione, è impegno civile di ciascuno e Eirenefestival porta a Napoli scrittori, attivisti di Pace, docenti, giornalisti, religiosi che attraverso incontri, presentazioni e Tavole Rotonde aprono a significativi spazi di confronto. Si è iniziato con un laboratorio di poesie. Una giornata molto partecipata quella di ieri, piena di emozioni e confronti, con un programma nutrito di laboratori, dibattiti e nuove uscite editoriali che hanno suscitato nei presenti un interrogarsi sull’ essere persone oggi in un momento drammatico per l’umanità, sul dovere di ciascuno di non voltarsi dall’altra parte ma scegliere di dare il proprio contributo alla costruzione della Pace. E qui le persone hanno scelto la via della parola per tentare di costruire un mondo più umano, pacifico, giusto. Nel pomeriggio un momento di grande emozione. La presentazione del libro di poesie “Con nome e cognome” di Maria La Bianca, raccolta di poesie civili ma anche di amore, che la scrittrice ha voluto dedicare ai bambini di Gaza e a tutti i bambini vittime di guerra, edito da Multimage. L’autrice palermitana lo ha proposto attraverso un’esperienza laboratoriale suggestiva e coinvolgente: i presenti sono stati invitati a scegliere ognuno un breve verso poetico tratto dall’opera, che la scrittrice aveva riportato su tanti foglietti scrupolosamente curati nel taglio e nella grafica e sistemati sospesi lungo un filo nella sala che ospitava il laboratorio. Ogni lettura di versi ricordava, evocava un momento, una memoria, una vittima. Le persone hanno scelto ognuna un foglietto e hanno potuto essere protagoniste con rispetto e cuore aperto di quel dolore evocato. Quella vittima, ricordata da quel verso, è stata reinterpretata e la sua memoria ha “rivissuto” attraverso la lettura: cosa è accaduto quel giorno? C’era una data e un numero di pagina su ogni foglietto che ha rimandato il lettore a un ricordo, a una esperienza di dolore, a uno stupro, a una violenza, a un conflitto, a un sopruso. “Stupro”, “Primo Maggio”, “Dio è morto”, “Lampedusa”, “Striscia di Gaza”, “Bambini in gabbia” “Bambini di Gaza” e tante altre le poesie lette, i cui versi hanno emozionato. Versi che sono potentemente civili ma anche pieni di amore. Di un amore non nel senso romantico o lirico, ma esplorato nelle sue implicazioni più ampie nell’intreccio con le ingiustizie, il dolore nella memoria delle vittime. Al centro di questo libro, come spiega l’autrice, c’è la voce delle vittime, di chi viene dimenticato nella narrazione ufficiale, “fotografato” solo come elemento di cronaca per poi essere avvolto dall’oblio del silenzio. Qui nel libro ogni vittima ha un “Nome e Cognome”, non è parte di una statistica ma è persona “viva” con la sua storia e la sua dignità. Il laboratorio intenso, emozionale, che ha toccato momenti di commozione, non è stato un “palco” ma un cerchio, un cerchio dove ogni voce è stata accolta, ogni parola ha avuto un senso Maria la Bianca ha usato la Poesia per attraversare la memoria di tanti conflitti, per dare voce al dolore ma senza alimentare mai alcun odio per trasformare l’esperienza della conoscenza di quei conflitti in consapevolezza civile. Senza paura di toccare ferite sociali, è stato un invito alla responsabilità a cui chiunque è chiamato. Qui la Poesia ha dimostrato di poter essere testimonianza, impegno civile, memoria, anche se questo suscita e ha suscitato letture dolorose di forte impatto emotivo e morale; poesia civile capace di smuover coscienze ma non per questo meno lirica e delicata. I versi letti non erano denunce astratte, ma ognuna identificata, con un volto, con un “nome e cognome”; questo per evitare che l’anonimato potesse consumare la memoria. Al “Nome e cognome” si aggiunge “quasi sempre l’amore” che suggerisce che l’Amore è presente come guida, come sfondo anche se accompagnato dalla rabbia e dal dolore. Davvero si è avvertito qui in questo laboratorio quanto la Poesia sia capace, pur con la gentilezza specifica del