La nuova Nakba
Rifiuti L’accumulo dei rifiuti attorno ai campi di sfollati è un pericolo per la salute della popolazione. Il municipio di Gaza ha denunciato gli attacchi dell’artiglieria israeliana contro gli operatori impegnati a rimuovere i cumuli di rifiuti. “Oltre ad aver chiuso gli accessi alle discariche che ricadono nella zona sotto l’occupazione, i caccia e l’artiglieria prendono di mira i nostri mezzi”. La politica israeliana mira a rendere impossibile la vita a Gaza, per facilitare la deportazione “volontaria” della popolazione. Il responsabile del municipio di Gaza città addetto all’ambiente ha affermato, in un collegamento con Anbamed, “il significato di una determinazione di Israele a rendere la vita impossibile è quello di costringerci a partire. Vogliono ripetere la cacciata del 1948. Nella sola città di Gaza si sono accumulati 350 mila metri cubi di rifiuti e non abbiamo i mezzi per rimuoverle, anche a causa del blocco di rifornimento di carburanti”. Rifugiati L’Assemblea generale dell’ONU ha innovato l’incarico all’Unrwa per i prossimi 3 anni. 151 a favore, 10 contrari e 14 astenuti. I tentativi israeliani di annientare la memoria storica della Nakba sono falliti. L’attacco frontale del governo di Tel Aviv contro l’Unrwa mira infatti alla cancellazione degli strumenti internazionali che garantiscono i diritti storici dei palestinesi: il diritto al ritorno, lo status di rifugiati, il risarcimento. L’esercito israeliano ha deportato tutti gli abitanti dei campi profughi di Jenin, Tulkarem e Nour Shams, per cancellare la memoria delle deportazioni del 1948. Per ammettere il loro ritorno, i militari hanno proposto la rinuncia allo status di “rifugiato” e il non ritorno degli uffici e scuole dell’Unrwa. Ostaggi La vita di Marwan Barghouti è in pericolo.  Ieri, il figlio del leader incarcerato Marwan Barghouti ha diffuso il seguente grido: “Stamattina mi sono svegliato con una telefonata da un prigioniero rilasciato. Mi ha detto: ‘Tuo padre è stato maltrattato fisicamente. Gli hanno rotto denti e costole, gli hanno tagliato via parte di un orecchio e gli hanno rotto le dita a più riprese per divertimento’. Cosa dovrei fare? Con chi dovrei parlare? A chi dovrei rivolgermi? Viviamo in questo incubo ogni giorno… Mio padre ha 66 anni ormai, oh Dio, da dove prenderà la forza?” La famiglia ha tentato di appurare la veridicità delle informazioni e la reale identità del relatore del messaggio. Ma le autorità carcerarie israeliane non ammettono visite e non forniscono informazioni e respingono ogni richiesta delle istituzioni internazionali di visitarlo. Libertà per Marwan Barghouti Sono oltre 30 gli ospedali che parteciperanno mercoledì 10dicembre alla giornata di mobilitazione “La sanità non si imprigiona” per chiedere la liberazione degli oltre 90 sanitari palestinesi detenuti nelle carceri palestinesi. Da Trento a Palermo si terranno dei flashmob che, ricordiamo, sono aperti a tutti i cittadini. Per leggere tutto l’elenco degli ospedali coinvolti: La sanità non si imprigiona – Anbamed È in corso in Italia ed a livello internazionale, la campagna in favore della liberazione dei prigionieri politici palestinesi e in particolare per mettere fine alle torture e maltrattamenti. Al centro di tale campagna vi è l’obiettivo di salvare il Mandela palestinese, Marwan Barghouti, da 23 anni in carcere.  La campagna viene lanciata alla vigilia della giornata mondiale di solidarietà con il popolo palestinese indetta dall’ONU: Campagna internazionale per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi – Anbamed ANBAMED
Le lettere di pace della Flottilla dei Bambini del Mondo
Le Lettere di Pace, inviate da scuole italiane e straniere ai responsabili politici attraverso la “Flotilla dei bambini del mondo” – che continua a solcare il mare – hanno ormai superato le diverse migliaia, trasformandosi in un movimento pedagogico e civile che sorprende per maturità, partecipazione e profondità. Promossa dal Gruppo Educazione alla pace e alla nonviolenza del Movimento di Cooperazione Educativa, con il sostegno di oltre quaranta associazioni nel mondo aderenti alla Federazione Internazionale dei Movimenti di Scuola Moderna, l’iniziativa ha coinvolto insegnanti e classi dagli asili alle scuole superiori, mostrando come l’educazione possa davvero diventare un laboratorio vivo di riflessione sulla pace. I docenti si sono assunti un ruolo ulteriore rispetto a quello tradizionale: non solo trasmettitori di contenuti, ma veri educatori alla pace. Hanno guidato alunne e alunni a interrogarsi sulle guerre che attraversano il pianeta, sulle responsabilità politiche e soprattutto sulle possibilità concrete di reagire, anche con un gesto semplice come la scrittura collettiva di una lettera. È nata così la pratica della “messa in mare” delle Lettere di Pace, un gesto simbolico e al tempo stesso concretissimo, perché quelle lettere sono finite sui tavoli di presidenti di organismi internazionali, figure apicali della politica europea e nazionale, amministratori locali e autorità morali come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Papa Leone XIV, ai quali gli organizzatori sperano di poter chiedere un incontro con gli studenti. Il Presidente della CEI, cardinale Matteo Zuppi, ha incoraggiato apertamente il progetto, sottolineando come sia fondamentale riconoscere ai giovani il diritto di esprimersi sulla pace, sulla guerra e su tutte le questioni che riguardano il loro futuro. È un incoraggiamento che ha trovato eco nel testo con cui il Movimento ha invitato le classi ad aderire: fermare le guerre non è semplice ma la pace si costruisce ogni giorno, iniziando proprio a scuola, imparando ad ascoltarsi, a parlarsi, a risolvere i piccoli conflitti nel rispetto reciproco. Se le lettere viaggiano numerose, se i media ne danno conto, allora anche i politici non potranno ignorare il messaggio delle giovani generazioni, che immaginano il loro futuro con una sola parola: pace. In un mondo in cui l’Unione Europea e le Nazioni Unite, nati come strumenti di prevenzione dei conflitti, non riescono più a garantire una prospettiva stabile di disarmo e riconciliazione, la voce dei più piccoli risuona come un monito e un atto di fiducia. Le guerre continuano a devastare territori e vite, a cancellare speranze e diritti, e parlare di disarmo sembra sempre più un’utopia. Per questo le scuole sentono su di sé un compito nuovo e urgente: educare alla pace, alle relazioni nonviolente, alla ricerca della giustizia come fondamento della convivenza. La didattica