Siracusa: vietato un breve testo che parlava di pace
L’altro ieri sera si è svolta a Palazzo Vermexio la presentazione del libro La Giudecca del ‘400 di Amalia Daniele Di Bagni.  L’evento, che si poneva come momento culturale sulle orme di un pezzo di storia importante della nostra città, è stato presentato e moderato da tre appartenenti all’UCEI (Unione Comunità Ebraiche Italiane) e precisamente dalla presidente Noemi Di Segni, dal vicepresidente Giulio Di Segni e dal delegato della sezione di Catania e componente della comunità ebraica di Napoli Moshe Ben Simon. Alcune donne del gruppo UDI di Siracusa, vista l’occasione di incontrare persone così autorevoli della comunità ebraica, hanno pensato che fosse importante partecipare con il proposito di chiedere, alla fine degli interventi, la parola per leggere un breve testo scritto per richiamare l’attenzione sulla necessità e possibilità di una soluzione di pace giusta e rispettosa dell’esistenza dei due popoli e in grado di porre fine alla tragica condizione di Gaza e Cisgiordania, martoriate nei suoi abitanti da morte, fame e malattie. Quando siamo arrivate, insieme ad alcune altre donne che hanno aderito alla nostra proposta, siamo state avvicinate dagli agenti della Digos che gentilmente, ma con nostra sorpresa, ci hanno chiesto di guardare nelle borse e di conoscere il motivo della nostra partecipazione e anche di visionare il testo che intendevamo leggere. Solo con il nostro piccolo gruppo hanno mostrato tanta attenzione e abbiano avuto la chiara impressione che sapessero già di noi e del nostro testo prima ancora di farci domande. Ci ha lasciate stupefatte l’ingente schieramento di forze dell’ordine, del tutto anomalo per un incontro culturale come è o dovrebbe essere la presentazione di un libro sulla storia di un quartiere siracusano. All’inizio della presentazione la presidente Di Segni ha esordito con un discorso in cui avevano un posto centrale parole come memoria, libertà di culto, nonché la vergogna di identità cancellate. O ancora “cosa rimane di una comunità quando viene espulsa?” e, passando poi dalla storia al contemporaneo, ha lamentato i tanti attacchi antisemiti verbali e non verbali, sino alla targa imbrattata qualche giorno fa all’esterno della sinagoga Beth Michael di Roma. Abbiamo ascoltato con stupore le argomentazioni accorate che abbiamo sentito disumanizzanti e senza alcuna misura al confronto con quanto è avvenuto e continua ancora ad avvenire in Palestina.  Abbiamo aspettato la fine di tutti gli interventi per chiedere la parola confidando di poterla avere visto che in apertura era stato detto che mancando uno dei relatori ci sarebbe stato più spazio per le interlocuzioni. La reazione è stata scomposta. Ci è stata negata con durezza ogni possibilità di intervento. Una netta determinazione a negare il diritto alla parola che è dovuto in un consesso democratico, senza rispetto né per le persone né per l’istituzione pubblica che le ospitava. Riteniamo questo episodio profondamente grave perché si è evitato per l’ennesima volta il confronto grazie al potere e alla forza, nonostante ci fosse da fronteggiare solo un piccolo gruppo di donne e un breve testo che parla di pace e di responsabilità reciproche. Ecco il testo che avremmo voluto leggere: > In occasione della presentazione di questo libro che riguarda la nostra città, > alla presenza di tante personalità della cultura e delle istituzioni, come > gruppo UDI di Siracusa vogliamo confermare la scelta (espressa da una gran > parte della cittadinanza, dalle associazioni e > organizzazioni operanti sul territorio e anche dalle più alte cariche del > governo della città) di sostenere le ragioni della pace e della legalità > internazionale. > > Invitiamo i presenti e in particolare i due autorevoli rappresentanti della > comunità ebraica a riflettere ancora sulla necessità di promuovere la pace > come orizzonte trasformativo della realtà, basato sulla giustizia e sul > riconoscimento delle responsabilità, proprie oltre che altrui. > Ci riferiamo in particolar modo al lungo e sanguinoso conflitto in Medio > Oriente, in particolare a Gaza rasa al suolo, alla Cisgiordania sempre più > occupata. È un conflitto che ha portato al genocidio della popolazione civile, > disumanizzata e già stremata da fame, sete, mancanza di medicine, sfollamento, > distruzione delle infrastrutture civili. > > Confidiamo che chi governa la città sia in accordo su questi fatti e sulla > necessità di giustizia, visto che al balcone principale di questo palazzo è > stata a lungo appesa la bandiera palestinese. Alcune donne dell’UDI Siracusa Redazione Sicilia
