Source - Progetto Melting Pot Europa

Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

La rappresentazione delle persone con background migratorio nella stampa cuneese: analisi linguistica e semantica
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Università degli Studi di Torino Corso di Laurea in Lettere LA RAPPRESENTAZIONE DELLE PERSONE CON BACKGROUND MIGRATORIO NELLA STAMPA CUNEESE: ANALISI LINGUISTICA E SEMANTICA Tesi di Michela Gallo (2024/2025) Scarica l’elaborato INTRODUZIONE Secondo il XII Rapporto Carta di Roma 1 (report annuale, redatto dall’Associazione Carta di Roma, che monitora come i media italiani parlino di migrazione), nel 2024, la stampa italiana ha registrato un calo dell’attenzione verso il fenomeno migratorio: nei giornali nazionali si parla meno di migranti e, quando se ne parla, la questione assume sempre più una connotazione politica. Partendo da tale prospettiva, l’intento di questo elaborato è stato quello di indagare come si parli, invece, di persone con background migratorio nei giornali locali piemontesi. La ricerca si è focalizzata sull’analisi di quali siano state, nel corso del 2024, le etichette utilizzate per riferirsi a migranti nel contesto mediatico della provincia di Cuneo, prendendo in esame cinque settimanali afferenti alle zone del Saluzzese, Fossanese e Saviglianese. A partire dalla letteratura e da uno spoglio preliminare delle versioni digitali dei giornali selezionati si è costituito un elenco di parole chiave riferite alla descrizione di persone migranti.  Si è quindi verificata l’occorrenza di tali etichette all’interno dei giornali scelti, selezionando estratti di articoli di interesse per il tema. Il corpus che ne è derivato ha fornito dati quantitativi, indicando quali fossero gli appellativi più diffusi. Le analisi numeriche hanno poi condotto a riflessioni di tipo linguistico e semantico: i risultati hanno evidenziato il riferimento a frame ricorrenti e all’utilizzo di particolari strutture di frase. Da un lato, i dati ottenuti si sono rivelati in linea con le tendenze proprie della stampa nazionale; dall’altro, alcune etichette, hanno evidenziato tipicità proprie del contesto analizzato. Lo studio contribuisce, dunque, a fornire una lettura contestualizzata e su piccola scala di un fenomeno complesso, quale l’immigrazione e la sua rappresentazione mediatica. 1. Vai al rapporto ↩︎
Class action contro i ritardi delle Ambasciate italiane nel rilascio dei visti per motivi familiari
La class action è stata avviata attraverso una diffida collettiva sottoscritta da cittadine e cittadini con background migratorio o titolari di protezione internazionale e dalle associazioni ASGI, ARCI e Spazi Circolari. Con questo atto si è chiesto al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) di intervenire per ripristinare la regolarità delle procedure per il rilascio dei visti familiari, alla luce delle gravi criticità riscontrate: dalla difficoltà di prenotare un appuntamento fino al mancato rispetto del termine legale di 30 giorni per l’emissione del visto dopo il nullaosta al ricongiungimento familiare. Nonostante le reiterate richieste di incontro o di riscontro rivolte al MAECI, nessuna risposta è mai pervenuta. Persistendo dunque l’inerzia amministrativa già denunciata con la prima diffida del 4 ottobre 2024, è stato depositato al TAR Lazio il ricorso collettivo (n. r. g. 11893/2025), la cui prima udienza è fissata per il 27 gennaio 2026. Le cittadine e i cittadini con background migratorio – che hanno ottenuto il nullaosta al ricongiungimento familiare e sono ancora in attesa del visto – possono aderire alla class action tramite un legale di fiducia, entro il 5 gennaio 2026. Il progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare” – in collaborazione con l’APS Attiva Diritti di Roma – ha predisposto un modello di atto di intervento e offre consulenza ai legali che intendano assistere gratuitamente i propri assistiti nella partecipazione alla class action. Anche le associazioni che, per statuto e per attività, tutelano i diritti delle persone con background migratorio possono intervenire nel giudizio, sempre entro il 5 gennaio 2026. Scarica i modelli: 1) “MODELLO intervento class action ricongiungimenti mancata conclusione nei termini dopo aver formalizzato la richiesta di rilascio del visto” 2) “MODELLO intervento class action ricongiungimenti mancato accesso” * Per informazioni: annick@meltingpot.org (si prega di inserire nell’oggetto della email: “Adesione class action”) Notizie RIPARTE “ANNICK. PER IL DIRITTO ALL’UNITÀ FAMILIARE” Il progetto torna con nuove azioni di supporto, grazie al sostegno dell’Otto per Mille Valdese 2 Dicembre 2025
Protezione speciale: una tutela che evita una compressione grave e irreversibile della vita privata e familiare
Sei decisioni del Tribunale di Genova che riconoscono la protezione speciale a richiedenti asilo provenienti da Bangladesh, Marocco e Pakistan, confermando un orientamento giurisprudenziale ormai cristallino: la tutela va garantita quando il rimpatrio comporterebbe una compressione grave e irreversibile della vita privata e familiare, alla luce dell’art. 8 CEDU e dell’art. 19, co. 1.1 TUI. Le decisioni sottolineano come, in tutti i casi, i ricorrenti abbiano costruito in Italia percorsi di integrazione lavorativa, sociale e linguistica solidi, spesso accompagnati da impegni formativi, contratti stabili e reti amicali o familiari. Si tratta di un progetto di vita e radicamento territoriale dopo esperienze di estrema vulnerabilità: anni di povertà e indebitamento nei Paesi di origine, detenzione e torture in Libia, naufragi, problemi di salute e cura affrontati in Italia. I giudici riconoscono che interrompere bruscamente questi percorsi costituirebbe, di per sé, una condizione degradante. Le sentenze richiamano anche le condizioni oggettive dei Paesi di provenienza: l’instabilità politica e la violenta repressione delle proteste in Bangladesh, l’invivibilità socio-economica e ambientale che caratterizza intere aree del paese, aggravata da eventi climatici estremi, erosione, inondazioni e insicurezza alimentare; le gravi violazioni dei diritti umani in Pakistan, soprattutto a danno delle minoranze religiose. In altri casi incide la mancanza di qualsiasi rete familiare nel Paese di origine dopo decenni trascorsi all’estero. La valutazione complessiva porta il Tribunale a ritenere che il rimpatrio forzato vanificherebbe percorsi di integrazione ormai sostanziali, creando un vulnus grave e attuale ai diritti fondamentali dei ricorrenti. Queste sei pronunce rafforzano ulteriormente il ruolo della protezione speciale come strumento imprescindibile per garantire continuità di vita, dignità e tutela effettiva per chi, in Italia, ha già costruito una parte significativa della propria esistenza. 1) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto dell’1 agosto 2025 2) Ricorrente del Pakistan – Tribunale di Genova, decreto del 4 agosto 2025 3) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto del 10 ottobre 2025 4) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto del 14 ottobre 2025 5) Ricorrente del Marocco – Tribunale di Genova, sentenza del 21 ottobre 2025 6) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto dell’11 novembre 2025 Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per le segnalazioni.
