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Riflessioni, interrogativi, dubbi dopo il Festival Alta Felicità
La “convergenze” degli incontri e delle riflessioni dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Tra gli spunti di riflessione presentati al Festival Alta Felicità, mi pare importante dare risalto al primo appuntamento che ha aperto il Festival venerdi 25 luglio alle ore 10.00 con la presentazione del libro “Sotto il cielo di Gaza” di Don Nandino Capovilla e di Betta Tusset e con Enzo Infantino. Don Nandino è parroco di Marghera, Venezia, da anni impegnato in progetti di inclusione sociale per migranti e senza fissa dimora. Ha ricoperto il ruolo di coordinatore nazionale di Pax Christi Italia dal 2009 al 2013, ed è particolarmente noto per la campagna “ponti e non muri” sulla questione israelo‑palestinese. Betta Tusset, veneziana, consigliera nazionale di Pax Christi Italia, laureata in lettere moderne, è attiva nel mondo del volontariato sociale; dal 2018 al 2020 ha coordinato nella sua città un progetto di inclusione sociale, abitativa e lavorativa per persone migranti in situazioni di vulnerabilità. Enzo Infantino, cooperante calabrese e attivista per i diritti umani, è impegnato da oltre vent’anni nelle missioni di solidarietà e riflessione sui conflitti contemporanei. Originario di Palmi, in Calabria, ha lavorato in contesti difficili come i campi profughi in Grecia, Siria, Libano, Cisgiordania e Gaza. Enzo è stato protagonista di numerose missioni nei campi profughi di Grecia e Medio Oriente, compresi i campi di Idomeni, in Grecia al confine con la Macedonia, dove per mesi sono rimasti bloccati oltre sedicimila esseri umani. Il libro “Sotto il cielo di Gaza”, pubblicato l’11 marzo 2025 da Edizioni La Meridiana, è un libro-inchiesta realizzato attraverso una serie di conversazioni con Andrea De Domenico, funzionario dell’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, attivo nei territori palestinesi occupati e si presenta come “raccoglitore di storie, testimonianze e dati”, descrivendo il dramma vissuto quotidianamente a Gaza per il genocidio in corso: perdita della casa, della terra, della libertà di movimento, di pane, acqua, salute, istruzione con statistiche aggiornate all’inizio del 2025,  che riportano numeri drammatici: decine di migliaia di morti, la maggioranza donne e bambini, infrastrutture distrutte, tra cui scuole, case, strutture sanitarie; emergenza alimentare e malnutrizione diffusa tra la popolazione di Gaza. Il libro denuncia quella che Don Nandino definisce il genocidio del popolo palestinese come criminale e mette al centro la responsabilità internazionale di ridurre il massacro di civili inermi a soli dati numerici, dimenticandosi dei “volti e dei nomi” di ogni vittima, a cui è negata da decenni di occupazione militare ogni diritto. “Sotto il cielo di Gaza” è anche un libro di preghiera e di supplica, quelle che a partire dai testi biblici ha scritto Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme, chiedendo al Signore di “fermare la morte e la guerra e di convertire all’umanità quelli che hanno piani di morte nei loro cuori”. L’incontro con Don Nandino, Betta ed Enzo ha rappresentato delle voci autentiche, radicate nei propri contesti di vita ma rivolte al mondo, dove ogni gesto quotidiano può essere seme di cambiamento e resistenza. Gli interrogativi nascono dagli altri dibattiti ed eventi culturali: il Festival ha presentato un’ampia proposta di incontri, presentazioni e confronti, dal tema dell’Intelligenza Artificiale alla precarietà e al lavoro in “zone di sacrificio” (Ilva Taranto e  GKN di Campi Bisenzio); dal dibattito “Liberi tuttu: rappresentazione, cura e diritti” su disabilità, autodeterminazione e resistenza, al focus su nucleare, agrivoltaico, riarmo, riconversione ambientale; dall’assemblea “Guerra alla guerra” contro riarmo europeo e genocidio in Palestina al dialogo tra Patrick Zaki e Ilaria Salis su democrazia, repressione e diritti. A tutte queste occasioni – alle quali si sono affiancate altre presentazioni di libri nell’area autogestita –  la partecipazione è stata massiccia con tantissimi giovani interessati ad approfondire i vari temi toccati, dimostrandosi giustamente preoccupati per il futuro loro e del pianeta. La “convergenze” degli incontri che, per chi vuole, sono tutti disponibili sul sito del festival , dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Così arriviamo ai dubbi: davvero l’incendio di alcune sterpaglie e di alcuni manufatti sono solo segno di violenza? Non possono essere considerati sabotaggi? Qualcuno ha scritto che in questo modo si passa dalla parte del torto, che così non si è ascoltati, che non si riesce a dialogare… Sono 30 anni che si cerca il dialogo nel merito dell’opera, non degli slogan, sono 30 anni che si prova in tutti i modi ad avere degli incontri con i tecnici di LTF prima e Telt adesso, non vi è MAI stata data un’occasione che sia una di confrontarsi. Ricordo solo due occasioni: “Ascoltateci” digiuno a staffetta nel 2012 in Piazza Castello a Torino e in Valle, che non ha prodotto alcun risultato; un incontro pubblico in una parrocchia a Torino presente Virano, all’epoca presidente dell’Osservatorio sul TAV, e quando abbiamo fatto alcune domande precise e puntuali, siamo stati gentilmente