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New York, la battaglia di Zohran Mamdani
Nell’odierno panorama politico polarizzato, leader in ascesa come Zohran Mamdani si trovano ad affrontare il fuoco di entrambi gli estremi: l’estrema destra e i centristi sostenuti dalle aziende. Accuse di antisemitismo, comunismo ed estremismo gli vengono rivolte in una campagna diffamatoria coordinata. Naturalmente, queste accuse sono infondate, ma come la storia ci ricorda – da Joseph Goebbels ai moderni troll della disinformazione – le voci spesso si diffondono più velocemente dei fatti, soprattutto nell’era dei social media virali. Ciò che rende la recente vittoria di Mamdani davvero storica è che ha sconfitto alle primarie l’establishment del Partito Democratico e il suo candidato di alto profilo, Andrew Cuomo. Sostenuto dai Clinton, dal ricchissimo ex sindaco Michael Bloomberg e da grandi interessi economici, Cuomo rappresentava la vecchia guardia della politica newyorkese. Eppure gli elettori democratici, soprattutto milioni di giovani, hanno scelto Mamdani con un netto margine, quasi dieci punti percentuali. Si è trattato di un coraggioso rifiuto della politica “business-as-usual”. E l’establishment politico dello status quo non è contento. I suoi media non sono contenti. Pertanto, la lotta non è finita. Con Cuomo che si rifiuta di cedere e l’attuale sindaco Eric Adams che si presenterà al voto di novembre, la posta in gioco è più alta che mai. Sia Cuomo che Adams hanno ora un chiaro bersaglio: il crescente movimento socialista democratico rappresentato da Mamdani e da altri in tutti gli Stati Uniti. Per Trump e i suoi, qualsiasi politica che parli di civiltà e uguaglianza viene automaticamente bollata come radicale, di estrema sinistra, comunista… persino terrorista. Purtroppo, molti americani della classe operaia – compresi quelli a cui ho insegnato per molti anni – credono alle loro bugie. Le tensioni sono aumentate ulteriormente in seguito alla recente sparatoria di massa a Manhattan, dove un uomo armato ha ucciso quattro persone, tra cui l’agente di polizia Didarul Islam. All’indomani della tragedia, la richiesta di Mamdani di “tagliare i fondi alla polizia”, avanzata da tempo, è stata distorta e strumentalizzata. I media di destra, il candidato repubblicano e conduttore radiofonico Curtis Sliwa e la macchina Cuomo-Adams non hanno perso tempo per sfruttare la tragedia, accusando Mamdani di essere contro la polizia e ignorando convenientemente la crisi delle armi in America e l’influenza tossica della NRA. Siamo chiari: Mamdani non si è mai espresso contro le forze dell’ordine in quanto tali. Ciò che ha criticato, giustamente, è la militarizzazione della polizia di New York e gli abusi sistematici che hanno portato all’omicidio di George Floyd e di innumerevoli altre persone. Chiede riforme, responsabilità e ridistribuzione dei fondi pubblici a sostegno dell’istruzione, dell’edilizia popolare e della sanità, non brutalità. La stessa distorsione è evidente nella sua posizione sulla Palestina. Mamdani non ha mai parlato contro il popolo ebraico. Anzi, un gran numero di ebrei liberali, tra cui alcuni che conosco personalmente, lo sostengono. Si è espresso contro i crimini di guerra e le politiche di apartheid del regime di Benjamin Netanyahu. Per questo è stato etichettato come antisemita dai difensori dell’estrema destra israeliana, che ignorano la sua chiarezza morale e la sua posizione di principio a favore dei diritti umani. La reazione non è venuta solo dai gruppi filoisraeliani. Anche le forze di destra indù, in particolare i sostenitori del regime indiano di Modi e dell’RSS, sono entrate nella mischia. Il New York Times ha recentemente riportato come questi gruppi stiano conducendo una campagna attiva contro Mamdani. Lo vedono come un critico aperto dell’ultranazionalismo indù e un difensore della democrazia laica, sia in India che negli Stati Uniti e questo lo rende un loro nemico naturale. Con l’avvicinarsi delle elezioni di novembre, Zohran Mamdani dovrà affrontare una dura battaglia. Le diffamazioni si intensificheranno. Gli attacchi diventeranno più personali. Ma ciò che egli rappresenta – un movimento popolare per la giustizia, l’uguaglianza e la pace – è più potente di qualsiasi macchina politica. Seguiremo da vicino la situazione. E gli resteremo accanto. Traduzione dall’inglese di Anna Polo Questo articolo fa parte di una serie dedicata alle importantissime elezioni di novembre per scegliere il prossimo sindaco di New York. Il dottor Banerjee è uno scrittore, educatore e attivista per i diritti umani che vive a New York. Ex membro dell’RSS, organizzazione di estrema destra indù, ha in seguito denunciato il loro programma fascista globale attraverso i suoi libri e articoli. Email: thescriptline@yahoo.com       Partha Banerjee
Firenze: commemorazione del genocidio di Rom e Sinti
Oggi 2 agosto presso il Giardino dei Giusti  a Firenzesi è svolta la cerimonia di ricordo del genocidio dei Rom e dei Sinti da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Alla cerimonia, presenziata dal presidente del Consiglio Comunale Cosimo Guccione, hanno assistito cittadini e rappresentanti delle associazioni rom e dell’ANEP, Associazione Nazionale ex deportati. La cerimonia ricorda che il 2 agosto 1944  fu liquidato il “campo zingari” di Auschwitz-Birkenau: oltre 4.000 persone  furono sterminate nelle camere a gas. Per ricordare quella tragedia da alcuni anni si celebra il Roma Genocide Remembrance Day, la Giornata in memoria del genocidio dei Rom e dei Sinti durante la Seconda guerra mondiale. In lingua romanì, questo sterminio viene chiamato Porrajmos o Samudaripen  e causò complessivamente la morte di circa mezzo milione di persone appartenenti a questa popolazione. E’ stata presentata recentemente alla Camera dei Deputati una Proposta di Legge per far dichiarare il Samuradipen Giorno della Memoria; gli atti della conferenza stampa, il testo di legge e vari interventi storici sono stati pubblicati quest’anno, a cura di Andrea Vitello,  da Multimage sotto il titolo Il Samudaripen: genocidio dei rom e sinti nella Seconda guerra mondiale. Redazione Toscana
Tutte le guerre sono guerre dei banchieri
SEGUENDO IL DENARO Quando pensiamo agli imperi nel corso della storia, ci vengono in mente esempi come l’Impero Romano, l’Impero Britannico o l’Impero Americano. In altre parole, associamo automaticamente l’idea di impero a un particolare luogo del pianeta. Fino a non molto tempo fa, questa associazione automatica era un errore comprensibile. Nell’era moderna, però, questa tendenza a collegare indiscutibilmente gli imperi a particolari aree geografiche terrestri è un errore che ha contribuito a far cadere in  confusione la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Allo stesso modo, quando pensiamo alla storia delle guerre e delle conquiste, tendiamo a collegare particolari eventi a personalità particolari. Per esempio, leggiamo di Napoleone e delle sue gigantesche ambizioni che sono state lo stimolo dei “suoi” grandi successi e infine della sua prigionia. Sorge però la domanda: Chi ha finanziato queste imprese gigantesche? Chi ha pagato il suo esercito? Chi ha pagato il conto per tutte le armi, i rifornimenti da viaggio e le munizioni necessarie? Era un re a fornire il denaro? E se così fosse, era il denaro del re o di qualcun altro? Ora facciamo un salto al ventunesimo secolo negli Stati Uniti. Chi decide quali guerre devono essere combattute? Immagino che, se siete arrivati a leggere fin qui, abbiate almeno il sospetto che queste decisioni e attribuzioni non siano decise esclusivamente dai presidenti degli Stati Uniti e dalle loro amministrazioni. E se vi dicessi che, in quasi tutti i casi, questi funzionari governativi hanno ben poco a che fare con il decidere contro chi gli Stati Uniti vanno in guerra? “Allora chi decide?”, potreste pensare. L’ATTUALE SISTEMA MONETARIO È UNO SCHEMA PONZI PREDATORIO L’attuale sistema monetario occidentale è stato messo insieme dai banchieri più potenti del mondo, ma non deve essere per forza così com’è. “Il sistema monetario è così com’è perché coloro che lo gestiscono scelgono che rimanga così”, dice l’ex gestore di hedge fund e analista economico Alex Krainer.