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Modica presidio per la Palestina
Ad agosto di quest’anno decido di partecipare a un viaggio in Cisgiordania con Assopace Palestina, guidato dalla impareggiabile e inossidabile Luisa Morgantini, che si sarebbe svolto il mese successivo. Mi sentivo paralizzata nel senso di impotenza riguardo ciò che stava accadendo a Gaza. Soprattutto, mi sentivo isolata. C’era un movimento di protesta che rilanciava notizie sui social, ma mi sembrava che fuori il mondo girasse come sempre, nella completa indifferenza di quasi tutti. A fine agosto, alla prima manifestazione per Gaza nel mio paese, eravamo i soliti quattro gatti che si mobilitano in ogni occasione. Il viaggio è stato una esperienza sconvolgente, che ha cambiato per sempre il mio modo di guardare il mondo che mi circonda. Torno con gli sguardi e i sorrisi dei palestinesi nel cuore, in tasca una promessa ripetuta ad ogni incontro: parleremo di voi, racconteremo la vostra storia, non lasceremo che il silenzio ricopra ancora una volta gli orrori dell’occupazione sionista nella terra di Palestina. Il rientro in Italia è una ubriacatura e una sorpresa: dall’aeroporto di Fiumicino alla stazione Termini e poi fino a Catania, un fiume di bandiere e cartelli, una incredibile atmosfera di gente che finalmente può uscire allo scoperto e contarsi, ritrovarsi. È il 22 settembre, il giorno della grande mobilitazione. La tristezza di lasciare la Palestina si trasforma in incredibile energia, tutti noi ci diamo da fare per raccontare in ogni occasione quello di cui siamo stati testimoni: l’oppressione feroce del sionismo da una parte, il Sumud dignitoso dei palestinesi dall’altra. Per due settimane viviamo l’euforia di essere parte del cambiamento, la sensazione che un altro mondo sia davvero possibile. Nel mio tranquillo e un po’ sonnacchioso paesello siciliano é nato in quei giorni un comitato spontaneo per la Palestina, e lo stesso è avvenuto un po’ in tutta l’isola. Con il comitato in questi due mesi si organizzano rassegne cinematografiche, mostre ( a dicembre ci sarà a Modica una collettiva che vede tra gli autori anche la pittrice gazawi Malak Mattar), pranzi solidali, incontri nelle piazze e nelle scuole. Stiamo portando avanti al Comune una mozione di gemellaggio tra Modica e Gaza. Il gruppo boicottaggio sta promuovendo una campagna di sensibilizzazione nel comparto agricolo, dove le aziende israeliane dominano il mercato di sementi e materiali per l’irrigazione. In uno dei miei viaggi a Milano, la mia città adottiva dove ho trascorso la maggior parte dei miei vissuti decenni, prima di trasferirmi nella campagna iblea, prendo contatti con attivisti locali. Sono di passaggio, ma voglio partecipare al presidio in piazza Duomo del quale avevo avuto notizie sui social. Chiedo a una compagna di viaggio come me siculo-milanese, ma lo fanno ancora? Certo, ogni giorno! Chiedi di Andrea. E così, un tardo pomeriggio freddino di ottobre mi presento in piazza Duomo, dove sono già schierati i compagni con cartelli e bandiere. Scelgo tra tanti cartelli messi a disposizione quello che più mi assomiglia, e prendo posizione. Nel via vai della piazza ancora affollata dai turisti questa ventina di personaggi fermi immobili con i cartelli e le bandiere, formano uno strano contrasto. La gente ci guarda, molti sorridono, fotografano, fanno un cenno d’intesa, qualcuno sussurra un ‘grazie’. Una signora francese mi abbraccia con le lacrime agli occhi, dice che a Parigi non si può, se esponi la bandiera arrivano i flic e ti sgomberano. Ho ammirato il gesto di resilienza e perseveranza di queste persone che ogni santo giorno con ogni tempo con la loro sola presenza silenziosa ma determinata sono un richiamo alla coscienza di tutti, piazzati come sentinelle nel cuore della città quintessenza del consumismo d’Italia. Ho pensato che dovrebbero esserci presidi in ogni città, in ogni piazza, davanti a ogni sede istituzionale, per chiedere instancabilmente la fine del genocidio, il rispetto dei diritti umani per ogni essere umano, la fine della complicità dei governi con quell’abominio che é l’entità sionista che si fa chiamare Israele. Andrea mi racconta di come è nato il presidio a Milano, e come ci si organizza, con molta semplicità. Tornata in Sicilia, ne parlo subito al Comitato, e qualcuno aderisce subito con entusiasmo. Pamela, artista eclettica, mette a disposizione il suo laboratorio per preparare i cartelli. Con Marica, Aurora e Miriana ci incontriamo, decidiamo data e giorni, e si parte! A Modica non c’è una piazza pedonale e frequentata come quella di Milano, la stagione turistica è finita e i siciliani d’inverno non affollano le strade e le piazze. Decidiamo di cominciare solo nel fine settimana, la mattina tra la fine della messa e l’ora di pranzo. Domenica 23 novembre, una beneaugurante giornata di sole dopo una settimana di pioggia ci vede schierate in piazza Matteotti insieme ad altri compagni che si sono uniti a noi. Siamo una ventina in tutto, i cartelli che avevamo preparato bastano appena per tutti. Non ci sono moltissimi passanti, é ancora un po’ presto e decidiamo per le prossime volte