accompagnati fuori con la motivazione che quello non era né il luogo né il momento: eravamo solo in 2 mio marito ed io. E potrei andare avanti ancora a lungo con tanti e tanti esempi di come la voluta mancanza di confronto sia sempre stata da parte dei proponenti l’opera. Le nostre argomentazioni non sono mai state considerate, saliamo agli onori della cronaca solo quando avvengono fatti “violenti” come quelli di sabato a margine della manifestazione ma nessuno ha dato risalto al comunicato di Amnesty International: > ”La manifestazione del 26 luglio in Val di Susa, organizzata a margine del > festival dell’Alta Felicità dal movimento “No Tav”, è stata caratterizzata da > fasi del tutto pacifiche e da momenti di tensione. Gli osservatori di Amnesty > International Italia erano presenti alla manifestazione e hanno potuto > monitorare due delle azioni realizzate dal gruppo di manifestanti, presso il > cantiere di San Didero e Traduerivi. Nella zona da loro monitorata a San > Didero, gli osservatori hanno documentato un uso sproporzionato e > indiscriminato di gas lacrimogeni da parte delle forze di polizia: tra i 180 e > i 200 in poco più di un’ora contro circa 500 manifestanti, in risposta al > lancio di oggetti. Le forze di polizia hanno utilizzato i gas lacrimogeni > anche contro persone che si stavano allontanando e che non rappresentavano > alcuna minaccia per l’incolumità altrui. In diversi casi, anziché essere > diretti verso l’alto, le granate contenenti gas lacrimogeni sono state > lanciate ad altezza persona: ne è stato testimone diretto anche uno degli > osservatori di Amnesty International Italia, che nonostante indossasse la > pettorina, è stato colpito sulla schiena. Sono state ferite altre due persone, > rispettivamente alla nuca e alla fronte.  Come già emerso in precedenti > osservazioni in Val di Susa, anche quest’anno le forze di polizia hanno dunque > fatto un uso dei gas lacrimogeni non rispettoso degli standard internazionali > sui diritti umani. Amnesty International Italia ricorda che, secondo i > medesimi standard, una protesta pacifica, seppur attraversata da circoscritti > atti di violenza, resta pacifica e le forze di polizia devono garantire che > possa proseguire, tutelando le persone che vi stanno partecipando; la forza > dovrebbe essere utilizzata come ultima risorsa, solamente laddove non esistano > altri mezzi per raggiungere obiettivi legittimi e solo quando sia necessaria e > proporzionata alla situazione.” Da oltre trent’anni le ragioni di critica e di opposizione sono sempre le stesse: la Torino-Lione è inutile, è costosissima, è devastante per l’ambiente, è un’opera vecchia, superata dai tempi e dalla storia, la cantierizzazione produrrà polveri sottili e movimenterà sostanze potenzialmente inquinanti e insalubri. Soprattutto è certificata la sottrazione di enormi quantità di acqua dalla montagna ed all’ambiente naturale, spreco dimostrato fin dal 2008 dalle decine di litri al secondo drenate ogni giorno dalle gallerie di servizio già realizzate. Cosa altro dobbiamo inventarci per far comprendere queste ingiustizie trasportistiche, economiche, climatiche, ambientali e sociali e far sì che l’enorme inutile investimento economico sia dirottato verso settori più necessari, a partire dalla messa in sicurezza dei territori? Centro Sereno Regis
Protesta a Verona: “Rompiamo il silenzio contro il genocidio a Gaza”
Domenica 27 luglio 2025 dalle 22,45 alle 23,00 molte persone, appartenenti ad associazioni, partiti, cittadine/i hanno aderito all’invito di “Verona per la Palestina” e, “pentole alla mano” hanno disertato il silenzio “assordante” contro il genocidio e la criminale catastrofe in Palestina. Il frastuono è arrivato in Arena dove si stava rappresentando l’Aida e dove è accaduto un fatto eccezionale. All’improvviso, tra il primo e il secondo atto,nello spazio dei sottotitoli che appaiono sull’ apposito schermo, è apparsa la bandiera palestinese e la scritta STOP GENOCIDE. Il pubblico ha iniziato ad applaudire, l’orchestra e il coro hanno cominciato a battere i piedi in segno di condivisione. La foto di quanto stava accadendo nell’anfiteatro è arrivata a qualche cellulare in P.zza Bra’, rafforzando così il frastuono di pentole, coperchi, fischietti e strumenti musicali quali i piatti e i tamburelli. L’autore del fatto è un giovane pianista, Francesco Orecchio, addetto ai sottotitoli, al suo ultimo giorno di lavoro in Arena, in partenza per l’Olanda dove lavorerà per il Teatro dell’Opera della capitale Olandese. Orecchio, intervistato, ha affermato che l’azione è stata una sua decisione personale per aderire alla giornata di protesta contro il silenzio sul genocidio di Gazza e che sarebbe “felice se anche la Fondazione Arena aderisse al messaggio e lo inserisse stabilmente”. All’iniziativa di “rompere il silenzio” ha aderito anche il Comune di Verona di cui, ricordo, il Sindaco è Presidente della Fondazione, che ha fatto suonare il Rengo, una delle due principali campane della Torre dei Lamberti, in P.zza delle Erbe. Il Rengo veniva suonato, in passato, per convocare il Consiglio Comunale e per chiamare i cittadini alle armi in caso di emergenza. Hanno suonato in città, anche le campane di alcune chiese, compresa quella della Chiesa di S.Nicolo’ adiacente all’Arena L’Osservatorio ha aderito al flash mob e alla lettera, sottoscritta da associazioni e partiti in cui  si chiede alla Fondazione, fra l’altro, di “esprimere chiaramente la propria posizione in merito, così da contribuire a sgretolare il muro di silenzio dei governi e della comunità internazionale”. “COME PUÒ L’UMANITÀ ASCOLTARE MUSICA COSÌ BELLA, MENTRE UNA PARTE GRIDA DISPERATA E FERITA A MORTE?”  Miria Pericolosi – Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Verona