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Rosi, il tazebao, la libertà e la pace
In occasione della presentazione a Palermo della “Carta dell’impegno per un mondo disarmato”, elaborata dalla rete “10,100,1000 piazze di donne per la pace”, il 2 dicembre 2025, Sandra Rizza ha proposto questo Breve ricordo di Rosi Castellese che desideriamo condividere Vi ringrazio per avermi dato l’opportunità, oggi, mentre lanciamo la Carta dell’impegno per un mondo disarmato, di ricordare la testimonianza politica e civile della nostra compagna Rosi Castellese, che ha combattuto tutta la vita per la libertà e per le libertà, precondizione essenziale per costruire un mondo di pace. Forse vi chiederete: ma che c’entra Rosi con la pace internazionale? Che c’entra la militanza di una femminista, attivista storica del movimento LGBTQ+ , che si è sempre battuta per i diritti civili/umani, con i negoziati di pace, con la diplomazia per un mondo disarmato, con il movimento per la pace? C’entra, eccome. Perché la pace, secondo me, non è solo un’idea o un’utopia irrealizzabile: è un impegno quotidiano, che deve partire da ciascuno e ciascuna di noi, nelle nostre comunità, nelle nostre scelte quotidiane, nei percorsi individuali e collettivi delle nostre vite. Per questo, forse, oggi, nel secondo anniversario della scomparsa di Rosi, è importante ricordare come la sua militanza e la sua continua lotta contro tutte le forme di oppressione e di violenza siano interconnesse intimamente, ma soprattutto politicamente, con l’impegno per un mondo disarmato. L’intera vita di Rosi e tutto il suo attivismo politico incarnano infatti i principi fondamentali di una pace intesa non solo come assenza di guerra, ma come giustizia sociale e rispetto per i diritti umani. Vogliamo vedere come? La pace è innanzitutto ascolto, dialogo, riconoscimento: e la lotta del movimento LGBTQ+ è, in essenza, una lotta per il diritto di esistere, di amare e di essere se stessi in pace, senza paura, discriminazione o violenza. Rosi si è battuta affinché Palermo, e la società in generale, fossero un luogo più accogliente per tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. La pace è il superamento dell’odio. E l’omofobia e la transfobia sono forme di violenza e odio. L’attivismo di Rosi è stato un baluardo contro tutte le forme di sopruso e coercizione, promuovendo una cultura del rispetto che è l’antidoto naturale alla violenza e al conflitto. La pace, ancora, è costruire ponti, non muri: e Rosi ha lavorato per creare comunità e solidarietà, costruendo ponti tra le persone, facendosi in quattro per tessere reti tra compagni e compagne, per fabbricare relazioni politiche e civili tra uomini e donne desiderosi di costruire un mondo più giusto. L’impegno per la pace e per un mondo disarmato ha lo stesso obiettivo: superare le divisioni, i confini e i muri ideologici che portano al conflitto, in favore della cooperazione e della comprensione reciproca. Poi c’è il coraggio della testimonianza: vivere apertamente la propria identità, come ha fatto Rosi in tempi e contesti a volte difficili, richiede coraggio. Questo coraggio è lo stesso che serve per opporsi alla guerra e promuovere il dialogo in tempi di tensione. Ecco perché la storia di Rosi, a due anni dalla sua scomparsa, ci ricorda che la pace non si costruisce solo nei palazzi del potere o nelle conferenze internazionali, ma nelle piazze delle nostre città, nelle nostre relazioni quotidiane e nel nostro impegno a lottare per un mondo in cui la dignità di ogni persona sia sacra e inalienabile. Ecco perchè la immagino qui, Rosi, oggi, in prima fila insieme a noi: con la sua forza e la sua determinazione gentile, con i suoi ricci pazzi e i suoi occhioni azzurri, e la sua ferrea volontà di credere in un futuro migliore. La immagino qui a darci fiducia e speranza. Come chi sa, nel profondo del suo cuore, che non c’è Golia che possa resistere alla fionda tenace, persistente e inesorabile di Davide. E che nonostante l’America di Trump, gli appelli guerrafondai di Kaja Kallas e dei cosiddetti Volenterosi, le bugie di Meloni e Tajani, la corsa al riarmo e tutta la propaganda bellicista che pervade il discorso pubblico, ci sarà sempre una Rosi, da qualche parte nel mondo, con la sua febbrile determinazione, a rimboccarsi le maniche per inventare uno slogan, accendere un megafono o disegnare un tazebao, inseguendo l’utopia possibile di un mondo senza guerre, bombe e genocidi.   Redazione Palermo
