Carcere, repressione, sorveglianza, migrazioni

AUDIZIONE MCE
per decreto di legge n. 1634 (d-l n. 127/2025 – riforma esame di Stato e avvio a.s. 2025/2026) Il testo della nostra audizione L'articolo AUDIZIONE MCE proviene da Movimento di Cooperazione Educativa.
Condividono saperi verso una cartografia per la vita
Leader indigeni e specialisti provenienti da tre continenti si sono riuniti per condividere conoscenze e costruire un’agenda comune durante il Seminario internazionale sulle Pratiche di Mappatura Indigena tenutosi a Santa Cruz, in Bolivia. Dopo due giorni di dialoghi, le/i partecipanti hanno concordato sulla necessità di costruire reti di cooperazione per rafforzare l’unità dei popoli dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia. FOTO: CENDA “Se lavoriamo collettivamente, potremmo costruire una proposta di vita civilizzatrice, una cartografia per la vita”, ha sottolineato Paspantzhu Vitery, vicepresidente della Nazionalità Kichwa del Pastaza (Pakkiru). Le discussioni sulla cartografia hanno riguardato il suo utilizzo nella gestione e nella governance, nella pianificazione territoriale, nella lotta contro le attività estrattive o per segnalare e denunciare minacce. C’è stato anche spazio per condividere strumenti ed esperienze nella gestione delle tecnologie satellitari al fine di identificare attività illecite e contribuire alla prevenzione della loro diffusione. Da un punto di vista critico, l’incontro è servito a sottolineare come le mappe siano state storicamente utilizzate come strumenti di colonizzazione dei territori del sud del mondo. In contrapposizione a queste spinte egemoniche, le/i partecipanti hanno presentato strategie di appropriazione di questi strumenti da parte delle popolazioni indigene, elaborate a partire dai territori. “La mappa non è sempre stata nostra alleata, ma con il tempo siamo riusciti a utilizzare questi strumenti per esercitare i nostri diritti”, ha affermato Simón Crisóstomo Loncopán, presidente del Coordinamento di Comunità Mapuche Winkul Mapu di Curarrehue. “Le espressioni che condividiamo nascono dalla lotta per il riconoscimento di epistemologie che sono state rese invisibili dal nord del mondo”, ha aggiunto il leader mapuche. FOTO: CENDA Nell’ambito delle discussioni, il leader wampis Shapiom Noningo ha raccontato come il popolo Wampis abbia costruito la propria storia sulla base delle conoscenze, della saggezza e delle pratiche ancestrali. “I nostri nonni erano esperti nel costruire le proprie mappe […]. Erano cartografi empirici. Non scrivevano, ma ne conservavano la memoria, lo spazio del loro territorio, l’occupazione, i camminamenti, i confini di ogni villaggio”, ha sottolineato Noningo. FOTO: CENDA Il Seminario internazionale sulle pratiche di mappatura indigena è stato promosso dal Gruppo di Lavoro Internazionale sulle Questioni Indigene (IWGIA). L’evento è stato realizzato grazie a una collaborazione con l’Organizzazione di Sostegno Legale e Sociale (ORE), il Centro di Studi Giuridici e Ricerca Sociale (CEJIS), il Centro di Comunicazione e Sviluppo Andino (CENDA) e molte altre istituzioni della regione.   TRADUZIONE DI MATILDE MIRABELLA CON L’AUSILIO DI TRADUTTORE AUTOMATICO Redazione Italia
Un appello dai lavoratori del porto di Ancona
Ancona 20 settembre 2025 Appuntamento al porto di Ancona alle ore 17.30 alla Mole Vanvitelliana per bloccare il porto di Ancona il 22 settembre, in occasione dello sciopero generale, di lavoro privato e pubblico impiego, indetto da USB. Lo sciopero generale del 22 settembre rappresenta un prioritario ed irrinunciabile spazio di azione per le pratiche di solidarietà attiva a fianco della popolazione palestinese. La gravissima e costante precipitazione degli eventi a cui stiamo assistendo impone un salto di qualità nelle mobilitazioni e la necessità di oltrepassare il piano meramente simbolico e testimoniale a vantaggio di iniziative in grado di incidere concretamente nella realtà materiale del traffico di armi verso Israele, della evidente complicità di istituzioni e organizzazioni economiche, degli interessi che i responsabili del genocidio nutrono anche nei nostri territori. L’appello con cui i camalli di Genova hanno lanciato il blocco dei flussi e delle attività portuali a tutela della Global Sumud Flotilla e l’indizione dello sciopero generale da parte di Usb per il 22 settembre vanno esattamente in questa direzione. Per questo riteniamo che l’appello lanciato dal Calp di Genova nell’ambito dello sciopero generale del 22 settembre vada accolto e praticato anche nel territorio marchigiano, il che significa chiaramente assumere senza tentennamenti che il 22 settembre anche il porto di Ancona dovrà essere annoverato tra quelli interessati dalle azioni di blocco. In Palestina si sta vivendo una situazione di straordinaria emergenza, in una costante e sempre più grave precipitazione degli eventi: l’esercito israeliano occupante ha intensificato i bombardamenti a Gaza City, costringendo la popolazione civile, ridotta alla fame, a cercare rifugio senza che sia possibile trovarlo, in un territorio che è quasi completamente dichiarato “zona di combattimento” da parte dei militari sionisti dell’Idf che sparano per uccidere, anche agli sfollati in fuga. E’ in atto un genocidio e sono le forze della resistenza, i combattenti partigiani di Gaza ad opporsi. E le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla sono il simbolo della solidarietà globale a questa resistenza. Lo sciopero generale del 22 settembre con l’appuntamento alle ore 17,30 al porto di Ancona sarà uno spazio di azione per le pratiche di solidarietà attiva a fianco della popolazione palestinese. La mobilitazione si sta allargando a una composizione sociale molto variegata: sono già arrivate conferme di partecipazione di lavoratori della logistica, dei trasporti, dei collettivi degli studenti per la Palestina, di tante cittadine e cittadini. Il concentramento al porto di Ancona sarà lunedì 22 settembre alle ore 17,30 Area ingresso Mole Vanvitelliana, lato Fiera della Pesca (area di fronte bar Baccà). LUNEDI’ 22 SETTEMBRE sarà sciopero generale e giornata nazionale di blocco in tutta Italia a sostegno della Global Sumud flottilla, contro il genocidio e dalla parte della resistenza palestinese. Centri Sociali Marche USB Redazione Italia
Eirenefest Napoli, “Il processo al libro”