Ennesima operazione di sgombero in alcuni magazzini del Porto Vecchio di Trieste
Nella prima mattinata del 3 dicembre a Trieste è stato eseguito un nuovo sgombero nei magazzini del Porto Vecchio. Circa 150 persone migranti e richiedenti asilo, che da settimane dormivano in ripari di fortuna dopo essere state abbandonate in strada, sono state messe in fila, identificate e trasferite. La nuova operazione di sgombero e chiusura dei magazzini 2 e 2A del Porto Vecchio è stata disposta dal Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico dopo gli incendi delle scorse settimane. Notizie INCENDI AL PORTO VECCHIO DI TRIESTE, SOSPETTI SU AZIONI DOLOSE Associazioni, volontarә e attivistә solidali chiedono indagini approfondite Redazione 18 Novembre 2025 La misura, denunciata da ICS – Consorzio Italiano di Solidarietà, conferma l’assenza di una strategia seria e strutturale da parte delle istituzioni: «domani, le persone che arriveranno in città, si troveranno nella medesima condizione di chi è stato allontanato oggi. Semplicemente, il problema viene spostato, non affrontato». Lo sgombero è avvenuto senza alcun coinvolgimento delle organizzazioni che in città si occupano quotidianamente di accoglienza e supporto, né dell’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Per ICS questa esclusione rivela la cifra politica della gestione locale della mobilità migratoria: una gestione dettata da logiche securitarie ed emergenziali, spesso funzionali più a esigenze mediatiche che alla tutela dei diritti delle persone vulnerabili. Si produce così, ancora una volta, un’emergenza artificiale che si ripresenterà nei prossimi mesi, aggravando la responsabilità politica di chi governa. Ma ciò che l’organizzazione sottolinea come più grave è l’esclusione arbitraria di almeno quaranta persone che non si trovavano nei magazzini al momento dell’intervento e che non sono state trasferite né informate. Il fatto che nessuna istituzione abbia tentato di raggiungerle, proprio perché le realtà del territorio non sono state coinvolte, avrà conseguenze dirette e drammatiche sulla vita di persone già estremamente vulnerabili. Notizie TRIESTE, TRASFERITE LE PERSONE MIGRANTI DAL PORTO VECCHIO Critiche dalle associazioni: «Un’operazione tardiva e inefficace» Redazione 7 Ottobre 2025 A denunciare la situazione interviene anche Linea d’Ombra. “All’improvviso, come da copione, brusco trasferimento di migranti dagli unici ripari che hanno: i miserabili anfratti di Porto Vecchio, dove pur riescono a sopravvivere con la nostra solidarietà. Ma non solo trasferimenti – scrive l’associazione – a quanto pare anche espulsioni, talora con motivazioni grottesche. A molti altri è stato semplicemente intimato di andarsene dal Porto Vecchio”. Linea d’Ombra sottolinea come dopo mesi di accoglienza “scarsa e irregolare”, lo sgombero arrivi accompagnato dagli “echi soddisfatti dei politicanti che lucrano sulla paura e sulla sofferenza”. Nel pomeriggio nella stessa area interessata dal dispiegamento improvviso e massiccio degli apparati istituzionali è stato ritrovato il corpo senza vita di un uomo algerino di 32 anni 1. Un epilogo che mostra, una volta di più, l’assenza totale di cura e tutela per quelle vite che le istituzioni continuano a trattare come un problema da rimuovere agli occhi della città. Quello che accade a Porto Vecchio non è un evento straordinario: è il prodotto di una scelta politica. E come tale, può – e deve – essere cambiato. 1. Un migrante algerino trovato senza vita all’ex Locanda 116, RaiNews (3 dicembre 2025) ↩︎
Il deserto dei Tartari
Silence fini è il racconto di tre settimane nel Mediterraneo centrale a bordo del veliero Nadir 1 di RESQSHIP, in cui ho vissuto il soccorso in mare e osservato da vicino le vite delle persone migranti e dell’equipaggio, tra responsabilità, vulnerabilità e privilegio, in un mare che resta coerente e implacabile. Attraverso la mia esperienza personale, esploro cosa sia un soccorso e come frontiere, norme e gerarchie si manifestino nei corpi, nei gesti, nelle decisioni e negli sguardi. Silence fini vuole aprire ad una riflessione sulle contraddizioni etiche e politiche del Mediterraneo contemporaneo. Il racconto della navigazione a bordo di questo veliero della Civil fleet che opera monitoraggio e soccorso nel central med, vuole ricordare la violenza strutturale che colpisce chi attraversa, tra respingimenti, detenzioni e pratiche di Stati che negano sicurezza e diritti fondamentali. SILENCE ET ATTENTE. IL DESERTO DEI TARTARI Se mi chiedessero quanto tempo dura un soccorso, potrò dire che può durare 26 minuti e che quei minuti ovviamente perdono dimensione: si dilatano, allungano, sparpagliano.  Notte insonne o quasi.  Alle dieci di mattina del 5 novembre, riceviamo un Mayday relay forte e chiaro da Eagle 1, Frontex: un gommone sgonfio con a bordo circa 70 persone. Siamo a solo due ore dal target, o poco più.  Ci prepariamo, con calma, con ordine: sappiamo che siamo in SAR Libica e che la segnalazione di frontex via radio arriva a tutti, compresa alla so called Libyan GC. Siamo, quasi, poco convinti… in questi giorni le segnalazioni sono state numerose, ma alla fine qualcosa ci ha sottratto al soccorso: un’altra barca della civil fleet nella migliore delle situazioni, un naufragio o una cattura da parte di GC tunisine o libiche, nelle altre. Nel frattempo arriva la comunicazione via VHF anche da SB, aereo che fa parte della flotta civile. Ci conferma le informazioni di E1, ma aggiunge che i libici si stanno dirigendo veloci verso quella direzione e che sono armati fino ai denti. Lascio che questa informazione mi scivoli addosso, come molte di quelle che arriveranno nelle ore che seguono: giusto parole, una dopo l’altra, che non si aggrappano al cervello. Non trattengo, non “processo”, non registro. Quanto di più tipico durante un’azione d’urgenza. Mi ci soffermerò dopo, ad operazione finita, lo farò nei prossimi giorni. Una certezza: chi presta soccorso, non è e non deve essere armato, se non di forza, coraggio, speranza, desiderio, cura e molto altro. Ma no, nella lista le armi non sono previste.  Ci dirigiamo e continuiamo la corsa.  Poi, li avvistiamo e ci facciamo riconoscere. L’immagine che si profila e che appare poco a poco più netta, mi sembra quella tipica di un soccorso, come se ne vedono molte: le persone sono a bordo di un gommone mezzo sgonfio, sovraffollato. Sono dentro e a cavalcioni di questa cosa che galleggia. Ovunque persone: sui lati, all’interno. Piedi nudi,  gambe sospese nel vuoto.  Niente di rosso ci appare: nessun gilet di salvataggio, solo qualche pneumatico nero attorno alle braccia di quelli che sono più esterni, seduti sui bordi.  Facciamo segno, ci riconoscono, esultano. L’accoglienza che ci riservano, le benedizioni che ci inviano è bella ma pericolosa: il loro equilibrio è talmente precario che in un attimo lacosachegalleggia potrebbe capovolgersi. Li invitiamo alla calma. Con le parole, coi gesti.  Le procedure standard, su cui siamo formati, prevederebbero di mettere in mare il nostro RHIB. Ma la corsa contro il tempo non lo consente e quindi ci limitiamo ad avvicinarci e a comunicare in modo chiaro e forte chi siamo, che li porteremo a bordo e come lo faremo. Il resto non so spiegarlo. Come un film al rallentatore,  una serie di gesti che si incollano un pezzo alla volta. Noi dell’equipaggio funzioniamo come un corpo a cui la testa ha dato i comandi. Io a prua e un’altra persona a poppa dobbiamo lanciare una cima che le persone a bordo di quella cosa sgonfia dovranno tenere, dall’inizio alla fine, senza mai lasciarla. Due persone devono stare all’interno, per accogliere chi entrerà a bordo, due alla porta d’ingresso per farle passare dalla zattera alla nostra nave, primo porto sicuro. Il capitano al comando di questa manovra.  