democratica e cooperativa, tradizione storica del Movimento di Cooperazione Educativa, permette alle classi di discutere, approfondire e confrontarsi su temi di vita reale. Tutti possono contribuire con passione, entusiasmo e sensibilità, sentendosi parte di un percorso collettivo. È questo approccio che ha favorito un’adesione così ampia da rendere necessaria la proroga dell’iniziativa fino al termine dell’anno scolastico. Le classi potranno continuare a partecipare inviando le proprie lettere e condividendone copia all’indirizzo dedicato, mentre sul sito del MCE è disponibile l’area con i materiali didattici utili alle attività. Accanto alle Lettere di Pace proseguirà anche “Facciamo la pace a…”, il progetto nazionale e internazionale che invita bambini e ragazzi a costruire pace nei luoghi quotidiani: in casa, a scuola, con gli amici, attraverso la gestione nonviolenta dei contrasti. È un modo per far comprendere che la pace non è un concetto astratto né un compito delegato solo ai potenti, ma una responsabilità che si esercita ogni giorno nei gesti più semplici. Il percorso è guidato dal Gruppo Nazionale di Ricerca sull’Educazione alla Pace e alla Nonviolenza del Movimento di Cooperazione Educativa, coordinato da Roberto Lovattini. Il MCE è riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione come ente qualificato per la formazione del personale scolastico, e questa iniziativa conferma il valore della sua azione educativa. In un tempo segnato da conflitti e polarizzazioni, le Lettere di Pace ricordano che un altro modo di guardare il mondo è possibile: basta ascoltare la voce limpida e determinata dei più giovani. Laura Tussi
Le nostre lotte valgono più dei vostri profitti
La repressione si abbatte contro il movimento per la Palestina a Catania Piovono a Catania misure cautelari e multe per decine di migliaia di euro nei confronti di attivist3 che hanno partecipato ai blocchi del porto e della stazione durante gli Scioperi Generali del 22 settembre e del 3 ottobre. Migliaia di persone in piazza, equipaggi di terra che hanno accompagnato dall’inizio alla fine la partenza delle navi verso Gaza dai porti siciliani e un corpo collettivo che ha risposto alla chiamata del “blocchiamo tutto”, partita dai portuali di Genova per rifiutare ogni complicità con il genocidio. La Costituzione e il ripudio della guerra ai tempi del genocidio e del riarmo diventano carta straccia; il Diritto internazionale e gli obblighi degli Stati di non concorrere nelle violazioni di diritti umani pure. Il genocidio non deve avere disturbatori: le cose, le merci e l’economia non contano nulla in confronto alle vite umane. Il blocco della produzione e dei transiti, storica pratica di ribellione contro le ingiustizie economico-sociali, diventa una questione di ordine pubblico. La crisi economica morde e il conflitto sociale organizzato va represso sul nascere. Il movimento in solidarietà della Palestina cresce in tutto il mondo e l’unico modo che i Governi hanno per cercare di fermarlo è la sua criminalizzazione. In Italia, come in Germania, in Inghilterra la deriva autoritaria corre alla velocità dei droni che ogni giorno incombono sulle teste di chi subisce l’occupazione coloniale e la distruzione in Palestina e in Cisgiordania. Non a caso sono in discussione disegni di legge che mirano a equiparare antisemitismo e antisionismo con ciò aggiungendo un ulteriore tassello alla deriva repressiva che il nostro Paese sta vivendo. Non è un caso che l’economia di guerra trovi consacrazione nella legge di bilancio. La guerra non è lontana: entra nelle nostre vite, nelle nostre buste paga, nei tagli ai servizi pubblici, nelle infrastrutture a pezzi, nella precarietà, nell’ipoteca del futuro delle giovani generazioni. La Palestina non solo è un laboratorio di colonialismo, violenza, società fondate sull’ipercontrollo tecnologica e lo sfruttamento delle risorse ma anche lo squarcio del velo sulla linea che i Governi non sono disposti a tollerare quando le piazze iniziano a dire “non nel nostro nome”. USB fa della solidarietà una pratica di lotta reale e rigetta al mittente l’antica tecnica del divide et impera che mira a spaccare i movimenti. Per queste ragioni siamo a fianco di tutti i multati e denunciati a Catania, tra cui nostri dirigenti sindacali e attivisti, ai quali abbiamo già offerto piena tutela legale: se toccano uno, toccano tutt3. Non ci faremo intimidire. Dal fiume al mare la solidarietà non la cancellate. Le nostre lotte valgono più dei vostri profitti.   Unione Sindacale di Base
Decreto Delrio su antisemitismo e antisionismo: svolta repressiva anche del PD
L’INCEDIBILE ASCESA DELLA EQUIPARAZIONE TRA ANTISIONISMO E ANTISEMITISMO. L’ENNESIMO DECRETO DI LEGGE DI STAMPO REVISIONISTA PER APRIRE UNA NUOVA CACCIA ALLE STREGHE…QUESTA VOLTA DA PARTE DEL PARTITO DEMOCRATICO CON GRAZIANO DELRIO. Incalcolabili sono i danni recati dalla parentesi renziana a capo del Partito Democratico, danni che poi portano alcuni nomi e cognomi con posizioni in politica estera analoghe, o fotocopia, di quelle delle destre. A volte tornano sotto i riflettori distinguendosi con l’inutile servilismo verso lo Stato di Israele, presentando una proposta di legge che equipara l’antisionismo all’antisemitismo, superando a destra i parlamentari di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. Il Disegno di Legge, presentato da Graziano Delrio, denominato “Disposizioni per il rafforzamento della strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, e per la prevenzione ed il contrasto all’antisemitismo e delega al Governo in materia di disciplina degli interventi relativi ai contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme online di servizi digitali” già dal titolo fa capire il fine della iniziativa: un controllo repressivo che riguarderà scuole, università, realtà sociali e i social destinatari della campagna securitaria (clicca qui per le info). Il disegno di legge segue i classici copioni sperimentati in qualche trasmissione televisiva, narrare la piaga dilagante dell’antisemitismo, dell’odio verso gli ebrei condito da rigurgiti razzisti. E così gli autori del genocidio, i sionisti, in un colpo solo diventano le vittime. E la fonte da cui attingere dati e informazione non è certo super partes, parliamo del monitoraggio operato dal Centro di documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) (https://www.osservatorioantisemitismo.it/), vicino ad ambienti sionisti e da anni attivo nel catalogare ogni espressione di odio contro gli ebrei che spesso e volentieri vengono confusi con i fautori del sionismo. Peccato che tra le segnalazioni si possa ritrovare anche un semplice adesivo di solidarietà con la Palestina affisso alla fermata dei bus o all’ingresso di una mensa. La narrazione parla di un incremento degli episodi antisemiti molti dei quali non sarebbero tracciati giusto a drammatizzare ulteriormente la situazione.  