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Conferenza: “Esternalizzazione delle frontiere: a rischio lo Stato di diritto?”
Qual è l’impatto delle politiche di esternalizzazione delle frontiere sullo Stato di diritto e sui diritti delle persone migranti? A partire da questa domanda, l’ASGI promuove la conferenza internazionale “Cartografia della deresponsabilizzazione. Politiche di esternalizzazione e stato di diritto”, che si terrà il 25 e 26 settembre 2025 a Roma, presso la Città dell’Altra Economia. Il programma completo Il modulo d’iscrizione In un momento storico in cui il controllo delle frontiere viene sempre più delegato a Paesi terzi – spesso privi di sistemi efficaci di tutela dei diritti – in cambio di fondi, mezzi e sostegno politico, mentre le procedure d’asilo vengono progressivamente spostate al di fuori dei confini europei e si ipotizza la creazione di return hubs esterni all’UE, la necessità di un confronto pubblico, critico e transnazionale si fa sempre più urgente.  Due giornate di dibattito e approfondimento, con la partecipazione di avvocatз, attivistз, studiosз e giornalistз da diversi Paesi, per interrogarsi su: * quali garanzie giuridiche vengono oggi sacrificate nel silenzio della politica europea; * in che modo queste strategie stanno erodendo i principi democratici e l’effettività dei diritti fondamentali; * quali strumenti legali, politici e culturali possono essere messi in campo per contrastare questa deriva e difendere la libertà di movimento. La conferenza metterà in dialogo le esperienze europee, australiane e statunitensi in materia di deportazione, isolamento e contenimento delle persone migranti, per riflettere sull’impatto di tali politiche sui sistemi giuridici nazionali e internazionali. A partire dalle esperienze maturate in questi anni nell’ambito dei progetti Sciabaca&Oruka, InLimine e Medea di ASGI, il convegno mira a costruire uno spazio condiviso per lo scambio di pratiche e l’elaborazione di strategie comuni di contrasto. * La conferenza è gratuita previa iscrizione e si svolgerà esclusivamente in presenza. * Sarà disponibile la traduzione simultanea in italiano e in inglese. * L’evento è in fase di accreditamento presso il COA di Roma. Relatrici e relatori: Anna Brambilla (ASGI), Behrouz Boochani (Poeta e attivista), Caterina Bove (ASGI), Giulia Crescini (ASGI), Luigi Daniele (Università degli Studi del Molise), Chiara Favilli (Università degli Studi di Firenze), Lucia Gennari (ASGI), Arif Hussein (Human Rights Law Center, Australia), Loredana Leo (ASGI), Stephen Manning (Innovation Law Lab, USA), Giansandro Merli (Il Manifesto), Enrica Rigo (Università Roma Tre), Ulrich Stege (ASGI), Martina Tazzioli (Università di Bologna), Giulia Vicini (ASGI). L’evento ASGI è organizzato dal Progetto Sciabaca&Oruka in collaborazione con i Progetti InLimine e Medea.
Polonia: controlli e violenza al confine
Il 7 luglio scorso la Polonia ha introdotto i controlli alle frontiere con Germania e Lituania, prorogati a inizio agosto fino al 4 ottobre. Dopo un vertice sulla sicurezza con governatori e capi delle guardie di confine il ministro dell’Interno Kierwiński, , ha annunciato che il regolamento era stato notificato alla Commissione europea 1. Il ministro ha sottolineato la crescente pressione sul confine orientale, spiegando che la barriera polacca ha bloccato quasi del tutto i flussi da Bielorussia e Russia, spostando le rotte migratorie verso altri Paesi UE: «La tenuta al 98% della nostra barriera significa che i servizi bielorussi e russi, insieme alla migrazione illegale, si stanno spostando verso altre sezioni». Ha poi aggiunto: «Oggi la questione fondamentale, non solo per noi ma anche per i nostri partner dell’Unione Europea, è chiudere – se posso usare questo termine – la rotta che si è spostata verso Lituania e Lettonia» 2. Il mantenimento dei controlli alle frontiere interne Schengen mina il principio di libera circolazione dell’Unione Europea. Anche la Germania (già dal 2023) ha introdotto controlli ai confini con Polonia e Repubblica Ceca per contrastare l’immigrazione irregolare, estendendoli poi, lo scorso anno, a tutte le sue frontiere. In Lituania i controlli sono attivi in 13 punti, di cui tre valichi ufficiali, mentre gli altri dieci sono postazioni mobili utilizzabili dai residenti locali. In Germania, invece, i controlli si svolgono in 52 località 3. Sempre nel mese luglio, il parlamento polacco ha prorogato per altri 60 giorni la sospensione del diritto a richiedere asilo, approvata con 381 voti favorevoli e solo 19 contrari. Introdotto per la prima volta a marzo 2025, questo provvedimento era già stato prorogato a maggio e prevede la possibilità di limitare temporaneamente il diritto d’asilo in caso di “strumentalizzazione della migrazione”, quando considerata una grave minaccia alla sicurezza nazionale. Notizie/Confini e frontiere POLONIA, PROROGATA LA LEGGE CHE LIMITA IL DIRITTO D’ASILO AL CONFINE CON LA BIELORUSSIA Le ONG denunciano respingimenti illegali e violenze, anche sui minori non accompagnati Gaia Facchini 10 Luglio 2025 Ad aprile, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha disposto misure cautelari per impedire il rimpatrio delle persone migranti in Bielorussia, ma almeno una di queste misure è stata ignorata dalla Guardia di Frontiera polacca 4. La situazione al confine con la Bielorussia rimane grave, con violenze ricorrenti e limitazioni dei diritti fondamentali di persone in movimento e richiedenti