Il tesoro di Luisa MuraroRiprendiamo dal sito della Libreria delle donne di Milano
La pubblicazione nell’ultimo dei Quaderni di Via Dogana della conversazione
integrale inedita di Luisa Muraro con Clara Jourdan svoltasi nel 2003 (Esserci
davvero, Libreria delle donne, Milano 2025) ha anzitutto il pregio di farci
scoprire gli aspetti meno scontati e più sorprendenti della personalità della
ben nota filosofa della differenza sessuale.
Sollecitata con garbata finezza da Clara Jourdan che non si limita a formulare
domande ed esporre le proprie osservazioni, ma contestualizza, mette a punto,
sottolinea rimandi a vita e opere, Luisa Muraro coglie e accoglie suggestioni,
schizza una sorta di autoritratto enunciando i propri pensieri con audacia e
nondimeno con sobrietà, si sofferma con franchezza sui tratti spinosi del
proprio percorso esistenziale-politico sino ad affievolire l’alone di una certa
baldanza caratteriale e a tentare di svelarne il punto cieco.
Esserci davvero si apre con il riferimento di Luisa Muraro alla madre che ogni
due mesi «sentiva l’esigenza interiore di andare al Santuario di Monte Berico»
edificato sui colli di Vicenza e dedicato alla Madonna: un pellegrinaggio in
forma di «divertimento autorizzato delle donne»; «una specie di allungamento
religioso del cristianesimo, ma, sappiamo, era la religione precristiana della
grande dea», data la presenza della Madonna sotto il cui manto trovano rifugio
tutti; un viaggio verso un luogo di devozione mantenuto in vita dal sentimento
religioso dell’umanità femminile.
Ma non c’è traccia di una rappresentazione idealizzata della madre, giacché
Luisa Muraro puntualizza: «[…] l’importanza di mia madre nella mia vita e per me
è anche problematica e oscura. Io non sono una donna che ha avuto un rapporto
buono con sua madre, nel senso di un rapporto felice. Ho avuto un rapporto buono
nel senso di un rapporto che c’era effettivamente».
Poche pagine più avanti le sue risposte acquisiscono una tonalità sempre più
confidenziale: confessa che i suoi studi, in particolare nella giovinezza, sono
stati orientati da qualcosa di instabile, nondimeno presente dentro di lei «in
una maniera molto segreta»; invece, «per esserci concretamente in carne e ossa»,
dichiara di aver avuto bisogno di appoggiarsi a delle persone in una relazione,
nella quale gioca «una parte non piccola di egocentrismo. Cioè, sono io che ho
bisogno, e l’altro, l’altra, sono l’appoggio simbolico. Non è tanto una
relazione di scambio. Certo che la relazione si stabilisce, e lo scambio si
stabilisce, ma è uno scambio dispari».
Così di volta in volta le è capitato di appoggiarsi «a chi ha l’aria di sapersi
orientare» (Bontadini, Rosetta Infelise, Fachinelli, Lia Cigarini) e via via di
sganciarsene, tranne nel caso dell’incontro con il femminismo della Cigarini,
ovvero «una pratica di relazione, il partire da sé e l’efficacia che ha la
modificazione di sé, della propria relazione con le cose». Grazie a questo
incontro Luisa Muraro è infatti uscita dall’esserci «truccando i dadi», «facendo
carte false», e ha avvertito finalmente con felicità un «esserci in prima
persona in qualcosa che accade», un esserci davvero.
Il desiderio fisiologico di scrittura che caratterizza il suo itinerario
esistenziale, o meglio la sua strategia esistenziale, finisce dunque con il
trovare casa e dimora nella pratica politica delle donne assunta come forma
simbolica che le avrebbe permesso di scrivere. È ciò che le accadde con La
Signora del gioco. Episodi della caccia alle streghe (Feltrinelli, 1976), il
libro che segna un cambiamento di rotta nella rappresentazione storiografica
delle donne: «Avevo un materiale, perché la caccia alle streghe mi interessava
da tempo; avevo un materiale emotivo e anche contenutistico, culturale, gli ho
dato la forma di una pratica politica che ha reso possibile la scrittura».
È ciò che accadrà con le opere che più risolutamente aderiscono a questa
strategia esistenziale, ne dà conferma la stessa autrice non senza cercare di
snidare un altro suo aspetto radicato in profondità: «Certo, non è solo la
scrittura, è l’avere a disposizione una domanda di scrittura – Luisa, scrivi! –
che motiva e autorizza che io possa dedicarmi a questa attività che
probabilmente fa dentro di me un ordine simbolico. Qualcosa che ha a che vedere
con il dare forma, a me».
Dopo essere stata sviata dalla ricerca su Della Porta (Giambattista Della Porta
mago e scienziato, Feltrinelli 1978) e dopo la virata sulla linguistica che le
ha ispirato quel piccolo grande libro che s’intitola Maglia o uncinetto.
Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia
(Feltrinelli 1981), Luisa Muraro racconta come è andata con Guglielma e
Maifreda. Storia di un’eresia femminista (La Tartaruga 1985), «una storia di
grandezza femminile».