Tessere la pace, custodire il futuro: presentata a Palermo la Carta dell’impegno per un mondo disarmato
È stata presentata martedì 2 dicembre, nei locali dell’Istituto Gramsci di Palermo, la Carta dell’impegno per un mondo disarmato, pensata ed elaborata da una comunità di donne che, già attive in diverse regioni d’Italia in presidi e iniziative per la pace, il disarmo, la giustizia sociale e ambientale, si sono riunite in 10, 100, 1000 piazze di donne per la pace. L’incontro è stato organizzato dalle Donne per la pace di Palermo, ormai da tre anni in piazza contro tutte le guerre con lo slogan “Fuori la guerra dalla storia”, e dalla Biblioteca delle donne di Palermo. Il sottotitolo, Tessere la pace, custodire il futuro, esplicita immediatamente gli intenti e la proposta, che, partita dal mondo dell’impegno al femminile con tutte le sue differenze e contraddizioni, si offre all’umanità tutta per un approccio alternativo a quello della narrazione patriarcale della storia fatta di conflitti armati e ricorso alla violenza e alla sopraffazione. Il ricco dialogo tra tutti e tutte le intervenute si apre con la lettura, fatta da Danila Giardina, di un contributo di Sandra Rizza nel ricordo di Rosi Castellese e della sua testimonianza politica e civile di donna per la pace in un percorso individuale e collettivo che ha tenuto insieme, tessuto appunto, le lotte per i diritti di tutte e tutti con quelle per la giustizia sociale. Interconnessione evidente sin dal suo impegno nella lotta LGTBQ plus per il superamento dell’odio dell’omofobia e della transfobia, da costruttrice di ponti fra le persone nelle relazioni politiche e civili con lo stesso coraggio necessario per opporsi alla guerra, convinta che la pace non si costruisce solo nelle conferenze internazionali ma nelle strade delle nostre città. Che ci sia sempre una Rosi nel mondo così infestato da guerrafondai, è l’augurio che tutti e tutte qui riunite facciamo a noi stesse e al mondo. E di prospettiva femminista, come recita il primo punto della Carta, parla Mariella Pasinati, nell’introdurre gli interventi degli e delle ospiti che hanno risposto all’invito. Così le donne, nella consapevolezza dell’ormai pervasività della guerra e del suo linguaggio bellicista nell’orizzonte quotidiano, possono e devono recuperare il valore della loro estraneità alla guerra, con riferimento al pensiero di Virginia Woolf, e pensare la pace, non solo come assenza di guerra ma come un modo di stare al mondo, come pratica incarnata, non per essere incluse nella storia degli uomini ma per trasformarla. L’impegno nelle piazze, coinvolgendo scuola ed università e attraversando i quartieri, punta a disarmare le città, invitando i comuni a non ospitare eventi e installazioni e a non stringere accordi riferiti alla guerra. Piuttosto si proporranno iniziative che rendano visibile la scelta delle città per la pace come la tessitura, non solo simbolica e virtuale, di un tappeto che raccolga la parola pace più e più volte ripetuta, scritta, dipinta, ricamata. E all’arte del cucito, pratica tradizionalmente assegnata alle donne, fa riferimento anche Alessandra Sciurba, nell’osservare come il documento, che è manifestamente femminile nell’essere essenziale e centrato, tiene insieme diversi contesti facendo una vera e propria opera di cucitura.  