asilo. Il 23 Luglio, un soldato polacco ha ferito a una coscia un cittadino sudanese nei pressi di Narewka, al confine con la Bielorussia, dopo che un gruppo era stato fermato per ingresso irregolare; l’uomo è stato ricoverato ma non è in pericolo di vita 5. L’esercito ha giustificato l’uso della forza con la necessità di tutelare i militari e di fronteggiare comportamenti aggressivi, mentre cinque persone migranti sono stati consegnate alla Guardia di Frontiera. Le autorità hanno riferito circa 100 tentativi di attraversamento illegale registrati il giorno precedente. Al confine sono frequenti gli scontri tra autorità polacche e persone in movimento: nel giugno 2024 un soldato polacco era stato presumibilmente accoltellato da una persona migrante. Dal 2021, diverse organizzazioni della società civile hanno denunciato che centinaia di persone hanno perso la vita nelle zone di confine, a causa dei respingimenti illegali attuati dalla parte polacca e della violenza delle autorità bielorusse. Nell’aprile 2024, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha stabilito che la Polonia aveva violato gli articoli 3 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il protocollo 4 della Convenzione spingendo ripetutamente un gruppo verso l’Ucraina. Sebbene i tribunali nazionali abbiano anche ripetutamente ritenuto illegali le pratiche di respingimento delle autorità, queste sono continuate per tutto il 2024 6. Il rapporto AIDA sul 2024 sulla Polonia 7, pubblicato nel mese di luglio, contiene una panoramica dettagliata sugli sviluppi legislativi e pratici in materia di procedure d’asilo, condizioni di accoglienza, detenzione dei richiedenti asilo. Nel 2024, 17.020 persone hanno richiesto protezione internazionale in Polonia, di cui 14.571 per la prima volta, con il 65% costituito da cittadini ucraini e bielorussi. Gli altri punti principali che emergono dal rapporto sono: * Nel 2024 continuano le segnalazioni di violenza verbale e fisica (uso di armi da fuoco, percosse e uso sistematico di spray al peperoncino), anche da parte di agenti della guardia di frontiera polacca. Registrati in totale 3183 respingimenti. * Reintrodotto il divieto di accesso all’area di confine a giugno 2024, prorogato per tutto l’anno, impedendo alle ONG di fornire aiuti umanitari a chi cerca protezione internazionale. Inoltre, nel 2024 sono proseguiti i procedimenti giudiziari contro operatori umanitari, accusati, tra l’altro, di “agevolare la permanenza illegale in Polonia”. * La mancanza di effettiva identificazione delle persone vulnerabili continua a essere condannata dalle ONG polacche. Per quanto riguarda le condizioni di accoglienza al confine polacco-bielorusso, queste sono rimaste critiche nel 2024: molti richiedenti asilo non hanno avuto accesso a strutture materiali o assistenza medica, nonostante violenze subite, ferite o estrema stanchezza, situazione aggravata dal divieto di soggiorno in alcune zone di frontiera che ha ostacolato l’intervento delle ONG. I minori non accompagnati richiedenti asilo hanno faticato a trovare sistemazioni adeguate, e spesso rifugi d’emergenza o strutture giovanili hanno rifiutato l’accoglienza dei minori portati lì dalle guardie di frontiera. La detenzione di famiglie con bambini è continuata, senza rispetto del principio del “miglior interesse del minore”, e le vittime di violenza o tortura sono state ancora collocate in centri di detenzione. Il Comitato ONU per i diritti economici, sociali e culturali, ha espresso preoccupazione per l’alto tasso di povertà e il rischio di sfruttamento abitativo tra persone rifugiate, mentre la protezione temporanea per cittadini ucraini e loro familiari è stata prorogata fino al 2025-2026, con criteri di registrazione più restrittivi. Nonostante l’aumento delle domande di asilo, le autorità hanno adottato un approccio più restrittivo, limitando la libertà di movimento dei beneficiari di protezione temporanea e condizionando l’accesso ai diritti socio-economici. Persistono anche nel 2025 gravi violazioni dei diritti umani, la crisi umanitaria al confine e la progressiva fortificazione della zona, accompagnate dalla criminalizzazione dell’assistenza umanitaria. Gli orrori al confine non si sono fermati, come conferma il rapporto “Brutal Barriers” realizzato da Oxfam e l’ONG Egala che documenta respingimenti, violenze fisiche – tra cui percosse, morsi di cani e violenza sessuale – e decessi nella cosiddetta “terra di nessuno”. Continuiamo a denunciare un sistema che lede sistematicamente i diritti fondamentali, legittimandosi al contempo sul piano sociale, politico e istituzionale. Rapporti e dossier/Confini e frontiere BRUTAL BARRIERS: RESPINGIMENTI, VIOLENZA E VIOLAZIONI ALLA FRONTIERA TRA POLONIA E BIELORUSSIA Il rapporto realizzato da Oxfam ed Egala Ludovica Mancini 19 Agosto 2025 1. Poland extends border controls with Germany and Lithuania, Eliza Meller/ew (3 Agosto 2025) ↩︎ 2. Poland extends border controls with Germany and Lithuania, TVP World (3 agosto 2025) ↩︎ 3. Polonia: prorogati i controlli alle frontiere con Germania e Lituania, Katarzyna-Maria Skiba (3 Agosto 2025) ↩︎ 4. AIDA (Asylum Information Database) Country Report on Poland – Update on 2024, ECRE ↩︎ 5. Polish soldier shoots migrant with rubber bullet at border, TVP World (23 luglio 2025) ↩︎ 6. AIDA (Asylum Information Database) Country Report on Poland – Update on 2024, ECRE (10 luglio 2025) ↩︎ 7. Scarica il rapporto di Asylum Information Database (AIDA) sulla Polonia pubblicato nel luglio 2025 ↩︎