(1) Il sistema monetario, che è gestito dagli oligarchi bancari e dal sistema bancario, raggiunge i suoi fini attraverso l’uso della violenza fisica (militare), economica e psicologica. “Come mai?”, vi starete chiedendo. Il sistema è strutturato in modo tale da richiedere una crescita costante per rimanere in vita. In questo senso il sistema esistente è come una bicicletta. Se l’accumulazione si ferma, se il movimento in avanti (la crescita) si ferma, la bicicletta si ribalta e il ciclista cade. Quando un banchiere vi concede un prestito, diciamo 100.000 dollari per un mutuo, dovete restituirlo con gli interessi. In generale, nel tempo, finirete per ripagarlo due volte, per un totale di circa 200.000 dollari. Il problema è che solo il capitale, solo 100.000 dollari, entra in circolazione. Gli ulteriori 100.000 che sono necessari per saldare il vostro prestito devono essere guadagnati e quindi estratti da un insieme complessivo di denaro che non include altro che le assegnazioni di capitale. Questo crea una situazione dove la crescita non è solo vantaggiosa per i banchieri, è anche essenziale per mantenere a galla l’intero sistema. In altre parole, il sistema monetario è un enorme schema predatorio di prestito di denaro che intrappola finanziariamente le sue prede in cicli di indebitamento. Mentre tutto questo accade, il sistema bancario accumula continuamente riserve finanziarie offshore non tassate e “intoccabili” che ammontano complessivamente a oltre 50 TRILIONI di dollari e sono in continua crescita.(1a) TUTTE LE GUERRE MODERNE SONO GUERRE DEI BANCHIERI PER IL PROFITTO E LA CONQUISTA Come conseguenza logica di tutto ciò che è stato detto finora, l’unico modo per mantenere una crescita continua è uscire da determinati mercati una volta che questi sono saturi. In altre parole, se la crescita è essenziale per la sopravvivenza dell’attuale sistema e la crescita non è più possibile all’interno di una determinata regione, i produttori di profitto devono trovare nuovi mercati, nuove regioni, nuove risorse e nuovi obiettivi di sfruttamento, altrimenti il sistema collasserà. Negli Stati Uniti, in Europa e in Canada, abbiamo visto sempre più città sprofondare nella tossicodipendenza, nel suicidio e nella povertà. Questo perché le banche hanno spinto la classe politica controllata dai loro finanziatori a creare una sempre maggiore crescita e quindi profitti (per i banchieri) all’estero. Tutto questo è avvenuto a spese delle popolazioni dei Paesi citati. Questo feticismo della crescita è la vera causa di fondo della continua spinta bipartisan per un numero sempre maggiore di guerre in Medio Oriente, Europa dell’Est e ovunque sia possibile l’espansione e il saccheggio imperialista. Per fare un esempio: La ricchezza di risorse dell’Ucraina è stimata in 15 trilioni di dollari, mentre quella della Russia è stimata in 70 trilioni di dollari. Chiunque abbia dedicato un minimo di tempo a studiare l’attuale guerra tra Russia e Ucraina, prendendo in considerazione i punti di vista provenienti da fonti occidentali e non occidentali (fonti al di fuori della narrazione occidentale), sa che il “Progetto Ucraina” era in cantiere da quasi vent’anni.(1b) Dal 2019 al 2022, per tre anni, il denaro e le armi statunitensi sono stati riversati in Ucraina per prepararla al ruolo di ariete, di esercito per procura contro la Russia. Questa non è un’illazione. È un fatto documentato che il governo e le forze armate statunitensi stavano contemplando di utilizzare la popolazione ucraina come esercito per procura almeno dal 2019.(2),(2a) Allo stesso modo, il governo statunitense aveva un piano per intraprendere “7 guerre in 5 anni in Medio Oriente” a partire dal 2003.(3) Queste guerre sono state intraprese per espandere la portata del sistema bancario statunitense e per estrarre risorse da questi Paesi ormai bombardati e martoriati. I nostri media occidentali tradizionali ci dicono che queste guerre, compreso il recente scontro con l’Iran, sono state intraprese per prevenire lo sviluppo e/o l’uso di armi di distruzione di massa, per contrastare il ‘male’, per diffondere la democrazia o per “scopi umanitari”. Parlerò in modo molto diretto: queste scuse che sono state usate per iniziare e intensificare le guerre sono tutte storie per bambini. Il nostro sistema elettorale, il nostro sistema politico e i nostri media tradizionali sono ormai in larga misura controllati da oligarchi, dal sistema bancario, che è legato direttamente al complesso militare industriale. In un certo senso, è così da molto tempo. Nel corso degli ultimi decenni gli Stati Uniti sono passati da una democrazia problematica ma funzionante a quella che oggi è essenzialmente un’oligarchia che ha mantenuto solo la forma esteriore di una democrazia.(4) Se non credete a questi fatti così come li ho presentati, allora date un’occhiata a ciò che l’Università di Harvard e il Guardian hanno detto in merito. IL SISTEMA MONETARIO PUÒ ESSERE CAMBIATO (UN RECENTE ESEMPIO DELLA VITA REALE NELLA GERMANIA DEL 21° SECOLO) Alcuni sostengono che le carenze dell’attuale sistema monetario globale siano semplicemente parte integrante dell’accordo e che non potrebbe essere altrimenti. Questa è una sciocchezza. Fino a circa 15 anni fa, uno dei maggiori successi economici del pianeta è stata la Germania. Era la superpotenza esportatrice numero uno al mondo. Il valore delle esportazioni tedesche era persino superiore a quello della Cina fino a poco più di un decennio fa. Ciò è accaduto perché il sistema bancario tedesco aveva una politica che non si limitava a concedere prestiti senza interessi alle piccole imprese, ma le sosteneva anche, offrendo loro consulenza, accompagnandole a conferenze, ecc. Le banche che erogavano questi prestiti erano  piccole banche regionali, il 70% delle quali erano enti senza scopo di lucro. In altre parole, queste banche non erano interessate a profitti enormi solo per sé stesse. C’era un aspetto reciprocamente vantaggioso in ciò che stava accadendo. Ciò ha permesso a queste aziende di sviluppare le proprie attività nel tempo senza la costante pressione di dover rimborsare rapidamente i prestiti a tassi di interesse elevati.