Evidente è anche lo stretto legame tra patriarcato e guerra, sessismo e razzismo. Nel ricordarci che la violenza sulle donne è trasversale a tutte le culture, Sciurba critica il femonazionalismo, concetto coniato da Sara Farris e purtroppo assecondato anche da alcune femministe, per cui “l’uso contemporaneo del femminismo e dell’uguaglianza di genere” diventa copertura ideologica di politiche razziste stigmatizzando categorie umane in base all’appartenenza etnica e o religiosa, al colore della pelle, ecc… Sembra essersi perduto il pudore degli anni passati e oggi si fanno esplicitamente discorsi brutali a favore della guerra e contro le donne, nel tentativo di cancellarne sguardo e forza di pace, per imporre logiche bellicistiche. Le donne, con le loro lotte, si pensi a quelle delle nere americane, hanno imposto di declinare in soggetti incarnati diritti nati vuoti per un soggetto maschio, bianco, adulto, di chiara matrice coloniale, diritti che, per quanto imperfetti, sembrano scomparire oggi dalla retorica del potere. Con la criminalizzazione dei migranti, e il loro abbandono in mare, sperimentati a lungo nel Mediterraneo, si è testato il livello di sopportazione dell’opinione pubblica per arrivare al genocidio in diretta. In nome della sicurezza si sdogana la necessità della guerra in un paradigma tutto maschile che estromette dalla storia le donne e il loro modello alternativo di società basato sulla loro storica estraneità alla guerra e sulla decostruzione dell’idea di sicurezza. Basti pensare che sicurezza, dal latino, significa senza cura! Non è un caso che siano simili le parole di una donna, la filosofa Luisa Muraro, e di un migrante vittima della criminalizzazione, Alaa Faraj, e che il loro significato sia la sintesi della proposta di impegno della Carta: rispondere senza aggredire, difendere senza offendere, esporsi disarmato. Quando è il turno di Annibale Raineri la sala viene sorpresa dalla ripetizione della parola “grazie”. Perché è con un ringraziamento alle donne, la mamma, le sorelle e infine le donne per la pace, che inizia, con il suo corpo e la sua esperienza di uomo, il suo intervento. È la gratitudine, dice, la prima postura per uscire dal paradigma della guerra e imparare un sentimento del corpo che apre l’anima all’altro. Ci tiene ad affermarla la necessità del sentire ed è ai maschi che rivolge la sua esortazione a rompere l’ordine vigente, a imparare a sentire, cambiare vocabolario, cancellando, accogliendo, risignificando le parole. La nonviolenza non è solo una scelta morale o un posizionamento etico, ma la consapevolezza storica dell’essere l’unica via di salvezza da un precipitare mortifero. Spiega la scelta delle parole, con pacato convincimento. Mortifero perché l’evidenza della cancellazione di tante forme di vita per gli interessi del sistema capitalistico e la presenza sempre più pervasiva della guerra fanno intravedere un’ombra apocalittica. È evidente il connubio crisi di civiltà-guerra e sul paradigma della coppia amico-nemico si sono costruite le società patriarcali dove il padre è il signore della morte. Allora bisogna, tornando all’etimo greco della parola apokalypsis, che significa rivelazione di una nuova vita, imparare da ciò che le donne hanno fatto per millenni in una storia parallela. L’impegno assunto nell’Arca, di cui fa parte, a fare comunità, richiama quello della Carta femminista per un mondo disarmato, per offrirci tutte e tutti disarmati e nudi di fronte al mondo che ci interpella. Anche Manuela Patti vuole ricordare Rosi e, rischiando di andare contro corrente e sembrare in contraddizione con quanto finora detto, rivendica per lei l’appellativo di guerriera, con riferimento a quanto Audre Lorde, attivista americana nera, lesbica e poeta, diceva di sé. La guerra è per i soldati, le guerriere fanno lotte e battaglie, e chiama a supporto Carla Lonzi che già negli anni Sessanta sottolineava come alla guerra si associasse la figura di maschio virile. Il femminismo dell’uguaglianza, equiparando le donne al maschio, nell’inclusione di un mondo non pensato, ha fatto perdere autorevolezza alle donne, costrette così ad “emanciparsi dall’emancipazione”. Sempre Carla Lonzi aveva già visto il pericolo che l’identificazione della donna con l’uomo eliminasse l’opportunità di un’altra via. Si interroga, poi, sulla mancanza di riflessione, nel femminismo, intorno alla violenza e se piuttosto non si debba parlare di violenze, facendo distinzione tra quella istituzionale e quella dei singoli. Entra subito in argomento Andrea Cozzo che, nel riconoscere come il mondo sia sempre più “maschilizzato” anche nella scelta di donne che assumono caratteristiche più maschili dei maschi, ritorna alla tessitura della pace come dote, capacità, virtù antica attribuita alle donne e usata anche metaforicamente. Così Lisistrata, nell’omonima commedia greca, alla domanda su come le donne intendano prevenire la guerra risponde  che possono districarla