Commuove leggere delle relazioni intrattenute con altri studiosi/e, va dritta al
cuore la straordinaria passione che ha accompagnato il suo lavoro alla
Biblioteca Ambrosiana: «… ero come in perenne estasi, perché ero tutta presa da
questa ricerca, proprio in una maniera che dice qualcosa di questo rapporto che
ho, quando la materia della storia, o della mia vita, o della vita degli altri,
si può trasformare in scrittura».
Ammaliata dagli sprazzi narrativi e dai brevi inserti speculativi –
un’alternanza-commistione che è la cifra della scrittura di Muraro – vengo così
a conoscenza anche del prezioso lavorìo di tessitura che sta dietro la sua
composizione di Non credere di avere dei diritti (Rosenberg & Sellier, 1987),
una messa in parole di una pratica politica, «una narrazione libera di donne che
vogliono raccontare la loro storia», quella vissuta fra il 1966 e il 1986 a
Milano e non solo.
E questo vale altresì per l’impresa di Diotima, la comunità filosofica femminile
nata tra il 1984 e il 1985 all’Università di Verona, e per il primo testo di
Diotima, Il pensiero della differenza sessuale (La Tartaruga, 1987) come per
quelli successivi. E ovviamente in Esserci davvero non può mancare il
riferimento all’apporto fondamentale dato da Luisa Muraro fin dal primo numero,
del giugno 1991, a Via Dogana, la rivista della Libreria delle donne di Milano
che era stata inaugurata nel lontano 1975 e di cui ricorre quest’anno il
cinquantenario.
Una rivista di politica delle donne, vale a dire una politica che non mira alla
spartizione del potere, perché quando è in gioco la libertà femminile il
cambiamento «si sviluppa con la presa di coscienza e questa ha la stessa natura
del fuoco, si accende, si alimenta e non diventa possesso» – come si legge sul
sito https://www.libreriadelledonne.it/categorie_pubblicazioni/viadogana/.
A proposito del libro coevo alla pubblicazione del primo numero di Via Dogana,
L’ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, 1991), che segna un taglio
nella storia del pensiero, Luisa Muraro ne espone la genesi e riconosce che pur
essendo autentico è per lei un libro oscuro: «l’ho scritto in condizioni che me
lo rendono non uno specchio per me, e d’altra parte io sono una che non si
specchia volentieri. Però le altre donne, non tutte, ma molte altre donne si
sono specchiate nel libro e me lo hanno detto, diventando loro lo specchio per
me. E allora ho capito. Più che nei miei prodotti io confido nelle lettrici. […]
i lettori, le lettrici sono fondamentali per l’esistenza di un’opera – questo
viene sempre più riconosciuto – ma possono essere fondamentali anche per la
sopravvivenza degli autori».
L’ultima tappa di questa conversazione così variegata e piroettante che è
Esserci davvero riguarda la decisione di Luisa Muraro di dedicarsi allo studio
di Margherita Porete (si veda Lingua materna scienza divina. La filosofia
mistica di Margherita Porete, D’Auria M. 1995) e la sua dedizione alla scrittura
mistica di donne. Sono pagine nelle quali si percepisce l’intensità del fervore
che connota la scoperta della «libertà delle donne [che] diventa proprio
un’apertura d’infinito», la scoperta di una teologia in lingua materna – e il
pensiero corre a Le amiche di Dio. Scritti di mistica femminile (D’Auria M.
2001) e soprattutto a Il Dio delle donne (Mondadori 2003).
La più bella intuizione che grazie a questo suo attraversamento delle mistiche
mi/ci viene donata è che «tutto è storia ma la storia non è tutto. C’è qualcosa
che eccede e questo qualcosa è vuoto, non è nominabile, non è dicibile, è un
niente, è un niente che però io considero un passaggio all’essere». C’è altro,
sostiene Muraro, ovvero c’è «il senso della incompiutezza di ogni impresa umana.
Non è che vada sanata con la dimensione religiosa che per noi è perduta, ma la
consapevolezza del c’è altro, il senso della incompiutezza e della fragilità, va
salvaguardato, e senza cadere nel nichilismo e nella disperazione: come nella
mistica, è nell’attesa che questo altro venga a noi».
Si tratta di disfare la maglia di questo mondo per fare posto ad altro: «Altro,
che cosa?». Luisa Muraro ha cercato la risposta nei testi delle scrittrici
beghine e delle poetesse preferite e ha trovato, «come risposta, che questo
“altro” è l’impossibile: la teologia in lingua materna insegna in pratica (e,
entro certi limiti, anche in teoria) a stare al mondo con la certezza che in
esso ha luogo, o può trovarlo, anche l’impossibile» (Il Dio delle donne, 2003,
p. 84). In tempi di apparente agonia dell’umano imposta dai potenti di turno il
tesoro di Luisa Muraro si racchiude in definitiva nella potenza del c’è altro,
che tradotto nella nostra quotidianità consiste per l’appunto nella salvaguardia
della fragilità e dell’incompiutezza e prepara ogni singolo/a a un altro ordine
di rapporti ora, qui, su questa Terra.
Redazione Palermo