(5) Sfortunatamente, la Germania alla fine ha ceduto al modello bancario basato sulla finanza, promosso dagli Stati Uniti, e ha iniziato la deindustrializzazione circa un decennio fa. Il risultato di questo cambiamento è stato disastroso. La Germania è sull’orlo della recessione da quasi tre anni. DOBBIAMO SMETTERE DI FINGERE Ultimamente è stato raggiunto un nuovo punto di svolta. Forse è successo un giorno o due fa, o una settimana o due fa, o un anno o due fa? Non sono sicuro del momento esatto in cui è successo (per voi). Il fatto è che voi, che state leggendo, sapete di cosa sto parlando. Forse nella vostra testa state pensando che non siete sicuri di cosa sto parlando. Nel vostro cuore, però, lo sapete. È ora che voi e io smettiamo di prenderci in giro. Dimenticate la vostra fedeltà a Donald Trump o al Partito Democratico per un momento. Le persone con un buon lavoro hanno difficoltà a pagare l’affitto e la situazione si fa sempre più difficile. E voi lo sapete. Vedete il modo in cui i prezzi sono saliti alle stelle, praticamente a intervalli di pochi mesi, nel corso degli ultimi anni. Ma l’economia “sta andando bene”, ci dicono sempre. Sapete che vi stanno mentendo. Sapete che le guerre in cui siamo stati costantemente coinvolti nel corso degli ultimi venticinque o più anni, sono state tutte puttanate. Sapete che i canali di informazione che guardate sulle TV tradizionali trasmettono per lo più sciocchezze quando si tratta di guerra e di guerre potenziali. Sapete che gli Stati Uniti e Israele hanno violato per anni tutte le leggi internazionali in vigore. Dai, lo sapete benissimo! Dovreste essere dei cretini per non saperlo. Ma non siete cretini. O lo siete? Ora basta. A parte le battute, niente di tutto questo è più un segreto. Il difetto principale, il percettibile peccato centrale che sta generando tutto questo caos e questo sconvolgimento è nel sistema monetario. In altre parole, non c’è nulla di magico in ciò che sta accadendo, tecnicamente parlando. La domanda è: cosa ci vorrà per spingere le persone ad approfondire questi temi? Forse sarà necessario un qualche tipo di risveglio spirituale? Onestamente, non so cosa ci vorrà. Forse tutti noi dobbiamo iniziare a porci seriamente la domanda: “Voglio vivere e, se sì, in quali condizioni? In che tipo di mondo voglio vivere?”. FONTI: 1-https://youtu.be/cvPVTp9e1eI?si=48bcvC8K6bWlMVC5 1a-https://gfintegrity.org/50-trillion-offshore-with-james-s-henry/ 1b-https://www.theguardian.com/world/2004/nov/26/ukraine.usa#:~:text=But%20while%20the%20gains%20of,rigged%20elections%20and%20topple%20unsavoury 2-https://www.rand.org/pubs/research_reports/RR3063.html  2a-https://www.pressenza.com/2024/08/the-us-calculated-sacrifice-of-the-ukrainian-population/ 3-https://www.youtube.com/shorts/TJpGoKqPM0k 4-https://www.hks.harvard.edu/faculty-research/policycast/oligarchy-open-what-happens-now-us-forced-confront-its-plutocracy 5- andare al minuto 22:50 in – https://www.youtube.com/watch?v=LM2b_youfAg&t=1662s -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dall’inglese di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Mark Lesseraux
La ‘Dichiarazione di New York’ redatta alla Conferenza ONU del 28-30 luglio approvata dall’ANP
IL FAVORE È STATO UFFICIALMENTE ESPRESSO NELLE COMUNICAZIONI INVIATE DA MOHAMMAD MUSTAFA, PRIMO MINISTRO DELL’AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE, AI MINISTRI DEGLI ESTERI SAUDITA E FRANCESE – FAISAL BIN FARHAN E JEAN-NOËL BARROT – CHE HANNO COORDINATO E PRESIEDUTO LO SVOLGIMENTO DEL CONGRESSO INTERNAZIONALE ALLA SEDE ONU DI NEW YORK. Faisal bin Farhan Al Saud e Jean-Noël Barrot (28 luglio 2025  © UN / Loey Felipe) Il ministro degli esteri francese, Jean-Noel Barrot, ha commentato: “Per la prima volta i paesi arabi e del Medio Oriente hanno condannato Hamas, di cui chiedono il disarmo e l’esclusione dal governo palestinese, ed espresso chiaramente la loro intenzione di normalizzare le relazioni con Israele”. La Conferenza internazionale di alto livello per la soluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due stati convocata a maggio per svolgersi a giugno a causa della guerra che in quel periodo veniva condotta da Israele e USA contro l’Iran è stata procrastinata a luglio. Il giorno precedente all’incontro AMNESTY INTERNATIONAL aveva esortato i partecipanti a “dare priorità alla fine del genocidio, dell’occupazione illegale e dell’apartheid israeliano” e a considerare una serie di proposte, tra cui “interrompere ogni forma di commercio o trasferimento che contribuisca o sia collegato al genocidio, all’apartheid o all’occupazione illegale” e “impegnarsi nella ricostruzione della Striscia di Gaza e nel sostegno alla sua popolazione, contrastando ogni tentativo di trasferimento forzato all’interno o all’esterno del suo territorio”. Al raduno, cui sono convenute tutte le rappresentanze degli stati membri dell’ONU tranne quelle di USA (United States Rejects A Two-State Solution Conference – 28 luglio 2025) e Israele, sono intervenuti 125 delegati delle rispettive nazioni e il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, che ha affermato: > … per i palestinesi lo Stato è un diritto, non una concessione, e la negazione > del riconoscimento della loro nazione sarebbe un regalo per gli estremisti di > tutto il mondo. L’unica soluzione realistica, giusta e praticabile è quella di > due Stati, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco in pace e > sicurezza, all’interno di confini sicuri e riconosciuti, cioè quelli > precedenti al 1967, con Gerusalemme capitale di entrambi, tracciati applicando > il diritto internazionale, le risoluzioni delle Nazioni Unite e gli altri > accordi in materia. Due Stati riconosciuti da tutti e pienamente integrati > nella comunità internazionale. > > Ciò significa: porre immediatamente fine alla violenza; cessare immediatamente > le attività di annessione e di insediamento, come richiesto dalla Corte > internazionale di giustizia; rifiutare lo sfollamento forzato della > popolazione palestinese da qualsiasi parte del Territorio palestinese > occupato, che costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale > dei diritti umani e del diritto umanitario e rifiutare qualsiasi forma di > pulizia etnica; garantire che non sia elusa la responsabilità per eventuali > crimini atroci e altre violazioni del diritto internazionale; ripristinare un > dialogo politico credibile e riaffermre la parità dei diritti e della dignità > di entrambi i popoli. Tutto ciò richiede coraggio da parte dei leader sul > campo e determinazione da parte della comunità internazionale nell’agire con > principi e perseveranza. > > Sappiamo che il conflitto israelo-palestinese dura da generazioni, sfidando > speranze, sfidando la diplomazia, sfidando innumerevoli risoluzioni, sfidando > il diritto internazionale. Sappiamo che il conflitto continua a mietere > vittime, a distruggere speranze e a destabilizzare la regione e il nostro > mondo. Ma sappiamo anche che la sua persistenza non è inevitabile e che una > soluzione pacifica è possibile. > > Ciò richiede volontà politica e una leadership coraggiosa. > > E richiede verità. La verità è: siamo a una svolta decisiva. > > Nulla può giustificare i terribili attacchi terroristici del 7 ottobre [2023] > da parte di Hamas e la cattura di ostaggi. E nulla può giustificare la > distruzione di Gaza, affamare la popolazione, l’uccisione di decine di > migliaia di civili, l’ulteriore frammentazione del territorio palestinese > occupato, l’incessante espansione degli insediamenti, l’aumento della violenza > dei coloni contro i palestinesi, la demolizione delle case e lo sfollamento > forzato degli abitanti,… > > … l’annessione della Cisgiordania occupata è illegale, e deve cessare; la > devastazione di Gaza è intollerabile, e deve cessare; le azioni unilaterali > che compromettono la ‘soluzione dei due Stati’ sono inaccettabili, e devono > cessare. Questi non sono eventi isolati: fanno parte di una realtà sistemica > che sta smantellando i mattoni della pace in Medio Oriente e proprio per > questo dobbiamo insistere e agire per realizzare la ‘soluzione dei due Stati’… > l’unica prospettiva coerente con il diritto internazionale, approvata da > questa Assemblea e sostenuta dalla comunità internazionale … è la condizione > sine qua non per la pace in tutto il Medio Oriente. Il documento elaborato dai delegati delle nazioni dopo tre giorni di confronto, la Declaration on the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution detta Dichiazione di New