Anatomia di un approdo qualsiasi
Lampedusa, agosto. Il giorno dopo l’ennesimo naufragio. Attraverso la descrizione delle pratiche di sbarco al molo Favaloro, spazio liminale e metonimia del confine europeo, il testo mette in luce la tensione costante tra accoglienza e controllo, tra salvataggio e classificazione. Il molo appare come luogo fisico di approdo, ma anche come dispositivo politico e simbolico, in cui il “naufrago” diventa “migrante ufficiale” e i corpi, ridotti a numeri, vengono gestiti secondo logiche amministrative e securitarie. Al tempo stesso, negli interstizi di questo limine, si collocano forme di riconoscimento reciproco: gesti minimi che aprono spazi di relazione volti a restituire dignità e soggettività. In un contesto dominato dall’urgenza e dalle cifre, è possibile interrompere la “circolarità della violenza”: questo accade quando si trasforma il molo da luogo di pura gestione a spazio di resistenza e un corpo migrante da numero torna ad essere persona. PH: Tanja Boukal È agosto, l’indomani dell’ennesima strage evitabile, e quello che si compie stasera è un normalissimo arrivo, il secondo della giornata. Ci sono stati tempi, sull’isola, in cui gli approdi si susseguivano senza sosta, ma le politiche europee e gli accordi con Libia e Tunisia stanno ottenendo il loro effetto nella riduzione dei numeri di persone migranti che approdano qui. Anche la tipologia degli arrivi pare diversa: ai grandi gruppi paiono stranamente sostituirsi i piccoli. Se non fosse per la presenza dei giornalisti, passerebbe inosservato ciò sta accadendo in questa calda serata d’estate, accanto ad una delle spiagge più turistiche dell’isola, la Guitgia: vacanzieri spensierati alla ricerca di mare e divertimento e cittadini stranieri non autorizzati, i primi attesi con impazienza, i secondi fermati, schedati, soccorsi, respinti, salvati e, in qualche modo, comunque accolti. Stasera partecipo come volontaria a uno sbarco, per usare un termine poco amato da chi interviene al molo per il suo richiamo al linguaggio militare. Evento marittimo numero 2 (EV. 2), lo definiscono le forze dell’ordine o la Croce Rossa (CRI). Tuttavia, molti, nelle conversazioni informali, ritornano all’uso della parola militare. Già: un Mediterraneo in assetto di guerra, eserciti e flotte civili che dispiegano i propri equipaggi in questa frontiera liquida. E poi quella terrestre, coi moli: due a Lampedusa, il Favaloro – più noto – e il Commerciale. PH: Tanja Boukal Spazio liminale, soglia giuridica, emotiva e politica. Non luogo, primo spazio di relazione e di accoglienza a terra, ma anche di trasformazione perché qui il “naufrago” diventa “migrante ufficiale”. Spazio di osservazione, di azione, ma anche di potere delle diverse agenzie i cui operatori (sia istituzionali e governativi che non) occupano un territorio che definisce anche la loro importanza in ordine di intervento e di decisione 1. Mai accesso libero, il molo diventa metonimia del confine: geografico, cronologico, politico, esistenziale. Rappresenta il trait d’union di tutte le contraddizioni: luogo di soccorso e accoglienza, ma anche spazio di cesura in cui si definisce chi può restare e chi deve essere respinto, chi è potenzialmente legale e chi non lo è, chi deve essere protetto e chi no, chi è vulnerabile e chi appare ancora dotato di forze e capacità, chi è vittima e chi è carnefice. La funzione del molo, come luogo di transito e di organizzazione delle operazioni di sbarco, non può essere separata dalla sua carica simbolica e neppure dalla violenza che lo abita, perché qui le politiche migratorie si concretizzano e si traducono nella classificazione e gestione delle persone che fanno parte di un evento. Al molo, le dinamiche di intervento ed azione sono continuamente ridisegnate, discusse e ristabilite durante il tempo dello sbarco, in una sorta di danza fluttuante, a seconda del momento in cui le persone migranti arrivano, le loro condizioni fisiche, il loro numero, la presenza di donne o minori non accompagnati, i tempi di trasferimento, ma anche a seconda delle competenze e del saper essere degli operatori e della loro disponibilità emotiva al tempo X dell’approdo. È un giorno d’agosto.  Al molo, stanotte, tutti i presenti sono in attesa: medico e infermiere per effettuare una prima verifica delle condizioni fisiche delle persone, due agenti di Frontex accompagnati da un mediatore linguistico dell’OIM, una persona di Save the Children, un’operatrice di International Rescue Committee (IRC), quattro operatori della CRI e poi noi volontari del Forum solidale di Lampedusa. Le forze dell’ordine sono dispiegate ai nostri lati. Ognuno al suo posto. PH: Tanja Boukal La nave della Guardia Costiera entra in porto poco dopo le 21.00, con a bordo il suo carico di naufraghi. Partiti da Tripoli due giorni fa, sono quarantuno persone a sbarcare: uomini provenienti da Bangladesh ed Egitto, cinque bambini, tre donne, almeno tre minori – o forse di più – ma solo questi confermati. Dal ponte della CP le persone scendono e cominciano a camminare lungo la striscia di cemento che li separa dal cancello, dove li attende il furgone della Croce Rossa, pronto a trasportarli all’hotspot. Il personale medico provvede subito a mettere una fascetta attorno al polso, a indicare se un qualunque tipo di patologia affligga queste persone. In genere, si tratta di scabbia. Stanotte una persona viene trasportata al poliambulatorio in barella: si è sentita male poco