Leggiamo testualmente: «Le evidenze raccolte non sono solamente allarmanti da un punto di vista quantitativo, essendo rilevante l’esame qualitativo della tipologia degli atti segnalati, consistenti, tra l’altro, in invettive e stereotipi antisemiti nella realtà virtuale e nella vita quotidiana, in particolare nelle istituzioni scolastiche e universitarie. Si ravvisano altresì minacce a persone ed istituzioni ebraiche, atti di discriminazione (si pensi a esponenti politici e giornalisti cui è stata resa impossibile la partecipazione agli eventi pubblici) e persino alle aggressioni fisiche in luoghi pubblici». Avete letto bene? In Italia radio, giornali e tv sarebbero occupati da antisemiti, giornalisti e politici, manipoli di razzisti si aggirerebbero per le città nel solo intento di impedire l’esercizio di parola agli ebrei recendo loro violenza verbale e fisica. La verità è che le reti Mediaset e la Rai sono sistematicamente occupate da esponenti del centrodestra con posizioni filoisraeliane, parliamo di oltre il 90% degli ascolti televisivi, aggiungiamo i giornali nelle mani di pochi gruppi editoriali e schierati a destra o, se su posizioni del centro sinistra, vicino alle posizioni governative in materia di politica estera. Vittimismo o strategia del complotto? Continuando a leggere il disegno, l’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo si fa sempre più forte fino a denunciare un’autentica persecuzione degli ebrei ai quali sarebbe impedito di manifestare la loro stessa religione e identità. Negli ultimi anni da parte dei movimenti solidali con la causa palestinese non c’è stato alcun gesto contro simboli ebraici e sinagoghe, al contrario gli episodi di aggressione ai danni di attivisti filopalestinesi risultano innumerevoli. La narrazione vittimista è funzionale a descrivere una realtà falsata, le grandi adesioni alle mobilitazioni contro il genocidio possono essere avversate non criminalizzando i milioni di partecipanti, ma facendo credere che nel Paese il germe del razzismo antisemita sta prendendo corpo, il passaggio successivo sarà la criminalizzazione di tutti i solidali e gli antisionisti trasformati in odiatori da tastiera al pari di chi lancia invettive senza costrutto assalito dall’odio instillato dalle dichiarazioni avventate di politici senza memoria. E tra gli odiatori chi ritroviamo? Una lunga sequela di nemici che vanno dai movimenti sociali ai sindacati, dagli intellettuali non allineati agli islamici tout court, tutti accomunati da odio ed aggressività. Ma qual è il fine di questo disegno di Legge? Leggiamo dal testo: «Il presente disegno di legge si pone l’obiettivo di adattare la disciplina vigente in ambito digitale e formativo, recando misure volte a prevenire e contrastare le nuove forme di antisemitismo nonché a rafforzare efficacemente l’attuazione della Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, elaborata nel quadro di quella europea dal Coordinatore nazionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri». Incredibile la descrizione del propagarsi dell’odio antisemita che, secondo questo disegno di legge, sarebbe una minaccia pericolosa alla democrazia e alla libertà. Passando in rassegna il testo si va dalla delega al Governo per l’adozione – entro sei mesi – di uno o più decreti legislativi, volti a disciplinare in modo organico il contrasto all’antisemitismo online (il che fa presagire il controllo della rete stessa, la chiusura di bollettini, siti, pagine social e riviste di orientamento antisionista), fino alla tutela e della libertà della ricerca e di insegnamento in ambito universitario, come se l’autentica minaccia all’università non fosse rappresentata dalla Bernini e dai suoi provvedimenti che andranno ad espellere migliaia di ricercatori. Il vero obiettivo di questo disegno è la normalizzazione del controllo nelle scuole e nelle università a partire dalla sorveglianza dell’operato dei docenti, istaurando un clima repressivo e di soffocante controllo pur celandosi dietro al sommo «valore della conoscenza ed il principio della libera manifestazione del pensiero, nella fondamentale ottica del reciproco rispetto e del confronto civile» (Cass. civ. 28853/2025). E dopo l’alza bandiera arriveranno le buone azioni contro l’antisemitismo, spingendo le scuole a segnalare tutte le iniziative intraprese a sostegno di queste indicazioni con tanto di segnalazioni alle forze di polizia e al Ministero di ogni azione e opinione che possa configurarsi come antisemita. E ancora una volta si va a confondere antisemitismo con antisionismo. Chiunque criticherà l’operato di Israele verrà tacciato di istigatore dell’odio razziale alla stessa stregua di un nazista. Se questo è il disegno di legge partorito dalla fervida immaginazione di un parlamentare del PD, la prossima mossa del centrodestra sarà quella di venirci a prendere a casa per portarci in qualche carcere. Occorre fermare oggi questa follia; occorre fermarli con le ragioni, le azioni propositive e le argomentazioni di cui siamo capaci, è ormai un dovere etico e civile. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università -------------------------------------------------------------------------------- Se come associazioni o singoli volete sostenerci economicamente potete farlo donando su questo IBAN: IT06Z0501803400000020000668 oppure qui: FAI UNA DONAZIONE UNA TANTUM Grazie per la collaborazione. Apprezziamo il tuo contributo! Fai una donazione -------------------------------------------------------------------------------- FAI UNA DONAZIONE MENSILMENTE Apprezziamo il tuo contributo. 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La diplomazia americana tra la Russia e la Cina e la vendetta inglese contro la Germania
L’importanza di una ottima capacità di analisi si vede a distanza di tempo, non nella rissa da talk show, dove tutti cercano di prevalere in quell’ora e il giorno dopo dicono il contrario con altrettanta sicumera. Questo articolo, comparso ormai quasi nove mesi fa, su un giornale da noi distante […] L'articolo La diplomazia americana tra la Russia e la Cina e la vendetta inglese contro la Germania su Contropiano.
