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Melissa Parke: «Con la ratifica del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari la Grecia si metterà dalla parte giusta della storia»
I membri dell’ICAN (Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari) e dell’Alleanza antinucleare greca hanno invitato ad Atene Melissa Parke, direttrice esecutiva di ICAN. Durante il suo soggiorno in Grecia Melissa Parke, con il suo ricco curriculum come ministra australiana per lo Sviluppo interno ed esperta delle Nazioni Unite in Kosovo, Gaza, Yemen, Libano e New York, ha tenuto una serie di incontri con i membri del Parlamento greco, il segretario generale dell’Associazione dei Comuni e il sindaco di Atene. Lo scopo principale degli incontri era quello di rafforzare l’Alleanza Antinucleare, con l’obiettivo di ottenere il voto e la ratifica del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari da parte del Parlamento ellenico. In occasione dell’80° anniversario del bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki da parte degli Stati Uniti, il 16 settembre si è tenuta una conferenza stampa dal titolo: “Guerra, minacce e conflitti: il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari come strumento di pace”. Melissa Parke ha avuto l’opportunità di riferire sugli sviluppi internazionali relativi alla ratifica del Trattato e al suo utilizzo come mezzo per esercitare pressione sui paesi che possiedono armi nucleari. Nel giugno 2025 ICAN ha pubblicato una scheda informativa dal titolo “Costi nascosti: la spesa per le armi nucleari nel 2024”. Uno dei fatti principali evidenziati è che lo scorso anno, mentre oltre 750 milioni di persone vivevano in condizioni di povertà, i nove Stati dotati di armi nucleari hanno speso per i loro arsenali nucleari 100 miliardi di dollari, quasi 3.169 dollari al secondo. Cinque di essi sono attualmente coinvolti in conflitti armati (Stati Uniti, Russia, Israele, India e Pakistan). Qual è stato il risultato di questa visita? Melissa Parke e i partner greci hanno compreso che i membri del Parlamento ellenico e il rappresentante del Presidente del Parlamento sono desiderosi di creare e partecipare a una commissione interparlamentare per ratificare il Trattato. Inoltre, il Segretario Generale della KEDE (unione dei Comuni greci) dedicherà una sessione parallela durante la loro riunione nazionale annuale nel 2026 a questo tema. Ad oggi, a seguito della mobilitazione dell’organizzazione World Without Wars and Violence, 93 comuni in Grecia hanno approvato una risoluzione all’interno dei loro consigli dichiarando la volontà che il Trattato sia ratificato dal Parlamento ellenico. Il Comune di Atene, che ha anch’esso approvato la risoluzione, è tra le dodici capitali del mondo che stanno aprendo la strada con azioni per la pace e per la proibizione delle armi nucleari. Qui sotto è possibile guardare il discorso di Melissa Parke nella conferenza stampa moderata dall’ufficio greco di Pressenza.   Pressenza Athens
La Global Sumud Flotilla salpa dall’Italia, dalla Tunisia e dalla Grecia per riunirsi in acque internazionali
La Global Sumud Flotilla (GSF) ha iniziato la tappa finale del suo viaggio storico per contribuire a rompere l’assedio illegale di Israele su Gaza. Ieri, 18 barche sono salpate da Catania, Italia. Decine di altre partiranno oggi e domani dalla Tunisia e dalla Grecia e l’intera flotta si riunirà presto in acque internazionali per proseguire insieme verso Gaza. Nelle ultime settimane, la flottiglia ha affrontato numerose sfide, tra cui due attacchi con droni contro imbarcazioni attraccate in Tunisia, difficoltà logistiche e carenze di carburante, che hanno ritardato la nostra partenza verso Gaza. Inoltre, alla luce delle terrificanti minacce del ministro israeliano Ben-Gvir contro i passeggeri della flottiglia, abbiamo intrapreso ulteriori e approfondite pianificazioni di sicurezza per rafforzare la nostra protezione. Invece di permettere che questi ostacoli ci facessero