19 Settembre 2025, Eirenefest Napoli – Presidio Permanente di Pace Il primo laboratorio di apertura: “Il processo al libro” La prima giornata dell’Eirenefest – edizione napoletana 2025, ospitata dal Presidio Permanente di Pace presso la Libreria IoCiSto, si è aperta con un’immagine potente: il sangue di San Gennaro. Le parole di saluto e presentazione hanno richiamato questo simbolo senza sapere che poche ore prima il vescovo di Napoli lo aveva legato al sangue innocente dei bambini di Gaza. Una coincidenza che ha reso la riflessione ancora più incisiva: la pace non è un miracolo da attendere, ma una responsabilità che ci tocca da vicino, nella carne viva delle vittime. Dopo questa apertura, la mattina si è accesa con il laboratorio “Il processo al libro”, condotto da Pietro Varriale, educatore e formatore di Global Districts, insieme a Serena Dolores Correrò, operatrice del progetto. L’iniziativa si inserisce nel percorso di WeWorld, organizzazione internazionale che da cinquant’anni lavora per i diritti di donne, bambini e persone ai margini; con Global Districts punta a superare le barriere che ostacolano la cittadinanza attiva delle nuove generazioni. Il laboratorio ha avuto la forza del teatro partecipato: i presenti, divisi in gruppi, hanno interpretato ruoli inediti — pubblica difesa, accusa, giuria, giudici — mettendo in scena un vero processo a tre libri. Due dei testi scelti, “Mediterraneo” di Armin Greder e “Io non sono razzista ma…” di Marco Aime, hanno fatto da specchio a due ferite brucianti del nostro tempo: la tragedia dei migranti nel Mediterraneo e la violenza del razzismo. Il momento più commovente è arrivato quando la difesa di due libri è stata affidata a una ragazza di appena 14 anni: voce incerta, pensieri forti. In quella fragilità si è fatta strada una forza che ricordava l’eco delle giovani vittime delle guerre evocate in apertura: voci che chiedono di essere ascoltate, nonostante tutto. Di fronte a lei, l’accusa era impersonata da adulti — rappresentanti di associazioni, volontari, operatori sociali — chiamati a indossare i panni di chi nega il dramma del Mediterraneo o legittima la discriminazione razziale. La dinamica ha prodotto un ribaltamento sorprendente: difendere il giusto è apparso difficile e faticoso, mentre accusare con argomenti razzisti e nazionalisti ha offerto una sorta di liberazione catartica, permettendo di esprimere odio e frustrazione senza pagarne le conseguenze. Qui è emersa la valenza psicoanalitica del laboratorio: il gioco di ruolo ha messo i partecipanti di fronte alle proprie ombre, mostrando come l’identificazione con l’aggressore possa attrarre e, al tempo stesso, destabilizzare; un passaggio che costringe a misurarsi con i lati oscuri della convivenza civile. L’esperienza ha confermato che l’educazione alla pace non può essere solo predicazione: deve passare attraverso il corpo, la voce, la possibilità di sentire dentro di sé anche la parte avversa. È in questo attraversamento che si sviluppano consapevolezza critica e capacità di scelta. La giornata si è chiusa con un clima di forte partecipazione: emozione, riso liberatorio, consapevolezze nuove. In questo spazio, anche piccolo e quotidiano come una libreria di quartiere, i libri si sono rivelati non solo oggetti da leggere, ma strumenti di confronto, specchi delle contraddizioni del presente e catalizzatori di immaginazione collettiva. È proprio questo il cuore dell’Eirenefest e del Presidio di Pace: fare della parola scritta e condivisa un terreno comune di resistenza e di costruzione. Seguendo lo slogan scelto per il festival dal Presidio, “ la pace è un cantiere aperto”, il primo mattone è stato posato. Stefania De Giovanni
Si è si ripetuta a Cagliari la manifestazione Can’t stay silent, la corsa dell’indignazione per dire Stop al genocidio
Ieri, 19 settembre 2025, si è si ripetuta a Cagliari la manifestazione Can’t stay silent, “La corsa dell’indignazione”. «Con poco preavviso – diceva il comunicato stampa del 17 settembre – perché non c’è più tempo: Israele accelera la devastazione per “finire il lavoro”». La convocazione a scendere in piazza questa volta è stata diramata dal Comitato “Can’t stay silent”, dal Comitato sardo di solidarietà con la Palestina e dall’Associazione Amicizia Sardegna Palestina. Una manifestazione davvero imponente che ha visto circa 10 mila persone, tra cui molti/e giovani, famiglie con bambini/e, partecipare al corteo per dire ancora una volta “Stop al genocidio!” del popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania. Perché di questo si tratta: quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza sotto gli occhi di tutte le nazioni e che la Commissione indipendente dell’Onu ha dichiarato essere  un genocidio in atto. Parola questa che gran parte degli intellettuali italiani non vuole usare, ma che descrive la realtà che sotto gli occhi di tutti: uccisioni di decine di migliaia di civili sotto i bombardamenti, procurata carestia sull’intera Striscia, morti per fame, a causa di mancanza di medicinali, sfollamento forzato di 450 mila persone da Gaza city. E non solo genocidio, ma ecocidio e archeocidio con la distruzione totale non solo delle abitazioni, di scuole, ospedali, moschee, ma anche delle vestigie del passato, della storia millenaria di Gaza. Le persone si sono radunate in Via Roma davanti al Palazzo del Consiglio Regionale, da cui è partito il corteo intorno alle 19:00 che ha percorso tutta la strada fino al congiungimento di Viale Trieste, da cui ha raggiunto il Corso Vittorio Emanuele fino a Piazza Yenne,  e salendo per Via Manno ha confluito in Piazza Costituzione.  Una manifestazione composta, ma partecipata con slogan ripetuti e anche cantati per la presenza nel corteo del gruppo musicale “La banda sbandati”: Free free Palestine!, Palestina libera!, Gaza libera!, Siamo tutti/e palestinesi! A ripetere gli slogan con tutta la voce in gola anche bambini e bambine. Non siamo ancora diventati ciechi per non vedere, né sordi per non ascoltare il dolore di famiglie martoriate, di bambini e bambine strappati alla vita, resi invalidi e orfani per sempre, né muti per non gridare “Stop al massacro!”