Gaza: i bisogni sono enormi dopo 22 mesi di guerra e due mesi di blocco degli aiuti
Dichiarazione di Ted Chaiban, Vicedirettore generale UNICEF 2 agosto 2025 – “…Sono appena tornato da una missione di cinque giorni in Israele, Gaza e Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. I segni della profonda sofferenza e della fame erano visibili sui volti delle famiglie e dei bambini. Dall’inizio della guerra, a Gaza sono stati uccisi oltre 18.000 bambini. Si tratta di una media di 28 bambini al giorno, l’equivalente di una classe scolastica, che non ci sono più. I bambini hanno perso i loro cari, sono affamati e spaventati e traumatizzati. Gaza ora rischia seriamente la carestia. Si tratta di una situazione che si è andata aggravando, ma ora abbiamo due indicatori che hanno superato la soglia della carestia. Una persona su tre a Gaza passa giorni senza cibo e l’indicatore di malnutrizione ha superato la soglia della carestia, con la malnutrizione acuta che ora supera il 16,5% [nella città di Gaza]. Oggi, oltre 320.000 bambini piccoli sono a rischio di malnutrizione acuta. A Gaza ho incontrato le famiglie dei 10 bambini uccisi e dei 19 feriti da un attacco aereo israeliano mentre erano in fila con i loro genitori per ricevere cibo presso una clinica nutrizionale a Deir el-Balah sostenuta dall’UNICEF. Abbiamo incontrato Ahmed, che ha 10 anni, e suo padre. Quel giorno Ahmed era in fila con sua sorella Samah, di 13 anni. Lei è morta. Ho visto una foto in cui lui agitava furiosamente le braccia per fermare un carro trainato da un asino nel tentativo di salvarla e portarla in ospedale, ma non ci è riuscito. È profondamente traumatizzato e non sa cosa fare. Questo semplicemente non dovrebbe accadere. I bambini che ho incontrato non sono vittime di una catastrofe naturale. Sono affamati, bombardati e sfollati. In un centro di stabilizzazione nella città di Gaza ho incontrato bambini gravemente malnutriti, ridotti pelle e ossa. Le loro madri erano sedute lì vicino, disperate ed esauste. Una madre mi ha detto che non produce più latte materno perché lei stessa è troppo affamata. L’UNICEF sta facendo tutto il possibile per affrontare la situazione: sostiene l’allattamento al seno, fornisce latte artificiale e cura i bambini affetti da malnutrizione acuta grave. Ma i bisogni sono enormi dopo 22 mesi di guerra e due mesi di blocco, che ora è stato allentato ma continua ad avere un impatto, e gli aiuti non stanno arrivando abbastanza velocemente o nella misura necessaria. In mezzo a tutto questo, il nostro personale a Gaza, la maggior parte del quale ha subito perdite personali devastanti, continua a lavorare giorno e notte. L’UNICEF sta fornendo acqua potabile: 2,4 milioni di litri al giorno nella parte settentrionale di Gaza, raggiungendo 600.000 bambini. Si tratta di una media di 5-6 litri di acqua al giorno a persona – meglio di prima, ma ancora ben al di sotto della soglia di sopravvivenza. Abbiamo ricostruito la catena del freddo per i vaccini e continuiamo a vaccinare i bambini. Stiamo fornendo assistenza psicosociale ai bambini che sono stati terrorizzati da ciò che hanno vissuto. Stiamo salvando la vita ai neonati, aiutando a riunire le famiglie separate, sia all’interno della Striscia che, in alcuni casi, a livello internazionale, e fornendo latte artificiale ai bambini più vulnerabili, ma c’è ancora molto da fare. Dopo la tregua annunciata da Israele, l’accesso umanitario è stato in parte facilitato. Abbiamo oltre 1.500 camion carichi di forniture di prima necessità pronti nei corridoi tra Egitto, Giordania, Ashdod e Turchia. Alcuni hanno iniziato a muoversi e negli ultimi due giorni abbiamo consegnato 33 camion di latte in polvere salvavita, biscotti ad alto contenuto energetico e kit igienici. Ma questa è solo una minima parte di ciò che serve; quindi, gran parte della nostra missione è stata dedicata alla sensibilizzazione e al dialogo con le autorità israeliane a Gerusalemme e Tel Aviv. Abbiamo insistito affinché venissero riviste le loro regole militari di ingaggio per proteggere i civili e i bambini. I bambini non dovrebbero essere uccisi mentre aspettano in fila in un centro nutrizionale o mentre raccolgono l’acqua, e le persone non dovrebbero essere così disperate da dover assalire un convoglio. Abbiamo chiesto un aumento degli aiuti umanitari e del traffico commerciale – avvicinandoci a 500 camion al giorno – per stabilizzare la situazione e ridurre la disperazione della popolazione, nonché i saccheggi e quella che chiamiamo auto distribuzione, quando la popolazione insegue un convoglio, e anche i saccheggi, quando i gruppi armati lo inseguono perché il prezzo del cibo è così alto. Per affrontare questo problema, dobbiamo inondare la Striscia di rifornimenti utilizzando tutti i canali e tutti i valichi.   