deragliare, GSF ha preso misure decisive per rafforzare la nostra operazione: abbiamo trasferito alcune navi in altri porti per le ultime preparazioni, condotto severi test in mare e adattato i nostri protocolli di sicurezza. A seguito di questi cambiamenti, e in previsione di condizioni sempre più ostili, siamo stati costretti a prendere la difficile decisione di ridurre la capacità di partecipanti su diverse imbarcazioni dirette a Gaza. I volontari hanno affrontato molte sfide, difficoltà e incertezze — in parte a causa di attacchi deliberati contro la nostra missione e in parte per la portata enorme di questa iniziativa popolare e degli inevitabili errori di calcolo lungo il percorso. Il comitato direttivo di GSF continua a esprimere immensa gratitudine a coloro che sono intervenuti e hanno dimostrato con la loro presenza il loro impegno per questa causa imprescindibile. Stiamo lavorando a stretto contatto con tutti i partecipanti in profonda solidarietà durante questi cambiamenti, mentre restiamo fermamente impegnati a portare avanti la missione nei nostri Paesi di origine, guidando mobilitazioni coordinate e rafforzando ulteriormente il movimento globale di solidarietà per la Palestina. Le modifiche strategiche ai nostri piani ci permetteranno di tutelare meglio i partecipanti nella misura massima possibile, preservare l’impatto della missione e dimostrare la resilienza di questo movimento globale per la Palestina. Quando le nostre flotte si uniranno nel Mediterraneo, invieremo un messaggio chiaro: il blocco e il genocidio a Gaza devono finire. Rimaniamo fermi e determinati a sfidare l’assedio illegale di Israele e a fare tutto il possibile per porre fine al genocidio a Gaza.   Redazione Italia
«The Ashes of Moria», un docufilm a cinque anni dall’incendio
Cinque anni dopo l’incendio che tra l’8 e il 9 settembre 2020 ha distrutto il campo di Moria sull’isola di Lesbo, le sue macerie continuano a pesare sulle vite di chi vi ha vissuto e sulla memoria collettiva europea. Il documentario The Ashes of Moria, scritto da Majid Bakhshi e Davide Marchesi e prodotto da ColoreFilm, raccoglie le voci di persone migranti, operatori e attivisti che hanno conosciuto da vicino quella realtà. Attraverso le loro testimonianze, il film ricostruisce la durezza quotidiana del campo, le ferite che ha lasciato e il ruolo che ha avuto – e che continua ad avere – nelle politiche europee di deterrenza, contenimento e detenzione dei migranti. Un racconto, quindi, che evidenzia lo stretto legame nel laboratorio greco tra la violenza delle frontiere e i campi di confinamento, e che oggi arriva in Italia grazie alla distribuzione esclusiva di Altreconomia sul proprio canale YouTube. Credits: Prodotto da ColoreFilm Scritto da Majid Bakhshi e Davide Marchesi Regia e montaggio: Davide Marchesi Assistente al montaggio: Alessio Dicandia Distribuzione in esclusiva per l’Italia: Altreconomia Interviste: Mo Zaman Zahra Gardi Mo Aliko Masouma Hussaini Zahra Mohammedi Jack Ferguson Carlotta Passerini Lefteris Papagiannakis Majid Bakshi Davide Marchesi Patrick Münz Spyros Galinos
Grecia. Il Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria
In Grecia, nel corso del 2025, le politiche per “combattere l’immigrazione” si sono intensificate, soprattutto in seguito alla direzione data da Makis Voridis come Ministro per la Migrazione. Quest’ultimo, già noto per le sue affiliazioni con l’estrema destra e per aver sempre descritto gli immigrati come una minaccia per l’Europa 1, ha proposto al Parlamento greco nuove legislazioni sul tema: l’estensione del periodo in cui i migranti possono essere trattenuti in detenzione amministrativa, la criminalizzazione di coloro che restano dopo che la richiesta di asilo è stata rifiutata e la proibizione della residenza per le persone senza documenti, che prima potevano chiederla una volta ottenuto un lavoro 2. Approfondimenti/CPR, Hotspot, CPA GRECIA, SOSPENSIONE DELL’ASILO E NUOVA RIFORMA RAZZISTA DEL GOVERNO MITSOTAKIS Atene anticipa