di modificare un po’ l’orario. Chi passa ci guarda incuriosito, qualcuno fa una foto, qualcuno ringrazia. Un signore si ferma a scambiare qualche battuta, poi se ne va dicendo che lo abbiamo fatto riflettere su aspetti che non aveva considerato. Chissà se sarà vero, io invece guardando le persone che attraversano la piazza, noto che tra loro non c’è nessuno che frequenta le riunioni, o il cinema o gli incontri che organizziamo. Sono persone normali, che forse si informano soprattutto dalla tv e dai giornali, e forse anche loro pensano che Gaza e la Palestina siano una questione archiviata dal cessate il fuoco di Trump. Per questo è importante ricordare Gaza, ricordare la Cisgiordania, dire che in Palestina si muore ancora, che gli aiuti non sono mai entrati, che coloni sono sempre più una falange armata dell’esercito e rubano e uccidono nella totale impunità, che il nostro governo é ancora complice, e che anche noi lo siamo se restiamo a guardare. É importante stare nelle strade e nelle piazze, non solo alle manifestazioni, ma cercare di comunicare con le persone tutte, senza urlare ma con il linguaggio del corpo, delle immagini e della parola scritta. Io credo che sia un gesto potente, un seme che si fa strada dove c’è una coscienza non del tutto sopita, e spero che altri seguiranno questo esempio. Intanto il piccolo gruppo del presidio modicano si avvia alla terza edizione, ogni settimana ci incontriamo per preparare nuovi cartelli, dalla settimana prossima se il clima natalizio riempirà le strade, contiamo di poter presidiare ogni giorno. Vi terremo aggiornati, e grazie Milano per l’ispirazione e l’incoraggiamento. Anna Rotolo Redazione Italia
Caos Eurovision: l’ok a Israele porta al ritiro di quattro Paesi
L’EBU approva la partecipazione di Israele all’Eurovision 2026. In risposta si ritirano 4 Paesi e il numero potrebbe aumentare. L’Eurovision Song Contest 2026 in questi mesi aveva mano a mano assunto le sembianze di una polveriera. L’EBU (European Broadcasting Union), con la sua assemblea generale di giovedì 4 dicembre ha acceso la miccia, facendo saltare tutto in aria. Con l’approvazione delle modifiche al regolamento, è stata ufficialmente autorizzata la partecipazione di Israele alla prossima edizione, che si terrà a Vienna (Austria) dal 12 al 16 maggio. Immediata è stata la reazione dei Paesi che da tempo chiedevano l’esclusione di Israele, in risposta al genocidio dei palestinesi in corso a Gaza. Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno già annunciato il boicottaggio della prossima edizione, mentre la prossima settimana potrebbero arrivare i ritiri anche di Belgio e Islanda. La Finlandia valuterà ulteriormente la situazione, mentre il Portogallo ha detto che si presenterà a Vienna. Questo è solo il primo scoppio di un disastro annunciato fin dal termine dell’edizione 2025, dove Israele non solo è stato al centro delle attenzioni per i fatti della Striscia di Gaza, ma anche per il controverso exploit al televoto della sua rappresentante Yuval Raphael, che ha così sfiorato un clamoroso trionfo. Sotto la lente di ingrandimento degli osservatori e degli appassionati è finito il primo posto al televoto, gonfiato grazie alle campagne promozionali multi-piattaforma ideate e promosse da agenzie governative israeliane, come evidenziato successivamente da Eurovision News – Spotlight. Subito dopo la finale dello scorso maggio i sopraccigli si erano alzati proprio in quei Paesi che oggi hanno annunciato il ritiro dalla prossima edizione. L’EBU ha mostrato tuttavia mancanza di nervo nella gestione della situazione, schiacciata dalle pressioni politiche. Ha dapprima annunciato una votazione a novembre (con quorum abbassato dal 75% al 50% più uno) per decidere sulla partecipazione o meno di Israele, per poi ritrattare e fissare una riunione dedicata. La questione è stata, infine, spostata all’Assemblea Generale dell’EBU, in cui si sarebbe votato non per l’esclusione o meno del Paese, ma per delle modifiche al regolamento. Il nuovo regolamento dell’Eurovision 2026 L’EBU già a novembre aveva annunciato novità, con l’obiettivo di «fornire tutele più solide e aumentare il coinvolgimento», come dichiarato dal Direttore dell’evento Martin Green. Tra le righe queste modifiche cercavano di garantire la partecipazione di Israele e rassicurare i Paesi più critici come Spagna, Paesi Bassi e Irlanda, in un complesso tentativo di mediazione. Tentativo naufragato sul nascere, vista l’immediata reazione del broadcast spagnolo RTVE che – come riportato da EurofestivalNews – ha definito “insufficienti” i cambiamenti. Si è arrivati così al 4 dicembre, quando la stessa RTVE assieme ad altre sette emittenti ha chiesto ugualmente il voto a scrutinio segreto sull’esclusione – anche solo provvisoria per un anno – di Israele. La richiesta è stata rigettata perché – dal punto di vista dell’EBU – l’approvazione del regolamento stabiliva nuove garanzie per la partecipazione di tutti i Paesi all’evento. Con 738 voti a favore, 264 contrari e 120 astenuti l’EBU ha reintrodotto le giurie tecniche nazionali nelle semifinali, aumentando il numero dei loro componenti da 5 a 7; ridotto