linguaggio poetico, di indignare, di inorridire, ma anche di evocare speranza e invitare alla consapevolezza. I presenti hanno vissuto un’esperienza di forte impatto: quelle vicende sono diventate collettive perchè ognuno si è fatto specchio di quella sofferenza. Sicuramente era l’obiettivo immaginato dalla scrittrice che però non è mai caduta nel sentimentalismo facile, ma ha saputo suscitare, seppure con delicatezza, un sentimento di rabbia e di indignazione, un invito ad un impegno civile. A conclusione il dibattito vivo e ricco di spunti di riflessione che simbolicamente può essere sintetizzato dalla riflessione sempre attuale di Albert Einstein: “La Pace non può essere mantenuta con la forza, può essere raggiunta solo con la comprensione” “Ci sono piccoli semi tra i solchi delle bombe e sbaglia chi pensa non crescerà un bosco”. Il verso che ci apre alla Speranza. Il Festival continua oggi a partire dalle ore 15.45 con una Tavola Rotonda sul disarmo nucleare e mediorientale con l’intervento di padre Alex Zanotelli. Lucia Montanaro
Sciopero della fame per Gaza
Roma, 20 settembre 2025 Questa mattina tre persone supportate da Ultima Generazione – Beatrice (32 anni), Alina (36 anni) e Serena (39 anni) – hanno iniziato uno sciopero della fame a oltranza. Si sono presentate alle 9.45 davanti alla Camera dei Deputati in piazza di Montecitorio con una richiesta chiara: il Governo Meloni deve riconoscere ufficialmente il genocidio in corso in Palestina da parte di Israele e deve garantire protezione e ritorno in sicurezza per le persone italiane imbarcate nella Flotilla. Queste richieste sono in linea con quelle del grande sciopero nazionale del 22 settembre, a cui Ultima Generazione dà sostegno. Subito sono arrivate le forze dell’ordine che hanno sequestrato i cartelli delle tre persone con scritto “Meloni riconosca il genocidio. Sciopero della fame 1°giorno”, per poi restituirli. L’inizio dello sciopero era stato programmato nel momento in cui la Global Sumud Flotilla fosse stata bloccata dalla marina israeliana. Tuttavia, l’accelerazione del genocidio con l’invasione di terra a Gaza, unita alla vigliaccheria del governo italiano, che dopo due anni di stragi inizia timidamente a contestare i piani israeliani senza alcun atto concreto, hanno spinto le attiviste ad agire subito. Piani che sono chiari, come dichiarato dallo stesso ministro israeliano Smotrich: massacrare quanti più palestinesi possibile, cacciare i sopravvissuti, radere al suolo Gaza e speculare sui suoi terreni. “Ho deciso di unirmi allo sciopero e di privarmi del cibo, perché non riesco più a tollerare ciò che sta succedendo a Gaza – dichiara Alina, madre di tre figli. Ora basta! Non continuerò la mia vita come se nulla fosse, metto il mio corpo a disposizione e andrò avanti con lo sciopero della fame a oltranza, il mio impegno è per la Flotilla e per la Palestina, affinché riesca nella sua missione e affinché le persone partite tornino a casa senza un graffio e che il governo riconosca che le atrocità che stanno succedendo a Gaza sono un genocidio! Invito chiunque lo desideri ad unirsi: c’è ancora speranza, possiamo e dobbiamo ancora agire.” IL GOVERNO MELONI DEVE RICONOSCERE IL GENOCIDIO Il genocidio in corso a Gaza è già stato riconosciuto da diversi organismi internazionali: la Commissione indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite ha pubblicato un’analisi legale di 72 pagine che definisce inequivocabilmente genocidaria la guerra condotta da Israele. Eppure il governo Meloni non ha ancora compiuto un atto formale di riconoscimento. Non è solo una mancanza di coraggio politico: è una scelta che implica complicità diretta. Perché è importante chiamarlo genocidio? Usare la parola genocidio non è retorica. È una categoria giuridica precisa che ha conseguenze enormi: Sul piano internazionale, la Convenzione ONU sul genocidio obbliga tutti gli Stati firmatari a prevenire il genocidio e a non esserne complici. La Corte