. Piazza Costituzione, scalinate del Bastione di Saint Rémy – Foto di Pierpaolo Loi Arrivati in piazza Costituzione, sulle scalinate del Bastione di Saint Rémy, si sono succeduti gli interventi conclusivi. Ecco il testo del breve ma accorato intervento di Vania Erby, portavoce del Comitato Can’t stay silent: «Ringrazio anche oggi tutti voi per essere qui al fianco dei fratelli palestinesi. Abbiamo scelto le parole “non c’è più tempo” perché sotto i nostri occhi si sta consumando una tragedia che sta buttando l’intera umanità in un baratro senza fine. Non credo che il mondo potrà più essere lo stesso dopo queste atroci barbarie. Abbiamo capito che chi ci governa non ci vuole ascoltare, ma vuole continuare a perseguire logiche di guerra e di profitto.  Il mondo, quello che pulsa, quello che ancora ha un’anima, noi che siamo qui oggi non ci arrendiamo, non chiudiamo gli occhi e continueremo ad urlare che non possiamo accettare che un popolo venga sterminato. Noi non vogliamo rimanere impotenti. Cerchiamo di costruire pace intorno a noi, perché la pace come la guerra è contagiosa, ogni nostra azione conta anche nella quotidianità delle nostre vite. Giorno dopo giorno le piazze del mondo stanno prendendo coraggio e il messaggio che oggi dobbiamo mandare chiaro ai nostri governanti è che noi non ci faremo dividere e che continueremo a stare dalla parte di chi ingiustamente viene perseguitato. Rimaniamo uniti, rimaniamo umani ….continuiamo a credere che una Palestina libera potrà esistere. Palestina libera!». Il presidente dell’Associazione Amicizia Sardegna Palestina, dott. Fawzi Ismail, sempre in prima linea, ha ribadito ancora volta che il popolo palestinese non abbandonerà la sua terra. La grande folla che camminato per le strade di Cagliari testimonia – come succede in tante città italiane, europee e del Mondo intero – che i popoli non seguono i loro governi complici e chiedono di porre fine a questo immane crimine contro l’umanità, a questo ennesimo genocidio. E non a parole, come quando si propone il riconoscimento di uno Stato palestinese come un diritto concesso, mentre è il diritto primario di un popolo che vive nella propria terra. Infine, la richiesta alle alle istituzioni regionali di prendere posizione attraverso azioni concrete per porre fine al massacro, per es. chiudere il Porto di Cagliari al traffico di armi della fabbrica RWM di Domusnovas-Iglesias. Al microfono Fawzi Ismail – Foto di Pierpaolo Loi Non solo a Cagliari, ma anche in altre città della Sardegna, in queste ancora calde giornate di fine estate, tante persone si stanno mobilitando per testimoniare la loro solidarietà al popolo palestinese e la vicinanza alla Global Sumud Flotilla, finalmente in viaggio verso la Striscia di Gaza per rompere l’assedio e portare viveri e medicinale alla popolazione martoriata. Pierpaolo Loi
Melissa Parke: «Con la ratifica del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari la Grecia si metterà dalla parte giusta della storia»
I membri dell’ICAN (Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari) e dell’Alleanza antinucleare greca hanno invitato ad Atene Melissa Parke, direttrice esecutiva di ICAN. Durante il suo soggiorno in Grecia Melissa Parke, con il suo ricco curriculum come ministra australiana per lo Sviluppo interno ed esperta delle Nazioni Unite in Kosovo, Gaza, Yemen, Libano e New York, ha tenuto una serie di incontri con i membri del Parlamento greco, il segretario generale dell’Associazione dei Comuni e il sindaco di Atene. Lo scopo principale degli incontri era quello di rafforzare l’Alleanza Antinucleare, con l’obiettivo di ottenere il voto e la ratifica del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari da parte del Parlamento ellenico. In occasione dell’80° anniversario del bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki da parte degli Stati Uniti, il 16 settembre si è tenuta una conferenza stampa dal titolo: “Guerra, minacce e conflitti: il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari come strumento di pace”. Melissa Parke ha avuto l’opportunità di riferire sugli sviluppi internazionali relativi alla ratifica del Trattato e al suo utilizzo come mezzo per esercitare pressione sui paesi che possiedono armi nucleari. Nel giugno 2025 ICAN ha pubblicato una scheda informativa dal titolo “Costi nascosti: la spesa per le armi nucleari nel 2024”. Uno dei fatti principali evidenziati è che lo scorso anno, mentre oltre 750 milioni di persone vivevano in condizioni di povertà, i nove Stati dotati di armi nucleari hanno speso per i loro arsenali nucleari 100 miliardi di dollari, quasi 3.169 dollari al secondo. Cinque di essi sono attualmente coinvolti in conflitti armati (Stati Uniti, Russia, Israele, India e Pakistan). Qual è stato il risultato di questa visita? Melissa Parke e i partner greci hanno compreso che i membri del Parlamento ellenico e il rappresentante del Presidente del Parlamento sono desiderosi di creare e partecipare a una commissione interparlamentare per ratificare il Trattato. Inoltre, il Segretario Generale della KEDE (unione dei Comuni greci) dedicherà una sessione parallela durante la loro riunione nazionale annuale nel 2026 a questo tema. Ad oggi, a seguito della mobilitazione dell’organizzazione World Without Wars and Violence, 93 comuni in Grecia hanno approvato una risoluzione all’interno dei loro consigli dichiarando la volontà che il Trattato sia ratificato dal Parlamento ellenico. Il Comune di Atene, che ha anch’esso approvato la risoluzione, è tra le dodici capitali del mondo che stanno aprendo la strada con azioni per la pace e per la proibizione delle armi nucleari. Qui sotto è possibile guardare il discorso di Melissa Parke nella conferenza stampa moderata dall’ufficio greco di Pressenza.   Pressenza Athens
La vergogna dell’Europa