il numero massimo di voti per utente da 20 a 10; modificato le Istruzioni di Voto e il Codice di Condotta del concorso per impedire campagne promozionali di terze parti e una revisione dei sistemi tecnici di sicurezza. Le reazioni e gli scenari possibili Subito dopo l’esito del voto sono usciti i primi comunicati stampa, tra cui quello durissimo dell’emittente olandese AVROTROS: “La partecipazione [all’Eurovision nda] non è conciliabile con i valori pubblici fondamentali per la nostra organizzazione. […] AVROTROS ha rilevato che la crisi umanitaria a Gaza, le restrizioni alla libertà di stampa e l’interferenza politica che hanno caratterizzato l’ultima edizione dell’Eurovision Song Contest erano incompatibili con i valori che rappresentiamo. In tale contesto, ha concluso che la partecipazione dell’emittente israeliana KAN quest’anno non poteva più essere in linea con le nostre responsabilità di emittente pubblica. Affidabilità, indipendenza e umanità sono i nostri principi guida. […] L’EBU ha riconosciuto che si sono verificate interferenze politiche durante la precedente edizione e ha annunciato misure aggiuntive per evitare che si ripetano. Tuttavia, queste misure non modificano quanto accaduto durante l’ultima edizione. […] Ciò che è accaduto nell’ultimo anno […] ha oltrepassato un limite per noi. […] Inoltre, la situazione a Gaza rimane estremamente fragile e profondamente preoccupante”. Dello stesso tono anche la dichiarazione dell’irlandese RTÈ («RTÉ rimane profondamente preoccupata per l’uccisione mirata di giornalisti a Gaza durante il conflitto e per il continuo diniego di accesso al territorio ai giornalisti internazionali») e della slovena RTVSLO («Per il terzo anno consecutivo, il pubblico ci ha chiesto di dire no alla partecipazione di qualsiasi Paese che ne attacchi un altro. […] L’Eurovision è stato un luogo di gioia e felicità fin dall’inizio, artisti e pubblico erano uniti dalla musica, e dovrebbe rimanere così. […] Non parteciperemo all’ESC se ci sarà Israele. A nome dei 20.000 bambini morti a Gaza»). Critiche sulla neutralità politica del concorso arrivano, infine, dalla Spagna con RTVE: «L’uso del concorso da parte di Israele per scopi politici rende sempre più difficile mantenere l’Eurovision come evento culturale neutrale». A questi quattro Paesi potrebbero seguire a ruota il Belgio, l’Islanda – che comunicherà la sua decisione mercoledì 10 dicembre – ma anche Finlandia e Svezia. Già solo con l’uscita di questi primi quattro Paesi, che non trasmetteranno l’evento, l’Eurovision Song Contest perderà – stando ai dati 2025 – quasi 10 milioni di spettatori (solo per la finale), il 6% complessivo. Tutto questo nonostante il ritorno in gara di Bulgaria, Moldavia, Romania e il probabile debutto del Kazakistan. Chiaramente opposta la reazione israeliana con il tweet del Presidente Isaac Herzog, che scrive «Israele merita di essere rappresentato su tutti i palcoscenici del mondo». Israele aveva ricevuto il sostegno del Paese organizzatore, l’Austria, così come della Germania. Il Cancelliere Friedrich Merz ad ottobre aveva dichiarato che sarebbe stata la Germania a dover lasciare il concorso qualora Israele fosse stato escluso. L’Italia nel mentre – salvo clamorosi ripensamenti – ci sarà, con il vincitore del Festival di Sanremo 2026. L’elenco definitivo dei Paesi in gara all’Eurovision Song Contest 2026 sarà pubblicato prima di Natale ma, comunque vada, sotto l’albero non ci sarà una bella sorpresa. Anna Polo
Tunisia: il sindacato reagisce alla repressione convocando uno sciopero generale
Dopo l’ondata di arresti che ha messo in galera con la scusa di “complotto contro la sicurezza dello Stato” alcuni dei principali oppositori al regime, il principale sindacato tunisino, l’Union Générale des Travailleurs Tunisiens” (UGTT) ha proclamato uno sciopero generale per il 21 di Gennaio. Di fronte alle pressioni del governo, il segretario generale dell’UGTT, Nourredine Taboubi ha dichiarato “Non ci lasciamo intimidire dalle vostre minacce o dalle vostre prigioni. Non temiamo il carcere”. L’UGTT ha svolto un ruolo centrale nella transizione democratica della Tunisia dopo il 2011, ma in un primo tempo aveva appoggiato il presidente Kais Saied quando aveva nel 2021 sospeso i poteri del parlamento in quello che è stato considerato dall’opposizione un autentico colpo di stato. Pressenza IPA
Memorie giornalistiche di Maria Terranova Ceron Malfitano, una donna forte