York, esplicita i fatti esaminati, le valutazioni considerate e le decisioni deliberate. Per la promulgazione del proclama sono attese le ratifiche degli stati, dai referenti delle missioni permanenti all’ONU di Francia e Arabia Saudita attese entro il 5 settembre prossimo, così in tempo utile per la 80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA 80 / New York, 9-23 settembre 2025). DICHIARAZIONE DI NEW YORK Il testo, redatto a cura delle rappresentanze di Francia ed Emirati Arabi e di Brasile, Canada, Egitto, Indonesia, Irlanda, Italia, Giappone, Giordania, Messico, Norvegia, Qatar, Regno Unito, Senegal, Spagna e Turchia e delle Lega Araba e Unione Europea, è suddiviso in due parti. Nella prima parte, composta da 42 paragrafi e sezioni, sono riferite le valutazioni e le decisioni espresse dalle rappresentanze delle nazioni riunite alla sede dell’ONU di New York nelle giornate dal 28 al 30 luglio scorsi. Nella seconda, premettendo il riferimento alle proposte presentate dalle delelegazioni nazionali nell’occasione e alla Risoluzione 79/81 che l’UNGA (Assemblea Generale delle Nazioni Unite) ha deliberato il 3 dicembre 2024, sono elencate le azioni concrete che ciascun stato si impegna a realizzare e le indicazioni e raccomandazioni sugli interventi che i loro governi dovranno realizzare allo scopo. > NEW YORK DECLARATION ON THE PEACEFUL SETTLEMENT OF THE QUESTION > OF PALESTINE AND THE IMPLEMENTATION OF THE TWO-STATE SOLUTION > > § 1-7 / “We, Leaders and Representatives, gathered at the United Nations in > New York on 28–30 July 2025, at a historically critical moment for peace, > security, and stability in the Middle East … agreed to take collective action > to end the war in Gaza, to achieve a just, peaceful and lasting settlement of > the Israeli-Palestinian conflict based on the effective implementation of the > two-State solution … reiterated our condemnation of all attacks by any party > against civilians … We condemn the attacks committed by Hamas against > civilians on the 7th of October. We also condemn the attacks by Israel against > civilians in Gaza and civilian infrastructure, siege and starvation, which > have resulted in a devastating humanitarian catastrophe and protection crisis > … have thus committed to taking tangible, timebound, and irreversible steps > for the peaceful settlement of the question of Palestine and the > implementation of the Two-State solution … > > § 8-18 /  Ending the War in Gaza and securing the day after for Palestinians > and Israelis – The war in Gaza must end now …  We demanded the immediate, > safe, unconditional and unhindered delivery of humanitarian assistance at > scale through all crossings and throughout the Gaza Strip, in coordination > with the UN and ICRC and in line with humanitarian principles … Gaza is an > integral part of a Palestinian State and must be unified with the West Bank. > There must be no occupation, siege, territorial reduction, or forced > displacement … Governance, law enforcement and security across all Palestinian > territory must lie solely with the Palestinian Authority, with appropriate > international support … ensuring that Palestinians remain in their land … > Following the ceasefire, a transitional administrative committee must be > immediately established to operate in Gaza under the umbrella of the > Palestinian Authority … > > § 19-27 / Empowering a sovereign and economically viable State of Palestine, > living side by side, in peace and security with Israel – We stressed that > compliance with and respect for the Charter of the United Nations and > international law is a cornerstone of peace and security in the region … We > reaffirmed the need for the Palestinian Authority to continue implementing its > credible reform agenda—with international support, particularly from the EU > and the League of Arab States, focusing on good governance, transparency, > fiscal sustainability, fight against incitement and hate speeches, service > provision, business climate and development … We called on the Israeli > leadership to issue a clear public commitment to the Two-State Solution, > including a sovereign, and viable Palestinian State, to immediately end > violence and incitement against Palestinians, to immediately halt all > settlement, land grabs and annexation activities in the Occupied Palestinian > Territory, including East Jerusalem, publicly renounce to any annexation > project or settlement policy, and put an end to settlers’ violence, including > by implementing UNSC resolution 904 and enacting a legislation to punish and > deter violent settlers and their illegal actions … We reaffirmed our support > for the right of the Palestinian people to self-determination … We agreed to > promote Palestinian economic development, facilitating trade, and enhancing > Palestinian private sector competitiveness. We called for the removal of > movement and access restrictions and the immediate release of withheld > Palestinian tax revenues and committed to the revision of the Paris Protocol > on Economic Relations (1994), the establishment of a new framework for > clearance revenue transfers leading to Palestinian ownership over taxation, as > well as the full integration of Palestine into the International Monetary and > Financial System and ensuring sustainable corresponding banking relations for > the long-term. > > § 28-33 / Preserving the two-State solution and achieving regional integration > – … We committed to protecting peace efforts against potential spoilers who > seek to derail the implementation of the two-State solution through illegal > unilateral measures and violent actions … > > § 34-42 /Achieving regional integration through ending the Israeli-Palestinian > conflict  – … by ending the war in Gaza, releasing all hostages, ending > occupation, rejecting violence and terror, realizing an independent, sovereign > and democratic Palestinian State, ending the occupation of all Arab > territories and providing solid security guarantees for Israel and Palestine … > We agreed to support, in parallel to the conclusion of a peace agreement > between Palestine and Israel, renewed effort on the Syria-Israel and > Lebanon-Israel tracks with the aim of achieving a comprehensive, just, and > lasting peace in the Middle East, in accordance with international law and the > relevant UN resolutions, putting an end to all claims … We are determined to > ensure that the decisions made at this Conference constitute a turning point > where the international community as a whole is mobilized, at the political, > economic, financial and security levels, to set in motion a long overdue > bright future for the benefit of all States and all peoples … We agreed to > mobilize the international community at leaders’ level around these > commitments on the sidelines of the 80th United Nations General Assembly in > September 2025 … This Declaration and its annex reflect the outcome of the > eight working groups convened as part of the Conference, outlining a > comprehensive and actionable framework for the peaceful settlement of the > question of Palestine and the implementation of the two-State solution. These > outcomes reflect proposals across the political, security, humanitarian, > economic, legal, and strategic narrative dimensions, and constitute a concrete > time-bound action plan to guide international engagement and implementation, > operational coordination, and follow-up efforts towards the implementation of > the Two-State solution and full regional integration. > > ALLEGATO: > > Ceasfire – Security – Humanitarian response – Gaza recovery and