Questa Europa che si prepara alla guerra contro la Russia, che urla frasi di violenza per abituarci al conflitto, questa Europa che non è certo la culla della democrazia si indigna per dei razzi rozzi o uno sconfinamento aereo sulla Lettonia ma non dice nulla e sopratutto non fa nulla contro il genocidio compiuto da Israele sul popolo palestinese. Perché la NATO non protegge il popolo palestinese?  E’ questo il vero volto della libertà propagandata dall’Europa e sopratutto dagli USA?  Come possiamo non soffrire per le donne e di bambini macellati in Palestina? Questa Europa non ha il diritto di esistere come Unione pacifica di popoli perché, a senso unico promuove e prepara una guerra sanguinosa, perché con gli USA ha sempre voluto e preparato il conflitto in Ucraina, ed ora, vergognosamente non fa nulla contro il governo Israeliano che uccide degli innocenti in Palestina.  Sono ormai oltre 10 anni che l’Europa ha attuato l’embargo contro la Russia e da 70 anni non fa nulla contro Israele? Perché pur esistendo due risoluzioni dell’ONU, che obbligherebbero Israele a ritirarsi dalla vallate del Golan, nessuno va a farle applicare?  Dove sono i famigerati  (ricordate pristina) caschi Blu che dovrebbero  difendere gli innocenti? Certo, siamo alla fine  del diritto internazionale, siamo alla fine dei trattati sui diritti dell’uomo. Il becero interesse alla guerra sta vincendo e solo noi possiamo fermarlo. Acquistare, investire in bombe ed armi vuol dire prepararsi alla guerra e forse viene fatto per nascondere e giustificare la crisi  economica devastante che sta per arrivare. Si! Da sempre la guerre sono state un businness e queste ancora di più. Che vergogna l’Europa. Redazione Italia
Perche Trump non fermerà mai Netanyahu
Se ancora qualcuno ingenuamente spera che Trump possa contribuire alla fine del genocidio a Gaza o all’occupazione illegale in Cisgiordania coltiva una fatua illusione. Un coacervo di ragioni economiche, politiche e familiari, avvalorate da esternazioni di Trump o figure a lui referenti, rendono ad oggi assolutamente impossibile l’avverarsi di tale auspicio di pacificazione. Ecco le  ragioni e dichiarazioni che dimostrano quanto Trump sia un ferreo sostenitore di Netanyahu: 1. 1. Trump ha dichiarato a fine 2024: «… se volete che Israele sopravviva dovete votare Donald Trump. Siete sotto attacco come mai prima. Io sono il presidente più pro-Israele, Kamala Harris è anti-Israele….» 2. L’ultima campagna elettorale di Trump è stata finanziata dalla miliardaria israeliana Miriam Adelson, la quinta donna più ricca degli USA, per 100 milioni $ mentre  nella campagna del 2016 i coniugi Adelson finanziarono Trump per 25 milioni $. 3. Uno dei primi atti firmati dal neoeletto presidente USA a fine gennaio 2025 è stato quello di revocare il blocco imposto alcuni mesi prima da Biden sulla fornitura a Israele delle super-bombe da 2.000 libbre (900 kg). 4. Il 5.02.2025 Netanyahu è stato il primo leader straniero a visitare la Casa Bianca dall’inizio del secondo mandato di Trump e lo ha così ringraziato:  “Sei il nostro più grande amico” . 5. Il padre del genero di Trump, Charles Kushner, ospitava a casa propria l’amico di famiglia Netanyahu in occasione dei suoi viaggi negli USA, ancor prima che divenisse primo ministro. 6. A gennaio 2025 il neo nominato ambasciatore degli USA in Israele, Mike Huckabee, ha dichiarato alla radio dell’esercito israeliano che “Trump appoggerà il governo israeliano nell‘annessione degli insediamenti in Cisgiordania.” 7. A gennaio 2025 la neo nominata ambasciatrice degli USA all’ONU, Elise Stefanik ha affermato che Tel Aviv ha un “diritto biblico sull’intera Cisgiordania e che  “gli Stati Uniti devono stare incondizionatamente con Israele all’Onu”. 8. A febbraio 2025 Trump ha dichiarato “Mi impegno ad acquistare e controllare Gaza” precisando che la vorrebbe trasformare nella “riviera del medio oriente” e che “I palestinesi non avranno diritto a ritornare perché avranno alloggi molto migliori.” Il Jerusalem Post il 3.05.2024 rivelava on line la visione di Netanyahu di Gaza al 2035, che poi si rivelerà condivisa con Trump, così immaginata: Gaza pullula di lussuosi grattacieli, ferrovie, corsi d’acqua, campi solari e stazioni di estrazione del gas dal giacimento marino “Gaza Marine” ubicato nella porzione di mare che gli accordi di Oslo hanno assegnato alla Palestina. E’ impossibile poi non citare l’osceno video creato da Trump con l’IA che lo raffigura a Gaza flirtare con una ballerina del ventre seminuda e quindi sorseggiare un cocktail con Benjamin distesi in costume su due sdraio con lo sfondo dei nuovi, lussuosi grattacieli di Gaza. Infine a fine agosto anche la ministra della scienza israeliana realizza un nuovo video con l’AI, dove si vedono Trump e Netanyahu passeggiare con le mogli sul lungomare di Gaza, privo di palestinesi, e con lo sfondo una scintillante Trump Tower. 9. A gennaio 2025 il genero di Trump Gerard Kuschner, ebreo di famiglia, viene ricevuto a  Tel Aviv da Netanyahu e diventa primo azionista  del colosso israeliano Phoenix Financial Ltd, attivo nei finanziamenti immobiliari nei territori occupati. 10. L’inviato speciale USA per il Medio Oriente, Witkoff, prima della seconda elezione di Trump si è recato in Cisgiordania per inaugurare una colonia illegale israeliana sui territori occupati. Profeticamente sulla facciata di una casa della nuova colonia illegale campeggiava la scritta “We’ll make Israel great again.” 11. Trump ha sanzionato a febbraio 2025 tutti i componenti della Corte Penale Internazionale dell’Aia in quanto avevano osato emettere il 21.11.2024 un mandato di cattura internazionale per l’amico Netaniahu per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza. 12. A maggio 2025 per volere di Trump e Netanyahu è stata creata la Gaza Humanitarian Foundation imposta da Israele come unica distributrice degli aiuti nella striscia di Gaza. Dopo poche settimane, e centinaia di gazawi assassinati in fila per ricevere cibo, l’ONU e decine di ONG hanno accusato la GHF di essere un’arma di pressione politica e militare. 13. A marzo 2025 Marco Rubio ha annunciato l’espulsione dagli USA di 300 studenti nell’ambito del programma “Catch and Revoke” finalizzato ad espellere studenti stranieri che hanno semplicemente partecipato a manifestazioni a favore della Palestina. 14. Il genero di Trump Gerard Kuschner e l’ex premier inglese Tony Blair il 28.08.2025 hanno presentato in un incontro riservato con Trump alla Casa Bianca, presenti anche l’inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff e Marco Rubio, le loro idee sul dopoguerra a Gaza, ovvero i dettagli del piano “Aurora”, che prevede la ricostruzione della striscia in una lussuosa Gaza-riviera previa deportazione di tutti i gazawi. 15. Trump ha sanzionato, alla stregua dei peggiori terroristi, anche la nostra Francesca Albanese, rea di aver scritto il rapporto intitolato Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, evidenziando il ruolo complice che 44 grandi “entità aziendali” mondiali hanno nel sostenere il progetto coloniale israeliano di sfollamento e occupazione. 16. A fine agosto Trump ha revocato ai membri dell’OLP e dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) i visti per partecipare all’assemblea dell’ONU di settembre, come ritorsione agli annunci del riconoscimento della Palestina in quell’occasione da parte di alcuni Stati europei. 17. Da ricordare infine che nel 2020 Trump ha promosso la stipula degli Accordi di Abramo per “aprire” i rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi, tra cui gli Emirati Arabi Uniti. Redazione Italia