Il volume “Giornalismo al femminile” di Maria Terranova Ceron Malfitano racchiude in sé, tramite la raccolta di numerosissimi articoli di giornale, la memoria di una vita intera profusa nell’attività giornalistica dedicata all’approfondimento delle questioni del nostro territorio, a trecentosessanta gradi, come una seria applicazione del diritto di cronaca e di critica richiedono. L’ampia e variegata produzione dell’autrice deriva dalla trattazione meticolosa di molti temi spinosi, un impegno che l’articolista è riuscita a svolgere anche grazie all’aiuto e all’appoggio di altri giornalisti, redattori, direttori di testata che le sono stati mentori e amici nel corso dei tanti anni di attività. Chi pensa che non serva coraggio per affrontare di petto i problemi locali non ha mai avuto esperienza in questo senso: è necessaria, al contrario, una giusta dose di audacia per affrontare argomenti dibattuti, ma soprattutto per andare a caccia di interviste e per smuovere le coscienze su temi considerati divisivi, tenendo posizioni nette e non sempre condivise dalla maggioranza. Alla base della scelta di Maria Terranova di proseguire con tenacia la sua missione di operatrice di un’informazione consapevole vi è senza dubbio il suo carattere deciso e pervicace; ella non ha mai ceduto a compromessi, mettendo al centro i valori nei quali crede e soprattutto le istanze sociali a lei particolarmente care: l’aiuto ai più deboli, l’amore per l’intercultura e l’incontro di civiltà diverse, la difesa della vita umana, anche e soprattutto nel caso dei più fragili. Sempre in prima linea per combattere le sue battaglie umanitarie, Maria Terranova ha trovato nella scrittura, sin dal giovanissima, come scopriamo dal libro, una passione mai sopita, che ancora oggi la spinge a utilizzare “la penna” per denunciare ingiustizie e combattere per i più deboli di ogni parte del mondo, oltre che per i dimenticati anche delle nostre terre, ove l’opulenza si intreccia talora con il dolore, l’indigenza, la solitudine. I mille temi specifici di cui , la giornalista ha trattato, sempre con grande passione e coinvolgimento, l’hanno portata a conoscere il territorio in tutte le sue specificità, ma con una prospettiva personale e profondamente femminile: il volume stesso si intitola “Giornalismo al femminile”, permettendo al lettore di comprendere come l’essere donna sia e sia stato elemento centrale per Maria Terranova, la quale ha affrontato ogni sfida in una prospettiva sensibile, ma battagliera, caratteristiche senza alcun dubbio proprie e intrinseche della femminilità. Il viaggio proposto dall’autrice non riguarda solamente il suo cammino, la sua crescita personale, ma segue il corso della storia del nostro territorio, così che scoprendo l’uno, si impara a conoscere anche l’altro, tramite i dettagli di una cronaca accurata, che svela i profili antropologici, sociali, culturali, economici, di un territorio che si snoda tra valli, monti e laghi. Ma non è la natura a interessare particolarmente la giornalista, quanto l’uomo, le sue età, le sue relazioni, ma anche i suoi vizi, i suoi errori: spicca in particolare il suo profondo e sentito irenismo, la spinta al dialogo tra le diverse confessioni cristiane, un valore senza dubbio fondamentale per l’autrice. Dopo un lungo tuffo nel passato, quindi, i cavalli di battaglia di Maria Terranova si rivelano i temi principali anche della nostra attualità divorata dai conflitti, ove i nostri destini si incrociano quotidianamente con un profondo ed inesausto desiderio di pace. Il libro verrà presentato il 10 dicembre 2025 alle 18 all’ex Colonia elioterapica di Germignaga (Varese).   Redazione Italia
Tunisia: arrestato un altro oppositore politico
Ahmed Néjib Chebbi è stato arrestato oggi giovedì 4 dicembre a Tunisi  dopo essere stato condannato a 12 anni di prigione in un processo farsa in cui era accusato di “complotto contro la sicurezza dello Stato”. Chebbi, che ha 81 anni, è uno degli oppositori di sinistra più conosciuti nel paese e con una lunga carriera politica che lo ha portato ad essere candidato alla presidenza della Tunisia nel 2009, ministro nel primo governo di unità nazionale dopo la caduta di Ben Alì e membro della Costituente. Nei giorni scorsi Chebbi aveva dichiarato in un video:” vado in prigione con la coscienza tranquilla e sapendo di non aver commesso nessun errore”. Il suo arresto non è un caso isolato, segue infatti l’arresto dell’avvocato Ayachi Hammami e dell’attivista Chaïma Issa, condannati nello stesso processo. Dure le reazioni delle associazioni di difesa dei Diritti Umani. Secondo Sara Hashash, direttrice regionale di Amnesty International, “queste detenzioni confermano l’allucinante determinazione delle Autorità nel soffocare l’opposizione pacifica”; Ahmed Benchemsi, portavoce locale di Human Rights Watch sottolinea che l’opposizione tunisina è ormai in prigione o in esilio. Pressenza IPA
Contro la violenza dei coloni in Cisgiordania servono scelte vincolanti
La violenza dei coloni israeliani in Cisgiordania contro la popolazione palestinese è in costante escalation. Le cronache e i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani documentano migliaia di attacchi negli ultimi due anni, registrando un record assoluto proprio lo scorso ottobre con almeno 264 attacchi in un mese: incursioni armate nei villaggi, pestaggi, distruzione sistematica di case, campi e infrastrutture, furti e saccheggi. Uno degli episodi più recenti è avvenuto nella zona di Ein al-Dujuk, vicino a Gerico: quattro attivisti – un canadese e tre italiani – sono stati aggrediti nel sonno, picchiati e derubati da un gruppo di coloni mascherati, armati di bastoni e fucili. È l’ennesima prova di una violenza di tipo squadrista, resa possibile dall’impunità garantita dalle autorità israeliane, che mira strategicamente a terrorizzare la popolazione palestinese per