recostruction > plan – Humanitarian situation in the West Bank – Realization of a sovreign, > unified and indipendent Palestinian State – Support implementation of the > Palestinian Authority’s reform agenda towards an economically viable State of > Palestine – Unholding international law – Peaceful Coexistence – Achieving > regional integration through ending the Isreali-Palestinian conflict   FONTI : * programma della High-level International Conference for the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution / programma * Conferenza Onu per il processo di pace in Palestina. Le raccomandazioni di Amnesty / PRESSENZA – 27.07.2025 * Secretary-General’s remarks at the Opening Segment of the High-level International Conference for the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution / ONU – July 28, 2025 * With Gaza smouldering, ministers renew push for two-State solution at UN / ONU – July 30, 2025 * High-Level Conference on Two-State Solution Concludes General Debate, Will Reconvene to Consider Outcome Document / ONU –  July 30, 2025 * French Mission to the United Nations / July 30, 2025 *  UN Declaration on the “Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution” / Jewish Virtual Library – July 30, 2025 * Prime Minister Mustafa affirms support and endorsement for New York Declaration in letters to Saudi and French FMs / State of Palestine, Prime Minister’s Office – July 31, 2025 * Reviving the Two-State Solution: The UN Conference and The Recognition of Palestine / ISPI – July 31, 2025 Maddalena Brunasti
La strage. Bologna 2 agosto 1980 – 2 agosto 2025
Questo discorso pronunciato sabato 2 agosto 2025 è il ricordo commosso che le amiche e gli amici della nonviolenza, riuniti contro l’atomica, tutte le guerre e tutti i terrorismi per la 179° settimana a Torino, in piazza Carignano, rivolgono alle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980: la strage forse più orribile. Una strage indiscriminata che a distanza di 45 anni ci appare tanto più terrificante quanto più appare ingiustificata, gratuita, e come tale imprevedibile e irreparabile. Quella mattina, ore 10 e 25, stazione di Bologna, un’esplosione assordante, una strage: 89 morti, 200 feriti. La leggerezza dell’estate inghiottita in un boato, perduta per sempre. Da allora ho imparato ad associare il mese di agosto non più alla spensieratezza, semmai si potesse stare senza pensieri, bensì alla luce che racchiude la speranza. Come scrive il maestro Edgar Morin, oggi, nel secolo nuovo, “l’atteggiamento di chi spera si fonda sulle possibilità inespresse del genere umano, è una scommessa sull’improbabile. Non è più la speranza escatologica dello scontro finale, ma è la speranza coraggiosa della lotta che inizia” (E. Morin, Semi di saggezza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2025, p. 88). Vi ricordate dove eravate la mattina del 2 agosto 1980? Io lo ricordo perfettamente. Il 2 agosto 1980, 24 anni, ero a Oliveri, in provincia di Messina, la prima e unica vacanza in campeggio libero, la tenda vicina al mare, accanto alla nostra, quella di due altri giovani che non ho più rivisto, forse anche loro venivano da Torino. Nel primo pomeriggio li ho visti arrivare dal vicino paese, il capo chino, scossi, turbati, angosciati, il pianto trattenuto. Da loro ho avuto la notizia che a Bologna era scoppiata una bomba. Seduti accanto alle due tende a lungo, guardando l’orizzonte del mare per non guardarci negli occhi, abbiamo parlato di come eravamo prima di Bologna 2 agosto 1980. Quella mattina un treno entrò nella stazione di Bologna, i passeggeri al finestrino aperto, era estate, si respirava aria di vacanza, tante e tanti giovani coi loro zaini e sacchi a pelo, a un certo punto lo schermo di fece buio, l’Italia si spezzò, in pochi attimi non eravamo più come prima. A distanza di 45 anni possiamo dire che i mandanti e gli esecutori della strage un solo errore l’hanno fatto, aver scelto come obiettivo Bologna, che non si è piegata, non si è arresa, non vuole dimenticare. Stringe il cuore che alcuni studenti interpellati possano confondere la strage di Bologna (2 agosto 1980) con la strage di Marzabotto (29 settembre 1944). Tornando a quel tragico 2 agosto, la mattina del giorno dopo la strage, domenica 3 agosto 1980, leggemmo su “il manifesto” una prima pagina interamente dedicata alla strage: “Mai tanti morti. Bomba nera fa saltare in aria mezza stazione a Bologna. Questa sembra la verità, paurosa, dopo una giornata di ansiosi interrogativi. La città scende in sciopero generale”. In un lungo articolo si raccontava l’accaduto sulla base delle prime notizie si legge: “Più passa il tempo e più l’ipotesi della strage acquista credito. E tutti sono attoniti. Perché? Contro chi? Può giustificare una strage di queste dimensioni il fatto che stia per scoccare l’anniversario dell’Italicus?”. Nell’articolo di fondo intitolato Se è un attentato, il grande giornalista Luigi Pintor sembrava non volerci credere, sembrava quasi volersi illudere che “il macello alla stazione di Bologna” fosse stato causato dall’esplosione di una conduttura e non di una bomba. Per poi domandarsi: “Ma se è un attentato?”. La risposta non ha perso nulla della sua inquietante drammatica crudeltà: “Come si può progettare e attuare a freddo una simile carneficina? Come, chi, perché? […] In questa nuova e più grande strage, c’è qualcosa di apparentemente così insensato e immotivato che non è facile considerarla come l’ennesimo filo di una vecchia trama, inscriverlo in quel disegno di «destabilizzazione» che abbiamo già conosciuto”. A distanza di 45 anni giova rileggere la parte iniziale di La strage. L’atto di accusa dei giudici di Bologna (a cura di Giuseppe De Lutiis, prefazione di Norberto Bobbio, Editori Riuniti, Roma 1986): “l’accertamento della verità, opera di per sé sempre difficoltosa, è stato in questo processo ostacolato in ogni modo, poiché le menzogne, gli inquinamenti e le congiure di ogni genere hanno raggiunto un livello talmente elevato da costituire una costante”. Una costante che accomuna le stragi che hanno segnato la storia di questo Paese. Pietro Polito
Da Leopoli a Kiev in treno
Sono arrivato ieri sera a Kyiv (Kiev) partendo da L’viv (Leopoli) in treno. Il treno è partito con un ritardo di oltre un’ora, ma ha recuperato ed è arrivato sostanzialmente puntuale. Ho viaggiato in uno scompartimento da sei persone come tempo fa c’erano anche in Italia, ma che da decenni non vedo più. Oltre a me ci sono tre donne sulla trentina, che con un Inglese n po’ stentato mi chiedono chi sono, da dove vengo, cosa sono venuto a fare e, come sempre mi capita, ogni risposta (Italiano, di Roma, maestro elementare e reporter volontario di una Agenzia di Stampa Internazionale indipendente e no profit) suscita sorpresa, rispetto e ammirazione. Le signore sono molto gentili, due non conoscevano la terza arrivata, ma hanno fatto presto amicizia grazie al cagnolino simpaticissimo ed affettuosissimo che “fa banco” per tutto il viaggio. Penso che la nuova disposizione delle poltrone, per la quale tutti si danno le spalle, ostacoli volutamente la socializzazione tra le persone. Ricordo i viaggi in treno da ragazzino, per andare a trovare a Bologna la nonna, gli zii e cugini paterni. Verso mezzogiorno nello scompartimento, famiglie di immigrati dal Sud, che tornavano per le ferie al loro paese, tiravano fuori da mangiare ogni ben di dio e insistevano per offrirci da mangiare. Era l’Italia dei primi anni Settanta e noi, “suprematisti lombardi”, gentilmente, ma con fermezza, declinavamo gli inviti di questi lavoratori che parlavano una lingua semi-incomprensibile. Ho imparato una quindicina