la linea più dura del Patto UE Redazione 14 Agosto 2025 Nonostante l’incarico si sia concluso già a giugno, a causa del coinvolgimento dello stesso ministro in un’inchiesta, il suo successore, Thanos Plevris, sta portando avanti la stessa linea politica, sottolineando anzi come “la sicurezza dei confini non può esistere se non ci sono perdite e, per essere chiari, se non ci sono morti” e affermando che le condizioni di vita per i migranti dovrebbero apparire loro peggiori di quelle dei paesi d’origine 3 . Come illustrato da diversi osservatori 4, il cambio di ministri non ha comportato un cambiamento di approccio, ma piuttosto una continuazione e un rafforzamento del regime migratorio razzista e violento dello Stato greco. Le politiche di frontiera a Lesbo continuano a violare diversi diritti fondamentali: i migranti subiscono violenze, vivono in condizioni degradanti nei campi, sono soggetti a sorveglianza, sfratti, negazione dell’assistenza finanziata dall’UE e ritardi arbitrari nelle domande di asilo. Inoltre, nuove leggi e tattiche amministrative, come il ripristino della Turchia come “paese terzo sicuro” nonostante le sentenze dei tribunali, perpetuano l’incertezza giuridica.  Il Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria a Lesbo esemplifica questa tendenza, rafforzando la detenzione e l’espulsione come pilastri centrali della politica migratoria greca, e della generale assimilazione di approccio in tutta Europa. A differenza dei centri di detenzione già esistenti (come quello tristemente noto di Moria 5), Vastria costituisce un modello per un nuovo tipo di struttura: isolata geograficamente, sorvegliata attentamente tramite controlli biometrici, difficilmente accessibile dall’esterno. Il nuovo centro, infatti, si troverà in un bosco a 30 km da Mitilene, luogo strategico per isolare i migranti dallo spazio pubblico e limitare il coinvolgimento e la supervisione della società civile.  Nonostante numerosi problemi legali, dovuti anche al fatto che la struttura viola gli standard ambientali (dovrebbero essere abbattuti 35.000 alberi solo per costruire la strada di accesso, in una zona già ad alto rischio di desertificazione e incendi 6), la costruzione prosegue e il Ministero della Migrazione, citando gli obblighi di finanziamento dell’UE, ha sostenuto la continuazione dei lavori e la deforestazione. Cos’è il CCAC di Vastria? Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria, Lesbo Capacità prevista: fino a 5.000 persone, fra cui famiglie, minori non accompagnati e persone vulnerabili Funzione prevista: non un centro di accoglienza temporaneo, ma una struttura di detenzione prolungata: tutte le procedure di asilo ed espulsione saranno centralizzate in sito L’opposizione si è concentrata sul mancato rispetto da parte del governo delle decisioni giudiziarie e delle leggi ambientali, ha messo in guardia dai danni irreversibili alla più grande pineta di Lesbo e ha sollecitato la sospensione immediata dei lavori, che però non è mai stata disposta.  A marzo, invece, è stato firmato un contratto da 1 milione di euro per l’installazione di un sistema di rilevamento incendi entro settembre 2025. Nel giugno 2025, infatti, un incendio boschivo sull’isola di Chios ha costretto all’evacuazione del CCAC locale e, nonostante la costruzione di un sistema di rilevamento incendi presso il CCAC di Vastria a Lesbo, il campo di Vastria è ancora privo di vie di fuga antincendio, il che significa che l’evacuazione in caso di incendio a Lesbo sarà ancora più difficile.  Nel frattempo, il governo continua ad affittare il sito per 748.800 euro all’anno e, dato il sostegno politico e finanziario della Commissione europea, il progetto rimane una priorità politica per la Grecia e l’Unione Europea. Se completato, il centro di Vastria, pur non essendo classificato come una prigione, istituzionalizzerebbe un sistema detentivo carcerario: la struttura è infatti creata per imporre limitazioni molto strette alla libertà di movimento, creando di fatto una zona grigia in cui migliaia di persone verranno private dei propri diritti, senza alcun processo legale.  