Questo non sarà possibile solo con gli aiuti umanitari, quindi abbiamo anche insistito affinché nella Striscia entrassero beni commerciali – uova, latte e altri beni di prima necessità che integrano ciò che la comunità umanitaria sta portando. Abbiamo insistito affinché fossero ammessi articoli “a duplice uso” e più carburante, in modo da poter riparare il sistema idrico: tubi, raccordi, generatori.  A Gaza fa molto caldo – 40 gradi – e l’acqua scarseggia, con il rischio di epidemie che incombe ovunque. Continueremo a impegnarci affinché le pause umanitarie non causino ulteriori sfollamenti, costringendo la popolazione in un’area sempre più ristretta. Anche in Cisgiordania i bambini sono in pericolo. Finora quest’anno sono stati uccisi 39 bambini palestinesi. Ho visitato una comunità beduina a est di Ramallah, che è stata costretta ad abbandonare le proprie case a causa delle violenze. Abbiamo anche incontrato bambini israeliani colpiti dalla guerra. Bambini che hanno subito paura, perdite e sfollamenti. I bambini non iniziano le guerre, ma sono loro a subirne le conseguenze Ci troviamo a un bivio. Le scelte che faremo ora determineranno la vita o la morte di decine di migliaia di bambini. Sappiamo cosa bisogna fare e cosa si può fare. L’ONU e le ONG che compongono la comunità umanitaria possono affrontare questo problema, insieme al traffico commerciale, se vengono messe in atto misure che consentano l’accesso e che alla fine garantiscano la disponibilità di beni sufficienti nella Striscia, in modo da attenuare alcuni dei problemi legati all’ordine pubblico. Sono necessari finanziamenti. L’appello dell’UNICEF per Gaza è gravemente sottofinanziato: solo il 30% delle esigenze sanitarie e nutrizionali è coperto. Dobbiamo ricordare che le pause umanitarie non sono un cessate il fuoco. Speriamo che le parti possano concordare un cessate il fuoco e il ritorno di tutti gli ostaggi rimasti nelle mani di Hamas e di altri gruppi armati. Questa situazione va avanti da troppo tempo. 22 mesi. Onestamente non mi sarei mai aspettato che saremmo arrivati a 22 mesi di guerra. Quello che sta accadendo sul campo è disumano. Ciò di cui hanno bisogno i bambini, i bambini di tutte le comunità, è un cessate il fuoco duraturo e una via d’uscita politica.” FOTO E VIDEO: https://weshare.unicef.org/Share/0e2ryciq0w65jai05u62f7q6078w2et4 UNICEF
La Slovenia interrompe il commercio di armi con Israele. È il primo in Europa
“La Slovenia è il primo paese europeo a vietare l’importazione, l’esportazione e il transito di armi da e verso Israele“. L’annuncio del governo di Lubiana è arrivato nella serata di giovedì, 31 luglio. L’esecutivo ha spiegato la decisione con la volontà di adottare misure concrete rispetto al genocidio in corso […] L'articolo La Slovenia interrompe il commercio di armi con Israele. È il primo in Europa su Contropiano.
Con la Palestina contro ogni repressione
Quasi 200 persone al presidio indetto dalla Rete antifascista lecchese il 1° agosto a Como nei pressi dello stadio. L’iniziativa è stata animata per esprimere solidarietà alle cinque persone colpite da un provvedimento di Daspo per avere sventolato una bandiera della Palestina durante la partita Celtic-Ajax a Como il 24 luglio. Negli striscioni e negli interventi, partendo dagli episodi di criminalizzazione delle manifestazioni politiche a Como, a Bergamo e altrove, si è affermato il sostegno alla Resistenza palestinese la condanna dell’orrore del genocidio in atto, il rifiuto della repressione sempre più forte che attraverso decreti sicurezza e retoriche securitarie, restringe lo spazio pubblico, comprime le libertà individuali e collettive e mette a tacere ogni voce fuori dal coro. Free Palestine e Free Gaza certo, ma anche Stop Rearm Europe e la rivendicazione della legittimità di essere antisionisti senza per questo essere accusati di antisemitismo. Nei video gli interventi, aperti da Corrado Conti della Rete antifascista lecchese, della rete Stop al genocidio, dei Giovani palestinesi e in chiusura dell’avvocato Ugo Giannangeli, che ha chiarito l’incongruenza dei provvedimenti repressivi attuati chiarendo tra l’altro che nella legislazione italiana non esiste alcun divieto di sventolare bandiere di altri Paesi. Ecoinformazioni
Riconoscimento dello Stato di Palestina e solidarietà in Italia
Ci sono 14 Stati disponibili al riconoscimento dello Stato di Palestina. Dopo Francia e Regno Unito, ora anche Finlandia, Australia, Portogallo, Germania e Canada annunciano che a settembre riconosceranno lo Stato di Palestina in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Lo scorso maggio, l’Assemblea dell’Onu, con un voto di 143 favorevoli, 9 contrari (Argentina, Repubblica Ceca, Ungheria, Israele, Stati Federati di Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Stati Uniti) e 25 astensioni, ha stabilito che lo Stato di Palestina è qualificato per l’adesione alle Nazioni Unite. L’Italia del governo delle destre è un fanalino di coda, in compagnia di Ungheria e Micronesia. In Italia, il successo dell’iniziativa di Milano davanti alla sede del consolato USA, organizzata da “Maiindifferenti, ebrei per la pace” e altre associazioni non ha trovato la meritata copertura mediatica,  forse perché non ci sono state vetrine rotte o scontri. Potete trovare il link alla diretta social clicca! Il Comune di Venezia ha votato un documento