di anni dopo quali genuine delizie mi sono perso. La capotreno, mi spiegano, vende il tè e alcune cose da mangiare. Vado a prendere il tè, che prepara lei, poi mi viene fame e prendo un paio di bustine: arachidi e bastoncini di “pane abbrustolito e aromatizzato alle erbe” e soprattutto una scatoletta con patate liofilizzate ed aromi a cui la capotreno aggiunge acqua bollente creando un ottimo purè di patate. Dal finestrino vedo soprattutto alberi, alberi ed alberi, una specie di brughiera. Si vede a occhio che la densità di popolazione, tra una grande città e un’altra è molto bassa. Finalmente arriviamo nella grande stazione di Kiev centrale, affollatissima di gente che va e che viene dalle ferie. Negozi di ogni tipo, uno vende solo cover per i cellulari. L’unico segno particolare è il metaldetector a cui i viaggiatori devono sottoporre se stessi ed i propri bagagli. La guerra non si vede né nella stazione né all’esterno di essa, dove imponenti palazzi e veri e propri grattacieli sorgono intatti. Stesso spettacolo per gli oltre tre km che percorro a piedi, fino al monohotel: si chiama così perché le camere sono sostanzialmente “loculi di 2mq” ipertecnologici, di plastica, uno sopra ad un altro per un totale di una ventina di posti, bagni e docce in comune. Zona delle più sicure perché il centro storico, oltre ai palazzi del potere ucraino, è formato da Basiliche splendide e da ambasciate e, finora, i Russi non lo hanno sfiorato. “Come fai a dormire lì dentro?” mi chiede un’amica. “Ma quando in campeggio dormivamo in una tendina canadese era forse meglio?” Ci sono notti a Kiev in cui non si dorme a causa del terrore, dentro casa o se possibile nei rifugi, per le esplosioni dovute all’attacco dei droni. L’altro ieri l’escalation ha fatto una vera strage di civili innocenti perché un missile russo ha colpito un palazzo. Kiev è immensa e non sarà facile trovarlo. Poi la gente… e soprattutto i tantissimi adolescenti e giovani che si incontrano per le strade e nelle piazze, con tanta voglia di vivere e di dimenticare… Se solo scendessero in piazza contro la guerra, per imporre un immediato cessate il fuoco, che garantisca il diritto alla vita e ad avere un loro futuro! Del resto lo hanno fatto in questi giorni di mobilitazione per la vera democrazia e hanno vinto contro le forze governative imponendo al presidente una precipitosa marcia indietro suggellata da un voto unanime del parlamento costretto a cancellare la legge “salva corrotti”… stazione di Leopoli il treno stazione di Kiev Kiev interno kiev interno kiev interno "monohotel" Mauro Carlo Zanella
Milano, presidio a piazza Duomo. Un incontro inquietante
  Da quando è iniziato, il 16 giugno scorso, vado quando posso all’azione per Gaza che sta compiendo un gruppo di cittadini e cittadine, in silenzio, per un’ora, a Milano in piazza Duomo, dalle 18.30 alle 19.30. (milano-continua-il-presidio-quotidiano-in-piazza-duomo) Domenica 27 giugno sono al mio posto, cartello al collo, bandiera in mano. Mi si avvicina un ragazzo molto giovane, mi dirà poi che ha 17 anni e fa la quarta superiore. Mi dice che viene da una città emiliana (anche se non ha alcun accento) e che il suo cognome è ebreo. Si è svolto tra noi un fitto dialogo di oltre trenta minuti. Ma più che un dialogo, direi un ping pong di domande. Vediamo com’è andata. Si avvicina e con grande garbo mi chiede se può farmi qualche domanda, certo, rispondo. Inizierà con una raffica di domande. Tanto che dopo alcune gli dico: “Facciamo così, una domanda per uno” È d’accordo.  Le sue prime domande vertono su: “Ma se venisse attaccata la sua città…” “Ma se Milano attaccasse Monza…” “Ma se …” Io rispondo con calma, è chiaro che mi vuole portare sul terreno per cui è giusto e legittimo difendersi con le armi. Cerco di portarlo su un terreno più realistico e sul fatto che ogni situazione sia specifica, non vi siano risposte assolute, ma che sicuramente, tendenzialmente, non sarei per prendere le armi, oggetti che non ho mai toccato in vita mia, e vorrei che mio figlio non lo facesse, anzi nessuno al mondo e che, a questo, si unisse la chiusura delle fabbriche di armi. Cerco di spostare il piano del discorso sulle ingiustizie crescenti nel mondo, sulle dinamiche oppresso-oppressore, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sui ricchi sempre più ricchi e una popolazione che impoverisce, sul diritto di viaggiare nel mondo e sul non diritto a fare questo… Lui mi chiede se sono di destra o di sinistra. È una domanda che sopporto poco, sono sempre più stufo di etichette che lasciano il tempo che trovano, comunque, insiste e gli dico che sicuramente sono “storicamente” vicino alla sinistra. Cerco di declinare questo però: ovvero, da che parte sto nei conflitti, nelle lotte.  Mi chiede quindi cosa ne pensi del reddito di cittadinanza, gli dico che non è stata una battaglia che ho portato avanti, anzi, ma che credo molto di più nella riduzione di orario di lavoro drastica, per tutti e tutte, a parità di salario e comunque per una radicale redistribuzione della ricchezza. Mi dice subito: “Ma è la destra che è contro il reddito di cittadinanza? E allora come la mettiamo?” Dico che non è certo l’unica proposta del cosiddetto centro-sinistra che non condivido. Gli racconto che insegno italiano agli stranieri e che, cosa che forse molti non sanno, tanti di loro lavorano in nero in decine di ristoranti o bar vicini alla piazza dove ci troviamo. Lavorano anche 60 ore alla settimana, sottopagati. Gli chiedo se sa quanto si paga di affitto per una stanza a Milano. Mi risponde che lui sa che un monolocale o al massimo bilocale a Milano può costare anche 200mila euro. Gli chiedo: “Sì, ma un affitto?” Mi risponde: “Non lo so, io un appartamento lo comprerei, mi sembra buttar via i soldi con un affitto”. Certo gli dico: il problema è avere una bella base di soldi per comprarlo e tutte le condizioni per avere un mutuo. Lui dice: “I soldi si guadagnano, se uno ha bisogno lavora di più.” Gli dico che, se lavorano già 60 ore, come può pensare che abbiano la forza per fare un secondo lavoro? Lui mi dice che guadagnare soldi non è difficile, lui ha guadagnato ultimamente 50mila euro. Non approfondisco su come abbia fatto, ma, fosse anche vero, dubito che i miei studenti abbiano gli strumenti (criptovalute, investimenti, finanzia…) per guadagnare dei soldi così in fretta… sarebbero stupidi o masochisti a lavorare per pochi euro all’ora. Ma vabbè, andiamo avanti. Fra una domanda e l’altra gli ricordo che, se lui ha 17 anni io ne ho 60 e forse della vita ho visto qualcosa di più (mi rendo conto che è una frase da vecchio trombone), ma gli dico anche che lui mi dà l’impressione di due cose: essere “dentro” molto vecchio, ed essere parecchio presuntuoso. Glielo dico sorridendo, ma lo penso davvero. Mi chiede se so in che percentuale siano gli stranieri nelle carceri italiane: certo che lo so, vi ho lavorato dentro, ma so soprattutto quale è la percentuale di poveri e ricchi, e di uomini e donne. Mi chiede cosa ne pensi di Vannacci e poi nomina Berlusconi… Non so più cosa dirgli, comincio ad essere stufo… Parentesi importante: lui è stato per tutto il tempo con il medesimo tono, come una macchina, con lo sguardo fisso nei miei occhi, senza la minima espressione del volto, tanto meno un sorriso (tanto che quando gli scappa, rido e glielo faccio notare!). Quando guardo altrove, parlando, mi chiede perché non lo guardi negli occhi, “Non sono degno di ricevere il suo sguardo?” Gli dico che sinceramente guardo dove credo, io ho accettato di ricevere delle domande, e rispondo, ma posso guardare dove credo, anche per capire chi si muove nella piazza, cosa succede nel frattempo. Tra l’altro la persona di noi vicina a me, mi fa presente che è bene che lui non stia di fronte a me, ma di lato, in modo che il mio cartello si veda.  