prima dell’arrivo a terra. Nulla di grave: è “solo” l’effetto di un viaggio estenuante in mare, senza acque, sotto il sole, in balia della corrente e delle preghiere che forse stavolta sono state ascoltate. Durante i primi scambi, il corpo si impone: ferite, piedi nudi, sguardi, movimenti raccontano in silenzio. L’odore arriva prima delle parole: un miscuglio acre di urina, sale marino e vomito. I vestiti sono zuppi, impregnati d’acqua e di viaggio. I piedi scalzi, bianchi di macerazione per le ore trascorse in acqua, raccontano di chilometri camminati e di ore immobili. Sfilano, timidi, esitanti. Stanotte, come sempre, mi sembrano vergognarsi dei nostri sguardi, dei vestiti bagnati, della miseria dei loro corpi. Noi volontari del forum lampedusano siamo in ultima postazione sul molo. PH: Tanja Boukal Siamo in quattro: proviamo ad accogliere in questo spazio ristretto, in un tempo che anche lui è di limite- limine, queste persone sfiancate dal viaggio, da quello che le ha precedute, dal deserto che hanno attraversato, dalle prigioni in cui sono stati forse detenute, dalle connection house che hanno incontrato nel percorso, e così a ritroso, fino ad arrivare al paese che li ha visti nascere. Distribuiamo the, acqua e ciabatte: il gesto si ripete, meccanico, ma ogni volta diverso perché tentiamo di lasciare loro spazio, di incontrarle, una per una. Un giovane egiziano fa da interprete improvvisato: non un mediatore ufficiale, ma un membro del gruppo che, per istinto, si mette a fare da ponte linguistico e culturale. Questa mediazione spontanea mostra come, anche in un contesto di vulnerabilità estrema come questo, possano emergere forme di auto-organizzazione e solidarietà interna. C’è una donna con un bambino piccolo portata subito al punto medico per accertamenti; sembra stare bene. I minori non accompagnati, egiziani, attendono in silenzio, scalzi come la maggior parte del gruppo. Sorridono, di risposta a un sorriso, dicono “grazie” a un semplice “Benvenuto. Sei al sicuro”. Una sicurezza momentanea, ma consolazione al viaggio appena lasciato alle spalle, in attesa di un altro che ricomincia. Parlo con un uomo. Dice di venire dall’Egitto. Alla domanda da dove sia partito, la risposta è secca: “Tripoli”. Poi il silenzio. Gli chiedo se sa dove si trovi. “Lapadusa”, pronuncia. Gli spiego il percorso che lo attende: da quest’isola alla Sicilia, poi un centro in Italia. Anche lui, come molti altri, non sa se vuole restare, parla di un altrove in Europa, dove ci sono familiari, connazionali, o solo un futuro immaginato che qui, sul molo, stanotte non si può spiegare. Un ragazzo chiede di sedersi. Fa segno che sta male e prima di poterlo allontanare dal gruppo, vomita bile. Il corpo si piega su se stesso. Cerchiamo di portarlo in un angolo protetto, lontano dagli sguardi perché la vergogna, in questi momenti, è quasi tangibile. Osservo altri che massaggiano le gambe. So che le traversate avvengono in posizioni forzate, con corpi incastrati tra loro, spesso dai trafficanti stessi. Muoversi durante il tragitto in mare è pericoloso: basta alterare l’equilibrio della barca per rischiarne il capovolgimento. Così le persone restano immobili per ore: l’assenza di movimento diventa dolore. Molti hanno lo sguardo perso, un’assenza che sembra protezione. Ma basta cercare i loro occhi perché, quasi sempre, succeda qualcosa: lo sguardo ritorna e spesso si allarga in un sorriso. Nel primo luogo di procedure e controlli, il contatto visivo agisce come atto di riconoscimento reciproco, interrompe la logica amministrativa dello sbarco, apre uno spazio di relazione tra chi arriva e chi accoglie. Stanotte, in risposta al freddo di questi uomini e in mancanza di vere coperte, tiriamo fuori quelle termiche: mantelline ripiegate con cui li copriamo. Lo facciamo per scelta: le apriamo, li avvolgiamo. Uno per uno: perché si mantenga un contatto autentico, perché sentano che sono persone e non numeri, perché la cura dell’altro questo prevede. In attesa di salire sul bus della Croce Rossa per il trasporto all’hotspot, alcune chiedono di andare in bagno. Non possono andarci sole, devono essere accompagnate per questioni di sicurezza, di controllo e gestione e per questo andiamo noi volontari del forum: per interrompere la circolarità di una violenza che ci è imposta e che obbliga uomini a tornare bambini, privati persino dell’autonomia di un gesto elementare come andare in bagno. Stanotte non ci autorizzano, perché le persone stanno per essere trasportate all’hotspot. “Possono aspettare. Avrebbero dovuto chiedere prima”. Corpi obbligati a un’attesa che un altro decide per loro. PH: Tanja Boukal Quando le persone sono in attesa di essere caricate sul pulmino della CRI per il trasferimento all’hotspot, le fila si rompono e l’ordine è meno evidente. Lo spazio è occupato in modo meno armonico e ordinato, nonostante la sorveglianza della polizia non si abbassi mai. Gli operatori, invece, si muovono in questo spazio. Il clima, generalmente si distende. Sono molte le persone in attesa che chiedono “Wi- Fi”: il bisogno evidente è quello di comunicare a chi è rimasto a casa di essere arrivato a destinazione ed essere sopravvissuto. Un uomo ci chiede di chiamare la famiglia: non ha il telefono. Parla un inglese stentato. Racconta in lacrime che ha lasciato sua figlia in Bangladesh, appena nata e che non ha potuto chiamare in questi mesi. Vuole avvisare per dire che ce l’ha fatta a bruciare queste frontiere, ad arrivare. La conversazione si chiude: il trasferimento all’hotspot non aspetta i tempi di una conversazione, di un bagno, una preghiera, di una confessione. Uno sbarco ha il tempo di cifre e urgenze vitali. Tutto il resto deve attendere. Solo negli interstizi di questo limine la relazione ha spazio per fiorire. Ed è lì, nella frontiera fragile tra controllo e accoglienza, che un operatore agisce perché un corpo migrante da numero diventi persona, perché uno sbarco si trasformi in approdo e la relazione, anche solo per un istante di confine, interrompa la catena della violenza. 