Iniziamo e da questo momento fino al termine dell’operazione sono concentrata su quello che devo fare senza avere una completa visibilità su quello che i miei compagni compiono. Eppure siamo coordinati. Scoprirò alla fine che per far salire a bordo tutte le 71 persone, ci abbiamo messo soltanto 26 minuti. Lancio loro la cima. Non ricordo se sono la prima a farlo o il mio compagno a poppa. Reportage e inchieste/In mare SILENCE FINI Il racconto di una navigazione a bordo del veliero Nadir Roberta Derosas 27 Novembre 2025 Lancio e la prendono, la afferrano, la stringono. Se potessero, mi sembra che se la legherebbe attorno. Dall’altro lato è uguale. Il gommone nero si attacca alla chiglia della nostra N. Le braccia si tendono. La maggior parte delle persone è adulta: dalla posizione in cui mi trovo, mi ricordano i miei figli quando da piccoli mi tendevano le braccia. Vedo i visi, gli occhi, gli sguardi.  E ancora le braccia tese.  Si appendono alle cime, cercano di arrampicarsi, mentre gridiamo per farci sentire: è pericoloso quello che che accade. Il loro barcone ondeggia mentre sono tutti in piedi nel suo ventre sgonfio e bagnato. Grida di paura, grida di ordine, di comando, di indicazioni, di pretese e richieste di essere accolti per primi.  Sollevano i bambini, vogliono passarceli, salvarli. D’istinto ne prendo uno che qualcuno mi passa.  Penso a quella celebre frase che ricorda che nessun genitore affronterebbe quel viaggio se avesse un’altra scelta. Nessuno metterebbe in mare i propri figli dandoli in pasto alla morte, prima del tempo.  Comincia il trasbordo: cerchiamo di far passare prima le donne e i bambini. Ma non sempre è possibile. le persone si pressano, accalcano: la paura di non farcela li rende aggressivi tra loro all’inizio. Uno, due, tre, quattro… “mantenete la calma, salirete a bordo tutti”.  Cinque, sei, sette, otto…  “Non lasciate le cime”  Nove, dieci, undici e ancora, ancora, ancora, uno di più, senza smettere, senza pace né tregua, correndo per portarli tutti a bordo.  E mentre alcuni salgono, altri aspettano il loro turno, chi con calma, chi con ansia, mentre li rassicuriamo. A gesti e a parole.  Un ragazzo di fronte a me, un minore che viaggia da solo. Mi guarda e mantengo il contatto con lo sguardo, gli sorrido, lo rassicura. Potrebbe avere l’età di mia figlia. Tra i 16 e i 17 anni. Lei è al caldo, a quest’ora è a scuola. Le persone salgono a bordo e io indico agli uomini che salgono sul ponte dove sedersi a prua. Le donne e i bambini all’interno. Il gommone nero si svuota. Ne restano a bordo tre, due, uno. Nessuno.  Sono tutti qui ora nella nostra barca.  Tutti al sicuro.  La procedura prevede mail e chiamate, compreso la MRCC libica. Tocca a me, fa parte delle mie funzioni a bordo. Al primo e secondo numero non risponde nessuno. Al terzo, mi rispondono. “No english, only arabic”. Ripeto e provo anche in francese. La risposta è la stessa. Silenzio. Riagganciano. Da MRCC Malta non risponde nessuno. Solo una segreteria telefonica. Da Roma invece qualcuno all’altro capo del filo. L’ufficiale di servizio conferma di aver ricevuto la mail. Sudo. Questa è la parte che mi fa più timore, eppure ho sempre l’appoggio del capitano. Ma basta una mail mandata al momento sbagliato, una parola non precisa che si rischia l’arresto delle operazioni da parte delle autorità. Nel frattempo, la N si trasforma: non esiste uno spazio vuoto. Le nostre cabine sono piene di oggetti. Altrove, persone ovunque.  E poi odore di urina, di escrementi, di paura, di mare bagnato.  Gente che vomita ovunque.  Le persone sono fradice: di viaggio, di fatica, di anni di lotta ed erranza. Se mi chiedessero quale odore associo alla migrazione di chi arriva dall’Africa attraverso il mare, è questo. Lo stesso che ho sentito ai moli durante gli approdi.  Cominciamo ad aiutare le donne a lavarsi, a mettere vestiti asciutti. Ancora una volta: una, due, tre, quattro…. Ci vuole qualche ora perché siano tutte coi vestiti asciutti. I sacchi si riempiono di panni bagnati pieni di vomito, urina, dolore.  Siamo in tre donne a prenderci cura di loro. Le aiutiamo a lavarsi, a passare il sapone su schiene, seni, ventri che hanno cicatrici di colpi e smagliature dei parti. Corpi nudi, indifesi. A cui cerchiamo di restituire ciò che mi sembra sia stato tolto per anni. Non smetto di pensare a come mi sentirei se una sconosciuta mi guardasse nuda. Cerco di essere discreta, a me non piacerebbe. Credo vorrei solo chiudermi da qualche parte lontano da tutto. Chiediamo loro se vogliano essere aiutate. Nessuna rifiuta. Metto tenerezza in quel gesto, la stessa cura che userei verso i miei figli, verso me stessa, verso chi conosco e amo. Alcune parlano, altre distolgono lo sguardo, altre ancora raccontano la loro storia. Una donna nigeriana mi dice che è rimasta in Libia oltre un anno dopo aver restituito il debito alla madam. “Ho continuato a lavorare per conto mio, mi sono pagata il viaggio”. Ha una grossa ferita sul seno. Mi dice che le è esplosa una bombola di gas addosso mentre cucinava. Non faccio domande, ascolto chi ha voglia di raccontare. Osservo i corpi, in silenzio: i lividi, le cicatrici, le scarificazioni, la forma, le macchie; Siamo tutti sfiancati:  le persone a bordo sono stanche, gli ospiti si addormentano, adattando i corpi ai posti disponibili. Noi ci diamo i turni per avere qualche ora di riposo. Il ponte è dorato dalle coperte termiche; fa lo stesso rumore della carta di una caramella. Solo che le caramelle qui sono persone. 49 uomini. Dentro 26 donne. 5 bambini, tra cui una neonata di soli 21 giorni, che una madre sfinita allatta senza sosta ad ogni risveglio. Per fortuna, non ricorderà nulla di questa notte senza fine.  Avrà memoria degli anni che arriveranno, delle procedure, dei centri, dei cambiamenti di case e paesi. Forse.  Ma non dei 26 minuti di questo soccorso. 1. Nadir è un veliero che svolge operazioni di search and rescue nel Mediterraneo e fa parte della Civil Fleet ↩︎
Uffici immigrazione – Direttiva per uniformare le procedure amministrative ed operative delle articolazioni territoriali
La circolare affronta in maniera organica il tema del funzionamento degli Uffici Immigrazione delle Questure, con l’obiettivo esplicito di uniformare le prassi amministrative e operative a livello nazionale. Fin dalle prime pagine si comprende che il Ministero intende intervenire su un sistema che presenta criticità diffuse, sia nella gestione ordinaria dei permessi di soggiorno sia nelle attività più delicate legate ai rimpatri, ai trattenimenti nei luoghi idonei e alla protezione internazionale. La Direzione Centrale sottolinea che negli ultimi anni il carico di lavoro è cresciuto in modo significativo, ma il problema non risiede soltanto nella quantità delle pratiche: ciò che emerge è un quadro caratterizzato da difformità territoriali, mancanza di coordinamento, ritardi consolidati e un utilizzo non efficiente delle risorse disponibili. La circolare richiama più volte l’esigenza di riportare ordine e coerenza nella gestione delle procedure. Per questo dedica ampio spazio all’organizzazione interna degli uffici, alla formazione del personale, alla programmazione degli orari di apertura e alla corretta pianificazione delle agende. In particolare, si richiama l’attenzione sul fatto che le prassi adottate in molte Questure – come la limitazione degli appuntamenti, la richiesta sistematica del passaporto per i respingimenti, l’inefficienza