Il veto USA alla risoluzione ONU sul cessate il fuoco a Gaza scatena proteste a New York
> Il 18 settembre gli Stati Uniti hanno nuovamente posto il veto su una > risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un > cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza, suscitando condanne diffuse e > scatenando proteste fuori dalla sede delle Nazioni Unite a Manhattan. La risoluzione, co-sponsorizzata da tutti i 10 membri eletti del Consiglio, ha ricevuto 14 voti a favore, ma è stata bloccata dagli Stati Uniti. Essa chiedeva un “cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente”, il rilascio di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas e la revoca delle restrizioni israeliane agli aiuti umanitari in entrata a Gaza. Un rappresentante degli Stati Uniti ha difeso il veto, sostenendo che la bozza era “inaccettabile” perché non condannava Hamas né riconosceva il “diritto all’autodifesa” di Israele. PROTESTE ALLE NAZIONI UNITE A poche ore dal voto, centinaia di persone si sono radunate davanti alla sede delle Nazioni Unite per denunciare la decisione di Washington. I manifestanti hanno portato cartelli con la scritta “Pace per Gaza” e “Non un bersaglio”, chiedendo la fine della guerra e l’accesso illimitato agli aiuti umanitari. La manifestazione ha attirato una folla eterogenea: il cofondatore dei Pink Floyd Roger Waters, la candidata presidenziale del Partito dei Verdi statunitense Jill Stein e membri della comunità ebraica chassidica di New York si sono uniti al personale delle Nazioni Unite, agli attivisti e ai newyorkesi comuni per chiedere la pace. Una manifestazione, organizzata dagli stessi dipendenti delle Nazioni Unite, ha messo in luce la crescente frustrazione all’interno dell’istituzione nei confronti della politica statunitense. Lo stesso giorno, alcuni documenti interni hanno rivelato che sia gli Stati Uniti che Israele avevano inviato lettere di protesta alla leadership delle Nazioni Unite accusando il personale di parzialità riguardo alle loro posizioni su Gaza, alimentando ulteriormente le tensioni. CRESCENTE DIVISIONE INTERNAZIONALE Questo è stato il sesto veto degli Stati Uniti su una risoluzione relativa a Gaza dall’inizio del conflitto nell’ottobre 2023. La mossa ha sottolineato il crescente isolamento internazionale di Washington e Tel Aviv: solo pochi giorni prima, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva approvato a larga maggioranza una risoluzione a sostegno della soluzione dei due Stati, una misura osteggiata solo dagli Stati Uniti e da Israele. Con l’indignazione globale in aumento, New York è diventata il punto focale del dissenso, con i manifestanti che hanno promesso di mantenere la pressione sul governo degli Stati Uniti fino al raggiungimento di un cessate il fuoco. Foto di Anthony Donovan Pressenza New York
Intervento di Giorgio Canarutto al convegno Peace TO Gaza a Torino
Intervento di Giorgio Canarutto al convegno Peace TO Gaza del 18 settembre 2025 presso la Sala delle Colonne del palazzo del Comune di Torino. In corsivo quanto detto a braccio. -------------------------------------------------------------------------------- Sono Giorgio Canarutto, appartengo alle organizzazioni ebraiche Laboratorio Ebraico Antirazzista, Mai Indifferenti, Gruppo Studi Ebraici; parlo a titolo personale. Ricordo che circa 20 anni fa in questa sala o in una qui vicino si celebrava il gemellaggio tra la città di Torino e le città di Haifa e di Gaza. Credo che questo possa voler dire una maggiore responsabilità della città di Torino riguardo a Gaza. Israele si presenta come rappresentante dell’ebraismo ma io considero l’ebraismo una cosa diversa. Avevo imparato che Hillel avesse detto che per riassumere l’ebraismo mentre si sta su una gamba sola fosse “Non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te. In Cisgiordania villaggi beduini sono distrutti e i loro abitanti cacciati; l’anno scorso insieme all’organizzazione Center for Jewish Non Violence ho vissuto per una decina di giorni nel villaggio beduino di Umm Al-Khair. Awdah Hathaleen, il capo villaggio, è stato ucciso da un colono quest’anno a fine luglio. L’assassino, filmato mentre sparava, è stato in carcere un solo giorno e in detenzione domiciliare per pochi altri; questa settimana questa medesima persona, Yinon Levy, al comando di altri, ha interrotto l’approvigionamento di acqua ed elettricità del villaggio e ha posato nuove case container per i coloni in modo da circondare Umm Al-Khair. Senza acqua, senza spazio, Umm-Al-Khair non può sopravvivere. A Tulkarem pochi giorni fa sono stati arrestati senza motivo centinaia di abitanti. In questi giorni Israele ha cominciato a distruggere Gaza City. Centinaia di migliaia di persone spesso non hanno i mezzi per scappare né una destinazione da raggiungere; il ministro della difesa di Israele Israel Katz esulta dicendo “Gaza brucia”. Il livello di sofferenza e distruzione è insostenibile allo sguardo, figuriamoci per le persone che vi vivono. I massimi organismi sanitari a livello mondiale hanno detto che c’è fame a Gaza. Dopo che una quantità di studiosi di fama internazionale l’aveva affermato, anche una commissione dell’ONU ha detto in questi giorni che a Gaza è genocidio. Con quali parole descrivere quello che Israele fa a Gaza se non pulizia etnica e genocidio? La volontà di cacciare i palestinesi da Gaza è stata dichiarata fin dall’inizio. Leggo che il ministro Smotrich ha detto che Gaza sarebbe un ottimo investimento immobiliare. Israele dichiara il diritto di distruggere perché si sentirebbe vittima. (I progetti immobiliari farebbero pensare ad altro). “Siamo vittime dell’olocausto, vittime del 7 ottobre”. Il 7 ottobre è una cosa enorme, l’olocausto è una cosa enorme. Ma l’oppressione dei palestinesi viene prima del 7 ottobre e