per il riconoscimento dello Stato di Palestina e di boicottaggio alle istituzioni israeliane. Il Consiglio Comunale di Trofarello (To), su proposta avanzata dall’associazione Cuoche e Sarte Ribelli, impegnata su temi sociali e nel sostegno ai bambini di Gaza con le adozioni a distanza, ha approvato  l’interruzione delle relazioni commerciali e istituzionali con il governo israeliano fino al totale cessate il fuoco totale e permanente. Il Centro studi Paolo e Rita Borsellino esprime apprezzamento per l’iniziativa di solidarietà a favore dei bambini della Striscia di Gaza, promossa proprio in questi giorni dal Dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo Paolo e Rita Borsellino, dott. Maurizio Carandini. L’istituto di Valenza (AL), infatti, ha deciso di dedicare “nel corso di questa estate, un’ora al giorno alla memoria dei bambini uccisi o ridotti alla fame nella Striscia di Gaza, a partire dal 28 luglio”. Di tutte queste mobilitazioni e iniziative, la stampa scorta mediatica del genocidio non dà informazioni. Rivendichiamo 60 mila kefieh in Senato, una per ogni civile palestinese ucciso dall’esercito israeliano a Gaza.   ANBAMED
Il dilemma della cautela: l’inerzia del Cile di fronte al genocidio a Gaza e il coraggio del Brasile
Mi rivolgo a Lei, Signor Presidente. Mentre il Brasile fa un passo avanti con sanzioni decise, la classica cautela del presidente Boric si rivela un’inerzia che condanna il Cile a essere un semplice spettatore di fronte al passaggio storico del genocidio. Questo editoriale analizza criticamente la differenza tra le risposte di Cile e Brasile di fronte al genocidio a Gaza. Sostiene che, mentre il Brasile impone sanzioni militari e diplomatiche come espressione di una leadership audace e pragmatica, la posizione cilena, ancorata a una cautela divenuta inerzia, rappresenta una rinuncia al dovere morale. L’inazione del Cile non è una strategia diplomatica sostenibile. La recente apertura al dibattito sul riconoscimento della Palestina nei Paesi occidentali evidenzia l’inutilità di tale cautela. Il governo Boric e il Parlamento cileno devono rispondere all’imperativo storico e unirsi a un fronte comune in grado di fermare il genocidio. Lo stesso presidente Boric ha formalmente definito i fatti di Gaza un “genocidio”. Questo riconoscimento verbale colloca il Cile, almeno a parole, dalla parte giusta della storia, ma tale atto politico e morale, inizialmente coraggioso, impone una conseguenza logica: agire con coerenza. Non c’è più spazio per invocare la cautela tradizionale come giustificazione dell’inazione o dell’eccessiva moderazione. Una volta nominato il crimine, viene tracciata una linea che obbliga ad agire con i fatti. La notizia che il Brasile ha imposto sanzioni decise contro Israele — sospendendo le esportazioni militari, ritirando il proprio ambasciatore e aderendo al caso presso la Corte Internazionale di Giustizia — è un faro che illumina l’oscurità dell’inazione e uno specchio in cui il Cile deve guardarsi. Il Brasile non si è limitato alla condanna verbale. Le sue azioni — la sospensione delle esportazioni militari, la rottura dei canali diplomatici e la partecipazione attiva alla Corte — dimostrano una leadership disposta a sostenere costi concreti per esercitare una pressione reale. Il Brasile pone la vita di migliaia di palestinesi al di sopra della convenienza politica e del profitto commerciale. Chiama l’America Latina a unirsi per fermare ciò che è stato chiaramente definito un genocidio. Il Cile ha compiuto alcuni passi, come il ritiro temporaneo del proprio ambasciatore, il sostegno a iniziative parlamentari che mettono in discussione il commercio con prodotti provenienti da insediamenti illegali, nonché dichiarazioni forti in forum multilaterali. Ma quando chi governa ha definito i fatti come genocidio, queste risposte risultano chiaramente insufficienti. La responsabilità principale ricade sul presidente Boric e sul Congresso, che devono superare i calcoli politici ed economici che finora hanno frenato un’azione più incisiva. Paesi tradizionalmente allineati all’Occidente — compresi alcuni con stretti legami con Israele — stanno inviando segnali inequivocabili che lo status quo non è più sostenibile. Il dibattito sul riconoscimento dello Stato di Palestina non è più un tabù nemmeno in nazioni come il Canada, il che sottolinea l’inconsistenza della cautela cilena. L’unica “perdita” reale sarebbero tensioni diplomatiche e alcuni costi commerciali che impallidiscono di fronte alla gravità del crimine. La storia giudicherà duramente coloro che sono rimasti nella comoda zona dell’inazione mentre continuava la barbarie. La cautela, in questo contesto, non è prudenza ma rinuncia e il suo prezzo sarà storico e morale. Signor Presidente, lei ha già riconosciuto che ciò che accade a Gaza è un genocidio. E quella parola cambia tutto. Ogni successiva cautela — per pressioni economiche, calcolo elettorale o timore di ritorsioni — diventa indifendibile di fronte a quell’azione. La storia non giudicherà il suo bilancio diplomatico, ma se è stato all’altezza del crimine che lei stesso ha denunciato. Questo editoriale non chiede impulsività, ma coerenza. Non si tratta di agire per pressione, ma di fare ciò che è giusto — perché è già stato detto che ciò che accade è inaccettabile. Il Congresso, che ha giustamente ascoltato il grido della società civile, deve comprendere che la paralisi è anch’essa una forma di complicità. In questo passaggio storico, alcune ambiguità costano vite. Se il Cile, dopo aver ammesso il genocidio, continua a scegliere la cautela, sarà l’umanità intera a pagare questo passaggio storico con il sangue — come è sempre accaduto quando si è taciuto di fronte all’orrore. Rispettosamente, Claudia Aranda Claudia Aranda
