Il confine come laboratorio di impunità: il Policy Memo del BVMN sui Balcani

Progetto Melting Pot Europa - Wednesday, October 29, 2025

Il 22 settembre, il Border Violence Monitoring Network (BVMN) ha pubblicato Policy Memo: Strengthening Migration Governance Monitoring in the Balkans 1, un documento politico che ha preso forma nel corso della consultazione con l’Alto Commissariato ONU per i diritti umani.

Rispondendo alla Risoluzione 57/14 del Consiglio dei diritti umani, l’Ufficio dell’Alto Commissariato ONU per i diritti umani (OHCHR) ha realizzato un’indagine sulla possibilità di monitorare gli effetti pratici delle politiche migratorie europee.

In questo contesto, le Nazioni Unite hanno consultato organizzazioni della società civile per rispondere a una domanda complessa: è possibile trovare strumenti per rilevare e controllare le pratiche usate nella gestione dei flussi migratori?

La relazione finale dell’OHCHR 2 nominava in modo esplicito il Border Violence Migration Network (BVMN) come soggetto in grado di svolgere questa funzione, specialmente nei contesti caratterizzati da scarsa accessibilità e ostacolo al monitoraggio (delle aree più remote, ma non solo), criminalizzazione e difficoltà nel contatto coi i decisori politici. Il Network è stato quindi una delle organizzazioni più ascoltate dell’OHCHR stessa nel corso dei suoi lavori.

Nel contesto di questi, il BVNM ha consegnato alle Nazioni Unite una nota politica e risposte scritte alle domande più critiche sollevate sulle tecnologie usate per il controllo delle persone migranti.

Nel Policy Memo, i Balcani in particolare sono individuati come zona di grave mancanza di accountability degli attori statali e di confini segnati da violenza e violazioni dei diritti umani 3.

Gli unici soggetti che qui agiscono per cercare un cambiamento positivo sono organizzazioni della società civile, spesso criminalizzate e in difficoltà per la mancanza cronica di fondi e di spazi (reali e virtuali) dove diffondere il proprio lavoro e portare avanti azioni di sensibilizzazione del contesto sociale.

In generale, gli Stati europei usano sparizioni forzate e pushback istantanei per nascondere i propri abusi sui migranti. Il Network e i suoi membri hanno rilevato 25.000 pushback da parte di 14 Paesi. Spesso le persone migranti vengono detenute in segreto in luoghi inadatti al fermo di qualsiasi soggetto: garage, caravan, stalle, edifici abbandonati e pericolanti, container di metallo e addirittura canili.

Nel 2021 il 20% delle detenzioni dimostrate di persone migranti non erano comunicate formalmente, non seguivano le normali procedure per la detenzione di individui. Nel 2024, il BVMN ha raccolto prove di 19 detenzioni irregolari.

In totale continuità con questa pratica è evitare di registrare le persone migranti detenute: diventano fantasmi che passano attraverso carceri (veri o improvvisati) senza lasciare traccia. Tra 2022 e 2024, il 96% delle persone migranti soggette a pushback in Grecia non era stata registrata dalle autorità. Questo meccanismo alimenta l’impossibilità di obbligare gli attori statali a rispondere del destino delle persone migranti sul loro territorio.

Per creare poi maggior danno alle persone migranti e insieme nascondere meglio gli abusi da loro subiti, le autorità distruggono i loro beni personali (e sopratutto dei telefoni cellulari). Significa distruggere la loro possibilità di geolocalizzarsi, comunicare con la famiglia, dimostrare la loro identità, provare l’eventuale passaggio attraverso diversi Stati e raccogliere prove di violazioni dei loro diritti. In Croazia, il Network ha documentato vere e proprie pire di oggetti “migranti”.

Questa pratica si inserisce all’interno di un contesto legislativo, amministrativo e spesso sociale che criminalizza la migrazione nel tentativo (mai riuscito) di scoraggiarla. Nel 2022, ad esempio, la Turchia ha deportato una ragazza siriana verso il Nord della Siria dopo che, per proteggerla, il fratello ha denunciato gli abusi fisici e verbali che lei subiva a scuola.