1. In M. MARCHETTI, Il fondamento territoriale del potere di fronte alle trasformazioni spaziali globali, pubblicato sulla rivista Diritti fondamentali il territorio è condizione di esistenza delle strutture di potere; è forma spaziale ove l’uomo orienta i propri sensi, colloca, individua ed organizza le strutture della vita comune; esso ha un’intima essenza antropologica, essendo l’uomo stesso “un essere terrestre, un essere che calca la terra”, avvinto ad essa da un legame simbiotico che imprime unità ed identità al gruppo stesso. Gli antropologi definiscono tale legame ricorrendo all’espressione “imperativo territoriale”, per intendere quell’istinto o quella pulsione primordiale che spinge gli uomini (come anche gli animali) a difendere il territorio in forza di un sentimento possessivo, esclusivo ed escludente ↩︎
Brutal Barriers: respingimenti, violenza e violazioni alla frontiera tra Polonia e Bielorussia
Dalla violenza delle parole alla violenza della frontiera Sono «Orde di banditi… che cercano di attaccare i soldati polacchi» 1. «Immagina una ragazza di 18 anni che attraversa molte frontiere, senza famiglia… Non ha idea di come siano le foreste Europee… di quanto poco bene ci sia» 2. Due narrazioni antitetiche. Lo stesso oggetto: la frontiera tra Polonia e Bielorussia. Il rapporto Brutal Barriers realizzato da Oxfam e l’ONG Egala 3, pubblicato nel marzo 2025, grida le prove e le testimonianze delle persone in movimento, dei volontari e degli operatori umanitari presenti nel cosiddetto ‘Sistema’: quello che in arabo viene chiamato Muharrama, cioè: ‘terra di nessuno’, ‘zona di morte’. Il Sistema è un’area lunga 38 miglia situata nella primordiale, ostile all’uomo, foresta di Białowieża, oggi scena di una crisi umanitaria e dei diritti umani che si aggrava ininterrottamente dal 20214, risultato della sistematica strumentalizzazione delle persone in movimento dal regime di Lukashenko e della brutale politica dei ‘pushbakcs’ adottata dal Governo Tusk. Questo articolo si propone di contro informare sugli orrori documentati dal rapporto Brutal Barriers, configurandosi quale contro-pratica discorsiva rispetto alla crescente criminalizzazione e securitizzazione delle persone in movimento e dei difensori dei diritti umani, come denunciato nel rapporto stesso. In un contesto in cui emozioni e sentimenti vengono evocati per propagandare la negazione di questa crisi umanitaria, funzionale alla tutela dello schema identitario dell’Unione Europea (UE), saranno proprio le voci grassroots raccolte nel documento di Oxfam ed Egala a parlare del Sistema, rivelando il décalage esistente tra la violenza semantica delle retoriche securitarie e la violenza sistemica che domina la Muharrama. A COSA ASSOMIGLIA LA FRONTIERA TRA POLONIA E BIELORUSSIA? «Stavo camminando nella foresta. Continuavo a guardarmi alle spalle per controllare se ci fossero soldati polacchi (…), avevo paura che mi prendessero. Non mangiavo da molto tempo. (…) Ero vicino al fiume (…). Ero bagnata, ero lenta perché mi dovevo muovere nel fango» 5. A partire dal 2021, la frontiera orientale tra Polonia e Bielorussia è oggetto di un processo di progressiva e sistematica fortificazione multilivello. Alle barriere naturali preesistenti, rappresentate dalla foresta di Białowieża, si sono affiancate diverse tipologie di ostacoli, riconducibili a quattro principali dimensioni: * Barriere artificiali di natura militare e tecnologica, costituite da infrastrutture di contenimento quali recinzioni in filo spinato, barriere “intelligenti” dotate di sensori di movimento e sistemi avanzati di videosorveglianza. * Barriere coercitive, rappresentate da prassi consolidate e documentate di violazione dei diritti fondamentali da parte delle autorità polacche e bielorusse. Tali pratiche includono operazioni di respingimento collettivo (pushbacks), uso sproporzionato della forza e privazione deliberata di beni essenziali quali cibo, acqua, cure mediche e riparo, in violazione del diritto internazionale ed europeo dei diritti umani. * Barriere normative, ovvero misure legislative e regolamentari finalizzate alla formalizzazione e legittimazione giuridica di un regime strutturale di compressione dei diritti umani e dello stato di diritto. Tra queste si segnalano: la reintroduzione della ‘zona di esclusione’ nel giugno 2024; la Legge polacca 1248/2024, che prevede un’esenzione dalla responsabilità penale per i membri delle forze armate, della guardia di frontiera e della polizia operanti nelle aree frontaliere, anche in caso di uso eccessivo della forza, concedendo il via libera ad abusi; lo stanziamento di 52 milioni di euro da parte della Commissione Europea nell’ambito del Regolamento (UE) 2021/1148 6, destinati al rafforzamento del controllo delle frontiere esterne e alla gestione delle cosiddette ‘minacce ibride’; nonché la Legge polacca 389/2025, che autorizza la sospensione temporanea del diritto d’asilo