Due diciottenni israeliani finiscono in prigione per il rifiuto di partecipare al genocidio a Gaza
Questa mattina, i diciottenni Ayana Gerstmann e Yuval Pelleg si sono rifiutati di arruolarsi nell’esercito israeliano. Gerstmann è stata condannata a 30 giorni di prigione militare, mentre Pelleg è stato condannato a 20 giorni. Prima di entrare nella base di arruolamento di Tel HaShomer, la Rete Mesarvot ha organizzato una manifestazione a sostegno dei due giovani obiettori di coscienza, con la partecipazione di decine di ex obiettori, di familiari e del deputato della Knesset Offer Cassif. Ayana Gerstmann – Dichiarazione di rifiuto Mi chiamo Ayana Gerstmann, ho 18 anni e la legge israeliana mi impone di arruolarmi. Ho deciso di rifiutare, poiché la mia morale mi obbliga a farlo e ho scelto di agire di conseguenza. Sono cresciuta in una famiglia che parlava spesso del fallimento morale del servizio militare. Eppure da ragazzina non capivo bene cosa fosse il fallimento morale del servizio militare di cui mia madre parlava spesso. Non avevo idea di cosa stesse accadendo intorno a me, quali fossero i territori e quali le occupazioni. Ricordo che anni fa ho partecipato alla cerimonia della Giornata di Gerusalemme della mia scuola – ho ballato, cantato e recitato testi nazionalistici senza nemmeno immaginare che ci fosse un problema con la celebrazione gioiosa di ciò che ci veniva mostrato come “l’unificazione di Gerusalemme – la capitale eterna”. Un anno dopo la mia ignoranza politica è andata in frantumi. Nei giorni precedenti la Giornata di Gerusalemme, ci venne assegnata una ricerca sui luoghi importanti di Gerusalemme. Oggi mi è chiaro che l’obiettivo era quello di rafforzare le mie tendenze nazionalistiche, ma il risultato è stato l’opposto. Ho letto di Gerusalemme Est e per la prima volta l’ho vista come era rappresentata nel sito web di B’Tselem. Improvvisamente ho aperto gli occhi su ciò che si nascondeva dietro le celebrazioni dell’orgoglio nazionale a cui avevo partecipato un anno prima: l’occupazione e l’oppressione. Improvvisamente, e in un colpo solo, mi sono trovata davanti la profonda sofferenza di milioni di persone, che prima non sapevo nemmeno esistessero, la cui libertà viene schiacciata giorno dopo giorno, ora dopo ora, dal regime di occupazione. Da quel momento, è cresciuta la consapevolezza che non posso assolutamente far parte del sistema militare che applica il regime di occupazione e che rende la vita dei palestinesi miserabile. Non farò parte di un sistema che espelle abitualmente comunità, uccide innocenti e permette ai coloni di appropriarsi delle loro terre. Dal 7 ottobre questa consapevolezza ha raggiunto il suo apice a causa delle azioni dell’esercito a Gaza. Dall’inizio della guerra, decine di migliaia di donne e bambini sono stati uccisi e centinaia di migliaia sono stati sfollati dalle loro case, costretti a vivere in campi profughi, privati della loro dignità e affamati. Questa catastrofe umanitaria è il risultato delle azioni dell’esercito, il risultato di una guerra che dura da quasi due anni e che ha perso i suoi obiettivi da tempo. Da due anni vedo lo spargimento di sangue come risultato di una guerra di vendetta senza speranza. Vedo decine di migliaia di bambini gazawi che nascono e crescono nella disperazione, nella morte e nella distruzione che formano un circolo infinito di odio, vendetta e omicidio. Vedo centinaia di giovani della mia età che vengono uccisi perché mandati dallo Stato a continuare in eterno questo circolo. Vedo una guerra che mette in pericolo la vita degli ostaggi. E non posso rimanere in silenzio di fronte a queste cose. Non posso tacere in una società in cui il silenzio ha preso il sopravvento. Non ho il privilegio di stare in silenzio, quando so che tutti intorno a me lo hanno fatto a lungo. La società israeliana ha visto l’occupazione per sei decenni e sta chiudendo gli occhi. La società israeliana vede i bambini gazawi uccisi nei bombardamenti e chiude gli occhi. La società israeliana vede l’esercito commettere le peggiori atrocità morali e decide di tacere. La società israeliana non è pronta a riconoscere le atrocità che il suo esercito sta commettendo contro gli innocenti, perché sa che una volta che lo farà, non sarà in grado di affrontare il senso di colpa. Invece di invocare la propria moralità e opporsi alle atrocità, la società israeliana mette a tacere ogni accenno alla propria immoralità, giustifica tutto ciò che non può essere messo a tacere ed etichetta come malvagia qualsiasi opposizione alla guerra, per paura di essere etichettata come tale, se oserà guardare la verità. Durante la guerra ho sentito innumerevoli volte l’affermazione ”Non ci sono innocenti a Gaza” – e sono inorridita. Vedo questa affermazione normalizzarsi sempre di più. Vedo persone davvero convinte che nemmeno il più piccolo