i palestinesi non sono responsabili dell’olocausto. C’è un tentativo di far passare i palestinesi come responsabili dell’olocausto al posto dei tedeschi e magari degli italiani. La Germania oggi è tra i più acritici e inflessibili sostenitori di Israele, proprio perché non venga troppo rinvangato il suo passato nazista. In Germania vengono arrestati quelli che sventolano la bandiera palestinese, in Germania è stata annullata la premiazione del film No Other Land perché avrebbero dovuto premiare il regista palestinese Basel Adra oltre a quello Israeliano Yuval Abraham. La destra, e Israele in questo ambito, con il suo linguaggio violento riesce spesso a zittire le voci democratiche. C’è un fascismo globale che avanza, pensiamo a Putin, a Trump e a Netanyahu, e dobbiamo prepararci alla resistenza. Se i nostri governi sono inerti, deve rispondere la società civile. Oggi c’è la Flottilla, le auguro buon vento, ha una funzione politica, come ha detto Enzo che mi ha preceduto ha l’obbiettivo di far intervenire i nostri governi; a fine luglio le parrocchie hanno suonato le campane per Gaza, so che anche la chiesa valdese è attiva sull’argomento. Il cardinale Pizzaballa e il suo omologo greco-ortodosso Teofilo III hanno annunciato che Israele aveva sollecitato ad andarsene da Gaza, invece ci resterà, il cardinale Zuppi, a Monte Sole, ha letto i nomi di 18000 bambini uccisi a Gaza. Le organizzazioni ebraiche Mai Indifferenti e LeA cui appartengo tengono manifestazioni a Milano tutte le settimane con cartelli su cui è scritto ad esempio “Voci ebraiche dicono stop al genocidio”. In una conferenza Zoom organizzata dal Gruppo Studi Ebraici il rabbino Joseph Levi, purtroppo senza più incarichi ufficiali, dicendo che Israele a Gaza non sta rispettando gli insegnamenti dell’ebraismo, ha ricordato Deuteronomio 20:10: “Quando ti avvicinerai ad una città per combattere contro di essa dovrai offrirle la pace”. Devono parlare le voci palestinesi e con piacere vedo che domani parlerà qui Omar Bargouthi, credo anch’io a questo punto che si debba passare alle sanzioni, sabato pomeriggio ci sarà una manifestazione regionale per Gaza qui a Torino indetta da organizzazioni per il BDS. Tutti i sabati[1] grandi folle in Israele scendono in piazza contro il governo, per la liberazione degli ostaggi e, anche se in misura minore, per la fine del massacro a Gaza. Israele, con Netanyahu ed il suo governo, mostra di volere essere il solo padrone tra mare e Giordano. In manifestazioni pro Palestina non è sempre chiaro che si dia valore ad una presenza ebraica in quel territorio.  Tra sionismo e antisionismo vorrei che si andasse al di là di queste parole, vorrei che si dicesse chi è che ha diritto di viverci e con quali diritti. Al centro degli obiettivi secondo me si dovrebbe dire che non importa se con due stati, una confederazione di stati od uno stato solo, i due popoli devono vivere sotto il chiaro principio di libertà e uguaglianza. Partiti arabi e arabo ebraici come Balad e Hadash sembrano essere più aperti ad un futuro condiviso che gran parte dei partiti ebraici. Condivido i principi di una coalizione chiamata CAPI che mi hanno segnalato. È composta da più di 60 organizzazioni, movimenti, attivisti ebrei e palestinesi che si ritrovano sotto questi principi: finire la guerra[2], un accordo di scambio di tutti i prigionieri da entrambe le parti, una soluzione politica sostenibile, la fine della persecuzione politica e razzista e piena uguaglianza civile e nazionale per tutti. Concludo citando il direttore d’orchestra israeliano Ilan Volkov che ha interrotto il suo concerto alla BBC e ha detto: “Israeliani, ebrei e palestinesi, non siamo capaci di fermare questo da soli. Vi chiedo, vi imploro tutti di fare qualsiasi cosa sia in vostro potere per fermare questa follia.” [1] Un’amica israeliana mi ha avvisato che dopo che Netanyahu ha ripreso gli attacchi su Gaza le manifestazioni ci sono tutti i giorni [2] Lo stesso direttore il 19 settembre è stato arrestato mentre partecipava ad una marcia al confine della Striscia, Etan Nechin su X: “Israeli conductor Ilan Volkov, who last week called for an end to the war during a London concert, was arrested at a demonstration on the Gaza border against the war. “Stop the genocide. It’s ruining everything. Stop it now.” https://t.co/7gzi8eCrF9” / X   Redazione Torino
22 settembre, sciopero generale e generalizzato, ma c’è chi prova a mettere i bastoni fra le ruote
ASPETTIAMO UNA RISPOSTA DA CGIL E GILDA. Tanti Collegi Docenti, a partire dall’iniziativa e dalla sensibilità di tanti colleghi e colleghe, hanno deciso di iniziare il nuovo anno scolastico effettuando un minuto di silenzio contro il genocidio in Palestina, per l’immediato cessate il fuoco e per garantire l’arrivo degli aiuti umanitari nella Striscia. Per questa massiccia adesione all’iniziativa lanciata da Docenti per Gaza insieme all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università e alla Scuola per la pace Torino e Piemonte, noi siamo estremamente grati a tutti e a tutte gli/le insegnanti. Nel frattempo, però, cresce l’attenzione verso la missione della Global Sumud Flotilla, che deve poter approdare a Gaza e consegnare gli aiuti. Di fronte a una articolata e coerente iniziativa dal basso, USA e UE continuano a supportare la politica criminale di Israele e il governo Meloni si oppone alle pur timide proposte di sanzioni, che, comunque, non riguarderanno la fornitura di armi e la cooperazione militare con Israele. Fortunatamente cresce l’indignazione e la consapevolezza che bisogna, qui e ora, opporsi al genocidio e fermare la cosiddetta “operazione di terra”, iniziata dall’esercito israeliano. Lo sciopero generale e generalizzato del 22 settembre è una prima decisiva prova per dimostrare da che parte stanno lavoratrici e lavoratori e per chiedere le dimissioni del governo Meloni. Nelle scuole, in particolare, si preannuncia una significativa partecipazione. Ebbene, in questo contesto delegati locali di CGIL e GILDA diffondono, attraverso la deleteria comunicazione What’s App, informazioni di questo tipo: “Ricordiamo ai colleghi che, come previsto dall’Accordo ARAN del 2 dicembre 2020 e dalla Legge 146/1990, in caso di sciopero i docenti devono comunicare per iscritto una delle tre opzioni: aderisco; non aderisco; non ho ancora preso una decisione. La mancata comunicazione comporta responsabilità e può essere oggetto di sanzione disciplinare”. Quindi non solo non partecipano allo sciopero, ma condividono false informazioni. Infatti, secondo la normativa vigente, il personale scolastico non è obbligato a comunicare la propria adesione o meno. Chiediamo, perciò, e con urgenza, alle strutture nazionali dei due sindacati di diffondere una comunicazione corretta. NON ADERIRE A UNO SCIOPERO È UN CONTO, BOICOTTARLO È MOLTO GRAVE. Nino De Cristofaro, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Catania