spingerla ad abbandonare la propria terra. Ogni giorno palestinesi subiscono gli stessi attacchi terroristici – spesso ancora più violenti e con esito letale – lontano dalle telecamere e dall’attenzione dei governi occidentali: «Siamo stati aggrediti nel sonno, picchiati, derubati di documenti, telefoni, carte di credito e di tutti i nostri effetti personali. Quello che è accaduto a noi è la realtà quotidiana dei palestinesi: siamo qui a supporto della popolazione e per documentare quanto accade, perché la nostra esperienza sia cassa di risonanza della loro quotidianità.», ci ha raccontato uno dei volontari aggrediti. Di fronte all’aggressione a Ein al-Dujuk, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani si è limitato a un commento generico, minimizzando l’accaduto, condannando timidamente a Israele e invitandolo a fermare le azioni dei coloni in Cisgiordania. Non è sufficiente: il governo Meloni deve assumere decisioni concrete, all’altezza della gravità delle violazioni del diritto internazionale da parte dell’entità sionista. «L’Italia deve agire nei confronti di Israele alla stregua di quanto la comunità internazionale fece contro il regime di apartheid sudafricano, adottando misure non simboliche ma vincolanti, per isolare un regime criminale» ha dichiarato Maria Elena Delia, portavoce italiana di GMTG/GSF. «Per questo chiediamo che il governo italiano assuma immediatamente i seguenti impegni concreti»: * embargo sulle armi e sui componenti militari destinati a Israele; * sospensione degli accordi di cooperazione politica, commerciale, militare, di sicurezza e ricerca strategica che rafforzano l’occupazione; * disinvestire e smantellare ogni forma di collaborazione nelle arene politiche, culturali e sportive, finché non sarà messo fine all’occupazione e i responsabili del genocidio saranno perseguiti e chiamati a rispondere dei propri crimini. A Gaza, intanto, centinaia di migliaia di persone affrontano l’inverno in tende allagate e insicure, con accesso limitato a cibo, acqua e cure mediche. Chiediamo con forza al ministro Tajani di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione del governo per ottenere l’apertura di corridoi umanitari permanenti e rimuovere gli ostacoli politici e burocratici all’ingresso degli aiuti. La credibilità di una nazione si misura sulla capacità di trasformare le dichiarazioni di facciata in scelte concrete, nel rispetto degli obblighi internazionali che l’Italia ha sottoscritto e ratificato. Global Movement to Gaza
Non in nostro nome! Incontro a Milano con il Rabbino Dovid Feldman
Mercoledì 3 dicembre presso l’Università Statale si è svolto un interessante incontro con il Rabbino Dovid Feldman di New York, di passaggio a Milano dopo aver partecipato venerdì scorso 28 novembre alla manifestazione a Genova e sabato 29 a quella di Roma a favore della Palestina, sempre sfoggiando una kefiah al collo. Purtroppo i tempi per ottenere l’autorizzazione all’evento da parte dell’Università erano troppo stretti e gli organizzatori, il Prof. Antonio Violante e Alessandro Corti, hanno optato per tenere comunque l’incontro davanti all’Università. Erano presenti diverse decine di persone e molti passanti incuriositi si sono fermati per ascoltare. Il Rabbino Dovid Feldman appartiene al movimento Neturei Karta International, un gruppo religioso ebraico ortodosso che non riconosce l’autorità e la stessa esistenza dello Stato di Israele, in base all’interpretazione del giudaismo e della Tōrāh. I seguaci, concentrati principalmente a Gerusalemme, sono circa 5.000, ma sono presenti anche a New York, a Londra e in Canada. Nonostante le ridotte dimensioni la Neturei Karta  ha esercitato una notevole influenza nei dibattiti sulla relazione tra ebraismo e sionismo. I suoi membri non commerciano con banconote israeliane, non si uniscono alla riserva dell’esercito dello Stato ebraico, obbligatoria per i cittadini israeliani adulti, non cantano l’inno nazionale, non celebrano il Giorno dell’Indipendenza di Israele e non pregano nel luogo più sacro al giudaismo: il Muro del Pianto. Intrattengono rapporti con le autorità palestinesi e il mondo arabo e contestano ai sionisti la strumentalizzazione dell’Olocausto. Il movimento fu fondato nel 1938 a Gerusalemme da ebrei appartenenti all’antica comunità ortodossa stanziata da molte generazioni in Palestina. Gli antisionisti più radicali si raccolsero attorno ai Neturei Karta. Secondo questi la terra oggi occupata dallo Stato di Israele apparteneva a coloro che la abitavano da secoli: arabi, a qualunque confessione appartenessero ed ebrei che vivevano nelle terre palestinesi prima dell’affermarsi della colonizzazione. Il Rabbino Feldman ha tenuto il suo pacato e  lucido discorso in inglese. Non è sembrato vero poter udire una voce ebraica così autorevole e chiara nel definire lo stato attuale delle cose e le responsabilità dello Stato di Israele, nel genocidio del popolo palestinese, definendo criminali gli atti compiuti. Il rabbino ha insistito nel distinguere i concetti di ebraismo e sionismo, arrivando a dire: “ Il sionismo è proibito dalla religione ebraica. Il creatore del mondo ci ha mandato in