bambino di Gaza sia innocente e che quindi non meriti alcuna pietà. E io rispondo: Un bambino è sempre innocente! Anch’io da bambina ero innocente, quando ho partecipato alle cerimonie della Giornata di Gerusalemme. Non potevo scegliere diversamente quando ho letto i testi nazionalisti che mi era stato detto di leggere, ignorando completamente le sofferenze palestinesi. Un bambino inconsapevole non può fare le sue scelte e quindi è innocente. Ma ora, essendo maturata, la mia innocenza non è incondizionata. Per questo so che se decidessi di rimanere in silenzio, ora che sono consapevole delle sofferenze inflitte a milioni di persone dall’esercito, sarei complice del crimine. Oggi so che non posso tacere di fronte alla sofferenza. Non posso tacere di fronte alle uccisioni e alla distruzione. E oggi so che arruolarsi nell’esercito è peggio del silenzio: è collaborare con un sistema che fa del male a milioni di persone. Per questo mi rifiuto, e lo faccio a gran voce. Non collaborerò e non farò parte del silenzio che permette di commettere le peggiori atrocità in mio nome. Come cittadina di questo Paese dico chiaramente: la distruzione di Gaza – non in mio nome! L’occupazione – non in mio nome! Mi rifiuto di rimanere in silenzio, nella speranza che la mia voce apra gli occhi di altri nella nostra società e risvegli la loro consapevolezza di ciò che viene fatto in loro nome – fino a quando neanche loro potranno più rimanere in silenzio”. Yuval Pelleg – Dichiarazione di rifiuto Mi chiamo Yuval Pelleg e oggi mi rifiuto di arruolarmi. Come tutti noi, ricordo bene le atrocità del 7 ottobre e l’inizio della guerra di distruzione. Ricordo anche le parole di Tal Mitnick, che poco tempo dopo si rifiutò di arruolarsi e disse che la guerra non avrebbe portato alcun progresso, ma solo morte e distruzione. Sono passati 22 mesi e le sue affermazioni si sono rivelate vere. Gli obiettivi ufficiali della guerra – smantellare il dominio di Hamas e restituire gli ostaggi – non sono stati raggiunti. Sotto le dichiarazioni di “porteremo la sicurezza” e di “vittoria totale”, tuttavia, si nasconde una sinistra verità: il vero obiettivo che sta guidando la guerra, quello che non si trova nelle note ufficiali, era e rimane la vendetta. Una vendetta che ha causato l’uccisione di molte decine di migliaia di gazawi, tra cui bambini che il 7 ottobre non erano nemmeno nati, la distruzione totale della Striscia di Gaza e la distruzione di ogni speranza. Mentre assisto ai crimini commessi dall’esercito israeliano contro il popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania, si rivela un fatto spiacevole riguardo all’arruolamento in un esercito che pretende di proteggermi in quanto ebreo: si tratta di un’azione incompatibile con i principi fondamentali della vita e dell’uguaglianza per tutti gli esseri umani, e dell’adesione a un sistema la cui essenza è l’oppressione, l’occupazione e la distruzione. Un tempo speravo di dare un contributo importante alla società attraverso il servizio militare. Ho studiato informatica e volevo entrare nell’intelligence, imparare nell’esercito e poi trovare un buon lavoro nell’alta tecnologia. Purtroppo, ogni linea rossa che avrei potuto immaginare (e molte altre che non mi sono mai passate per la testa) è stata oltrepassata. Non si possono scusare o giustificare i crimini che lo Stato di Israele ha commesso negli ultimi due anni, e in generale in tutta la sua storia. La conclusione è chiara: rifiutare di arruolarsi non è solo un diritto, ma un obbligo, e il primo passo per migliorare la vita di tutti quelli che vivono in questa terra. Dobbiamo capire che il genocidio di Gaza non sta avvenendo in modo casuale o per una scelta “sfortunata” nell’elezione dei leader. È il risultato di lunghi processi di fascistizzazione dell’area e una logica conclusione derivata dai principi fondamentali del sionismo. Lo Stato di Israele ha acquisito esperienza nei crimini e nel terrore fin dalle prime fasi della sua fondazione, e oggi la loro portata e la loro accettazione da parte della società sono più ampie che mai. Da un lato l’ignoranza della morale e del diritto internazionale è sempre stata familiare allo Stato, dall’altro siamo chiaramente nel mezzo di un declino – è lecito supporre che se Nathan Alterman scrivesse “Al Zot” (una poesia del 1948 che critica i crimini di guerra israeliani) oggi verrebbe considerato un traditore e gli direbbero: “Vai a Gaza”. Giustamente, l’IDF non è considerato a livello internazionale un esercito morale, e tantomeno “l’esercito più morale del mondo”. Le sue azioni e le sue aspirazioni – uccisioni di massa di bambini, fame indotta e persino piani per istituire un campo di concentramento – cioè un genocidio – ispirano odio e disgusto, e se mettiamo da parte il nazionalismo e il tribalismo è facile vedere che la rabbia, l’odio e l’opposizione non sono reazioni radicali e certamente non antisemite, ma piuttosto morali, minime e giustificate in risposta ai crimini di cui sopra. Nonostante tutti i suoi crimini, le nazioni del mondo continuano a rifornire la macchina di distruzione israeliana con armi e finanziamenti. Presto sarò imprigionato per il mio rifiuto di partecipare al massacro e mi appello a voi, popoli del mondo: intensificate la lotta! Unitevi a me e resistete alla distruzione e al genocidio con tutta la vostra forza. Infine, voglio ricordare che qui non si tratta di me. Si tratta della distruzione, delle persone uccise, del dialogo che è stato portato all’estinzione e della giustizia che è stata sepolta sotto le macerie di Gaza. Mi sforzo di prendere parte a una lotta per la vita, l’uguaglianza e la libertà. In questa lotta, una cosa è chiara: io e l’esercito siamo agli antipodi. Ecco perché mi rifiuto di arruolarmi. Mesarvot