L’astuzia del delfino tra gli squali
Articolo di Eileen Jones La morte di Robert Redford ha scatenato un’ondata di elogi insoliti anche per quelli che di solito accompagnano la scomparsa delle celebrità. Data la straordinaria longevità della sua fama nel corso di molti decenni e la natura poliedrica dei suoi interessi, c’è un Robert Redford diverso per ognuno di essi. Si può considerare il suo vasto contributo al cinema indipendente con il Sundance Film Festival da lui fondato, così come il suo impegno nello sviluppo di talenti cinematografici emergenti con il Sundance Institute. Si può apprezzare la sua ampia filmografia. Era un produttore attento e, da regista affermato, ha esordito con Gente comune (1980), che ha vinto l’Oscar come miglior film e gli è valso subito anche un Oscar come miglior regista. Puoi scegliere una fase preferita della sua leggendaria carriera di attore. Giovane e irresistibile (The Chase, A piedi nudi nel parco, The Hot Rock, La stangata)? Thriller politico (I tre giorni del Condor, Tutti gli uomini del presidente)? Romantico (Come eravamo, La mia Africa, Qualcosa di personale)? Neo-western (Butch Cassidy, Jeremiah Johnson, Tell Them Willie Boy Is Here, Il cavaliere elettrico, L’uomo che sussurrava ai cavalli)? Sports drama (Downhill Racer, Il migliore)? Maturo ma ancora sexy, che ruba la scena alle star maschili più giovani (Proposta indecente, Spy Game)? Venerabile saggio del cinema (A spasso nel bosco, Il vecchio e la pistola)? Potete dare un’occhiata al giovanissimo Redford anche nei primi anni Sessanta, quando recitava in televisione. E se volete apprezzare la sua calda voce tipicamente statunitense, sappiate che ha anche fatto da voce narrante di moltissimi film, soprattutto documentari sull’ambiente. Politicamente, ha coperto molti spazi. La sinistra può apprezzarlo per il suo impegno serio e a lungo termine per l’ambiente e i diritti dei nativi americani, nonché per i suoi film politici intelligenti della fine degli anni Sessanta e Settanta. I progressisti centristi possono apprezzarlo per il suo impegno di lunga data nel Partito democratico e per il suo impegno nel sistema esistente. E i conservatori di destra possono abbracciare il suo amore romanticizzato per il West americano, che ha ispirato il ruolo di Redford, un rude montanaro, in Jeremiah Johnson (1972) e il suo omaggio al Vecchio West, il suo libro del 1978, The Outlaw Trail: A Journey Through Time. E tutti possono apprezzare la sua bellezza, in termini di aspetto e di longevità. Tra questi, anche Donald Trump, che ha reso omaggio a Redford con una dichiarazione delle sue: «C’è stato un periodo in cui era il più sexy. Pensavo che fosse fantastico». La devozione di Redford al golden boy era così estrema che dovette trovare modi intelligenti per gestirla, per evitare che diventasse limitante e, francamente, un po’ nauseante. All’inizio, non aveva alcuna intenzione di diventare un ragazzo glamour di Hollywood in un modo che limitasse la sua carriera. Ecco perché rifiutò due dei ruoli più importanti degli anni Sessanta, entrambi pensati per «ragazzi d’oro»: Nick in Chi ha paura di Virginia Woolf? (1966), interpretato poi da George Segal, e Benjamin Braddock ne Il laureato (1967), il ruolo che rese Dustin Hoffman una star del cinema improbabile. Entrambi i film sono stati diretti da Mike Nichols, che aveva contribuito a rendere Robert Redford una star del teatro guidandolo nella commedia di successo A piedi nudi nel parco, scritta da Neil Simon. Nella biografia di Mark Harris, Mike Nichols: A Life (2021), Nichols descrive l’intelligenza laboriosa e scrupolosa che Redford ha messo a frutto in quel ruolo, il modo in cui ha trovato il nucleo comico del suo personaggio di avvocato teso e appena sposato: mille tic dettagliati, smorfie, serrate le mascelle, sguardi cupi e battute morse a denti stretti. Potete vedere Redford ricrearlo nella versione cinematografica del 1967 con Jane Fonda. È ancora molto divertente. E tenete presente che Redford aveva solo trent’anni quando rifiutò Chi ha paura di Virginia Woolf?, che lo avrebbe visto al fianco di star di Hollywood come Elizabeth Taylor e Richard Burton. Quell’audace atto di calcolo professionale fu un’eccellente indicazione della sua assoluta fiducia nel fatto che stava facendo progressi costanti e inevitabili verso la celebrità cinematografica. Fin dall’inizio, fu astuto. Direi che l’astuzia era la sua caratteristica principale come star, ma era così splendente nella sua bellezza che potreste non notarlo. Quei lievi movimenti oculari fulminei, quel sorriso disonesto, il duro lampo di intelligenza che traspariva. È strano ammirare l’astuzia in una star? È una qualità che trovo così rara nella società americana contemporanea. Il modo in cui ha costruito e sostenuto la sua carriera per avere il potere di passare dal mainstream all’estremo e viceversa è un modello di come affrontare un sistema spietato come l’industria dell’intrattenimento e vincere. Il suo uso selettivo del suo bell’aspetto e del suo carisma sullo schermo per mantenere la sua carriera fiorente in termini commerciali era bilanciato dalla complicazione e sovversione di quelle caratteristiche in film più cupi, strani e impegnativi. Prima di realizzare la versione cinematografica di successo di A piedi nudi nel parco, ad esempio, ha interpretato un attore hollywoodiano bisessuale enigmatico e tormentato che conduceva una doppia vita in A proposito di Daisy Clover (1965). E dopo aver consolidato la sua fama cinematografica con il doppio colpo di A piedi nudi nel parco e il colossale successo Butch Cassidy (entrambi del 1967), ha diretto il neo-western di grande impatto Tell Them Willie Boy Is Here (1969). È basato sulla storia vera di un giovane Paiute, interpretato da Robert Blake, in fuga dalla legge