“L’opportunità da 1000 miliardi di dollari”. Il Venezuela Working Group e l’apertura ai capitali USAIl Venezuela detiene le più vaste riserve di petrolio del pianeta. È impossibile
prescindere da questo dato per comprendere i fatti e gli eventi che gravitano
intorno al suo oro nero. La Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA), la compagnia
petrolifera statale del Venezuela fondata nel 1976, dopo la nazionalizzazione
dell’industria petrolifera, nacque come risposta a decenni di sfruttamento
straniero da parte delle multinazionali angloamericane come Shell, Exxon, Mobil,
Chevron, Gulf.
Dal 2017 le sanzioni statunitensi hanno tagliato fuori PDVSA dal sistema
finanziario internazionale rendendo impossibile vendere liberamente il petrolio,
sbloccare fondi, acquistare ricambi o tecnologia. Un assedio economico che ha
fatto crollare la produzione: da oltre 3 milioni di barili al giorno negli anni
’90 a meno di 700.000 nei periodi più duri.
Le lobby filo-occidentali chiedono da anni di privatizzare PDVSA e aprire il
mercato agli investitori stranieri. Tradotto: “solo il capitale privato può
rilanciare la produzione”.
In questo scenario, il Nobel assegnato a María Corina Machado appare non tanto
come un premio alla pace, quanto come un investimento simbolico. Si tratta di un
riconoscimento concepito per costruire un volto presentabile, spendibile, in
vista di un futuro change-regime. Da questo punto di vista Maria Corina Machado
risulta la persona perfetta, soprattutto per chi non conosce il suo passato.
Machado ha modellato la sua ideologia politica su figure come Margaret Thatcher
e Ronald Reagan e ha apertamente abbracciato una presunta dottrina economica un
tempo chiamata “capitalismo popolare”, originariamente attuata dalla dittatura
fascista di Augusto Pinochet in Cile, il primo esperimento formale di
neoliberismo selvaggio in Sud America. Si tratta di un programma politico che
promuove la privatizzazione totale dei settori statali strategici, tra cui
l’industria petrolifera e mineraria, che in Venezuela sono stati storicamente
controllati dallo Stato attraverso aziende come PDVSA.
La macelleria sociale che sta portando avanti l’anarcocapitalista Milei in
Argentina – che Machado tanto ammira – non è nient’altro che il “modello
Thatcher” che l’Occidente vorrebbe estendere al Venezuela dove c’è un’abbondanza
di risorse primarie nel sottosuolo da potersi accaparrare mediante
privatizzazioni.
Machado ha ripetutamente promesso che, in un “Venezuela libero”, le compagnie
petrolifere, del gas e minerarie statunitensi avrebbero avuto la priorità
assoluta nello sfruttamento di queste risorse. Ciò costituisce un’offerta
diretta di cessione della ricchezza nazionale in cambio del sostegno politico
internazionale e, in particolare, del sostegno di Washington alla sua ascesa
personale al potere.
Attualmente, María Corina Machado e l’ex candidato alla presidenza Edmundo
González Urrutia – insieme ad alcuni loro familiari, consiglieri e altri membri
della destra venezuelana che componevano il governo golpista “ad interim” di
Juan Guaidò – costituiscono il Venezuela Working Group, un gruppo di “esperti”
tecnocrati costituitosi presso Americas Society/Council of the Americas (AS/COA)
che nel giugno 2025 ha proposto di aprire le porte agli imprenditori americani.
L’AS/COA è un’organizzazione non governativa con sede a New York, fondata nel
1965 dal miliardario David Rockefeller e composta da due organismi: l’Americas
Society, un forum di discussione sulle politiche all’interno del sistema
interamericano; e il Consiglio delle Americhe, un organismo che riunisce gruppi
imprenditoriali internazionali che promuovono politiche neoliberiste
nell’emisfero occidentale. AS/COA si è affermato come un think tank per la
discussione di questioni politiche ed economiche ed ha pubblicato
diversi rapporti sul Venezuela.
Machado ha dichiarato esplicitamente che, in un possibile governo guidato
dall’attuale opposizione della destra radicale, il Venezuela potrebbe aprire
agli “investimenti esteri” con il potenziale di generare “un trilione di
dollari” di ricchezza in soli 15 anni. A tal fine, Machado ha fatto riferimento
alla privatizzazione delle compagnie nazionali di idrocarburi, nonché alla
transnazionalizzazione delle riserve di petrolio e gas del Paese, definendo le
vaste riserve petrolifere del Venezuela come “le più grandi al mondo” e ha
affermato che il loro controllo da parte di interessi stranieri rappresenterà
un'”opportunità” per la creazione di ricchezza a vantaggio delle aziende
statunitensi e occidentali. Questa opportunità, secondo Machado, “copre l’intero
emisfero e gli investitori che trarranno vantaggio da condizioni senza
precedenti fin dal primo giorno”.