nelle fasi di fotosegnalamento o nella trasmissione dei dati – contribuiscono ad aggravare ritardi già rilevanti, compromettendo l’efficacia complessiva dell’azione amministrativa. Una parte importante del documento riguarda il rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno, settore nel quale la Direzione riconosce esplicitamente la presenza di ritardi frequenti e di una gestione irregolare delle tempistiche. Nel segmento dedicato alla protezione internazionale, la circolare insiste sulla necessità di garantire modalità di accesso effettive e organizzate, evitando prassi restrittive che riducono gli spazi di presentazione delle domande e generano immobilismo amministrativo. Nel complesso, la circolare è un richiamo forte alla responsabilità e alla riorganizzazione degli uffici territoriali. Pur riconoscendo le difficoltà oggettive, il Ministero chiede un cambio di passo, orientato alla razionalizzazione, alla trasparenza, alla continuità del servizio e alla capacità di gestire con professionalità e coerenza un settore altamente sensibile. Ne emerge il quadro di un’amministrazione consapevole delle proprie disfunzioni che richiede di introdurre azioni volte a correggerle attraverso una maggiore uniformità, un più rigoroso monitoraggio e una collaborazione più stretta tra centro e periferia.  Circolare del Ministero dell’Interno del 12 settembre 2024
Humanity 1 trattenuta a Ortona: l’ennesimo fermo contro il soccorso civile
Dopo lo sbarco di 85 persone, tra cui vari minori non accompagnati, avvenuto lunedì 1° dicembre, la nave di soccorso Humanity 1, dell’organizzazione SOS Humanity, è stata nuovamente trattenuta dalle autorità italiane. Il fermo provvisorio è scattato martedì 2 dicembre 2025 nel porto abruzzese, con l’accusa di non aver comunicato con il Centro di coordinamento libico, in base agli obblighi imposti dalla legge Piantedosi. L’ordine è stato firmato da Ministero dell’Interno, Guardia di Finanza e Ministero dei Trasporti, e resterà in vigore finché la Prefettura non avrà concluso l’indagine. Il fermo si basa sull’ipotesi di violazione della legge Piantedosi per non aver contattato il centro di coordinamento libico. Ma SOS Humanity respinge le accuse, spiegando che la mancata comunicazione è una scelta legittima, coerente con il diritto internazionale e condivisa da tutte le organizzazioni della Justice Fleet Alliance. Approfondimenti/In mare JUSTICE FLEET ALLIANCE: LE ONG DEL MEDITERRANEO INTERROMPONO I CONTATTI CON TRIPOLI «Non è solo moralmente giusto, ma anche giuridicamente necessario» Giulia Stella Ingallina 17 Novembre 2025 «Questo fermo provvisorio è incompatibile con il diritto internazionale» afferma Marie Michel, esperta politica di SOS Humanity. «La cosiddetta Guardia Costiera libica è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. Rifiutarsi di comunicare con attori coinvolti in questi crimini è l’unico modo per difendere il diritto marittimo e i diritti umani». E aggiunge: «Mentre questi attori continuano a essere sostenuti dall’Unione Europea, le navi che salvano vite vengono bloccate. La capacità di soccorso diminuisce e le morti in mare aumentano». La Humanity 1 è solo l’ultima di una lunga serie di navi della flotta di soccorso civile colpite da fermi amministrativi e procedure punitive. Un provvedimento del tutto illegittimo, come del resto hanno ribadito più volte le sentenze dei tribunali italiani ma che Piantedosi continua a non leggere, che blocca ancora una volta una nave umanitaria (è il terzo fermo subito da Humanity 1), e che arriva al termine di una missione complessa, segnata da condizioni meteo avverse, operazioni di salvataggio ravvicinate e un trasferimento prolungato verso un porto assegnato a oltre 1.300 chilometri di distanza. Ph: Sofia Bifulco – SOS Humanity LA RICOSTRUZIONE DELLA MISSIONE E DEI SOCCORSI1 Il 19 novembre la nave Humanity lascia Siracusa e raggiunge l’area SAR. Il 24 novembre il primo soccorso: 75 persone in pericolo. La segnalazione arriva da Alarm Phone: una barca di legno sovraccarica e senza motore, nella zona SAR tunisina. Le condizioni sono critiche: disidratazione, ipotermia, maltempo e mare grosso. Tutte le 75 persone vengono soccorse e, poche ore dopo, trasferite su una motovedetta della Guardia Costiera italiana e condotte a Lampedusa, permettendo alla Humanity 1 di rimettersi subito in navigazione verso nuove possibili emergenze. Il 24 novembre il secondo soccorso: 85 naufraghi in area SAR libica. A circa 100 km dalla costa libica, l’equipaggio individua una barca blu alla deriva, con tre motori spenti e oltre 80 persone a bordo. Le comunicazioni con MRCC Roma, JRCC Malta e il centro tedesco MRCC Bremen iniziano subito. Tra le 09:14 e le 11:15, si alternano valutazioni, soccorsi con le RHIB, distribuzione di giubbotti di salvataggio e mail ufficiali ai centri SAR. Alle 10:49, tutti gli 85 naufraghi sono al sicuro a bordo della Humanity 1. Alle 10:59, la nave comunica formalmente che non può coordinarsi con il MRCC libico, né trasferire i sopravvissuti in Libia, poiché non costituisce un porto sicuro, come stabilito dal diritto internazionale e ribadito dal Tribunale di Catanzaro. Il 1° dicembre l’arrivo a Ortona: dopo quasi una settimana in mare, attraversando il Golfo di Taranto per evitare il maltempo, le 85 persone sfiancate dal viaggio vengono finalmente sbarcate nel porto di Ortona. Ph: Marcel Beloqui Evardone – Alcuni scatti dall’operazione SAR di SOS Humanity «Una traversata inutile e pericolosa». Il maltempo e la distanza del porto assegnato hanno determinato un lungo e rischioso trasferimento che ha aggravato le condizioni fisiche e psicologiche delle persone soccorse. «Questa lunga traversata è stata inutile e pericolosa per la salute fisica e mentale delle persone che abbiamo avuto a bordo» ha denunciato Stefania, responsabile della protezione sanitaria. «Abbiamo registrato casi di scabbia, infezioni respiratorie, febbre alta, dolori muscolari, malattie parassitarie. Alcune persone erano sotto antibiotici. Molti ci hanno raccontato torture subite in Libia». SOS Humanity aveva chiesto più volte l’assegnazione di un porto vicino, ma MRCC Roma ha respinto ogni richiesta. «Il diritto internazionale prescrive lo sbarco senza indugio» ha ricordato Sofia Bifulco, coordinatrice della comunicazione. «Davanti a noi c’erano porti raggiungibili in poche ore. Invece sono state esposte persone vulnerabili a quasi una settimana di transito inutile». 1. Leggi la ricostruzione completa di Sos Humanity ↩︎
“Nessuno ti sente quando urli”: il sistema di violenza contro le persone migranti in Tunisia