Anche Barbero censurato a Torino. E’ il fronte interno della guerra ibrida della Nato
Un nuovo divieto di tenere una conferenza a Torino. Ormai gli apparati del governo, del “Partito Unico della Guerra e della Nato” hanno scatenato una vera e propria guerra cognitiva – una delle forme della guerra ibrida – contro chiunque dissenta dalle politiche di guerra nel quale viene coinvolto il […] L'articolo Anche Barbero censurato a Torino. E’ il fronte interno della guerra ibrida della Nato su Contropiano.
Modica presidio per la Palestina
Ad agosto di quest’anno decido di partecipare a un viaggio in Cisgiordania con Assopace Palestina, guidato dalla impareggiabile e inossidabile Luisa Morgantini, che si sarebbe svolto il mese successivo. Mi sentivo paralizzata nel senso di impotenza riguardo ciò che stava accadendo a Gaza. Soprattutto, mi sentivo isolata. C’era un movimento di protesta che rilanciava notizie sui social, ma mi sembrava che fuori il mondo girasse come sempre, nella completa indifferenza di quasi tutti. A fine agosto, alla prima manifestazione per Gaza nel mio paese, eravamo i soliti quattro gatti che si mobilitano in ogni occasione. Il viaggio è stato una esperienza sconvolgente, che ha cambiato per sempre il mio modo di guardare il mondo che mi circonda. Torno con gli sguardi e i sorrisi dei palestinesi nel cuore, in tasca una promessa ripetuta ad ogni incontro: parleremo di voi, racconteremo la vostra storia, non lasceremo che il silenzio ricopra ancora una volta gli orrori dell’occupazione sionista nella terra di Palestina. Il rientro in Italia è una ubriacatura e una sorpresa: dall’aeroporto di Fiumicino alla stazione Termini e poi fino a Catania, un fiume di bandiere e cartelli, una incredibile atmosfera di gente che finalmente può uscire allo scoperto e contarsi, ritrovarsi. È il 22 settembre, il giorno della grande mobilitazione. La tristezza di lasciare la Palestina si trasforma in incredibile energia, tutti noi ci diamo da fare per raccontare in ogni occasione quello di cui siamo stati testimoni: l’oppressione feroce del sionismo da una parte, il Sumud dignitoso dei palestinesi dall’altra. Per due settimane viviamo l’euforia di essere parte del cambiamento, la sensazione che un altro mondo sia davvero possibile. Nel mio tranquillo e un po’ sonnacchioso paesello siciliano é nato in quei giorni un comitato spontaneo per la Palestina, e lo stesso è avvenuto un po’ in tutta l’isola. Con il comitato in questi due mesi si organizzano rassegne cinematografiche, mostre ( a dicembre ci sarà a Modica una collettiva che vede tra gli autori anche la pittrice gazawi Malak Mattar), pranzi solidali, incontri nelle piazze e nelle scuole. Stiamo portando avanti al Comune una mozione di gemellaggio tra Modica e Gaza. Il gruppo boicottaggio sta promuovendo una campagna di sensibilizzazione nel comparto agricolo, dove le aziende israeliane dominano il mercato di sementi e materiali per l’irrigazione. In uno dei miei viaggi a Milano, la mia città adottiva dove ho trascorso la maggior parte dei miei vissuti decenni, prima di trasferirmi nella campagna iblea, prendo contatti con attivisti locali. Sono di passaggio, ma voglio partecipare al presidio in piazza Duomo del quale avevo avuto notizie sui social. Chiedo a una compagna di viaggio come me siculo-milanese, ma lo fanno ancora? Certo, ogni giorno! Chiedi di Andrea. E così, un tardo pomeriggio freddino di ottobre mi presento in piazza Duomo, dove sono già schierati i compagni con cartelli e bandiere. Scelgo tra tanti cartelli messi a disposizione quello che più mi assomiglia, e prendo posizione. Nel via vai della piazza ancora affollata dai turisti questa ventina di personaggi fermi immobili con i cartelli e le bandiere, formano uno strano contrasto. La gente ci guarda, molti sorridono, fotografano, fanno un cenno d’intesa, qualcuno sussurra un ‘grazie’. Una signora francese mi abbraccia con le lacrime agli occhi, dice che a Parigi non si può, se esponi la bandiera arrivano i flic e ti sgomberano. Ho ammirato il gesto di resilienza e perseveranza di queste persone che ogni santo giorno con ogni tempo con la loro sola presenza silenziosa ma determinata sono un richiamo alla coscienza di tutti, piazzati come sentinelle nel cuore della città quintessenza del consumismo d’Italia. Ho pensato che dovrebbero esserci presidi in ogni città, in ogni piazza, davanti a ogni sede istituzionale, per chiedere instancabilmente la fine del genocidio, il rispetto dei diritti umani per ogni essere umano, la fine della complicità dei governi con quell’abominio che é l’entità sionista che si fa chiamare Israele. Andrea mi racconta di come è nato il presidio a Milano, e come ci si organizza, con molta semplicità. Tornata in Sicilia, ne parlo subito al Comitato, e qualcuno aderisce subito con entusiasmo. Pamela, artista eclettica, mette a disposizione il suo laboratorio per preparare i cartelli. Con Marica, Aurora e Miriana ci incontriamo, decidiamo data e giorni, e si parte! A Modica non c’è una piazza pedonale e frequentata come quella di Milano, la stagione turistica è finita e i siciliani d’inverno non affollano le strade e le piazze. Decidiamo di cominciare solo nel fine settimana, la mattina tra la fine della messa e l’ora di pranzo. Domenica 23 novembre, una beneaugurante giornata di sole dopo una settimana di pioggia ci vede schierate in piazza Matteotti insieme ad altri compagni che si sono uniti a noi. Siamo una ventina in tutto, i cartelli che avevamo preparato bastano appena per tutti. Non ci sono moltissimi passanti, é ancora un po’ presto e decidiamo per le prossime volte di modificare un po’ l’orario. Chi passa ci guarda incuriosito, qualcuno