Sulla stessa linea, ha fatto riferimento alle altre risorse strategiche del
Paese: “Abbiamo anche abbondanti risorse di ferro, oro e minerali”.
Il riferimento alle riserve minerarie del Paese è importante, considerando che
la Machado è l’erede dell’impero metallurgico di Sivensa (Siderúrgica
Venezolana, SA), costruito da suo padre, Henrique Machado Zuloaga. Interessante
sapere che fu proprio durante la Quarta Repubblica che in Venezuela, governato
da governi neoliberisti, il magnate della siderurgia – insieme agli altri
magnati filo-USA – si arricchì a dismisura, mentre nello stesso periodo la
povertà assoluta del paese passò dall’8% al 36%, il tasso di povertà salì dal
18% al 65% e si verificarono circa 100mila morti per indigenza.
È in questo contesto che i chavisti unendo popolo ed esercito, spirito
patriottico e socialismo, presero il potere e lo tennero respingendo diversi
tentativi di colpi di Stato. Maduro, succeduto a Chavez nel 2013, ha proseguito
nel disegno politico antimperialista volto a garantire la difesa dell’interesse
nazionale e delle sue sterminate ricchezze, ma questo non piace all’opposizione
della destra venezuelana che vuole privatizzare ogni cosa si muova.
Nel suo intervento al Venezuela Working Group, Machado ha parlato della
strategia di nearshoring, ovvero la costruzione di una catena del valore in
Venezuela vicina ai mercati chiave, facendo esplicito riferimento agli Stati
Uniti per ragioni di posizionamento geografico.
Come ha scritto Mision Verdad: “Dal suo punto di vista di erede di Sivensa,
deduce che la sua azienda, insieme a multinazionali straniere, potrebbe
sviluppare processi per sfruttare le risorse minerarie nazionali con l’obiettivo
di proiettarle sul suolo statunitense, il che implicherebbe l’uso della base
mineraria, che fa parte del patrimonio nazionale, per soddisfare gli interessi
della sua famiglia.”
In seguito – da buon neo-Premio Nobel – ha fatto riferimento alle riserve di
acqua dolce del Paese, ai 30 milioni di ettari di “terra fertile non sviluppata”
e ai 2.800 chilometri di costa caraibica, pronti per essere piovrizzati dal
capitale straniero.
L’offerta di Machado di milioni di ettari del Paese a beneficio di aziende
straniere suggerisce un’altra strada di privatizzazione, poiché un territorio
così vasto comprende terreni agricoli nelle mani dello Stato, ma anche vaste
quantità di terra di proprietà privata e circa 14 milioni di ettari ceduti a
famiglie e organizzazioni contadine in più di 20 anni, secondo i modelli di
allocazione delle terre esistenti nel Paese.
Afferma Mision Verdad: “La cifra di 30 milioni di ettari “non sviluppati” è
estremamente impressionante perché dichiara inutilizzato il territorio fertile
del Paese, proprio quando il Venezuela ha raggiunto il 97% del suo fabbisogno
alimentare grazie alla produzione interna.In questo modo, Machado distorce la
realtà facendo un’offerta ingannevole al capitale americano e mettendo in
vendita i terreni agricoli del Paese, che hanno già proprietari e affittuari.”
Machado ha parlato di un processo di transizione democratica “in soli 100
giorni” per realizzare “cambiamenti strutturali” e quindi attuare quella
strategia, ma tuttavia, privatizzare la Petróleos de Venezuela SA (PDVSA),
implementare un sistema di concessioni di idrocarburi con capitale straniero in
maggioranza e concedere riserve nazionali a società straniere a condizioni
fraudolente, come propone Machado, sarebbe impossibile secondo l’attuale
Costituzione Bolivariana del Venezuela.
Allo stesso modo, perseguire investimenti minerari a condizioni svantaggiose per
il Paese, come propone Machado, implica lo smantellamento delle leggi che
definiscono l’attuale sistema di concessioni nazionali.
Per attuare questa massiccia espropriazione di terreni sarebbe necessario
abrogare l’attuale legge sullo sviluppo fondiario e agricolo; ciò comporterebbe
anche misure energiche per esercitare il controllo territoriale e attuare una
politica di sfratti senza precedenti nella storia.
L’attuazione di queste vaste strategie politicamente regressive in soli 100
giorni sarebbe possibile solo attraverso l’ascesa di un governo a matrice
autoritaria e neoliberista nel Paese, cosa ben diversa da ciò che è il governo
di Maduro. Una manovra autoritaria comporterebbe l’abrogazione dell’attuale
Costituzione, la soppressione dei controlli naturali al potere parlamentare e il
degrado del quadro giuridico esistente, oltre al diffuso uso della forza contro
la popolazione, senza distinzione tra proprietari e lavoratori.