come una matassa. E le fa eco, più avanti, Virginia Woolf, rispondendo all’odio con la diserzione, richiamata al punto due della Carta. Questa impone di stare con tutte le vittime della guerra, senza distinzione di parte, non solo tra i civili ma anche tra gli aguzzini, uscendo dall’unico orizzonte culturale, esclusivamente maschile, a cui si è abituati e che ha sempre escluso la donna con la sua visione alternativa della storia. È la cultura femminile che deve resistere, cultura propria della nonviolenza. Lo stesso Ghandi, noto come “bapu”, padre, si comportava come una madre e dovremmo chiamare il sociologo Galtung madre, e non padre, della nonviolenza. Per questo le donne dovrebbero essere almeno il 50% delle forze disarmate di interposizione nei processi di pace dei conflitti armati. I numerosi interventi susseguitisi hanno ribadito e arricchito quanto emerso nel confronto con il riferimento alle donne pacifiste della storia e alle loro pratiche, come Rosa Parks e Maria Occhipinti, ricordate da Enzo Sanfilippo, che propone di aggiungere nel documento, accanto al richiamo alla diserzione come estraniamento e fuga dal sistema, anche quello all’obiezione di coscienza come offerta di alternativa. Ricorda l’iter della legge italiana che, per la prima volta nel mondo, cita la difesa nonviolenta e  afferma la possibilità di servirsene per la tutela della patria con il servizio civile, senza però prevedere un addestramento specifico alternativo a quello del servizio militare. Tra le cose che si possono fare oggi c’è l’opportunità di coinvolgere i giovani diciassettenni, inseriti ancora nelle liste di leva di ogni comune, per informarli della possibilità di dichiararsi, nell’eventualità di un ritorno all’obbligatorietà, obiettori di coscienza, e la stessa cosa possono fare anche tutti i richiamabili. Sulle pratiche pone ancora l’attenzione Mimma Grillo che si augura di poter aumentare il numero delle persone contrarie alla guerra per chiedere alle Istituzioni in modo più incisivo di rispettare i principi costituzionali. Da più parti, insieme alla gratitudine per la Carta, si auspica la possibilità di diffonderla nelle scuole e nelle università per coinvolgere ragazzi e ragazze e di farne strumento di tessitura di pace tra tutte le molteplici realtà che per la pace e il disarmo si attivano nei territori.     Maria La Bianca
[2025-12-06] Bi-scussione. Cerchio di discussione bi+ @ Ex 51
BI-SCUSSIONE. CERCHIO DI DISCUSSIONE BI+ Ex 51 - Via Aurelio Bacciarini 12, Valle Aurelia (sabato, 6 dicembre 18:00) CERCHIO DI BI-SCUSSIONE Ti aspettiamo per un cerchio di discussione per persone bisessuali, pansessuali o queer. Un’occasione per confrontarsi, riflettere e condividere esperienze in uno spazio sicuro e accogliente. 🩷💜💙 📅 sabato 6 dicembre 2025 🕒 inizio discussione 18:00 📌 Spazio Sociale Ex 51 🗺️ Via Bacciarini 12 (MA Valle Aurelia)
[2025-12-02] Assemblea Pubblica Transfemminista @ Communia
ASSEMBLEA PUBBLICA TRANSFEMMINISTA Communia - via dello Scalo San Lorenzo 33, Roma (martedì, 2 dicembre 18:00) Dopo le mobilitazioni di fine novembre torniamo a riunirci per rinforzare le sorellanze e progettare insieme un futuro transfemminista. Le istituzioni militarizzano le nostre vite a ogni livello della società, alimentando un clima di violenza continua e una sensazione di impunità in chi quella violenza la agisce nelle strade, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e in famiglia. Non saremo complici né vittime, saremo furios3 e organizzat3! Ci vediamo Martedì 2 Dicembre a Communia, in Via dello Scalo di San Lorenzo 33, dalle 18 per l’assemblea cittadina di NUDM
“Numeri che gridano: la realtà della violenza di genere in Italia” il 4 dicembre al Centro Pace di Forlì
Giovedì 4 dicembre 2025 si svolgerà presso il Centro Pace di Forlì la serata “Numeri che gridano: la realtà della violenza di genere in Italia”, dove verrà presentato da Chiara Tamarro (Centro Pace) il progetto “InclusiVoice”, finanziato dal Programma Erasmus+. Si tratta di un’iniziativa collaborativa volta a fornire ai/alle giovani gli strumenti per sviluppare competenze di advocacy nonviolenta e a sensibilizzare sul tema della parità di genere, con un’attenzione specifica al fenomeno del femminicidio.  Il progetto, intitolato “InclusiVoice”, si svolge dal 1° maggio 2025 al 31 ottobre 2026, e coinvolge tre partner principali: l’Associazione Centro per la Pace Forlì (Italia), l’EuroMed Feminist Initiative (Francia) e il Women’s NGOs Cooperation Network of Latvia (Lettonia).  Durante l’incontro inoltre, Alessia Prenjasi e Valentina Vannini presenteranno il report “Feminicides in Italy: A Critical Investigation Based on Data and Dynamics Analysis”.  Questo incontro fa parte della serie di eventi organizzati in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.    Raffaele Barbiero, per il Centro Pace di Forlì Redazione Romagna