GIORGIO MARCACCIO 1 Il dossier “Nobody hears you when you scream” (Amnesty International, 2025) 2 presenta un quadro sconvolgente: la Tunisia non solo non protegge le persone migranti, ma costruisce attivamente un sistema di violenza contro di loro. Le testimonianze raccolte mostrano un modello coerente: intercettazioni brutali in mare, espulsioni nel deserto al confine con Libia e Algeria, detenzione arbitraria, abusi sessuali e tortura. Parallelamente lo Stato attacca organizzazioni e attiviste/i, escludendo ogni accesso all’asilo. Nonostante ciò, l’Unione Europea continua a finanziare la Tunisia con un Memorandum privo di garanzie sui diritti umani. L’indagine di Amnesty International, condotta tra febbraio 2023 e giugno 2025, ha esaminato le esperienze di rifugiati e migranti in Tunisia, concentrandosi su Tunisi, Sfax e Zarzis. Sono state intervistate 120 persone provenienti da diversi paesi africani e asiatici (92 erano uomini e 28 erano donne), tra cui Afghanistan, Algeria, Nigeria, Sudan, Yemen, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Gambia, Ghana, Guinea, Libia, Mali, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Sud Sudan 3. Nel novembre del 2025 Amnesty International ha pubblicato il rapporto “Nobody hears you when you scream”, che denuncia le condizioni disumane subite dalle persone migranti in Tunisia e mette in luce un sistema di discriminazione razziale e xenofoba rivolto soprattutto a uomini e donne dall’Africa subsahariana. Il rapporto ricostruisce in modo dettagliato un apparato repressivo che coinvolge istituzioni, forze dell’ordine e ampi settori della società civile, grazie a testimonianze dirette, missioni di indagine e dichiarazioni pubbliche di figure politiche, tra cui il presidente Kaïs Saïed. Uno dei temi centrali è la violazione sistematica e continua dei diritti umani: tortura, trattamenti inumani, detenzione arbitraria, uso eccessivo della forza durante intercettazioni in mare e sbarchi, espulsioni collettive e sommarie lungo il confine meridionale. Molte di queste violazioni sono attribuite alla National Guard, corpo dipendente dal Ministero dell’Interno, formalmente incaricato della protezione dei confini ma spesso coinvolto direttamente in violenze e abusi. > «Quando sono arrivato alla stazione di polizia, un poliziotto mi ha urlato > contro dicendo: “Voi neri create problemi” e un altro mi ha dato una > ginocchiata allo stomaco». > Milena, studentessa del Burkina Faso Parallelamente, si registra un clima politico apertamente razzista: dal febbraio 2023 il Presidente Saïed ha più volte evocato un presunto “complotto” dei migranti volto a cambiare la composizione demografica del Paese, alimentando ostilità e giustificando misure discriminatorie. Approfondimenti TUNISIA: IL CONFINE INVISIBILE D’EUROPA Il punto sulla situazione delle persone migranti tra detenzione e respingimenti Maria Giuliana Lo Piccolo 25 Novembre 2025 LA TUNISIA COME SNODO DELLA ROTTA MEDITERRANEA La Tunisia occupa una posizione strategica per le rotte migratorie provenienti dall’Africa subsahariana verso l’Europa. Le crisi politiche e umanitarie del continente spingono migliaia di persone a dirigersi verso il Nord Africa, spesso senza possibilità di proseguire immediatamente il viaggio, con il rischio di diventare irregolari sul territorio tunisino. Dal 2017, con gli accordi UE-Libia sul contenimento delle partenze, molte persone hanno iniziato a spostarsi irregolarmente dalla Libia alla Tunisia nella speranza di trovare una via più sicura verso l’Europa. Il fenomeno si è consolidato soprattutto dal 2020. Sul piano normativo, la Tunisia non ha sviluppato un sistema efficace di gestione dell’asilo: la Costituzione del 2022 garantisce il diritto d’asilo “secondo la legge”, ma la legge non esiste, creando così un vuoto che impedisce la protezione internazionale. Nonostante l’adozione nel 2018 di una legge avanzata contro discriminazione e razzismo, Amnesty documenta come essa rimanga largamente inapplicata. Le testimonianze raccolte mostrano come le persone africane siano sottoposte a violenze, estorsioni e arresti arbitrari motivati da profiling razziale. > «Hanno semplicemente detto: ‘Non vogliamo neri qui, tornate a casa vostra». > Adama, un giovane ivoriano DISCORSI PRESIDENZIALI E COSTRUZIONE DEL NEMICO INTERNO Uno degli elementi più forti del rapporto è la documentazione dell’impatto del discorso politico. Nel febbraio 2023 il presidente Kaïs Saïed parla pubblicamente di una “minaccia demografica” rappresentata dai migranti subsahariani, accusati di voler “modificare la composizione della popolazione tunisina”. Le parole alimentano un’ondata di xenofobia e violenza. Molti persone migranti raccontano che, subito dopo il discorso, i vicini hanno smesso di salutarli, proprietari di casa hanno annullato contratti d’affitto, tassisti hanno rifiutato di farli salire. > Una donna ivoriana testimonia: > «Dopo quel discorso, era come se tutti avessero ricevuto il permesso di farci > del male». Nessuna istituzione tunisina ha preso pubblicamente le distanze da questa retorica: al contrario, la sicurezza interna ha intensificato controlli, arresti ed espulsioni. 4 INTERCETTAZIONI IN MARE: MANOVRE PERICOLOSE, OPACITÀ ISTITUZIONALE Uno dei capitoli più gravi riguarda le intercettazioni dei migranti in mare, condotte con tattiche pericolose e violente. Da giugno 2024 la Tunisia ha smesso di diffondere i propri dati ufficiali e il 19 giugno 2024 ha notificato all’IMO (International Maritime Organization) l’istituzione di una vasta area SAR (SRR), che consente intercettazioni in una zona molto ampia. Le ONG documentano manovre aggressive come urti volontari, uso di cavi, spray urticanti, violenze fisiche e sequestri di motori. Tali pratiche violano la Convenzione internazionale sul salvataggio marittimo e il Protocollo ONU contro il traffico di migranti. > «Continuavano a colpire la nostra barca con lunghi bastoni con estremità > appuntite, l’hanno bucata… C’erano almeno due donne e tre bambini senza > giubbotti di salvataggio. Li abbiamo visti annegare…» > Céline, una donna camerunese Un ulteriore aspetto critico riguarda la mancata valutazione individuale delle persone in movimento: documenti e beni personali vengono spesso confiscati o distrutti, rendendo impossibile richiedere protezione internazionale. ESPULSIONI COLLETTIVE VERSO LIBIA E ALGERIA Sul fronte terrestre Amnesty documenta migliaia di espulsioni collettive verso Algeria e Libia dall’estate 2023 in avanti. Si tratta di pratiche che violano apertamente il principio di non-refoulement, cardine della Convenzione del 1951 sui rifugiati. Le espulsioni avvengono spesso tramite cooperazione – anche informale – con gruppi armati libici e algerini. Molte persone vengono portate in centri di detenzione illegali e sottoposte a violenze, perquisizioni degradanti e confisca dei documenti. In Algeria si verifica frequentemente il chain refoulement, con respingimenti ulteriori verso Niger o Mali. Il contesto libico è ancora più drammatico, segnato da violenze sistematiche riconosciute dalle Nazioni Unite. > «Avevo un visto valido, ma non ci hanno spiegato nulla né chiesto documenti di > identità… Ci hanno ammanettato con una corda nera e ci hanno messo su un > autobus che ci ha portato in Algeria. Ci hanno solo detto: “Non vogliamo neri > qui, tornate a casa vostra”». ABUSI SESSUALI E TORTURA COME STRUMENTI DI CONTROLLO Numerose donne raccontano di aver subito violenze sessuali da parte di membri della National Guard durante intercettazioni, detenzioni ed espulsioni. Si tratta di abusi che Amnesty classifica esplicitamente come tortura, vietata dalla Convenzione ONU del 1984 5. Anche uomini e minori riportano pestaggi, bruciature, scariche elettriche e violenze degradanti. La discriminazione razziale emerge come fattore strutturale in questi abusi 6. > «Mi hanno presa in tre. Uno mi teneva ferma, gli altri mi toccavano ovunque. > Ho urlato, ma ridevano». ATTACCO ALLE ONG E CHIUSURA DELLO SPAZIO CIVICO Di fronte alle accuse, il governo tunisino nega ogni responsabilità, ma parallelamente porta avanti una strategia di repressione verso ONG e difensori dei diritti umani. Dal maggio 2024 diverse organizzazioni locali e internazionali sono state ostacolate, alcune costrette a chiudere; membri di ONG partner dell’UNHCR sono stati arrestati. Il Presidente Saïed ha alimentato questa campagna definendo le organizzazioni “agenti stranieri” e “traditori”. La situazione è peggiorata quando il governo ha imposto la sospensione delle attività di registrazione dei richiedenti asilo svolte dall’UNHCR dal 2011. Migliaia di persone si sono ritrovate senza possibilità