“L’opportunità da mille miliardi di dollari” si riferisce tacitamente al
trasferimento del potere politico alla stessa Machado. Ma quel potere avrebbe
condizioni e caratteristiche assolutistiche.
Per questa proposta, Andrés Gluski, presidente del consiglio di amministrazione
dell’AS/COA, ha consegnato la medaglia d’oro dell’Americas Society a María
Corina Machado. Il premio è stato ritirato dalla figlia sul suolo statunitense,
poche ore prima dell’incontro “da un trilione di dollari”.
Durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) tenutasi a fine
settembre 2025, l’opposizione venezuelana, guidata da María Corina Machado, ha
intensificato i suoi sforzi diplomatici e mediatici per promuovere un cambio di
regime in Venezuela, con l’obiettivo esplicito di rovesciare il presidente
Nicolás Maduro. Queste azioni vengono presentate come una campagna di
lobbying internazionale coordinata con settori dell’amministrazione di Donald
Trump e con chiari interessi aziendali legati alle vaste risorse naturali del
Venezuela, in particolare alle sue riserve di petrolio, gas e minerali, tra le
più grandi al mondo.
María Corina Machado prosegue lo stesso percorso di Juan Guaidó, visitando gli
stessi luoghi e rivolgendosi alle stesse persone. In sostanza, l’intera manovra
con l’AS/COA consiste nel fare lobbying e cercare sostegno per un violento
cambio di regime in Venezuela, offrendo il Venezuela come vetrina per il
capitale statunitense. La “transizione democratica” della Machado propone una
restaurazione, dove il mercato – ovvero le corporation americane – tornano a
controllare le fonti di energia.
María Corina Machado è tutto tranne che una figura “popolare” e democratica.
Proviene da una delle famiglie più ricche di Caracas, legata storicamente agli
ambienti imprenditoriali filo-statunitensi. La sua idea di “libertà economica”
coincide con una privatizzazione selvaggia dell’economia venezuelana: banche,
infrastrutture, compagnie minerarie e, soprattutto, PDVSA, il cuore pulsante
della sovranità economica nazionale.
Machado ha sostenuto apertamente le sanzioni economiche imposte dagli Stati
Uniti, anche nei momenti più duri, quando mancavano medicine, cibo e carburante.
È arrivata a chiedere un intervento militare straniero per “liberare il paese
dalla dittatura di Maduro”. Il Venezuela detiene infatti le maggiori riserve di
petrolio al mondo e nonostante sanzioni unilaterali e bloqueo economico decise
da USA e suoi scagnozzi riesce a garantire scolarizzazione e sanità a tutta la
sua popolazione.
Di fronte a tutto questo ci si chiede come mai Machado, che ha solo il 3% di
voti presi alle ultime elezioni, continui ad avere un impatto internazionale di
queste dimensioni. Se è così paladina dei diritti democratici, perchè non
ammette di avere il 3% dei consensi ed inizia a rispettare la democrazia,
continuando ad esercitare la propria opposizione democraticamente?
La sua “pace”, dunque, corrisponde a quella formula usata decine di volte per
giustificare invasioni, golpe e cambi di regime, dall’Iraq alla Libia. Donald
Trump ha già dichiarato più volte che il Venezuela è un “obiettivo strategico”:
non per la democrazia, ma per riprendersi il petrolio che oggi gestiscono Cina e
Russia.
Il Nobel si presenta come l’ennesima carta per tentare di sostenere un colpo di
Stato che per essere completato dovrà necessariamente passare per una guerra
civile come recentemente avvenuto in tante Nazioni negli ultimi anni (Siria,
Libia, Ucraina ecc.). Le si da il Nobel per ripulirle l’immagine e fornire
autorevolezza internazionale alla richiesta d’invasione militare del suo Paese
per “combattere il comunismo”.
È il vecchio schema: elevare un’oppositrice neoliberale a paladina dei diritti,
creare il consenso mediatico internazionale, giustificare l’ingerenza o
addirittura il colpo di Stato.
Da anni del resto il Comitato Norvegese per il Premio Nobel di Oslo è diventato
un specchio dell’ideologia dominante: raramente premia chi mette davvero in
discussione i poteri globali, e quando l’ha fatto ha capito di aver generato
miti incrollabili nonché esempi etici, morali, spirituali e politici per
l’umanità (Mandela, Rigoberta Menchu Tum, Adolfo Perz Esquivel etc…) che è
meglio non enfatizzare.
Premiare Machado oggi equivale a legittimare un eventuale cambio di regime,
un’eventuale “rivoluzione colorata” funzionale all’ordine occidentale. È un
messaggio chiaro: la “pace” è accettabile solo se coincide con l’obbedienza a
Washington e con l’apertura dei pozzi.
Come può definirsi una “pacifista” chi invoca le sanzioni e la forza armata
contro il proprio paese? È il paradosso perfetto di un mondo in cui la guerra
viene venduta come salvezza.
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Lorenzo Poli