in situazioni eccezionali. L’insieme di questi strumenti solleva rilevanti questioni di compatibilità con più articoli della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, la Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU), e la Convenzione sullo Status dei Rifugiati del 1951. ‘ZONA DI ESCLUSIONE’ REINTRODOTTA NEL LUGLIO 2024 Fonte: Oxfam & Egala (2025, p. 7 * Barriere all’assistenza umanitaria, derivanti dalla totale assenza di una risposta istituzionale alla crisi umanitaria in corso e da forme sistematiche di ostruzionismo nei confronti delle attività svolte da soggetti della società civile, come documentato da Amnesty International 7. Queste ultime si concretizzano in azioni di criminalizzazione, intimidazione, molestie, anche attraverso canali digitali, controllo repressivo e fenomeni di vigilantismo armato e organizzato da parte di attori non istituzionali. PUSHBACKS, VIOLENZE E ASSENZA DELLO STATO DI DIRITTO IN POLONIA E IN BIELORUSSIA Secondo quanto riportato da Medici Senza Frontiere, nel giugno 2024 i pazienti giunti in Polonia hanno dichiarato di aver trascorso in media 21 giorni nella foresta, con permanenze che in alcuni casi hanno raggiunto i 90 giorni 8. Durante questa agonia nel Sistema, sia dal lato polacco che da quello bielorusso, le persone in movimento hanno affermato di essere state sottoposte a diverse pratiche non conformi al diritto, non solo nazionale, ma anche a norme di ius cogens erga omnes. Le organizzazioni della società civile hanno registrato 5,615 richieste di assistenza e 3,183 casi di pushbacks 9 da territorio polacco. Inoltre, secondo i dati raccolti da We Are Monitoring, tra giugno e novembre 2024 10, 122 persone in movimento, bisognose di immediata assistenza medica – anche donne incinte – sono state respinte, di cui 13 direttamente da strutture ospedaliere polacche, includendo anche soggetti minorenni 11. Approfondimenti/Rapporti e dossier/Confini e frontiere «HO DETTO, VOGLIO RIMANERE IN POLONIA MA MI HANNO RESPINTO» Testimonianze dal confine polacco-bielorusso nel rapporto di We Are Monitoring Gaia Facchini 24 Marzo 2025 A ciò si aggiungono una pluralità di violazioni dei diritti umani che, nei casi più gravi, si configurano come una lesione del diritto alla vita, garantito, inter alia, dall’articolo 2 della CEDU, dovute tanto alle pratiche di respingimento collettivo, quanto alle infrastrutture di frontiera. In particolare, la fortificazione della frontiera ha determinato, nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2023, un incremento del 40% delle lesioni fisiche direttamente imputabili all’interazione con tali dispositivi. «Molto spesso, la prima cosa che sentiamo dai pazienti assistiti negli ospedali polacchi è l’espressione ‘No Bielorussia, No Bielorussia’», riferisce Justyna, volontaria presso l’ospedale gestito da Egala. Le testimonianze raccolte evidenziano che le violenze perpetrate sul lato bielorusso assumono spesso forme drammatiche: le persone vengono punite e percosse in conseguenza del mancato ingresso in Polonia. Sono frequenti le ferite causate da morsi di cani e i segni di percosse, mentre non mancano le segnalazioni di violenza sessuale, come riferisce Olga, operatrice di Egala, mettendo in luce come le donne in movimento subiscano anche forme specifiche di violenza intersezionale, dovute alla loro condizione di essere sia in movimento sia donne. Inoltre, sul versante bielorusso, al di là della violenza sistemica, emerge la totale impossibilità per le persone in movimento di sfuggire al Sistema: esse non hanno la possibilità né di lasciare la regione né di raggiungere Minsk, restando di fatto costrette a tentare l’attraversamento verso la Polonia. Tra metà 2021 e novembre 2024, la foresta di Białowieża è divenuta il luogo di morte documentata di 88 persone, secondo quanto riportato dalle organizzazioni della società civile, senza considerare il presumibile numero di vittime non registrate. RACCOMANDAZIONI Oxfam ed Egala propongono, inter alia, le seguenti raccomandazioni: Al Governo della Repubblica di Polonia: cessare la politica e la prassi dei respingimenti collettivi, assicurare un trattamento conforme agli standard internazionali ed europei sui diritti umani per tutte le persone presenti nella zona di frontiera, abrogare la Legge 1248/2024, e garantire un accesso effettivo alla zona di frontiera per le organizzazioni umanitarie e di tutela dei diritti fondamentali. Al Governo della Repubblica di Bielorussia: prevenire, indagare e sanzionare con urgenza ogni forma di abuso, in particolare violenza sessuale, tortura e trattamenti inumani o degradanti perpetrati da personale in uniforme; porre fine al trattenimento delle persone in movimento nel Sistema, assicurando un accesso effettivo alle procedure di asilo. Alle istituzioni e agenzie dell’Unione Europea: indagare sulle presunte violazioni della normativa UE in materia di asilo e di gestione delle frontiere da parte della Polonia, condannare pubblicamente gli abusi e sospendere ogni forma di sostegno politico, finanziario e operativo dell’UE, incluso Frontex, per infrastrutture o attività di protezione della frontiera polacca, basi delle violazioni dei diritti umani. Alla comunità internazionale: condannare pubblicamente ogni violazione, politica o operativa, dei diritti connessi al diritto d’asilo nella zona di confine e sostenere l’assistenza umanitaria per rispondere ai bisogni immediati delle persone coinvolte. CONCLUSIONI Dal 2021, la crisi umanitaria