fa una foto, qualcuno ringrazia. Un signore si ferma a scambiare qualche battuta, poi se ne va dicendo che lo abbiamo fatto riflettere su aspetti che non aveva considerato. Chissà se sarà vero, io invece guardando le persone che attraversano la piazza, noto che tra loro non c’è nessuno che frequenta le riunioni, o il cinema o gli incontri che organizziamo. Sono persone normali, che forse si informano soprattutto dalla tv e dai giornali, e forse anche loro pensano che Gaza e la Palestina siano una questione archiviata dal cessate il fuoco di Trump. Per questo è importante ricordare Gaza, ricordare la Cisgiordania, dire che in Palestina si muore ancora, che gli aiuti non sono mai entrati, che coloni sono sempre più una falange armata dell’esercito e rubano e uccidono nella totale impunità, che il nostro governo é ancora complice, e che anche noi lo siamo se restiamo a guardare. É importante stare nelle strade e nelle piazze, non solo alle manifestazioni, ma cercare di comunicare con le persone tutte, senza urlare ma con il linguaggio del corpo, delle immagini e della parola scritta. Io credo che sia un gesto potente, un seme che si fa strada dove c’è una coscienza non del tutto sopita, e spero che altri seguiranno questo esempio. Intanto il piccolo gruppo del presidio modicano si avvia alla terza edizione, ogni settimana ci incontriamo per preparare nuovi cartelli, dalla settimana prossima se il clima natalizio riempirà le strade, contiamo di poter presidiare ogni giorno. Vi terremo aggiornati, e grazie Milano per l’ispirazione e l’incoraggiamento. Anna Rotolo Redazione Italia
Caos Eurovision: l’ok a Israele porta al ritiro di quattro Paesi
L’EBU approva la partecipazione di Israele all’Eurovision 2026. In risposta si ritirano 4 Paesi e il numero potrebbe aumentare. L’Eurovision Song Contest 2026 in questi mesi aveva mano a mano assunto le sembianze di una polveriera. L’EBU (European Broadcasting Union), con la sua assemblea generale di giovedì 4 dicembre ha acceso la miccia, facendo saltare tutto in aria. Con l’approvazione delle modifiche al regolamento, è stata ufficialmente autorizzata la partecipazione di Israele alla prossima edizione, che si terrà a Vienna (Austria) dal 12 al 16 maggio. Immediata è stata la reazione dei Paesi che da tempo chiedevano l’esclusione di Israele, in risposta al genocidio dei palestinesi in corso a Gaza. Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno già annunciato il boicottaggio della prossima edizione, mentre la prossima settimana potrebbero arrivare i ritiri anche di Belgio e Islanda. La Finlandia valuterà ulteriormente la situazione, mentre il Portogallo ha detto che si presenterà a Vienna. Questo è solo il primo scoppio di un disastro annunciato fin dal termine dell’edizione 2025, dove Israele non solo è stato al centro delle attenzioni per i fatti della Striscia di Gaza, ma anche per il controverso exploit al televoto della sua rappresentante Yuval Raphael, che ha così sfiorato un clamoroso trionfo. Sotto la lente di ingrandimento degli osservatori e degli appassionati è finito il primo posto al televoto, gonfiato grazie alle campagne promozionali multi-piattaforma ideate e promosse da agenzie governative israeliane, come evidenziato successivamente da Eurovision News – Spotlight. Subito dopo la finale dello scorso maggio i sopraccigli si erano alzati proprio in quei Paesi che oggi hanno annunciato il ritiro dalla prossima edizione. L’EBU ha mostrato tuttavia mancanza di nervo nella gestione della situazione, schiacciata dalle pressioni politiche. Ha dapprima annunciato una votazione a novembre (con quorum abbassato dal 75% al 50% più uno) per decidere sulla partecipazione o meno di Israele, per poi ritrattare e fissare una riunione dedicata. La questione è stata, infine, spostata all’Assemblea Generale dell’EBU, in cui si sarebbe votato non per l’esclusione o meno del Paese, ma per delle modifiche al regolamento. Il nuovo regolamento dell’Eurovision 2026 L’EBU già a novembre aveva annunciato novità, con l’obiettivo di «fornire tutele più solide e aumentare il coinvolgimento», come dichiarato dal Direttore dell’evento Martin Green. Tra le righe queste modifiche cercavano di garantire la partecipazione di Israele e rassicurare i Paesi più critici come Spagna, Paesi Bassi e Irlanda, in un complesso tentativo di mediazione. Tentativo naufragato sul nascere, vista l’immediata reazione del broadcast spagnolo RTVE che – come riportato da EurofestivalNews – ha definito “insufficienti” i cambiamenti. Si è arrivati così al 4 dicembre, quando la stessa RTVE assieme ad altre sette emittenti ha chiesto ugualmente il voto a scrutinio segreto sull’esclusione – anche solo provvisoria per un anno – di Israele. La richiesta è stata rigettata perché – dal punto di vista dell’EBU – l’approvazione del regolamento stabiliva nuove garanzie per la partecipazione di tutti i Paesi all’evento. Con 738 voti a favore, 264 contrari e 120 astenuti l’EBU ha reintrodotto le giurie tecniche nazionali nelle semifinali, aumentando il numero dei loro componenti da 5 a 7; ridotto il numero massimo di voti per utente da 20 a 10; modificato le Istruzioni di Voto e il Codice di Condotta del concorso per impedire campagne promozionali di terze parti e una revisione dei sistemi tecnici di sicurezza. Le reazioni e gli scenari possibili Subito dopo l’esito del voto sono usciti i primi comunicati stampa, tra cui quello durissimo dell’emittente olandese AVROTROS: “La partecipazione [all’Eurovision nda] non è conciliabile con i valori pubblici fondamentali per la nostra organizzazione. […] AVROTROS ha rilevato che la crisi umanitaria a Gaza, le restrizioni alla libertà di stampa