Rispetto alla società civile, il BVMN ha rilevato che gli Stati costruiscono ostacoli (legislativi e di fatto) per impedire alle organizzazioni non-governative di monitorare la gestione dei flussi migratori e di effettuare operazioni di search and rescue a terra.

In più, si impegnano nella criminalizzazione dei difensori dei diritti umani attraverso strumenti più o meno formali: ostacoli burocratici e amministrativi alla loro vita quotidiana, legislazioni sempre più restrittive, sorveglianza (non dichiarata), inchieste e procedimenti giudiziari non giustificati, campagne diffamatorie, aggressioni, atti di vandalismo, furti.

Il tutto nella quasi completa impunità, perché anche in questo contesto le autorità continuano a sfuggire a qualsiasi meccanismo di controllo e di ottemperanza a politiche rispettose dei diritti umani.

Nel Policy Memo, il Border Violence Migration Network suggerisce buone pratiche. Sottolinea particolarmente la necessità di integrare il lavoro di investigazione della società civile, delle ONG e dei difensori dei diritti umani nelle riflessioni e procedure delle grandi istituzioni (come l’ONU) per portare alla luce in modo più completo e capillare le violazioni dei diritti umani che gli Stati perpetrano (quasi) indisturbati ai danni delle persone migranti e per responsabilizzare in modo inderogabile i decisori politici. Suggerisce anche l’uso delle nuove tecnologie per verificare il destino e/o la posizione delle persone migranti scomparse.

Ma proprio la tecnologia, sottolinea ancora il BVMN, ha una doppia valenza. Chiamato dal Consiglio ONU sui diritti umani a rispondere ad alcune domande riguardanti l’uso di nuove tecnologie nelle politiche migratorie da parte degli Stati, il Network ha infatti messo in luce alcune pratiche molto pericolose.

Innanzitutto, la mancanza di trasparenza nell’implementazione di tecnologie per la consapevolezza situazionale nei sistemi di sorveglianza dei confini: i Governi non rendono noto in maniera completa quali strumenti tecnologici usano, in che quantità e modalità, dove lungo i confini li posizionano. La scusa è la “sicurezza nazionale”, spesso usata nei discorsi giustificanti la violenza contro le persone migranti e chi le aiuta e difende.

Complesso è pure l’accesso a dati, fotografie, filmati raccolti da droni, radar e camere: spesso sono fatti scomparire, cancellati o nascosti, per evitare che servano in processi di denuncia e rivendicazione di diritti umani. A ciò si aggiunge l’evoluzione materiale di queste tecnologie, che ne rende molto difficile l’identificazione: a fronte di una sempre crescente precisione e velocità di rilevamento dati, hanno dimensioni sempre più piccole e aspetto sempre più anonimo.

Infine, c’è l’uso allarmante di spyware per colpire organizzazioni e individui che difendono i diritti delle persone migranti. A febbraio 2025, diversi quotidiani italiani hanno riportato che i cellulari di circa 90 attiviste italiane e non sono stati infettati da Graphite, un software di spionaggio creato a scopi militari dall’azienda israeliana Paragon. In merito alla questione, il presidente esecutivo di Parago John Fleming ha dichiarato: la società «concede in licenza la sua tecnologia a un gruppo selezionato di democrazie globali, principalmente agli Stati Uniti e ai suoi alleati». Non ha fatto alcuna ulteriore specifica.

Il Policy Memo: Strengthening Migration Governance Monitoring in the Balkans contiene un’ulteriore prova che il sistema di impunità costruito, alimentato e difeso da “democrazie” violatrici di diritti umani, discriminatorie e razziste è consistente e si sta evolvendo utilizzando strumenti di ultima generazione, pratiche che tendono alla “violazione invisibile” dei diritti umani e politiche che de-umanizzano le persone migranti mentre squalificano socialmente chi le aiuta. Il lavoro del Border Violence Migration Network dimostra anche che l’unico ostacolo a questa corruzione è la reazione della società civile.

  1. Qui il documento ↩︎
  2. Leggi il documento ↩︎
  3. BVMN Monthly Report – August 2025 ↩︎