nella foresta di Białowieża si è progressivamente aggravata, accompagnata da violazioni dei diritti umani sempre più sistematiche, istituzionalizzate sul piano giuridico e avallate politicamente anche attraverso strategie propagandistiche di negazione e distorsione dei fatti, generando così una legittimazione simultanea sul piano giuridico, istituzionale, politico e sociale. Guardando al futuro, l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 1348/2024 12 sulle procedure di asilo, con le quattro modifiche introdotte alla nozione di Paese terzo sicuro, rischia di produrre effetti restrittivi sulla protezione internazionale, in particolare in contesti di frontiera come quello tra Polonia e Bielorussia, dove potrebbe consolidare approcci securitari e ostacolare maggiormente l’accesso effettivo alla procedura d’asilo. In senso potenzialmente opposto, la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 13, così come le decisioni attese della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nelle cause H.M.M. e altri c. Lettonia, C.O.C.G. e altri c. Lituania e R.A. e altri c. Polonia potrebbero costituire delle contro-pratiche top-down alla plurima legittimazione della negazione dello stato di diritto nella foresta di Białowieża. Le sentenze attese saranno determinanti per chiarire l’applicazione combinata dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 (proibizione di espulsioni collettive di stranieri) e dell’articolo 3 (proibizione di tortura) della CEDU, con riferimento al margine di apprezzamento degli Stati e alla possibilità di deroga prevista dall’ articolo 15 della CEDU in situazioni qualificate come ‘emergenze’ – come quelle definite dagli Stati convenuti in giudizio come ‘guerra ibrida’ – in nome della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico. Non da meno sarà la valutazione circa l’effettiva disponibilità, o meno, di canali legali e genuini di ingresso nei tre Paesi interessati. 1. Come riportato da Reuters (2024). Polish border migrant crisis: bill to allow use of arms sparks rights concern ↩︎ 2. Testimonianza di Sanibab. Brutal Barriers Report on the Poland-Belarus Border, P. 4 (2025) ↩︎ 3. Leggi il rapporto ↩︎ 4. Nel 2021, il regime bielorusso ha deliberatamente favorito e strumentalizzato i flussi migratori provenienti da Paesi terzi, agevolando l’ingresso di migranti e richiedenti asilo verso il confine con la Polonia al fine di esercitare pressione politica sull’Unione Europea (UE), in risposta alle sanzioni adottate dall’UE nei confronti del regime di Lukashenko a seguito delle contestate elezioni presidenziali del 2020 e della repressione violenta delle proteste interne ↩︎ 5. Testimonianza di Sanibab. Brutal Barriers Report on the Poland-Belarus Border. (2025). P. 10 ↩︎ 6. Consulta il regolamento ↩︎ 7. Amnesty International (2022). Poland: Cruelty Not Compassion, at Europe’s Other Borders. ↩︎ 8. Oxfam, intervista a testimone privilegiato con Judyta Kuc, Responsabile del Supporto alla Missione e dell’Advocacy, MSF (11 giugno 2024) ↩︎ 9. Dati di We Are Monitoring forniti a Oxfam, gennaio 2025 ↩︎ 10. Scarica il rapporto (ENG) ↩︎ 11. Ibid ↩︎ 12. Consulta il regolamento ↩︎ 13. Consulta la sentenza ↩︎
I rifugiati di Agadez lanciano una petizione urgente dopo oltre 300 giorni di protesta
Mentre il governo del Niger intensifica la repressione e viola i diritti dei rifugiati, stare al loro fianco è più importante che mai. Firma e condividi ora 1. Da oltre 300 giorni, i rifugiati del Centro “Umanitario” di Agadez, in Niger, continuano la loro protesta pacifica, denunciando condizioni sempre più dure, negligenza amministrativa e intimidazioni da parte delle autorità nazionali. Dall’inizio di luglio, la maggior parte delle persone ospitate nel centro ha smesso di ricevere l’assistenza alimentare. Secondo l’UNHCR, l’aiuto continuerebbe a essere garantito alle cosiddette “categorie vulnerabili”, come vedove, minori non accompagnati e persone con disabilità o patologie croniche. Ma in pratica, le liste degli aventi diritto, emesse dall’UNHCR, hanno escluso numerose persone che rientrano chiaramente nei criteri dichiarati. Inoltre, chi aveva ricevuto aiuti da ONG partner nel 2023 è stato retroattivamente escluso dai nuovi elenchi. A queste persone, al momento della distribuzione, non era stato comunicato che si trattava di un progetto legato all’integrazione economica, né che quel sostegno avrebbe compromesso la possibilità di ricevere aiuti in futuro. In un comunicato diffuso lo scorso maggio, l’UNHCR ha giustificato i tagli come un’opportunità per “favorire l’autosufficienza” attraverso corsi di formazione professionale. Ma la realtà sul campo è che la maggior parte dei rifugiati oggi fatica a soddisfare i propri bisogni fondamentali.  