e l’interferenza politica che hanno caratterizzato l’ultima edizione dell’Eurovision Song Contest erano incompatibili con i valori che rappresentiamo. In tale contesto, ha concluso che la partecipazione dell’emittente israeliana KAN quest’anno non poteva più essere in linea con le nostre responsabilità di emittente pubblica. Affidabilità, indipendenza e umanità sono i nostri principi guida. […] L’EBU ha riconosciuto che si sono verificate interferenze politiche durante la precedente edizione e ha annunciato misure aggiuntive per evitare che si ripetano. Tuttavia, queste misure non modificano quanto accaduto durante l’ultima edizione. […] Ciò che è accaduto nell’ultimo anno […] ha oltrepassato un limite per noi. […] Inoltre, la situazione a Gaza rimane estremamente fragile e profondamente preoccupante”. Dello stesso tono anche la dichiarazione dell’irlandese RTÈ («RTÉ rimane profondamente preoccupata per l’uccisione mirata di giornalisti a Gaza durante il conflitto e per il continuo diniego di accesso al territorio ai giornalisti internazionali») e della slovena RTVSLO («Per il terzo anno consecutivo, il pubblico ci ha chiesto di dire no alla partecipazione di qualsiasi Paese che ne attacchi un altro. […] L’Eurovision è stato un luogo di gioia e felicità fin dall’inizio, artisti e pubblico erano uniti dalla musica, e dovrebbe rimanere così. […] Non parteciperemo all’ESC se ci sarà Israele. A nome dei 20.000 bambini morti a Gaza»). Critiche sulla neutralità politica del concorso arrivano, infine, dalla Spagna con RTVE: «L’uso del concorso da parte di Israele per scopi politici rende sempre più difficile mantenere l’Eurovision come evento culturale neutrale». A questi quattro Paesi potrebbero seguire a ruota il Belgio, l’Islanda – che comunicherà la sua decisione mercoledì 10 dicembre – ma anche Finlandia e Svezia. Già solo con l’uscita di questi primi quattro Paesi, che non trasmetteranno l’evento, l’Eurovision Song Contest perderà – stando ai dati 2025 – quasi 10 milioni di spettatori (solo per la finale), il 6% complessivo. Tutto questo nonostante il ritorno in gara di Bulgaria, Moldavia, Romania e il probabile debutto del Kazakistan. Chiaramente opposta la reazione israeliana con il tweet del Presidente Isaac Herzog, che scrive «Israele merita di essere rappresentato su tutti i palcoscenici del mondo». Israele aveva ricevuto il sostegno del Paese organizzatore, l’Austria, così come della Germania. Il Cancelliere Friedrich Merz ad ottobre aveva dichiarato che sarebbe stata la Germania a dover lasciare il concorso qualora Israele fosse stato escluso. L’Italia nel mentre – salvo clamorosi ripensamenti – ci sarà, con il vincitore del Festival di Sanremo 2026. L’elenco definitivo dei Paesi in gara all’Eurovision Song Contest 2026 sarà pubblicato prima di Natale ma, comunque vada, sotto l’albero non ci sarà una bella sorpresa. Anna Polo
Dossier Leonardo in Parlamento il 9 dicembre
9 dicembre 2025 conferenza stampa alla Camera dei Deputati per la presentazione del dossier su Leonardo S.p:A.: piovono euro sull’industria “necessaria” di Crosetto e Leonardo S.p.A. Martedì 9 dicembre, su invito della deputata Stefania Ascari (M5S, Presidente dell’Intergruppo per la Pace tra la Palestina e Israele), BDS ITALIA presenterà un dossier sulle complicità di Leonardo S.p.A. nei crimini di guerra commessi in Palestina. Interverranno: Stefania Ascari (Deputata M5S), Arnaldo Lomuti (Commissione Difesa), Anthony Aguilar (ex contractor Gaza Humanitaria Foundation), Stefania Maurizi (giornalista d’inchiesta), Michela Arricale (avvocata), Rossana De Simone (attivista Peacelink), Raffaele Spiga (attivista BDS Italia). Diretta streaming sulla Web TV della Camera dei Deputati. Negli ultimi decenni l’Italia è diventata uno dei partner europei più fedeli a Israele. Con Leonardo in prima fila, la nostra industria è parte integrante del circuito che alimenta i crimini contro l’umanità e legittima il colonialismo. Il dossier denuncia tali complicità, evidenziando come le scelte politiche e industriali italiane non siano neutrali ma contribuiscano concretamente a rafforzare il regime israeliano di apartheid e occupazione. Leonardo S.p.A. intrattiene da oltre un decennio una cooperazione strutturale con il settore militare israeliano. Nel 2012 Israele ha acquistato 30 aerei M-346, oggi impiegabili con oltre dieci tipologie di armamenti, mentre l’Italia ha acquisito 1 satellite Optsat-3000 e 2 velivoli radar G550 CAEW nell’ambito dello stesso accordo. La presenza industriale diretta di Leonardo in Israele comprende tre sedi della controllata DRS RADA Technologies e una partecipazione del 12% nella società Radsee Technology. Il dossier rileva inoltre che Israele può rivendere a terzi i M-346 ricevuti, come avvenuto con la Grecia tramite Elbit Systems. Leonardo ricopre un ruolo significativo anche nel programma internazionale F-35, di cui l’Italia ospita la linea di assemblaggio e produzioni critiche. Tali elementi delineano un quadro di integrazione industriale e tecnologica che contribuisce alla disponibilità operativa dei sistemi in uso nelle forze armate israeliane. Il movimento globale BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), che rappresenta la più grande coalizione della società civile palestinese richiama l’Italia ai propri obblighi derivanti dalle sentenze della Corte internazionale di giustizia, tra cui l’imposizione di un embargo militare totale a Israele compreso il commercio bilaterale, il trasferimento e il transito di materiale militare e a duplice uso, i partenariati, la formazione congiunta, la ricerca accademica e altre forme di cooperazione militare. Questo tipo di sanzioni è tra gli obiettivi a cui il movimento BDS si pone di arrivare attraverso campagne d’informazione, pressione pubblica  e denuncia delle complicità. DOSSIER DA SCARICARE QUI: Piovono euro sull’industria “necessaria” di Crosetto e Leonardo SpA Le relazioni con Israele.  Redazione Italia