Rome for Climate Justice – evento conclusivo: Convergere e lottare per un mondo migliore
Come riuscire a intrecciare e unire le forze di lotte e movimenti diversi tra loro? Come continuare, nel tempo e nello spazio, a combattere per un mondo più giusto, fuori da sfruttamento capitalista, patriarcato e colonialismo? Queste sono le domande a cui ha provato a rispondere l’evento conclusivo del progetto “Rome for Climate Justice”, che si è tenuto giovedì 13 novembre a Esc atelier autogestito a Roma. L’obiettivo dell’iniziativa, intitolata “Convergere e lottare per un mondo migliore”, è stato di discutere di eco-trasfemminismo come concetto “di convergenza delle lotte”, cioè come strumento per comprendere e praticare le lotte per la difesa degli eco-sistemi, per la liberazione da guerre, oppressione e colonialismo e contro il sistema economico capitalista, razzista e patriarcale. Hanno partecipato: * Milo Serraglia, Non Una Di Meno Roma * ⁠Irene De Marco, A Sud e piattaforma Climate pride * ⁠Nidaa Nasser, dell’associazione giovanile palestinese Baladna * ⁠Miriam Tola, John Cabot University L’evento è stato l’occasione per parlare di eco-trasfemminismo, sia a partire dagli strumenti teorici che fornisce per sviluppare lotte “convergenti”, sia da un punto di vista pratico, cioè interrogando le lotte stesse su come creare lo spazio necessario al dispiegarsi di movimenti moltitudinari e intersezionali. La copertina è a cura di DINAMOpress SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Rome for Climate Justice – evento conclusivo: Convergere e lottare per un mondo migliore proviene da DINAMOpress.
Roma, Tor Tre Teste: basta strumentalizzazioni e campagne d’odio sul corpo delle donne
Il comitato provinciale dell’ANPI di Roma e la sezione “Giordano Sangalli” di Centocelle, quartiere Medaglia d’Oro al Merito Civile per il suo ruolo nella Resistenza antifascista durante l’occupazione nazista di Roma, esprimono la più totale vicinanza e solidarietà alla ragazza vittima di gravissima violenza sessuale il 25 ottobre scorso nel parco di Tor Tre Teste da parte di un gruppo di uomini, alcuni dei quali arrestati dalle forze dell’ordine in questi giorni. Denunciano altresì la strumentalizzazione del fatto da parte di elementi neofascisti, i quali, pescando nel torbido ne approfittano per straparlare di reimmigrazione e di ronde. Trattasi di mero sciacallaggio sulla pelle delle donne. Le stesse forze di governo che in queste ore parlano di castrazione chimica, oltre a rimandare a data da destinarsi l’introduzione a livello giuridico del “consenso libero e attuale” nella normativa sulla violenza sulle donne, combattono l’introduzione di una vera educazione sessuo-affettiva nelle scuole, come richiesto a gran voce dalle studentesse e dagli studenti, dalle associazioni e dai movimenti transfemministi. La stragrande maggioranza delle violenze sulle donne avviene nell’ambito domestico, familiare e “affettivo”, è un problema da affrontare immediatamente, a partire da un lavoro quotidiano di prevenzione nelle scuole e nei territori. Secondo gli ultimi dati Istat una donna su tre ha subito violenza da parte di un uomo nella sua vita, e si contano 91 femminicidi in Italia solo nel 2025 (osservatorio nazionale NUDM). Una violenza patriarcale che è trasversale alla provenienza geografica e sociale, alle età e ai territori. Basta strumentalizzazioni e campagne d’odio sul corpo delle donne. Quanto ai fascisti che vorrebbero infestare i nostri quartieri chiediamo l’applicazione delle leggi della Repubblica democratica antifascista, nata dalla Resistenza vittoriosa e dalla Guerra di Liberazione dall’ignominia nazifascista. Nessuno spazio va concesso a chi semina odio, razzismo, sessismo.   Il comitato provinciale dell’ANPI di Roma La sezione ANPI “Giordano Sangalli” Redazione Italia