di accedere alla protezione internazionale. > Una volontaria tunisina riferisce: > «Ci trattano come criminali solo perché aiutiamo persone che stanno morendo». IL MEMORANDUM UE–TUNISIA: COOPERAZIONE SENZA TUTELE Il 16 luglio 2023 l’Unione Europea e la Tunisia hanno firmato un Memorandum d’intesa che prevede grandi investimenti europei per contrasto ai trafficanti, controllo dei confini e rimpatri. Secondo Amnesty, il Memorandum è privo di garanzie vincolanti sul rispetto dei diritti umani: non prevede soglie da rispettare né condizioni che limitino l’accesso ai fondi in caso di violazioni. La Tunisia non può essere considerata un “paese terzo sicuro”: non esiste un sistema d’asilo funzionante, il non-refoulement viene violato, e le istituzioni stesse sono responsabili di violenze strutturali contro le persone migranti 7. Il dossier di Amnesty descrive una realtà in cui la Tunisia costruisce un sistema istituzionale e operativo che mira non a gestire le migrazioni, ma a renderle impossibili, attraverso violenza, paura e abbandono. Il titolo del rapporto – Nessuno ti sente quando urli – non è una metafora: è la descrizione puntuale della condizione vissuta da migliaia di persone che, in Tunisia, non hanno alcuna protezione né possibilità di far valere i propri diritti. 1. Studente presso UniPD del corso di Scienze politiche, Relazioni internazionali e Diritti umani al terzo anno, sto svolgendo un tirocinio curricolare presso Melting Pot. Sono appassionato di attualità internazionale e storia delle relazioni internazionali, materia in cui sto scrivendo una tesi di laurea triennale. Ho un diploma di liceo classico ottenuto a Bergamo, e dal liceo in poi ho fatto attività di volontariato locale e in città ↩︎ 2. Tunisia: “Nobody hears you when you scream”: Dangerous shift in Tunisia’s migration policy ↩︎ 3. Metodologia del dossier a pag. 15 ↩︎ 4. Discorsi presidenziali e razzismo istituzionale a pag.25 del rapporto ↩︎ 5. Da pag. 62 del rapporto ↩︎ 6. Sexual violence and torture, da pag. 61 del dossier ↩︎ 7. Le conclusioni di Amnesty da pag. 82 ↩︎
Riparte “Annick. Per il diritto all’unità familiare”
Dopo il forte impatto della prima edizione, Melting Pot Odv rilancia il progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare”, un impegno annuale che accompagnerà, anche nel 2026, persone con background migratorio e titolari di protezione internazionale nel percorso spesso tortuoso del ricongiungimento familiare. Una nuova stagione di attività ha preso ufficialmente avvio poche settimane fa. Il progetto, nato in memoria di Annick Mireille Blandine, vuole continuare a ricordare che dietro numeri e procedure ci sono vite, affetti e diritti fondamentali. La sua vicenda resta il filo rosso che guida l’iniziativa, lo specchio di un sistema che, colpevolmente, prolunga per anni separazioni forzate nonostante i 120 giorni previsti dalla legge. Quest’anno Annick riparte rafforzato dall’esperienza precedente. Intorno alla casella email dedicata annick@meltingpot.org si attiverà nuovamente una rete di operatrici e operatori legali, avvocate e avvocati, volontarie e volontari che offriranno ascolto, orientamento e consulenza anche attraverso appuntamenti online per chi non può raggiungere gli sportelli territoriali. Le oltre 85 richieste di supporto ricevute nel 2024 hanno mostrato che una risposta strutturata è non solo necessaria, ma continua ad essere urgente. Un’attenzione particolare sarà nuovamente riservata ai casi emblematici, quelli che rivelano criticità sistemiche: situazioni su cui si lavorerà sia sul piano individuale, sia su quello collettivo, con ricorsi strategici al fine di evidenziare le responsabilità delle Pubbliche amministrazioni (Prefetture, Ambasciate e MAECI) e sollecitare un cambiamento reale. Parallelamente, proseguirà il lavoro di advocacy e comunicazione pubblica, con articoli, approfondimenti e materiali utili a moltiplicare le azioni legali. Fondamentale sarà, anche quest’anno, il coinvolgimento della società civile. Per questo è previsto un primo momento pubblico: giovedì 11 dicembre alle ore 17 si terrà online la call iniziale per volontarie e volontari, un incontro aperto a operatori e operatrici, avvocate e avvocati interessati a dare un contributo concreto. Sarà l’occasione per conoscere il progetto, capire come partecipare e avviare insieme un percorso condiviso. Nei primi mesi del 2026 sono inoltre previste due sessioni di formazione online rivolte alla rete legale e a chiunque dimostri interesse: un’occasione per approfondire gli aspetti normativi del ricongiungimento familiare e per sviluppare strumenti utili all’advocacy, rafforzando così competenze e reti territoriali. Annick ribadisce che il diritto a vivere insieme ai propri cari è una questione di giustizia sociale che non può essere ostacolata da ritardi e silenzi amministrativi; per questo rinnova il proprio impegno per una società più giusta e inclusiva che riconosca il diritto dei legami familiari a tutte le persone, senza distinzione.  * Per informazioni e per partecipare alla call di giovedì 11 dicembre ore 17 scrivi a: annick@meltingpot.org . -------------------------------------------------------------------------------- Il progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare” è realizzato con i Fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese.
Autorizzato l’ingresso dei nonni in Italia per accudire la minore e garantire il benessere dell’intero nucleo familiare
L’importante decisione della Corte d’Appello di Trento offre una lettura ampia e coerente dell’art. 31, comma 3, del Testo Unico Immigrazione, correggendo l’impostazione restrittiva adottata dal Tribunale per i Minorenni di Trento. Quest’ultimo aveva purtroppo concluso che non emergessero “elementi sufficienti a giustificare adeguatamente la necessità dell’ingresso” dei nonni della minore e che la bambina fosse “già adeguatamente accudita dai genitori”, negando quindi il carattere indispensabile della presenza dei nonni – anche per sostenere i genitori nell’accudimento – e la sussistenza di un grave pregiudizio derivante dalla loro lontananza. La Corte d’Appello riforma totalmente però questo approccio, chiarendo che il Tribunale non aveva correttamente applicato i principi consolidati in materia, né svolto il necessario giudizio prognostico richiesto dalla norma. Nel richiamare la cornice normativa e giurisprudenziale, il Collegio sottolinea come i “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” debbano essere interpretati alla luce sia delle disposizioni interne sia degli obblighi derivanti dal diritto internazionale ed europeo, con particolare riguardo al superiore interesse del minore. La Corte ricorda che tali motivi ricorrono quando il mancato ingresso del familiare comporti “una seria compromissione dell’equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile”, e ribadisce che, pur non essendo un criterio assoluto, l’interesse del minore si trova “in una posizione di preminenza tale da imporre al giudice di considerare, in ogni singolo caso, quale delle soluzioni possibili sia ad esso più favorevole”. È in questa prospettiva che deve essere condotto anche il giudizio di proporzionalità richiesto dalla Corte EDU, volto a verificare se il diniego costituisca una misura necessaria e non eccessiva rispetto allo scopo perseguito. In appello emerge invece un quadro familiare e sanitario che il Tribunale non aveva valutato adeguatamente. La minore, nata in Italia e affetta da una gravissima e rara patologia congenita, “non è in grado di compiere alcuna attività della vita quotidiana e necessita di continua