nel deserto della California meridionale del 1909 dopo aver ucciso il padre violento della sua ragazza (Katherine Ross) per legittima difesa. Redford interpreta il vicesceriffo a capo della squadra – presumibilmente l’ultima squadra di vecchia scuola western di cui si abbia notizia – che sta dando la caccia a Willie. Arriva ad ammirare l’uomo che sa essere destinato alla distruzione. Il film è stato scritto e diretto dal famoso regista Abraham Polonsky, inserito nella lista nera, che non dirigeva un film dai tempi dello straziante noir Le forze del male del 1948. Per me, il periodo meno attraente della carriera di Redford sono gli anni Ottanta, quando consolida la sua fama mainstream con tre film costruiti attorno alle sue attrattive da rubacuori: Il Migliore (1984), La mia Africa (1985) e Un amore senza fine (1986). Ha quasi cinquant’anni quando gira questi film e, ancora una volta, è stato intelligente da parte sua tentare un’ultima volta di interpretare un ruolo da protagonista romantico, mentre appariva ancora sensazionale. Il Migliore lo rappresenta come un dio che vive tra i comuni mortali, emanando un’aura dorata e nebulosa per gentile concessione del reparto luci, il tipo di tecnica cinematografica disgustosa che era molto popolare in quel decennio orribile. Ma quell’ultimo sforzo ha senza dubbio mantenuto attuale la fama di Redford e ha finanziato i suoi numerosi altri impegni per molti anni a venire. E ha realizzato quei film dopo il suo grande decennio degli anni Settanta, quando le sue posizioni politiche di sinistra potevano trovare la loro espressione più incisiva. Il Candidato (1972) di Michael Ritchie, ad esempio, è ancora oggi un’interpretazione straordinariamente mordace del processo politico, con Redford nel ruolo principale, un ambientalista appassionato che viene arruolato come il nuovo candidato democratico per la corsa al Senato della California. L’influenza costantemente corruttrice della politica è esaminata con acre dettaglio. E come spesso faceva, Redford fa un uso intelligente della sua sorprendente bellezza fisica in modi complessi. Contribuisce a rappresentare il suo ardente idealismo all’inizio del processo, e rende i modi insidiosi del suo ego gonfio e delle manovre sempre più ciniche che rovinano l’impressione di bellezza al tempo stesso cupamente comici e scoraggianti. La pronuncia perfettamente piatta dell’ultima battuta del film da parte di Redford, dopo che il suo personaggio gravemente sminuito vince le elezioni, lo rende indimenticabile: «Cosa facciamo adesso?». Redford chiude il decennio con Brubaker (1980), diretto da Stuart Rosenberg (Luke mano fredda). È un dramma carcerario poco visto in cui interpreta un nuovo direttore determinato a riformare radicalmente il sistema carcerario in una struttura del Sud degli Stati uniti. I fallimentari tentativi di affrontare la violenza e la corruzione endemiche del sistema penale si concludono con la nomina di un nuovo direttore, un brutale disciplinatore che probabilmente peggiorerà ulteriormente la situazione dei detenuti. Brubaker sembra rappresentare un cupo addio all’era della New Hollywood, caratterizzata da una breve lotta politica liberatoria, mentre iniziava la reazione reaganiana. L’astuta determinazione di Redford a sopravvivere e prosperare come star del cinema nel corso dei decenni gli ha permesso di fare, con ferrea concretezza, un calcolo azzardato per quanto riguarda il suo impegno politico e come esprimerlo nel cinema. Come eravamo è un ottimo esempio di un film politicamente sviscerato durante la sua realizzazione, al punto che è quasi impossibile capire cosa stia succedendo nelle sequenze successive che riguardano la rottura cruciale di un matrimonio tra un’attivista politica ebrea di nome Katie Morosky, interpretata da Barbra Streisand, e suo marito, lo scrittore Wasp Hubbell Gardiner, interpretato da Redford. Questo perché quelle scene chiariscono che Hubbell è essenzialmente un traditore preoccupato di salvare la propria carriera di sceneggiatore a Hollywood durante la lista nera, e le idee socialiste della moglie minacciano di trascinarlo verso il basso, così lei sacrifica il suo grande amore per lui e divorzia. Nella recente autobiografia di Streisand, My Name is Barbra, l’autrice entra nei dettagli delle pressioni esercitate dai Columbia Studios sul regista Sydney Pollack affinché tagliasse scene cruciali in modi che avrebbero oscurato il nocciolo della trama. È probabile che questi tagli abbiano reso il film un successo ancora maggiore, perché le caratteristiche da soap opera della storia d’amore emergono senza essere ostacolate da una distraente e spietata politica americana. E sebbene Streisand, Pollack e Redford fossero tutti egualmente insoddisfatti del film finale, sembra che Redford non abbia mai lottato molto per preservare il nucleo politico del film. Dopotutto, è comunque un ruolo da ragazzo d’oro fantastico per Redford. Ancora una volta complica e sovverte il suo tratto più essenziale e allo stesso tempo distraente come star del cinema. La bellezza di Hubbell è venerata da Katie, ma lui si rende conto fin da subito che bellezza e privilegi gli rendono «tutto troppo facile», in modi che rappresentano un pericolo per se stesso come scrittore e come essere umano. Mentre viene sempre più svuotato dal successo rapido e da un carrierismo astuto, si rivela sempre più simile a un manichino, finendo per avere una bionda alla Barbie come sostituto di Katie. Insieme sembrano attori in una pubblicità patinata. Questa settimana, un titolo del Guardian lo ha definito «un delfino tra gli squali», rafforzando l’idea che fosse un essere troppo raffinato per vivere tra i rozzi carnivori di Hollywood. Questo ha senso solo se si considera che i delfini sono anche animali formidabili che possono uccidere gli squali se si uniscono, non certo i simboli di pace della New Age. L’intelligenza è la loro caratteristica principale, e l’astuzia di Redford – anche se si è rivelata un’astuzia da traditore quando necessario per ottenere guadagni a lungo termine – era un tratto distintivo con cui bisognava fare i conti. *Eileen Jones è critica cinematografica per Jacobin, conduce il podcast Filmsuck e ha scritto Filmsuck, Usa. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione. L'articolo L’astuzia del delfino tra gli squali proviene da Jacobin Italia.