Mi dà per tutto il tempo del lei, in modo molto formale. Quando in un paio di occasioni, dico “Cazzo”, mi chiede di non usare questo tipo di termini. Sorrido. Tra le cose che dico c’è anche questa: “Credo che un’autocritica che possiamo farci è quella di sapere troppo poco di guerre e massacri che succedono altrove, sappiamo troppo poco di Sudan, Congo, per esempio. Di Gaza sappiamo moltissimo, ma è anche indubbio che quello che sta avvenendo lì abbia un significato e delle modalità che avranno ricadute a livello mondiale, su tutti noi. Ma -ripeto e lo credo- dovremmo sapere molto di più di quello che succede, soprattutto in Africa”. Nel nostro dialogo la questione palestinese è sempre sullo sfondo, tanto che ad un certo punto gli dico: “Guarda, se fossi vissuto 80 anni fa sarei stato (spero) dalla parte degli ebrei, di coloro che erano perseguitati, come rom e omosessuali e oppositori politici, tanto che in un campo di concentramento avrei potuto finirci anch’io. Ma aggiungo una cosa: se tra 80 anni fossi ancora vivo e un presunto governo di uno stato palestinese si comportasse come oggi si comporta il governo di Israele, sarei dalla parte degli oppressi e sarei durissimo con le azioni di quel governo palestinese”.  Ma torniamo al botta e risposta con il nostro giovane, ad un certo punto vado al sodo: “Ma tu saresti capace di sparare a dei bambini?” E qui basta l’attacco della sua risposta: “Se…” non riesco a sentire cosa dice dopo. Si fa molta fatica a dialogare con qualcuno con queste posizioni. Dentro di me vorrei piangere, sono inorridito, turbato… Non so se ricordo di aver mai parlato con qualcuno che sostenesse una possibilità di questo genere in vita mia. È un’esperienza nuova, qualcosa che non avrei mai voluto sentire da qualcuno davanti a me, così giovane poi… Ha sicuramente più futuro e vita lui, davanti, rispetto a me. Mi chiede se non credo che sia meglio guadagnare tanti soldi per poi usarli per le cause in cui si crede. Gli dico che, se vi  avessi dedicato tutto il tempo impegnato in lotte e volontariato, sarei pieno di soldi, ma soprattutto che non credo in una formula del genere. La giustizia, la conquista dei diritti, è un percorso collettivo, così deve essere, non è calata dall’alto. Le persone devono partecipare collettivamente, insieme, prendere coscienza, partecipare, crescere. Solo così i risultati “tengono”. Così si cambia la realtà, si modificano realmente le condizioni di vita, i rapporti di forza. Gli elenco le forme di lotta in cui credo, gli dico che non ho mai fatto parte di un partito e, a dir la verità, neanche di un sindacato. Gli dico che lotto da quando ero un ragazzo. Cerco di farlo. Alla fine, gli dico che io sarei perché tutti i soldati disertassero e lasciassero fare le guerre a chi le decide, da soli, che sono per l’abolizione di eserciti, fabbriche di armi e confini. Forse faccio l’errore di dirgli che, se proprio devo avvicinarmi ad un pensiero, sono vicino a quello anarchico, libertario. Apriti cielo, parte con una raffica di domande, stile interrogazione di liceo, (o forse interrogatorio) su quanto so sulla storia dell’anarchia, l’etimologia, le origini, le correnti, etc… Alla fine credo che raggiunga l’obiettivo: stanco, non rispondo ad una sua domanda. Perfetto, è soddisfatto, ringrazia, saluta, ci diamo la mano e dice che deve andar a prendere il treno (sarà vero? Boh…). Rimango a pensare parecchio a questo incontro. Mi ricorda quando ventenne all’università statale c’erano quelli che sulla porta di ingresso stavano lì e cercavano di fermarti per parlare, non ricordo se erano di Battaglia comunista, spartachisti, quarta internazionale… Fermarsi rischiava di essere uno stillicidio. Confesso che credo di essermi fermato un paio di volte, poi li salutavo cordialmente, ma tiravo dritto. In sostanza: questo giovane dava l’impressione di essere preparatissimo e formato nel cercare e sostenere questo tipo di dialoghi (ripeto, non so se un dialogo è fatto solo di domande, con tono inquisitorio). Comunque, il suo volto, il suo atteggiamento sembrava proprio studiato. In fondo, penso, un atteggiamento del genere, per quanto massimamente educato (nella forma), nella sostanza trasmette una grande aggressività, assomiglia di più ad interrogatorio, un cercare in tutti i modi di “far cadere” l’avversario. Una partita a scacchi, ma con del sadismo, molto nello sguardo, perché si vuole piegare chi si ha di fronte.  Anche questo incontro fa parte del nostro essere in piazza Duomo, ma, mi dico anche: in queste nuove generazioni c’è una discreta fetta che avanza e che punta (se non c’è già arrivata) a quell’egemonia culturale che prima pendeva dall’altra parte della bilancia. Rimane il fatto culminante: un giovane di 17 anni non esclude che sia giusto e necessario uccidere dei bambini.  Non c’è dubbio che il nostro essere in piazza comporta una fatica fisica, intellettuale ma anche, a volte, soprattutto emotiva. Coraggio e andiamo avanti. Andrea De Lotto
E’ su PeerTube il video della Local march for Gaza
E’ on line il video realizzato da Alberto Conte sulla Local March for Gaza Un’esperienza di lotta nonviolenta per il cessate il fuoco a Gaza, per la libertà per i palestinesi e, quindi, per il genere umano. Partiti da Oropa (BI) per il primo cammino che ha portato almeno 160 persone dai monti a valle per dire che dobbiamo “restare umani”, passo dopo passo disporsi all’ascolto dell’altro e rigettare la violenza in ogni sua forma. Cosa c’è di più non violento del camminare? Scrivo su Pressenza, tra i promotori della Marcia mondiale per la pace e la nonviolenza, ma si può citare la Perugia – Assisi , o, addirittura, le marce da Selma a Montgomery Le Local march prendono ispirazione da tutto ciò e dalla Global March to Gaza, declinandola sui territori e usando come mezzo il cammino. A proposito di mezzi… si sa che per i nonviolenti il fine non giustifica affatto i mezzi, come sostiene ogni buon manuale di politica da Macchiavelli in poi. E allora il video è caricato su una piattaforma libera. Si chiama PeerTube PeerTube non profila, non ruba i tuoi dati, non è governata da algoritmi opachi e moderazioni oscure. E, soprattutto, non veicola camapgne di disinformazione a favore del governo d’Israele e del genocidio dei palestinesi. Quindi : Viva PeerTube, Viva le marce, Viva la nonviolenza, Viva la libertà e buona visione di Ettore Macchieraldo     Ettore Macchieraldo
Manifesto degli insegnanti per Gaza