assistenza”, presenta disabilità fisiche, cognitive e sensoriali. Il nucleo familiare, proveniente da un paese dell’Asia meridionale e privo in Italia di qualunque rete parentale, sostiene da anni un carico assistenziale totalizzante. La madre, che non può lavorare per l’impegno giornaliero, è “particolarmente affaticata”, mentre il padre, impegnato in attività accademica spesso anche all’estero, presenta sintomi riconducibili a “stress da sovraccarico”. Le relazioni dei servizi territoriali confermano che i genitori stanno adempiendo con grande dedizione ai loro compiti, ma che le loro energie sono messe a dura prova dalla condizione della bambina. In questo contesto, la Corte riconosce che i nonni, residenti nel paese d’origine, costituirebbero un supporto essenziale, non sostituibile mediante altre soluzioni. Il Collegio sottolinea che il loro aiuto rappresenterebbe “un indispensabile ausilio alla gestione del ménage familiare, a vantaggio del benessere della nipote e a garanzia della sua sicurezza”, e valorizza anche la dimensione affettiva e culturale, evidenziando come la comunanza linguistica e culturale possa favorire ulteriormente il rapporto con la minore, soprattutto considerato il suo gravissimo deficit comunicativo. Per la Corte è dunque “evidente che la vicinanza fisica e psicologica dei nonni” apporterebbe un contributo determinante all’equilibrio del nucleo e, in via diretta, al benessere della minore. Alla luce di questi elementi, il Collegio ritiene che il diniego del Tribunale costituisca una misura “ingiustificata e sproporzionata” e che questa possa incidere negativamente sul diritto della bambina alla vita familiare, intesa come rete di affetti, relazioni e solidarietà. Il ragionamento della Corte si sviluppa in modo strettamente aderente al dettato dell’art. 31 TUI, ricordando che la tutela accordata dal legislatore è posta esclusivamente nell’interesse del minore, mentre l’interesse del familiare è solo riflesso e strumentale. Con queste motivazioni, l’appello è accolto e viene disposta un’autorizzazione alla permanenza dei nonni per due anni, prorogabile previa verifica dei requisiti: una soluzione che, nel rispetto del carattere temporaneo dell’istituto, consente tuttavia di dare piena tutela alla situazione eccezionalmente delicata emersa nel caso concreto. La Corte ribadisce così che, in presenza di una condizione di vulnerabilità estrema, l’intervento della rete familiare allargata può diventare elemento decisivo per la protezione complessiva del bambino, e che tale esigenza merita pieno riconoscimento anche attraverso l’uso della norma derogatoria prevista dal Testo Unico. Corte d’Appello di Trento, decreto del 25 settembre 2025 Il ricorso è stato patrocinato dall’avv. Giovanni Barbariol nell’ambito del progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare” a cura di Melting Pot ODV, in collaborazione con Circolo Arci Pietralata e il supporto dei legali dell’Associazione Spazi Circolari, dedicato ad Annick Mireille Blandine. Il progetto è stato finanziato nel 2024 da ActionAid International Italia E.T.S e Fondazione Realizza il Cambiamento nell’ambito del progetto “THE CARE – Civil Actors for Rights and Empowerment” cofinanziato dall’Unione Europea. Il contenuto di questo articolo rappresenta l’opinione degli autori che ne sono esclusivamente responsabili. Né L’Unione europea né l’EACEA possono ritenersi responsabili per le informazioni che contiene né per l’uso che ne venga fatto. Analogamente non possono ritenersi responsabili ActionAid International Italia E.T.S. e Fondazione Realizza il Cambiamento.
“Pensare Migrante”: una tre giorni di talk, reportage, teatro, fumetto e musica
Baobab Experience compie 10 anni e festeggia con “Pensare Migrante” una tre giorni, dal 12 al 14 dicembre, alla Città dell’Altra Economia (Roma). «Una programmazione bellissima» – spiegano le attiviste – «che spazia dall’arte al giornalismo di inchiesta, dai numeri alle storie, al di fuori di tutto quello che avete già sentito sul tema della migrazione. Ribalteremo assieme tutti i dogmi per superare ogni barriera fisica e mentale!» PROGRAMMA Scarica in .pdf VENERDÌ 12 DICEMBRE 18:30 – Talk – 10 anni di migrazione. Cronaca di un continente che cambia rotta Cosa è successo  Annalisa Camilli, Giornalista di Internazionale; Gianfranco Schiavone, Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà Cosa abbiamo fatto Eleonora Camilli, Giornalista de La Stampa; Marco Bertotto, Direttore Programmi di Medici Senza Frontiere Italia; Andrea Costa, Presidente Baobab Experience; Tiziano Rossetti, Cofondatore TOM (Tutti gli Occhi sul Mediterraneo); Luca Faenzi, Ufficio stampa Sea-Watch; Collettivo Rotte Balcaniche; Pietro Gorza, Presidente di On Borders (in collegamento dalla frontiera USA-Messico) 21:30 – Concerto Senegal Drum Ensemble Permormance live di Tamburi di Gorée e Tam Tam Morola SABATO 13 DICEMBRE 11:30 – Proiezione del Reportage “Trafficanti di uomini” realizzato da PresaDiretta segue Talk IL TRAFFICO DI ESSERI UMANI: UN AFFARE TRA STATI Riccardo Iacona, autore e conduttore di PresaDiretta, Rai3; Pablo Castellani, giornalista e filmmaker; Nancy Porsia, giornalista freelance e producer esperta di Medio Oriente e Nord Africa; Lam Magok, attivista di Refugees in Libya; Alice Basiglini, responsabile comunicazione e campagne di Baobab Experience; Sarita Fratini, fondatrice di JLProject 14:30 – Proiezione del Documentario: “This Jungo Life” segue Talk PRIMA PERSONA PLURALE LA PAROLA A CHI ATTRAVERSA, CHI RESTA, CHI PARLA Il regista David Fedele dialoga con Hasan Adam, Baobab Experience, e Mahamat Daoud, Refugees in Libya 16:00 – Talk INTERSEZIONALITÀ DELLE LOTTE COME SI TENGONO INSIEME I FRONTI DEL PRESENTE Giulio Cavalli, scrittore, giornalista e regista teatrale; Francesca Mannocchi, giornalista e documentarista; Fatima Idris, attivista per le donne vittime di tratta; Lorenzo D’Agostino, giornalista indipendente; Francesco Cancellato, Direttore di Fanpage 17.30 – Live recording PUNTATA LIVE DI SCANNER: IL PODCAST DI VALERIO NICOLOSI Valerio Nicolosi, giornalista di FanPage; Alice Basiglini, responsabile comunicazione e campagne di Baobab Experience 18:30 – Presentazione libro RACCONTARE IL REALE: GRAPHIC JOURNALISM E FUMETTO COME FORMA DI ATTIVISMO Alessio Trabacchini, editor presso Coconino Press – Fandango, Course Leader del Triennio in Comics & Visual Storytelling presso Naba Roma; Lorenzo Palloni, fumettista, co-fondatore della rivista La Revue; Mauro Biani, vignettista, illustratore e blogger; Harry Greb, street artist e attivista; Rebecca Valente, illustratrice e fumettista e docente del Master di Illustrazione e Graphic Novel della Scuola Internazionale di Comics di Torino; Maria Cristina Fortuna, illustratrice e attivista di Baobab Experience Lə autorə e lə protagonistə delle storie di “Tu sai cosa mi è successo”, l’antologia a fumetti sulle testimonianze raccolte da Baobab Experience in questi dieci anni 20.30 – Talk PROPAGANDA BAOBAB Diego Bianchi, conduttore di Propaganda Live; Andrea Costa, Presidente di Baobab Experience 21.30 – Spettacolo teatrale “IL SECOLO È MOBILE” DI GABRIELE DEL GRANDE DOMENICA 14 DICEMBRE 10:30 – Talk L’ITALIA ILLEGALE VIOLENZE ISTITUZIONALI E ABUSI CONTRO LE PERSONE MIGRANTI Francesco Ferri, redattore del progetto Melting Pot Europa; Giuseppe De Marzo, coordinatore di Rete dei Numeri Pari e Direttore Scuola Giustizia ecologica e ambientale; Marco Omizzolo, Sociologo e docente di Sociopolitologia delle migrazioni all’Università La Sapienza; Yasmine Accardo, attivista in LasciateCIEentrare e Mem.Med – Memoria Mediterranea; Alberto Barbieri, Coordinatore generale di MEDU; Ilaria Cucchi, senatrice di AVS  12:00 – Talk SIAMO FATTI DI MEDITERRANEO: ITALIANI METICCI Luca Misculin, giornalista de Il Post, scrittore e autore del libro Mare Aperto; Alessia Candito, giornalista de La Repubblica 14:30 – Talk MIGRAZIONE: LA GRANDE SMENTITA Donata Columbro, giornalista e divulgatrice della cultura statistica; Ginevra Demaio, Ricercatrice di Centro Studi e Ricerche Idos; Mariachiara Fortuna, statistica e attivista di Baobab Experience 15.30 – Talk IMPERIALISMO BIANCO E RESISTENZA Igiaba Scego, scrittrice e ricercatrice indipendente; Marta Ciccolari Micaldi, curatrice del Progetto McMusa, autrice e guida letteraria specializzata in American Studies e critica letteraria; Miguel Mellino, Professore associato e docente di studi postcoloniali e relazioni interetniche all’Università di Napoli “L’Orientale”; Djarah Kan, scrittrice e attivista femminista e culturale (TBC); David Yambio, presidente di Refugees in Libya DOMENICA 14 DICEMBRE (HACIENDA VIA DEI CLUNIACENSI, 68, ROMA) dalle 19:00 a Mezzanotte Maria Violenza Mai Mai Mai Giovanni Truppi iosonouncane