Dall’Olanda: Lettera dal Nuovo Movimento per la Pace all’Osservatorio contro la militarizzazione
PUBBLICHIAMO CON PIACERE UNA LETTERA (CON RELATIVA TRADUZIONE) ARRIVATA ALLA EMAIL DELL’OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E ELLE UNIVERSITÀ DALLE REFERENTI DI UN’ANALOGA ASSOCIAZIONE OLANDESE, DAL NOME NIEUWE VREDEBEWEGING, INTENZIONATE A CREARE UN LEGAME SINERGICO PER OPPORSI A LIVELLO EUROPEO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DILAGANTE, CHE SI STA MANIFESTANDO ANCHE CON L’INTRODUZIONE DELLA LEVA OBBLIGATORIO IN MOLTI STATI EUROPEI. DA PARTE NOSTRA, OVVIAMENTE, ABBIAMO MOSTRATO IL MASSIMO INTERESSE A COLLABORARE PER UN COMUNE INTERESSE: L’OPPOSIZIONE ALLA GUERRA NELLA QUALE GLI IMPRENDITORI DELLA MORTE CI STANNO TRASCINANDO. Cari colleghi dell’Osservatorio contro la Militarizzazione Siamo un gruppo di insegnanti olandesi che, come voi, sono molto preoccupati per la militarizzazione delle nostre scuole, università e società. Abbiamo recentemente pubblicato una lettera aperta e creato un sito web.  Una delle persone che ha commentato sul nostro sito web ci ha parlato dell’iniziativa in Italia. Ha partecipato a una conferenza a Palermo nell’ottobre 2025. Ci siamo scambiati un’email con uno dei contatti in Italia. Oggi abbiamo visitato il vostro sito web e ho notato che avete anche una pagina internazionale e che mancano i Paesi Bassi. Bene, ora i Paesi Bassi ci sono :))) Vorremmo collaborare, rimanere in contatto, scambiarci informazioni, supportarci a vicenda Questo è il nostro sito web. Il nostro piano è di tradurre solo “chi siamo” e “perché questa pagina” > Home Grazie per il vostro ottimo lavoro. Per noi significa molto che siate presenti anche voi. Cordiali saluti Ivana Balen (anche a nome di Bart, Anne, Sigrid, Pieter e altri) -------------------------------------------------------------------------------- Dear colleagues from Osservatorio contro la Militarizzazione, We are a group of teachers from the Netherlands who are, like you, very worried about the militarisation of our schools, universities and societies. We have recently published an Open letter and created a website. One of the persons who reacted on our website told us about the initiative in Italy. He visited a conference in Palermo in October 2025. We exchanged an email with one of the contacts in Italy. Today I visited your website and noticed that you also have an international page and that the Netherlands is missing. Well, now the Netherlands is here :))) We would like to cooperate, stay in touch, exchange information, support each other. This is our website. My plan is to translate just the ‘who we are’ and ‘why this page’. > Home Thank you for doing your great work. It means a lot to us that you are there as well. All the best Ivana Balen (also on behalf of Bart, Anne, Sigrid, Pieter and others)
Germania: “Obiettiamo perché la pace richiede coraggio”
Nella notte tra giovedì 4 e venerdì 5 dicembre gli attivisti della campagna Wir verweigern! (Obiettiamo!) hanno modificato alcuni manifesti dell’esercito tedesco per richiamare l’attenzione sul diritto all’obiezione di coscienza e contrastare la propaganda a favore della guerra e della violenza. “Per me, che sono giovane, è inquietante vedere ovunque questa pubblicità a favore della guerra, una guerra in cui lo Stato vuole mandarmi con il servizio militare obbligatorio. La mia vita non è una vostra risorsa!”, spiega uno degli attivisti. Wir verweigern! è una campagna di un gruppo giovanile che invita alla disobbedienza civile di massa e oppone resistenza al riarmo e al servizio militare obbligatorio. All’inizio di settembre gli attivisti hanno scritto con lo spray sulla parete esterna dell’asilo nido del Bundestag: «Obbligate anche i vostri figli a uccidere?». Scritte in bianco: Fai quello che conta davvero. 70 motivi per l’esercito tedesco. Perché non possiamo cedere ad altri la responsabilità. Trova i tuoi motivi. 70 anni dell’esercito tedesco. Scritta in rosso su “responsabilità”: uccidere. Scritte in bianco: Perché i diritti fondamentali non si difendono da soli. Trova i tuoi motivi. 70 anni dell’esercito tedesco. Scritta in rosso su “diritti fondamentali”: Capitalisti. La protesta contro il servizio militare obbligatorio sta crescendo. Organizzazioni giovanili e studentesche di tutta la Germania invitano oggi, venerdì, a uno sciopero nazionale contro la visita medica obbligatoria. Uno degli attivisti ha commentato: «Non vogliamo morire per uno Stato che non si prende cura di noi. Le nostre scuole e le nostre università stanno cadendo a pezzi, le nostre pensioni stanno svanendo e stiamo vivendo il pieno impatto della catastrofe climatica. Come se non bastasse, ora dovremmo anche uccidere ed essere uccisi in prima linea per gli interessi di potere di altri. Ma siamo chiari: rifiuteremo il servizio militare». Comunicato stampa widerstands-kollektiv.org del 5 dicembre 2025 Pressenza Berlin
Rapporto CENSIS: il 66% degli italiani è contro il riarmo