Internazionale di Giustizia ha già riconosciuto un “rischio plausibile” di genocidio a Gaza, imponendo quindi obblighi anche all’Italia. Sul piano nazionale, la Legge italiana n. 962 del 1967 (“Punizione del crimine di genocidio”) recepisce questi principi nel nostro ordinamento: anche la complicità in genocidio è punita dal nostro codice penale. Voi che avete pronunciato la parola genocidio — Meloni, Tajani — non potete limitarvi alla retorica. Non accettiamo plausi verbali né usi strumentali del termine. Se lo avete detto, dimostrate di crederci: agite ora, perché la parola genocidio non è uno slogan ma un dovere giuridico e morale che impone responsabilità e interventi immediati. LE ULTIME CONFERME DI COMPLICITÀ DI QUESTO GOVERNO Il governo italiano non è un osservatore neutrale. La Camera ha appena rinnovato il memorandum di cooperazione militare con Israele, mentre i deputati di Fratelli d’Italia si sono astenuti e la Lega ha persino votato contro una risoluzione europea – già timidissima – di condanna. Arianna Meloni ha addirittura accusato la Flotilla di “strumentalizzare” il dolore di Gaza. In tutto questo, non riconoscere formalmente il genocidio equivale a mantenere e consolidare la complicità italiana: politica, economica e militare. La Flotilla esiste proprio perché i nostri governi sono marci. Alina, Beatrice e Serena, con i loro corpi e il loro sacrificio, sono lì a ricordarcelo e non si fermeranno fino a quando il governo italiano non avrà riconosciuto il genocidio in Palestina, agendo di conseguenza, e fino a quando le persone italiane presenti sulle imbarcazioni non saranno tornate sane e salve. Ultima Generazione sosterrà tutte le persone che sceglieranno lo sciopero della fame come forma di resistenza nonviolenta e di pressione sul governo italiano. BASTA SEPARARE IL BUSINESS DALLA POLITICA: BOICOTTIAMO Siamo già 53.000 ad aver scelto questa forma di resistenza attiva, unendoci in una mobilitazione che va oltre gli aiuti umanitari – pur necessari – e mira a compiere un atto politico concreto contro il genocidio in corso. Il boicottaggio colpisce direttamente le aziende italiane che continuano a esportare in Israele, scegliendo il profitto invece di assumersi la responsabilità di non essere complici. Continuare a commerciare significa sostenere, anche indirettamente, un sistema di violenza e oppressione: ecco perché la complicità economica non può più essere tollerata. L’obiettivo è duplice: incidere sugli interessi economici che alimentano l’occupazione e tentare di forzare il blocco navale imposto da Israele – a bordo delle barche ci sono anche persone di Ultima Generazione. Gli Stati europei restano legati a interessi militari ed energetici e non intervengono: spetta a noi cittadini agire, anche da casa propria, attraverso il boicottaggio. Come ricorda Francesca Albanese, in Quando il mondo dorme: “Il sistema che reprime i Palestinesi è lo stesso a cui apparteniamo noi.” Questo passa attraverso i supermercati, che vendono prodotti coltivati su terre sottratte ai palestinesi, mentre in Italia comprimono i piccoli agricoltori, trasformando la spesa quotidiana in un lusso. Siamo già in 53.000. Unisciti anche tu: https://vai.ug/boicottaggio?f=cs Ultima Generazione
Buon vento a Sumud Flotilla
Pubblichiamo il video del quinto giorno di navigazione per Stefano Bertoldi, docente e attivista dell’Osservatorio contro la militarizzazione militarizzazione delle scuole e delle università, a bordo della Global Sumud Flotilla verso Gaza. Il docente, giornalista e attivista, fa un resoconto quotidiano della missione umanitaria. In poche parole il racconto della navigazione che porterà il gruppo di imbarcazioni con attiviste ed attivisti di diversa nazionalità verso Gaza, con loro un carico di aiuti, messaggi di pace e speranza per il popolo palestinese martoriato da lunghi e devastanti bombardamenti. Flotilla aggiornamento 5   Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università