Sospeso il trattenimento in CPR del richiedente asilo gambiano con domanda reiterata di asilo in corso
Il Tribunale di Potenza ha accolto l’istanza di sospensiva dell’ordine di trattenimento presso il CPR di Palazzo San Gervasio (PZ), emesso dal Questore della Provincia di Potenza nei confronti di un cittadino del Gambia che aveva presentato una domanda reiterata di protezione internazionale, già respinta e impugnata con il ricorso introduttivo del medesimo giudizio. Dopo un colloquio difensivo svolto all’interno del CPR di Palazzo San Gervasio, sono subentrata nella difesa del cittadino gambiano trattenuto in esecuzione dell’ordine del Questore della Provincia di Potenza. Ho accettato la revoca del precedente difensore poiché, all’interno del CPR, è prassi che i trattenuti nominino come difensori di fiducia avvocati che non conoscono, ma che vengono loro “indicati o suggeriti” dalle forze dell’ordine o dai giudici di pace durante le udienze di convalida del trattenimento. L’Ordine è stato emanato in quanto il cittadino gambiano è stato arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti e rintracciato sul territorio nazionale privo di permesso di soggiorno. In sede dei prescritti controlli del Questore, sono emersi, a suo carico, numerosi precedenti di polizia per spaccio e presenza illegale in Italia ed è stata contestata, anche, la reiterazione pretestuosa della domanda di protezione Internazionale. A tutela del mio assistito che, in regime di trattenimento, ha ritenuto opportuno riproporre istanza di Protezione Internazionale, ho depositato ricorso ex art. 35bis D.L.vo 25/2008 con contestuale istanza di sospensiva dell’ordine di trattenimento del Questore. I motivi del ricorso sono emersi in fase di colloquio difensivo: presenza in Italia dal 2013; istanze di protezione internazionale denegate ma mai notificate e, quindi, mai opposte in sede giurisdizionale; scarsa integrazione sociale e lavorativa sul Territorio Nazionale a causa della mancanza di permesso di soggiorno; precedenti di polizia legati esclusivamente alla commissione di due soli tipi di reato (spaccio per quantità minime che andavano considerate, al massimo, come detenzione per uso personale – e reati legati alla mancanza di un titolo di soggiorno); provenienza da un paese considerato “sicuro” e, quindi, forte rischio di rimpatrio prima dell’udienza in Tribunale per esperire il libero interrogatorio del richiedente protezione internazionale. Fissata l’udienza per il libero interrogatorio del ricorrente, il Tribunale di Potenza, in composizione collegiale, nella persona del Giudice Relatore, Dott. Palumbo e, a seguito di due colloqui in cui ho insistito sul fumus boni iuris e sul periculum in mora, ha notificato al Ministero dell’Interno il provvedimento con il quale si chiedeva di replicare alla mia istanza di sospensiva entro 3 giorni. Il Ministero non ha provveduto in tal senso. All’esito, il Giudice ha accolto la mia istanza di sospensiva e, per l’effetto, ha anche ordinato il rilascio di un permesso di un soggiorno per “attesa asilo”. Il provvedimento è degno di nota e di menzione con riferimento ai seguenti aspetti: * Puntuale ricostruzione della normativa da applicarsi alle istanze di sospensione dopo l’entrata in vigore dei nuovi commi 4 e 4bis dell’art.35 D.L.vo 25/2008: “il ricorso risulta iscritto in data successiva al 10.01.2025, dunque dopo il decorso di trenta giorni dall’entrata in vigore (11.12.2024) della legge n. 187/2024, di conversione del d.l. 145/2024, sicché, in virtù dell’art. 19 di tale atto normativo, deve farsi applicazione del nuovo regime procedimentale relativo all’istanza di sospensione del provvedimento impugnato, così come attualmente disciplinato dai nuovi commi 4 e 4-bis dell’art. 35-bis d.lgs. 25/2008, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 16 del citato d.l. 145/2024, conv. nella legge n. 187/2024”; * Comparazione delle esigenze cautelari avanzate dalla Difesa ritenute prevalenti rispetto a quanto ritenuto dalla Commissione Territoriale: “ritenuto che, allo stato degli atti, salvi gli esiti della cognizione della causa ed impregiudicata ogni valutazione e decisione definitiva nel merito – appaiono sussistere gravi e circostanziate ragioni per l’accoglimento della suindicata istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, valutate comparativamente con la decisione della Commissione Territoriale”; * La reiterazione delle domande di protezione internazionale ed il lungo tempo trascorso in Italia senza permesso di soggiorno meritano un approfondimento nel corso del giudizio con necessario libero interrogatorio del richiedente: “osservato che, nel caso di specie, le gravi e circostanziate ragioni di cui sopra sono da individuarsi negli indici di sussistenza di profili di esigenze di tutela della vita privata e familiare, anche ai sensi dell’art. 8 CEDU, atteso che il cittadino straniero risulta presente sul T.N. dal 2013 e risulta aver nello stesso anno presentato istanza di protezione (cfr. quanto riportato nel decreto di trattenimento emesso dal Questore di Potenza il 08.10.2025, in atti), presentandone, dopo il primo rigetto, una successiva, anch’essa rigettata, sicché può ritenersi che la risalente manifestazione di volontà di richiedere protezione (fin dal 2013, anno dell’ingresso sul T.N.) e il lungo tempo trascorso sullo stesso T.N. costituiscano profili meritevoli di ulteriore approfondimento nel corso del giudizio”; * Esatta ricognizione della mancanza di pericolosità sociale avuto riguardo a soli precedenti di polizia e alla presunta commissione di reati legati alla condizione di irregolarità amministrativa per la mancanza del permesso di soggiorno: “osservato inoltre che, allo stato degli atti, non appare evincibile una concreta ed effettiva pericolosità sociale, atteso che risultano indicati unicamente alcuni precedenti di polizia a carico del cittadino straniero (spaccio del 2022, ordine del Questore ai fini di espulsione del 2023-2024, soggiorno irregolare 2024 e immigrazione clandestina 2025), in ordine ai quali, tuttavia, deve rilevarsi, da un lato, che non risulta alcuna specificazione in ordine allo stato e all’esito di eventuali procedimenti penali e, dall’altro, che risultano sostanzialmente connessi allo stato di irregolarità sul territorio del cittadino straniero piuttosto che ad una precipua inclinazione a delinquere dello stesso”. Tribunale di Potenza, ordinanza del 19 novembre 2025 Si ringrazia l’Avv.ta Francesca Viviani per la segnalazione e il commento.