esilio e ci ha proibito di lasciare tale esilio con il nostro potere umano. Lasciare l’esilio da soli sarebbe una ribellione contro Dio e quindi gli ebrei che credono in Dio non possono sostenere il sionismo. Ciò è ancora più vero alla luce del fatto che il progetto sionista è stato intrapreso a spese di molte persone innocenti e ha comportato la sottrazione della loro terra e delle loro proprietà, l’uccisione di molti di loro e l’espulsione degli altri senza che avessero alcuna colpa.” Il rabbino ha inoltre enumerato i vari pericoli dell’equiparare l’antisionismo all’antisemitismo, definendolo un crimine contro la verità, perché crea la falsa impressione che ebrei e sionismo siano una cosa sola. Si tratta di una profanazione del nome di Dio, poiché implica che gli ebrei si siano ribellati a Dio. Inoltre questa stessa nozione porta le persone a indirizzare erroneamente la loro opposizione politica ai crimini dello Stato di Israele verso tutti gli ebrei del mondo. La definizione di antisemita in realtà rischia di scatenare l’antisemitismo là dove tenta di mettere a tacere la rivendicazione palestinese, causando un effetto boomerang e portando molte persone a etichettare tutti gli ebrei come sionisti. In conclusione, afferma il rabbino, l’attribuzione del termine antisemita a chi si oppone al sionismo e allo stato di Israele è sbagliata e criminale. Voci come questa dovrebbero poter risuonare ovunque per fare chiarezza e giustizia di tanta confusione e iniquità che pervade i dibattiti e le nostre relazioni. Era presente anche il giovane Assessore del Municipio 1 Lorenzo Pacini, che ha salutato ed espresso solidarietà e posizioni davvero coraggiose rispetto al dramma palestinese e la questione sionista, in evidente contrasto con le opinioni e le dichiarazioni dei suoi colleghi. Un incontro emozionante per la chiarezza, la pulizia, la moralità e l’umanità che questo religioso ha saputo portare e trasmettere. Loretta Cremasco
Madagascar: la Generazione Z ha vinto, ma non è lei a riscrivere le regole
Abbiamo assistito di recente a una svolta storica in Madagascar, che ha visto protagonisti i giovani della Generazione Zeta. A distanza di poco tempo rimangono molti interrogativi e sfide. Tra il 25 settembre e il 14 ottobre scorsi, il Madagascar ha vissuto una svolta storica. La Generazione Z, nata e organizzata sui social network, è riuscita a far cadere il regime di Andry Rajoelina. Ora però i ragazzi della Gen Z tra i 15 e i 25 anni, arrabbiati, connessi e determinati, si trovano di fronte a un interrogativo cruciale: come evitare che il loro sogno di cambiamento venga neutralizzato? Il rischio principale per la Generazione Z malgascia è che il “momento rivoluzionario” venga normalizzato dentro logiche militari, clientelari e internazionali che non controlla, trasformando una vittoria di piazza in una riconfigurazione del vecchio sistema con volti nuovi. La specificità della Generazione Z malgascia è il suo nucleo motore: una galassia di gruppi urbani connessi che ha usato piattaforme cifrate per coordinare scioperi, sit-in, occupazioni, manifestazioni e presidi in spazi simbolici come la Place de la Démocratie, aggirando partiti e notabili. Questa “rivoluzione digitale” ha prodotto due effetti ambivalenti: ha mostrato che una generazione con poco da perdere può rovesciare rapidamente un presidente, ma ha anche aperto spazio a un arbitraggio di potere da parte dei militari, delle élite economiche e degli attori esterni che ora cercano di incanalare l’energia giovanile in una transizione controllata. Un governo senza consultazione La scelta del primo ministro e la formazione del nuovo governo sono avvenute senza il diretto coinvolgimento dei giovani protagonisti della rivolta. I 29 membri dell’esecutivo odierno includono qualche nuovo volto e alcuni esperti, ma l’insieme resta un sapiente dosaggio di vecchi politici, oppositori storici e persino rappresentanti del regime appena cacciato come Christine Razanamahasoa già presidente dell’Assemblea Nazionale ed ex ministro con Andry Rajoelina, che oggi nel nuovo governo ha ottenuto lo strategico Ministero degli Esteri. Sariaka Senecal, giovane attivista malgascia (poco più che ventenne) descrive così al settimanale francese Le Point il rapporto ambivalente con le nuove autorità: “E’ vero, siamo stati ricevuti dalla presidenza e al Ministero della Gioventù. Da questo punto di vista c’è stato ascolto. Ma sulle nomine politiche non siamo stati minimamente consultati. Dalla scelta del premier a quella dei ministri, non siamo mai stati coinvolti. Stiamo assistendo a una rifondazione di facciata. Non è prevista alcuna revisione costituzionale, nessuna riforma strutturale. Cambiano le facce, non le logiche. Ci ascoltano, fingono di prenderci sul serio. Ma hanno già i loro piani”. Dal movimento orizzontale alla struttura organizzata La difficoltà di questa “rivoluzione della Generazione Z” era prevedibile. Nata in modo spontaneo e orizzontale, la mobilitazione giovanile manca, come in altri contesti simili, di rappresentatività formale. Per acquisire maggior peso, il movimento starebbe valutando di modificare la pura orizzontalità e