Riceviamo da Tiziana Guidi, una delle promotrici e volentieri pubblichiamo questo importante documento. In fondo alla lettera al Ministro Valditara si trovano i riferimenti per contatti a informazioni. La scuola è il luogo dove si sviluppano abilità, conoscenze e competenze, e dove si apprendono i veri valori della vita. Oggi il nostro ruolo di educatori non ha senso e non è credibile se non prendiamo una posizione netta contro la risoluzione violenta dei conflitti e il genocidio in corso a Gaza ed in Cisgiordania Non si può rimanere indifferenti di fronte al dramma che sta vivendo la popolazione palestinese e in particolare per le sofferenze indicibili dei bambini e dei ragazzi. La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata nel 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, stabilisce quali sono i diritti inviolabili di bambine, bambini e adolescenti e i doveri degli adulti nei loro confronti: nulla di tutto ciò oggi è possibile in Palestina e Cisgiordania. Ad oggi ai bambini palestinesi  viene negato: il diritto all’istruzione e allo sviluppo il diritto alla protezione dalla violenza e dagli abusi il diritto a un ambiente sicuro e sano, ma soprattutto il diritto all’esistenza! Lanciamo un appello al mondo della scuola invitandolo a sottoscrivere questo documento che così riassume la nostra posizione: Condanniamo la violenza e le violazioni dei diritti umani Ribadiamo l’inalienabilità del diritto all’istruzione e allo sviluppo per tutti i bambini e le bambine palestinesi. Denunciamo la grave crisi umanitaria che avrà conseguenze devastanti a breve ed a lungo termine sulla salute fisica e mentale della popolazione In nome di ciò chiediamo: L’immediato cessate il fuoco e la protezione dei civili. Il riconoscimento dello Stato di Palestina e l’applicazione immediata della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza Il ripristino dei confini antecedenti al 1967, come da risoluzione n. 242 dell’ONU L’immediata cessazione di invio di armi allo Stato d’Israele ed il divieto di qualsiasi collaborazione militare con esso da parte del governo italiano Insieme per una pace giusta e duratura. Promotori e primi firmatari: Tiziana Guidi, Francesca Russo e Alberico Mitrione. Adesioni: Associazioni: La Comunità per lo sviluppo umano- Av, Irpinia in movimento, Insieme per Avellino e l’Irpinia, Unicef- Avellino, L’Angolo delle storie, ASD Taekwondo – Avellino, Controvento, Arci Saviano, Aps Cuore al centro, Pax Christi-AV, Archeoclub d’Italia-Avellino, Zia Lidia Social Club, La mela di Odessa, L’albero vagabondo, Il Bucaneve – edizioni e saggio, Info@Irpinia, Radio Arci Masaniello, L’Albero della vita, Edizioni Disvelare. Gruppi musicali, teatrali e di danza: I Lumanera, Teatro 99 posti, La Bottega del Sottoscala, Puck Teatral, Il Teatro di Gluck, Teatro d’Europa, Barabba Blues, Cantiere Danza, Emian, Muovimenti, Vernice fresca, Teatro Arci Saviano.  Pagine e gruppi FB: Avellino Rinasce, Collettivo Hurriya, Occhi di un Mondo Altro, La Comunità per lo sviluppo umano- Italia, Poesis,  Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza. Sindacati: ANIEF Avellino, FLC-CGIL Il Vescovo di Avellino Monsignor Aiello Le promotrici del manifesto hanno inoltre inviato una lettera aperta al Ministro Valditara: Gentile Ministro Valditara, di fronte  all’immane tragedia che sta colpendo il popolo palestinese non si può non provare un indicibile dolore. Chi le scrive appartiene al mondo della scuola e per noi educatori, in questi mesi, pensare di aver davanti dei giovani, dei bambini e degli adolescenti che possono godere di cibo, istruzione, accoglienza, protezione, assistenza sanitaria, mentre ai loro coetanei palestinesi oggi è negato persino il semplice diritto all’esistenza, è stato fonte di disagio e malessere: ha attanagliato le nostre coscienze condannando spesso le nostre notti all’insonnia. Da questo è nato il “Manifesto degli insegnanti per Gaza”, dalla necessità di non voltarsi dall’altra parte e di ribadire che quei sacrosanti diritti dei bambini e degli adolescenti, affermati nel 1989 dalla Convenzione che li consacrò, non possono continuare ad essere calpestati.  Così come avviene per il diritto all’autodeterminazione dei popoli, sancito nei trattati di pace al termine della 1* Guerra Mondiale proprio da un presidente americano, Woodrow Wilson,  nei suoi 14 punti,   e che  è oggi disatteso e messo all’angolo quando si parla dello Stato Palestinese. Eppure il rispetto, tra gli Stati come nelle relazioni, non può nascere senza  il riconoscimento dell’altro.   L’iniziativa del “Manifesto degli insegnanti per Gaza” è nata spontaneamente da un gruppo di tre docenti, alla fine di maggio, praticamente ad attività didattica  conclusa, ma nonostante ciò si è estesa a macchia d’olio: dai docenti agli allievi, poi ai loro genitori, al mondo della cultura ed alla società nelle componenti più varie, confermando quella naturale trasversalità che il nostro mondo scolastico ha nelle comunità.                                  Ha finito per coinvolgere in poco più di un mese più di mille persone, 20 Associazioni, oltre 70 tra scrittori, musicisti, artisti, gruppi teatrali, musicali e di danza, diverse pagine FB, un’agenzia stampa, due sindacati ed il sostegno del nostro Vescovo, Monsignor Aiello. Apparteniamo a una piccola città campana in un area interna qual è l’Irpinia, che è certo terra di gente testarda, ma siamo persone comuni, senza alcun superpotere e se tutto questo è stato possibile è perché il nostro disagio trovava rispondenza nel cuore di molti,  si leggeva negli occhi dei tanti che cercavano un modo per poter dire “non nel mio nome”. Perché “la libertà è l’obbedienza alla verità interiore”. C’è una strada obbligata perché le violenze in Medio Oriente si plachino da ogni parte, e questa passa dal riconoscimento dello Stato della Palestina, poiché soltanto dando pari dignità ai due popoli che abitano quei territori essi potranno intraprendere un dialogo autentico e costruttivo.  Abbiamo ascoltato la premier Meloni dire che sarebbe “prematuro” tale riconoscimento e ci viene spontaneo chiederci: quale tempo viene considerato congruo perché la Palestina veda riconosciuto il suo diritto all’autodeterminazione? 77 anni sono un tempo considerato troppo breve? Noi crediamo di no. Così come crediamo necessaria la non collaborazione con lo Stato d’Israele fino a quando non cessi la sua politica di genocidio. Pertanto, gentile Ministro Valditara, le chiediamo di esercitare il suo peso all’interno del governo italiano affinché  l’Italia, seguendo l’esempio del Vaticano e delle altre potenze europee che lo hanno già fatto, riconosca lo Stato di Palestina ed interrompa ogni rapporto di partenariato con Israele fino a quando non muti la sua politica. Professoresse Tiziana Guidi e Francesca Russo. Informazioni di contatto: kefinovanta@yahoo.it francesca.ing.russo@gmail.com    Redazione Italia
Israele: le manganellate non fermano le iniziative del fronte pacifista
‘Massive’, ovvero ‘enorme’, partecipatissima, potente e affollata come non mai di cartelli e fotografie di corpicini gazawi scheletriti, oltre ai ritratti dei bambini morti a migliaia che da mesi riempiono ogni giovedì sera la grande piazza Habima di Tel Aviv. Questa la descrizione che ci arriva dalle varie pagine social del fronte pacifista Israelo-Palestinesi, nonostante le manganellate che hanno colpito alcuni manifestanti che si trovavano in pacifico sit-in ieri sera lungo King George Street. Nonostante tutto, dunque, la coalizione ‘It’s Time’ che si era fatta promotrice del Peace Summit dí Gerusalemme l’8/9 maggio scorso, non si ferma e annuncia una serie di iniziative proprio questo weekend. “E’ venuto il tempo, per tutti coloro che stanno resistendo contro queste crudeltà, di reagire con una voce collettiva contro la criminalità di chi ci governa. Reagiamo tutti insieme per mettere fine a questa sofferenza e per l’inizio della guarigione anche nostra. Basta con le uccisioni, basta con la fame, basta con l’occupazione!” A partire da domenica, dunque, che per Israele coinciderà con “Tisha B’Av” (‘festa’, per modo di dire, del digiuno, in effetti una della date più tristi del calendario giudaico insieme allo “Yom Kippur”) la convocazione sarà per tutti a Piazza Disengoff a Tel Aviv, per un digiuno congiunto tra tutti i movimenti che da tempo si muovono per la co-resistenza e per la pace. E per chi non potrà partecipare di persone, ecco un elenco continuamente aggiornato sui social, di situazioni alle quali dare sostegno: dal progetto “Gaza Soup Kitchen” a numerose altre iniziative promosse dal New Israel Fund, dai Combatants for Peace, da Standing Together… la Piazza insomma non si ferma. Pressenza IPA