PH: Legal Centre Lesvos In quest’ottica, il CCAC di Vastria prevede anche l’implementazione di due sistemi di intelligenza artificiale avanzata, Centaur e Hyperion, che combinano riconoscimento biometrico, sistemi di videosorveglianza, sorveglianza con droni e analisi comportamentale. Nel 2024, l’Autorità ellenica per la protezione dei dati ha già inflitto una multa significativa al Ministero della Migrazione per gravi violazioni del GDPR (Regolamento UE 2016/679 sulla Protezione Generale dei Dati, entrato in vigore nel 2018 7). Nel frattempo, in altre strutture, in particolare a Samo e Lesbo, sono stati segnalati casi di confisca sistematica dei telefoni dei residenti, limitando l’accesso all’assistenza legale e la supervisione esterna attraverso comunicazioni limitate 8.  Rapporti e dossier/CPR, Hotspot, CPA VITE MONITORATE: COME LA TECNOLOGIA RIDEFINISCE LA LIBERTÀ NEL CCAC DI SAMOS IN GRECIA Le organizzazioni denunciano monitoraggio oppressivo e abusi Rossella Ferrara 25 Agosto 2025 Lungi dall’essere uno spazio di accoglienza transitorio, il CCAC è concepito come un luogo di detenzione prolungata, con una capacità massima di 5.000 persone, tra cui famiglie, minori non accompagnati e richiedenti particolarmente vulnerabili, che vengono trattenuti per mesi in attesa di decisioni amministrative o di espulsione.  Le ONG, tra cui Amnesty International 9, denunciano già da tempo le diverse violazioni dei diritti di coloro che verranno rinchiusi in questo tipo di struttura. Oltre alla violazione dei diritti umani alla vita (nel caso specifico di Vastria si aggiunge il rischio di morire in un incendio, data la vicinanza ai boschi e la mancanza di vie di fuga), alla libertà e alla sicurezza, le persone migranti non vedranno garantiti nemmeno i propri diritti alla protezione dei dati personali e all’educazione: a causa dei problemi strutturali presenti nei programmi di integrazione e nell’accesso a strutture educative, infatti, molti giovani non avranno la possibilità di frequentare la scuola, né dentro né tanto meno fuori dal Centro, e saranno, al contrario, attivamente guidati verso l’esclusione e la criminalizzazione.  L’isolamento non è quindi un effetto collaterale, ma l’obiettivo di una chiara politica migratoria. Come sottolinea il report di Community Peacemaker Teams, Vastria rappresenta “l’incarnazione materiale di un cambiamento nella politica europea verso l’invisibilizzazione, il controllo tecnologico e l’esclusione burocratica. Secondo il progetto attuale, il centro rimane una potenziale trappola mortale – e un monumento a una politica migratoria fallimentare basata sulla reclusione piuttosto che sulla protezione” 10. Questo modello non si sviluppa in un vuoto istituzionale, ma è strettamente legato al nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo. Adottato nel 2024, dovrebbe essere “orientato ai risultati ma ben ancorato ai nostri valori europei” 11, come riporta il sito ufficiale della Commissione europea. La logica del Patto, che entrerà in vigore dal 2026, è messa in pratica in strutture come Vastria e comporta l’accelerazione delle decisioni in materia di asilo, la centralizzazione delle funzioni burocratiche, la riduzione al minimo delle garanzie procedurali e la rapida espulsione dei richiedenti respinti.  