organizzarsi in una struttura più tradizionale, con portavoce, comitati e leader riconoscibili. La Generazione Z dispone oggi di reti e strumenti che le danno un’influenza senza precedenti, ma oscilla ancora tra la forma organizzata di un movimento e quella assembleare e fluida di un organo consultivo. L’obiettivo comunque resta invariato: influenzare le decisioni del potere. Per ora una delle sfide principali per il nuovo governo è mantenere il sostegno finanziario della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, da cui dipendono numerosi progetti in corso per migliorare l’accesso all’acqua e all’energia: solo il 36% della popolazione malgascia ha accesso all’elettricità, quando c’è. Un brief “Poverty and Equity” su Madagascar dell’ottobre 2025 stima che nel 2024 circa l’80% dei malgasci viva sotto la soglia internazionale di povertà di 2,15 dollari al giorno Intanto la Russia in queste settimane ha manifestato ufficialmente la volontà di rafforzare la cooperazione con il Madagascar in questa fase di transizione. Una mossa sostenuta dal nuovo Presidente dell’Assemblea Nazionale malgascia, Siteny Randrianasoloniaiko, noto per la sua vicinanza a Mosca. “I russi sono specialisti nella risoluzione di problemi urgenti. possono fornirci carburante. La scelta è nelle nostre mani se vogliamo davvero trovare soluzioni ai nostri problemi” ha dichiarato lunedì 24 novembre, durante la discussione sulla legge finanziaria per il 2026. Il giorno seguente ha convocato i fornitori della Jirama, la società pubblica di distribuzione di acqua ed elettricità sostenendo che il supporto tecnico russo sarebbe il benvenuto dato che nella capitale sono già ripresi i tagli di corrente. Non è la prima volta che Mosca prova a esercitare la sua influenza sul Madagascar. Nel 2018, pochi mesi prima delle presidenziali, un’indagine di BBC Africa Eye aveva rivelato come una squadra di consulenti politici russi (entrati nel Paese come “turisti” o “osservatori”) avesse offerto denaro e supporto tecnico ad almeno sei candidati. L’obiettivo era influenzare l’esito del voto sostenendo più candidati in parallelo. Da allora gli attori esterni non hanno smesso di cercare spazio a Antananarivo, tra contratti minerari e offerte di ‘cooperazione strategica’. Ma sette anni dopo, quel copione non funziona più: per i ragazzi della Generazione Z la vera battaglia comincia adesso.   Africa Rivista
La NATO si prepara alla guerra contro la Russia. Attacchi di Israele a Gaza, in Cisgiordania e Siria. Intanto in Sudan…
Le informazioni raccolte e divulgate oggi, 2 dicembre, da ANBAMED. Sono passati tre anni, 9 mesi e 7 giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato Militare NATO, ha dichiarato al Financial Times che l’alleanza sta valutando di intensificare la sua risposta alla guerra ibrida di Mosca e ha affermato che un “attacco preventivo” potrebbe essere considerato una ”azione difensiva”. Per spiegare la sua neolingua, ha aggiunto: “Siamo in un certo senso reattivi. Essere più aggressivi o proattivi invece che reattivi è qualcosa a cui stiamo pensando”. GAZA – Le operazioni militari israeliane conto i civili sono intensificate ultimamente, dopo la consegna degli ultimi corpi di ostaggi israeliani uccisi dagli stessi bombardamenti dell’esercito di occupazione. L’aviazione di Tel Aviv ha colpito duramente a Khan Younis e Rafah. Elicotteri hanno bersagliato i campi di sfollati a ovest di Khan Younis. L’artiglieria ha bombardato a Zeitoun, a sud di Gaza città. Il rapporto del ministero della sanità palestinese informa dell’uccisione di 9 civili, nella giornata di ieri, i corpi dei quali sono arrivati negli ospedali. Mentre le violazioni israeliane della tregua non trovano eco sulla stampa scorta mediatica del genocidio e non vengono condannate dalle cancellerie dei paesi colonialisti di Stati uniti e Ue, la situazione umanitaria si aggrava. Le operazioni di ricerca dei dispersi palestinesi sotto le macerie vanno a rilento, a causa del blocco israeliano dell’ingresso di macchinari di movimento terra. Ogni giorno vengono recuperati decine di corpi, ma il numero totale si aggira tra i 10 e i 15 mila vittime dei bombardamenti israeliani sulle zone residenziali. È un dramma per molte famiglie che non riescono a dare una degna sepoltura ai loro cari, caduti vittime dei bombardamenti israeliani. Migliaia di famiglie stanno cercando di estrarre i corpi dei loro cari da sole, in assenza di risorse. “Alcune ci riescono, altre falliscono, ma la realtà è che migliaia di vittime sono ancora oggi sepolte sotto le macerie – ha detto il portavoce della protezione civile, Al-Basal  – Ci sono corpi che possono essere identificati direttamente, ma molte vittime che potranno essere identificate solo attraverso test di laboratorio (DNA)”, sottolineando che la Protezione Civile ha recuperato centinaia di corpi negli ultimi mesi di persone senza nome e che sono stati sepolti nelle ‘tombe non identificate’ nel cimitero dei numeri a Deir al-Balah. CISGIORDANIA – Il 17enne Muhannad Taher Zaghir è stato assassinato dalle truppe israeliane a el-Khalil (Hebron). È stato colpito dalle pallottole dei soldati israeliani mentre