Interviste/Confini e frontiere MENO CIBO, PIÙ AUTONOMIA? IL PARADOSSO DELL’ASSISTENZA DI UNHCR AL CAMPO DI AGADEZ, NIGER I rifugiati: «Non vogliamo restare qui, nel deserto» Laura Morreale 20 Giugno 2025 L’agenzia ONU attribuisce le difficoltà operative ai tagli dei finanziamenti internazionali e alle restrizioni imposte dal governo del Niger. Tuttavia, alcuni operatori umanitari presenti sul territorio segnalano un contesto sempre più repressivo, che rende difficile persino il dialogo diretto con la popolazione rifugiata. In particolare, lo staff UNHCR ha dovuto affrontare ostacoli e intimidazioni quando ha cercato di dialogare con i rifugiati coinvolti nella protesta. I rifugiati riportano che funzionari dell’Ufficio CNE – l’organismo nazionale incaricato di valutare le richieste d’asilo – hanno impedito o interrotto incontri tra il personale UNHCR e i rappresentanti dei rifugiati. Secondo diverse testimonianze, un funzionario del CNE avrebbe affrontato in modo aggressivo e minaccioso un rappresentante dell’UNHCR responsabile delle politiche nutrizionali nel campo, durante un incontro di routine. Episodi simili fanno pensare che le autorità locali stiano volutamente limitando la capacità dell’UNHCR di comunicare e difendere i diritti dei rifugiati. Notizie/Confini e frontiere GESTIRE IL DISSENSO AD AGADEZ Le autorità nigerine dichiarano sciolti i comitati dei rifugiati Laura Morreale 22 Aprile 2025 Nei giorni scorsi, ad alcuni rifugiati è stato detto di “parlare solo per sé stessi”, perché gli organismi di rappresentanza collettiva sono osteggiati dalle autorità nazionali. A partire da maggio, il CNE ha infatti dichiarato illegittimo il comitato dei rifugiati che guida la protesta. All’epoca, otto attivisti erano stati arrestati senza accuse formali e poi rilasciati. Sei di loro – tre donne e tre uomini – si sono visti sospendere la procedura d’asilo tramite un decreto ministeriale datato 3 luglio, con la motivazione di “disturbo dell’ordine pubblico e rifiuto di rispettare le leggi e i regolamenti in vigore nel paese ospitante”. I tentativi di contestare la decisione sono stati respinti dai giudici, che hanno rinviato i casi all’ufficio del governatore. I rifugiati che hanno cercato di presentare denunce formali sono stati ignorati o dirottati altrove. PH: Refugees in Niger Secondo le persone del centro con cui sono in contatto, altri due rifugiati sarebbero stati deportati verso il loro paese d’origine perché “si erano rivolte al tribunale e avevano parlato con i giudici delle condizioni del centro, del trattamento riservato ai rifugiati da parte del personale e degli incidenti verificatisi nel centro, in particolare l’omicidio di un rifugiato nel 2022”. In un contesto di tagli all’assistenza alimentare, restrizioni alla libertà d’espressione e mancanza di accesso alla giustizia, le condizioni psicologiche dei residenti del centro sono peggiorate. Una rifugiata, Nawal Daoud Mohamed, è stata rilasciata dal centro nonostante fosse noto che soffrisse di disturbi psicologici e ora risulta scomparsa. Il CNE ha riferito che sarebbe apparsa in un villaggio a ottanta chilometri dalla città di Agadez, ma i rifugiati non sanno se l’informazione sia accurata o se si tratti di una strategia per evitare disordini nel campo. Secondo i rifugiati, questo caso è emblematico di una negligenza generalizzata verso il benessere psicologico dei residenti del centro. Secondo i rifugiati, questo caso è emblematico di una negligenza generalizzata verso il benessere psicologico dei residenti del centro. Di seguito, condividiamo il messaggio e la petizione inviataci dai rifugiati di Agadez con cui siamo in contatto da diversi mesi: -------------------------------------------------------------------------------- Grazie a Melting Pot Europa per il sostegno costante e per aver dato visibilità agli abusi in corso ad Agadez. Nonostante la nostra resistenza, e una protesta pacifica e legale che dura da oltre 309 giorni, la situazione è purtroppo peggiorata. Abbiamo bisogno della vostra voce. Vi chiediamo di firmare, condividere e amplificare queste storie, petizioni e testimonianze da Agadez. Enough is enough: when peaceful protest is met with collective punishment Dal 15 luglio 2025, i rifugiati del Centro Umanitario di Agadez hanno vissuto quanto segue: * Nawal Daoud Mohamed, una donna di 27 anni, è scomparsa dopo essere uscita dal campo. Era in stato di grave sofferenza psicologica a causa delle condizioni di vita estreme e disumane del Centro Umanitario di Agadez. * Pompe dell’acqua disattivate nel mese più caldo dell’anno, lasciando 2.000 persone – tra cui 800 bambini – senza acqua adeguata, con temperature nel deserto che superano i 50°C. * Assistenza alimentare eliminata per 1.730 persone come punizione per l’espressione pacifica del dissenso. L’UNHCR lo chiama “promozione dell’autosufficienza”. Il diritto internazionale lo chiama punizione collettiva. Su oltre 2.000 residenti, solo 270 persone classificate come “più vulnerabili” hanno ancora accesso alla nutrizione di base. * Otto leader comunitari, sopravvissuti a una detenzione arbitraria a marzo, oggi affrontano nuove minacce semplicemente perché si rifiutano di restare in silenzio. Il CNE ha intensificato le intimidazioni, avvertendo che lo status di rifugiato potrebbe essere revocato a chiunque continui a documentare le condizioni del centro con la campagna #KeepEyesOnAgadez. * Le cure mediche sono state ridotte al minimo, con farmaci limitati a semplici antidolorifici, mentre donne incinte muoiono durante il parto e i bambini vengono respinti da cliniche chiuse. -------------------------------------------------------------------------------- Non possiamo lasciare che tutto questo continui. Firma ora le petizioni per chiedere il ripristino immediato di cibo, acqua, cure mediche e la fine delle intimidazioni. Ogni firma aumenta la pressione sul governo del Niger e sull’UNHCR. ✍️ Petizione al Governo del Niger ✍️ Petizione all’UNHCR Bastano 5 minuti, ma possono salvare delle vite. Condividi questo appello e tagga 3 persone che hanno a cuore i diritti umani. Quando firmiamo insieme, i funzionari devono ascoltare. 1. ✍️ Petizione al Governo del Niger ✍️ Petizione all’UNHCR ↩︎