1. Greek PM seeks ‘reset’ with former far-right activist as migration minister, The Guardian (14 marzo 2025) ↩︎ 2. Migration minister scraps residence permit extension, Kathimerini (marzo 2025) ↩︎ 3. Greece names new ministers after high-level resignations over farm scandal. Thanos Plevris was appointed migration minister – Politico (28 giugno 2025); Θάνος Πλεύρης / Όταν ζητούσε νεκρούς μετανάστες και πρόσφυγες στα σύνορα (βίντεο) – AVGI (27 giugno 2025) ↩︎ 4. Lesvos Situation Report January – June 2025 – Legal Centre Lesvos ↩︎ 5. Quel che resta di Moria. A Lesbo per i rifugiati inizia un’altra detenzione di Valerio Nicolosi – Altreconomia (20 Settembre 2020) ↩︎ 6. Εικόνες σοκ από νέες υλοτομήσεις στη Βάστρια αποκαλύπτουν το έγκλημα κατά της φύσης – StoNisi (2 Maggio 2025) ↩︎ 7. Regulation (EU) 2016/679 of the European Parliament and of the Council ↩︎ 8. Report on the Situation in the Samos Closed Controlled Access Centre (CCAC), I Have Rights and Homo Digitalis – (Maggio 2025) ↩︎ 9. One year since Greece opened new “prison-like” refugee camps, NGOs call for a more humane approach (settembre 2022) ↩︎ 10. New report unpacks the construction of a migrant detention centre, a report by CPT Aegean Migrant Solidarity (16 luglio 2025) ↩︎ 11. Patto sulla migrazione e l’asilo ↩︎
Geografie di confinamento e governance dell’eccezione: i campi per persone in movimento in Grecia. Corinto come lente di analisi
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Università di Bologna Dipartimento Scienze Statistiche “Paolo Fortunati” – STAT Corso di Laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale GEOGRAFIE DI CONFINAMENTO E GOVERNANCE DELL’ECCEZIONE: I CAMPI PER PERSONE IN MOVIMENTO NELLA GRECIA CONTINENTALE. CORINTO COME LENTE DI ANALISI Tesi di laurea in Geografia dell’Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile Elisa Lista (A.A. 2024/2025) Scarica l’elaborato INTRODUZIONE La seguente tesi si propone di analizzare in che modo la configurazione architettonica e spaziale, la localizzazione geografica e il sistema di governance dei campi per richiedenti asilo situati nell’entroterra greco – con particolare attenzione al campo di Corinto – riflettano e riproducano logiche di controllo, segregazione e marginalizzazione nei confronti delle persone in movimento che vi risiedono. Le stesse logiche di contenimento che caratterizzano le politiche migratorie e d’Asilo dell’Unione Europea. L’obiettivo è quello di interrogare le modalità attraverso cui il campo – lungi dall’essere uno spazio neutro – si configura come un dispositivo attivo nella gestione dei corpi dei migranti. Al tempo stesso, la ricerca intende esplorare come tale geografia venga quotidianamente vissuta, rinegoziata e abitata dalle persone che vi passano attraverso. La riflessione si articola attorno ad alcune domande centrali: Che cosa si intende per “forma campo” (Rahola, 2003)? In che modo le scelte architettoniche, infrastrutturali e localizzative influenzano la vita quotidiana dei migranti? Come si intreccia l’organizzazione spaziale dei campi con la logica di contenimento che sottende le politiche europee in materia di migrazione e asilo? In che modo questo si declina nel contesto dei campi della Grecia continentale? Qual è l’impatto della governance multilivello dell’accoglienza – e in particolare della gestione dei fondi europei per la migrazione – nel plasmare materialmente e simbolicamente questi spazi? Infine, quali forme di socialità e resistenza emergono all’interno di ambienti pensati per segregare? Per rispondere a questi interrogativi, è stato adottato un approccio misto, integrando strumenti di tipo qualitativo e autoetnografico con strumenti di tipo quantitativo. La ricerca si è articolata in due momenti di studio sul campo e in un’estensiva analisi documentale. Nel corso di due mesi trascorsi a Corinto, nell’estate 2024, è stata condotta un’osservazione partecipante volta a comprendere le dinamiche quotidiane della vita nel campo di Corinto e a costruire relazioni che hanno permesso di accedere a spazi, pratiche e narrazioni spesso inaccessibili a osservatori esterni. Il coinvolgimento diretto e prolungato e le interazioni informali hanno reso possibile la raccolta di dati qualitativi densi e l’accesso a informazioni sul funzionamento del campo assenti nei report ufficiali del Governo greco. Nel dicembre 2024 è stato effettuato un breve ritorno in Grecia, finalizzato alla raccolta di ulteriori testimonianze e documentazione fotografica, attraverso un lavoro congiunto con Gaia Brunialti. Una parte delle informazioni presentate – in particolare nell’ultimo capitolo – derivano dalle esperienze condivise da persone che hanno vissuto per mesi o anni all’interno del campo di Corinto e che hanno acconsentito a raccontare le loro storie, anche attraverso interviste in differita nei mesi successivi al mio ritorno, e a condividere fotografie degli spazi interni del campo. Per tutelarne l’anonimato e proteggere la loro posizione giuridica – spesso precaria e vulnerabile – ogni riferimento personale è stato reso non identificabile. La maggior parte degli interlocutori coinvolti sono giovani uomini provenienti da Afghanistan, Iraq, Palestina e Iran. L’assenza di testimonianze femminili costituisce un limite dell’indagine, riconducibile alla ridotta partecipazione delle donne alle attività del Community Center, alla barriera linguistica importante e alla diffidenza nel condividere informazioni personali. A complemento del lavoro qualitativo, si è affiancato un approfondito lavoro di ricerca documentale e quantitativa relativa alla governance dei fondi europei destinati alla gestione dei flussi migratori e all’accoglienza in Grecia. Sono state esaminate e confrontate fonti ufficiali e primarie, come documenti di programmazione finanziaria forniti dal Ministero dalla Migrazione e dell’Asilo Greco e dalla Commissione Europea, affiancate a report di monitoraggio di organizzazioni come Il Greek Council for Refugees, Refugee Support Aegean e Mobile Info Team, e schede informative dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). All’analisi della letteratura scientifica sul ruolo politico della geografia dei campi profughi, si affianca un’analisi cartografica basata su immagini satellitari e fotografie aeree che consentono di osservare la “mappa dei campi” presenti sul territorio greco e la configurazione spaziale del territorio che li circonda. Il lavoro di ricerca non è stato privo di ostacoli, in particolare nell’accesso a dati ufficiali e fonti istituzionali. La trasparenza da parte del governo greco risulta limitata, sia per quanto riguarda la pubblicazione di dati relativi ai campi, sia in merito all’impiego dei fondi europei destinati alla loro gestione. Sia sul sito del Ministero greco della Migrazione e dell’Asilo, sia su quello della Commissione Europea, reperire dati primari e non aggregati relativi all’utilizzo dei fondi europei risulta particolarmente complesso. Le informazioni pubblicate riguardano prevalentemente programmi generali di intervento, spesso espressi in termini vaghi o incoerenti tra loro. Non sono disponibili dati dettagliati sulle singole voci di spesa, né è possibile accedere a documentazione specifica per ciascun campo profughi. La trasparenza è quindi limitata a una panoramica delle misure di intervento o a progetti estesi all’insieme dei centri di accoglienza presenti sul territorio greco, senza distinzione tra strutture, località o modalità di implementazione. L’accesso ai campi da parte delle ONG è fortemente regolato, e l’interazione con il personale interno spesso subordinata a lunghe trafile burocratiche, raramente efficaci. Le principali organizzazioni internazionali coinvolte nella governance dei campi, come l’OIM, si limitano alla diffusione di dati quantitativi sulla popolazione residente, evitando di affrontare in maniera critica le condizioni materiali dell’accoglienza. Ostacoli significativi emergono anche nell’acquisizione di testimonianze dirette da parte delle persone che vivono nei campi. Tali difficoltà riflettono, in parte, l’esigenza di adottare modalità di ascolto attente e non intrusive: esporre la propria esperienza può essere difficile per le persone in movimento, soprattutto quando segnata da violenze e vissuti dolorosi. In secondo luogo, condividere informazioni può rischiare di compromettere il buon andamento della richiesta d’asilo o il rapporto con le autorità che gestiscono i campi. Per queste ragioni, è stato fondamentale adottare un approccio cauto e sensibile, che lasciasse spazio e voce alle persone in