era nell’auto del padre. All’ambulanza della Mezzaluna rossa è stato impedito di soccorrerlo e poi il suo corpo è stato preso in ostaggio dall’esercito di occupazione. Anche a nord di Ramallah, le truppe israeliane di occupazione hanno impedito il soccorso ad un ragazzo ferito dalle pallottole dei soldati nel villaggio di Omm Safa. A nord di Gerusalemme, un gruppo di coloni ebrei, arrivati da ogni dove, ha issato costruzioni provvisorie per la realizzazione di una nuova colonia nel villaggio palestinese, Mikhmas. L’esercito ha accompagnato i colonizzatori e allontanato, con la minaccia delle armi, i contadini nativi dalle loro terre. SIRIA – Truppe di Tel Aviv avanzano verso nord nella provincia siriana di Quneitra. È la terza incursione israeliana in territorio siriano, sempre più vicino alla capitale Damasco. I soldati di Tel Aviv hanno eretto posti di blocco, compiuto azioni di rastrellamento e distrutto infrastrutture e demolito case. In una zona rurale hanno sradicato alberi, per costringere i contadini alla deportazione. Gruppi di coloni ebrei israeliani hanno tentato di creare degli insediamenti nelle zone occupate militarmente da Israele all’interno del territorio siriano, ma sono stati rispediti indietro dallo stesso esercito israeliano, con la motivazione che l’area non è ancora sicura e non sarebbe possibile garantire l’incolumità dei cittadini israeliani. LIBANO – Una tregua silente per la visita del papa. Ma la pressione sul governo e l’esercito libanesi da parte degli “intermediari” statunitensi è sempre più sfacciatamente a fianco di Israele. La rappresentante Usa nella commissione di supervisione sulla tregua pretende la restituzione ad Israele di un missile inesploso lanciato su Beirut. Gli Stati Uniti hanno chiesto urgentemente al governo libanese di recuperare la bomba intelligente GBU-39 lanciata da Israele durante l’assassinio del comandante militare di Hezbollah Haytham Ali Tabatabai, ma che non è esplosa ed è rimasta intatta sul luogo dell’attacco. La Casa Bianca teme che la bomba sofisticata, di fabbricazione USA, finisca nelle mani di Hezbollah che poi potrebbe consegnarla all’Iran, Russia o Cina. SUDAN – Le milizie hanno affermato di aver conquistato la caserma dell’esercito governativo a Babmusa. La scena militare sudanese sta assistendo a una rapida escalation dopo che le Forze di Supporto Rapido hanno preso il controllo della città di Babnusa nel Kordofan occidentale, aprendo un nuovo capitolo nel conflitto e ristabilendo un nuovo equilibrio di potere tra le due parti. Il risultato più drammatico della guerra civile sudanese è il prezzo pagato dalla popolazione civile costretta alla fuga ed a subire le angherie di milizie senza controllo. Sono state denunciate dai superstiti violenze indicibili che vanno dallo stupro fino alla richiesta di riscatto alle famiglie delle persone prese in ostaggio. ALEGERIA – Aumento del salario minimo e reddito di disoccupazione. Il governo algerino ha approvato due decreti per la lotta contro la povertà. Secondo una dichiarazione del Consiglio dei ministri, il salario minimo è stato aumentato da 20˙000 dinari (circa 155 dollari) a 24˙000 dinari (circa 185 dollari) a partire dall’inizio del prossimo anno. Come riportato dalla televisione di Stato e da una dichiarazione del consiglio, il presidente Tebboune ha deciso di aumentare l’indennità di disoccupazione da 15˙000 dinari (115 dollari) a 18˙000 dinari (circa 140 dollari).   INIZIATIVE Libertà per Marwan Barghouti : È in corso la campagna italiana in favore della liberazione dei prigionieri politici palestinesi e in particolare per mettere fine alle torture e maltrattamenti. Al centro di tale campagna vi è l’obiettivo di salvare il Mandela palestinese, Marwan Barghouti, da 23 anni in carcere. Sciopero della fame a staffetta contro il genocidio – Sono passati 6 mesi e 17 giorni di sciopero della fame a staffetta, dall’avvio della campagna di Digiuno x Gaza, l’iniziativa lanciata a maggio da Anbamed. Oggi, martedì 02 dicembre, il digiuno a staffetta prosegue. Il digiuno a staffetta prosegue fino alla conclusione vera dell’aggressione militare. Si propone di devolvere il costo di un pasto a favore di una raccolta fondi per la Palestina: “Oltre il digiuno, Gaza nel cuore” (https://gofund.me/4c0d34e2c). La petizione BDS chiede di cancellare il gemellaggio Milano-Tel Aviv e le collaborazioni economiche del Comune con Israele e un appello implora per la liberazione dei medici in ostaggio nei campi di concentramento israeliani. Il 13 dicembre a Milano, alle ore 18:00, ci sarà la presentazione della fiaba illustrata, “Strega!”, di Mia Lecomte – edizione bilingue italiano-arabo di Mesogea – Messina. Una pubblicazione per finanziare i progetti dell’associazione palestinese Al-Najdah a Gaza. Le maestre di Al-Najdah dopo averla ricevuta in formato digitale hanno detto: “Così coniugheremo istruzione e intrattenimento”. La presentazione sarà presso la sede dell’associazione ChiAmaMilano alla presenza di autrice, curatrici e illustratori e illustratrici. Per informazioni e adesioni al progetto Ore Felici per i Bambini di Gaza scrivere a anbamedaps@gmail.com     ANBAMED