Gaza, MSF: “Lanci di aiuti inutili e dannosi: governo italiano non cada nell’errore”
Sull’ipotesi che il governo italiano organizzi lanci aerei di aiuti umanitari su Gaza, annunciata ieri dal Ministro degli Esteri, Medici Senza Frontiere (MSF) avverte che questi lanci sono inefficaci e pericolosi e costringono le persone a rischiare la propria vita per cercare cibo. La soluzione più efficace, dignitosa e su ampia scala è aprire i varchi di terra dove tutto è già pronto per entrare, ed è l’unica strada da percorrere. “L’utilizzo dei lanci aerei per la consegna di aiuti umanitari è un’operazione cinica e inutile; il governo italiano non deve cadere in questo errore. Le strade ci sono, i camion ci sono, il cibo e i medicinali ci sono: tutto è pronto per l’ingresso degli aiuti a Gaza, che si trovano a pochi chilometri di distanza dal confine. Quel che serve è che le autorità israeliane decidano di facilitarne l’ingresso nella Striscia ed è su questo che il governo deve fare pressione: accelerare le procedure di autorizzazione, permettere l’ingresso di beni su larga scala e coordinarsi per consentire una raccolta e distribuzione degli aiuti sicura. Solo così potremo iniziare a risolvere il problema della devastante carestia a cui stiamo assistendo” dichiara la dott.ssa Monica Minardi, presidente di MSF.  Gli aiuti aerei riescono a trasportare molto meno delle 20 tonnellate di aiuti che può contenere un camion. Attualmente 2 milioni di persone sono intrappolate in un piccolo lembo di terra che rappresenta il 12% dell’intera Striscia. Se qualcosa atterra in quest’area ristretta, ci saranno inevitabilmente dei feriti. Se invece gli aiuti atterrano in zone che Israele ha messo sotto ordine di evacuazione, le persone saranno costrette a entrare in aree militarizzate, mettendo ancora una volta a rischio la propria vita pur di ottenere del cibo.       Medecins sans Frontieres
Vivere a Gaza sotto una tenda, aspettando la prossima bomba
Prosegue la nostra corrispondenza da Gaza con Nancy Hamad, la studentessa in economia arrivata alla soglia della laurea nel momento in cui è iniziato il genocidio. Nel dicembre del 2024 Nancy ha ricevuto simbolicamente una laurea honoris causa in economia dal collettivo di ricercatori, docenti e studenti RomaTre Etica. Quel giorno nella terza università della capitale si svolgeva, quasi a porte chiuse e presidiato da agenti della Digos e della celere, un conferimento senza meriti accademici né tanto meno umanitari alla costituzionalista, ex ufficiale dell’esercito israeliano, Daphne Barak Erez, artefice sul piano giurisprudenziale della recrudescenza del regime d’apartheid, fino alla “pietra tombale” di una qualsiasi possibilità di dialogo interreligioso e interetnico tra ebrei e “non ebrei”, come la legge fondamentale del 2018. Mi chiamo Nancy, vivo nella Striscia di Gaza e vi scrivo dal cuore della sofferenza che viviamo ogni giorno. La situazione qui è estremamente difficile e la carestia sta aumentando a un ritmo terrificante. Nonostante tutto ciò che sentiamo dai media riguardo agli aiuti alimentari in arrivo, questi non ci raggiungono mai. Gran parte degli aiuti viene rubata o distribuita in modo ingiusto e noi non vediamo mai nulla. I mercati sono quasi vuoti e, se qualche prodotto è disponibile, ha prezzi che non possiamo permetterci. Qualche giorno fa abbiamo trascorso tre giorni senza un solo alimento di base: niente riso, pane o pasta. Dopo molte sofferenze, siamo riusciti a comprare un po’ di farina e a fare il pane. È stato il nostro primo pasto vero dopo giorni. Vi scrivo oggi affinché possiate sentire la mia voce e quella di molte altre persone come me che hanno bisogno di un aiuto concreto, fornito direttamente alla popolazione, senza intermediari o interferenze. La situazione è insostenibile e ogni giorno è più difficile del precedente, soprattutto per i bambini, i malati e gli anziani. Spero che ci saranno azioni concrete, perché la fame è un nemico infido e le nostre vite sono ormai piene di attesa e dolore. Nella foto si può vedere il pane che finalmente siamo riusciti a fare: è la prima volta che lo mangiamo dopo una pausa di 5 giorni. Abbiamo comprato un chilo di farina a un prezzo molto alto, più di 30 dollari. Poi potete vedere le immagini che hanno fatto il giro del mondo: un aereo giordano che lancia aiuti dall’alto. A causa del vento questi finiscono nelle zone occupate dall’esercito e nessuno se la sente di raggiungerli a causa del pericolo che questo comporterebbe. Poi ci sono altre immagini che ho registrato per mostrare le nostre sofferenze quotidiane: dopo aver fatto la fila per l’acqua dalle 4 del mattino fino alle 4 del pomeriggio, abbiamo “vinto” e ottenuto un secchio e mezzo d’acqua. Si può poi vedere la tenda in cui viviamo le nostre sofferenze quotidiane e dove in ogni caso non ci sentiamo mai al sicuro. Stefano Bertoldi