movimento nei limiti tracciati da loro stesse. La tesi si articola in cinque capitoli. Il primo capitolo offre una panoramica del contesto migratorio che ha interessato la Grecia negli ultimi anni, un crocevia tra la Rotta migratoria del Mediterraneo Orientale e la Rotta Balcanica. Sebbene geograficamente concepita come territorio di transito, la Grecia si è trasformata, a partire dal 2016 e in seguito all’accordo UE-Turchia, in un punto di stallo per migliaia di persone in movimento. In questo quadro, si analizza la politica di esternalizzazione dell’Unione Europea, che scarica la responsabilità di gestione dei flussi migratori agli Stati membri posti ai confini esterni dell’area Schengen, come la Grecia. Il capitolo approfondisce inoltre il funzionamento del sistema d’asilo a livello europeo e greco, evidenziando come i lunghi processi burocratici portino alla congestione di centri di accoglienza e all’istituzionalizzazione dei cosiddetti “campi profughi”. Il secondo capitolo si concentra sull’analisi dei luoghi dell’accoglienza e sulla definizione della “forma campo”, approfondendone la storia e la funzione simbolica. Esplora la configurazione architettonica, spaziale e temporale dei campi, indagando il modo in cui le agenzie umanitarie ne fanno al contempo uno strumento politico di cura, sorveglianza e controllo. Viene inoltre affrontata la questione della depoliticizzazione del richiedente asilo, spesso ridotto alla figura passiva di mera vittima, ma anche la nuova attenzione della letteratura alle forme di socialità, agency e resistenza che emergono all’interno dei campi e che plasmano la loro materialità. Il terzo capitolo è dedicato all’analisi dell’evoluzione del sistema di accoglienza in Grecia e delle modalità di gestione dell’asilo negli ultimi anni. A partire dalla fase emergenziale del 2016, si esamina la transizione dai programmi di accoglienza diffusa alla progressiva centralità dei campi come unica forma di accoglienza prevista. Viene analizzata la distribuzione territoriale dei campi nell’entroterra greco, il loro isolamento spaziale rispetto ai servizi essenziali, le loro caratteristiche materiali. Il capitolo affronta anche le difficoltà incontrate nell’accesso a dati pubblici sui campi, segnalando la limitata trasparenza del Governo greco nella gestione dei siti e le limitazioni nell’ingresso, che spesso impediscono di raccogliere testimonianze dirette dei residenti. Il quarto capitolo è dedicato all’analisi dei fondi europei destinati alla gestione dei flussi migratori in Grecia, con un confronto tra il ciclo di programmazione 2014-2020 e l’attuale ciclo di programmazione 2021-2027. L’attenzione si concentra in particolare sui fondi utilizzati per la gestione dei campi dell’entroterra greco e sulla governance multilivello dell’accoglienza, che coinvolge attori istituzionali europei, autorità greche, organizzazioni internazionali e soggetti privati. Vengono infine discusse le implicazioni materiali derivanti dallo spostamento delle competenze gestionali dei campi esclusivamente nelle mani delle autorità greche, evidenziando il peggioramento delle condizioni di vita per i richiedenti asilo che vi abitano.  Il quinto capitolo si focalizza sul caso studio del campo di Corinto, adottando una prospettiva etnografica e spaziale e dando voce alle narrazioni delle persone in movimento che l’hanno abitato. Viene percorso il tragitto che collega il centro urbano al campo, analizzando gli spazi che lo compongono, con l’aggiunta di considerazioni derivanti dall’osservazione di immagini satellitari che mostrano la configurazione del territorio che lo circonda. L’attenzione si focalizza sulla carenza strutturale di servizi essenziali e sulle condizioni materiali di vita, ma anche sulle forme di appropriazione e politicizzazione dello spazio – come i graffiti – e sulle pratiche di socialità quotidiana. In parallelo, si affronta la condizione di sospensione e immobilità che caratterizza l’esperienza dell’attesa in un campo.