Per il CENSIS, che stamani, 5 dicembre, ha presentato a Roma il suo 59° Rapporto sulla Situazione Sociale del Paese, ci siamo inoltrati nell’età selvaggia, del ferro e del fuoco. Un’età che spinge il 30% degli italiani a ritenere che le autocrazie siano più adatte allo spirito dei tempi. Una convinzione inaudita, che indebolisce la già precaria democrazia. Il Grande Debito inaugura poi, per la fondazione di Giuseppe De Rita, il secolo delle società post-welfare. L’Italia spende per interessi 85,6 miliardi e gli interessi pagati superano non solo la spesa per i servizi ospedalieri (54,1 miliardi), ma l’intero valore degli investimenti pubblici (78,3 miliardi) e ammontano a più di dieci volte quanto l’Italia spende in un anno per la protezione dell’ambiente (7,8 miliardi). La vulnerabilità è accresciuta dal fatto che i titoli del debito pubblico italiano sono in mano prevalentemente a creditori residenti all’estero: il 33,7% del totale (ovvero più di 1.000 miliardi), a fronte del 14,4% detenuto dalle famiglie e del 19,2% dalla Banca d’Italia. Il Grande Debito inaugura il secolo delle società post-welfare. “Ma senza welfare, sottolinea il CENSIS, le società diventano incubatori di aggressività e senza pace sociale le democrazie vacillano. Per l’81% degli italiani è ora di punire i giganti del web che sfuggono alla tassazione”. Secondo il 72% degli italiani la gente non crede più ai partiti, ai leader politici e al Parlamento, mentre si assiste a un capovolgimento dei ruoli nel rapporto tra élite e popolo. “Da una parte, annota il CENSIS nel suo ultimo Rapporto, ci sono i leader europei – il nostro nuovo pantheon politico – con i volti sgomenti come pugili suonati, sotto i colpi sferrati da est e da ovest. Invece di rassicurare, esercitando la tradizionale funzione dell’offerta politica, eventualmente con il ricorso spregiudicato alla menzogna, annunciano la catastrofe, ci mettono davanti al pericolo di morte: la guerra imminente, la irrimediabile perdita di competitività del continente, l’ineluttabile deriva demografica, la marea inarginabile dei migranti, il collasso climatico. Dall’altra ci sono gli italiani, per i quali non è scattato l’allarme rosso: l’apocalisse può attendere. Non si segnalano tentazioni di radicalizzazione: per il 47% le divisioni politiche e la violenza che scuotono gli Stati Uniti sono impensabili nella nostra società. E un intervento militare italiano, anche nel caso in cui un Paese alleato della Nato venisse attaccato, è disapprovato dal 43%. Il 66% ritiene che, se per riarmarsi l’Italia fosse obbligata a tagliare la spesa sociale, allora dovremmo rinunciare a rafforzare la difesa”. E segnali di crisi della nostra democrazia si rinvengono anche in ordine alla partecipazione: alle ultime elezioni politiche del 2022 gli astenuti hanno raggiunto la quota record del 36,1% degli aventi diritto, 9 punti percentuali in più rispetto alle precedenti elezioni del 2018. Alle europee del 2024 il 51,7% degli elettori ha disertato le urne (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, gli astenuti si fermarono al 14,3%). Nel 2003 il 57,1% degli italiani si informava regolarmente di politica, nel 2024 la percentuale è scesa al 48,2%. I cittadini che ascoltano dibattiti politici erano allora il 21,1% e sono oggi il 10,8%. La partecipazione ai comizi si è dimezzata: dal 5,7% al 2,5% (dal 6,3% all’1,9% tra i giovani di 20-24 anni). E le mobilitazioni di piazza raccolgono sempre meno adesioni: nel 2003 il 6,8% degli italiani aveva partecipato a cortei, vent’anni dopo il 3,3%. Un’eccezione, dunque, le recenti proteste per il conflitto in Palestina. Anche il 59° Rapporto CENSIS evidenzia la forte divaricazione tra spesa e consumo, con l’inflazione che condiziona pesantemente i comportamenti di consumo delle famiglie. Nel 2024 i prezzi erano più alti del 17,4% rispetto al 2019 e il carrello della spesa (i beni alimentari e per la cura della casa e della persona) era più caro del 23,0%. Si è speso di più, ma si è consumato di meno. Nei cinque anni il costo dei generi alimentari è aumentato del 22,2%, ma il volume effettivamente acquistato si è ridotto del 2,7%. La forbice è ampia anche per vestiario e calzature: +4,9% in valore e -3,5% in volume. I servizi assicurativi e finanziari sono aumentati del 47,3% in termini nominali, ma l’utilizzo si è ridotto del 2,0%. I soli servizi finanziari (pari al 3,2% della spesa delle famiglie, ovvero 40 miliardi di euro) hanno registrato un aumento del prezzo del 106,2% nel periodo 2019-2024. Quanto all’immigrazione, la Fondazione di Giuseppe De Rita, evidenzia come la maggior parte dei 5,4 milioni di stranieri che vivono in Italia (il 9,2% della popolazione residente), si trovi in condizioni di marginalità. Il 29,0% dei lavoratori stranieri (che sono in totale 2.514.000, ovvero il 10,5% degli occupati) è a tempo determinato o ha un impiego part time involontario (tra gli italiani la quota corrispondente si ferma al 17,2%). Il 29,4% svolge un lavoro non qualificato (l’8,0% tra gli italiani) e il 55,4% degli occupati stranieri laureati risulta sovraqualificato, ovvero possiede un titolo di studio troppo elevato per il lavoro svolto (il 18,7% tra gli italiani). Il 35,6% degli stranieri vive sotto la soglia della povertà assoluta (il 7,4% tra gli italiani). “Siamo inclini, si legge nel Rapporto, a guardare con favore gli stranieri quando svolgono lavori faticosi e poco qualificati, o quando accudiscono gli anziani e i bambini, ma non siamo propensi a concedere loro gli stessi diritti di cittadinanza degli autoctoni. Il 63% degli italiani pensa che i flussi in ingresso degli immigrati vadano limitati, il 59% è convinto che un quartiere si degrada quando sono presenti tanti immigrati, il 54% percepisce gli stranieri come un pericolo per l’identità e la cultura nazionali, solo il 37% consentirebbe l’accesso ai concorsi pubblici a chi non possiede la cittadinanza italiana e solo il 38% è favorevole a concedere agli stranieri il voto alle elezioni amministrative”. Qui per approfondire: https://www.censis.it/rapporto/rapporto-2025/.  Giovanni Caprio