Vite monitorate: come la tecnologia ridefinisce la libertà nel CCAC di Samos in Grecia
I report di I Have Rights, Border Violence Monitoring Network e Homo Digitalis 1 denunciano l’uso massiccio di tecnologie di sorveglianza e gravi violazioni della privacy da parte del Ministero greco dell’Immigrazione nel Centro Chiuso ad Accesso Controllato sull’isola greca di Samos. Reti e filo spinato circondano il centro (Amnesty international) Le tecnologie di sorveglianza sono uno strumento sempre più utilizzato per la gestione migratoria e i controlli di frontiera in Unione Europea. Negli ultimi vent’anni diversi sistemi informatici sono stati implementati ai nostri confini: Eurodac, dove sono raccolti e conservati dati biometrici di richiedenti asilo e persone migranti, il Sistema di Informazione Schengen, di Informazione Visti, di ingressi/uscite 2. Dal 2019 questi sistemi sono interoperabili, e ciò permette la creazione di veri e propri fascicoli di dati biografici e biometrici di ogni persona registrata, aumentando così il rischio di commistione tra sorveglianza e gestione amministrative delle domande d’asilo. Con l’approvazione a giugno 2024 del Nuovo Patto su Asilo e Migrazione questo sistema è stato potenziato. Parallelamente, l’entrata in vigore del nuovo AI Act 3 estende ulteriormente la possibilità di usare sistemi informatici e di intelligenza artificiale in frontiera. Le attività connesse al controllo dei confini sono infatti esentate dai rigidi obblighi contenuti nel Regolamento sull’intelligenza artificiale, e accademici e attivisti hanno già evidenziato come questo rischi di rendere la frontiera europea un laboratorio normativo opaco, in cui tecnologie invasive usate in situazioni di profonda asimmetria di potere sono usate senza rispettare i diritti fondamentali delle persone migranti 4. Questo coincide con una progressiva erosione dei diritti fondamentali in frontiera, luogo che è stato definito “zona anomala” 5 e “non-territorio” 6. Lo stesso concetto di frontiera è usato in modo flessibile, e include non solo la linea geografica di confine, ma anche i luoghi dove sono svolti i controlli di frontiera e in particolare i centri di accoglienza/trattenimento/detenzione per le persone migranti, quali gli hotspot italiani e i Centri Chiusi ad Accesso Controllato (CCAC) greci. La Grecia ha difatti avuto un ruolo di primo piano nel definire le eccezioni dell’AI Act in frontiera. A novembre 2023 il delegato greco ha richiesto l’utilizzo illimitato dei sistemi di RBI (Real-time biometric identification) – altrimenti vietati dall’AI Act – nelle zone di frontiera. In una situazione di crescente ambiguità normativa, le autorità greche non hanno specificato se i CCAC rientrano o meno nella definizione di frontiera. Tuttavia, diversi report 7 svelano che già prima del novembre 2023 tecnologie di IA erano state istallate nel CCAC di Samos, e come evidenziato da un’indagine di Statewatch 8 il territorio greco è usato come laboratorio: il budget stanziato dall’UE per i controlli di frontiera in Grecia tra il 2021 e il 2027 è di più di 1 miliardo di euro, un aumento del 248% rispetto al budget precedente 9. Gli stessi CCAC rappresentano per ora un esperimento delle istituzioni europee: progettati dopo l’incendio nell’hotspot di Moria a Lesbo del 2020, sono stati finanziati dall’Unione Europea e costruiti come precursori dei centri di screening introdotti dal Nuovo Patto su Asilo e Migrazione9. Il centro di Samos è stato il primo ad aprire, il 18 settembre 2021, seguito da analoghe strutture a Kos, Leros, Lesbo e Chio. Il centro di Samos è composto da decine e decine di container, dove le persone trattenute vivono. Le varie aree sono separate da checkpoint, segnati da tornelli, barriere e filo spinato e controllate dalla polizia greca, dalla polizia di frontiera, e da addetti alla sicurezza di G4S, una azienda privata. Le condizioni materiali, già critiche per le strutture inadeguate, sono complicate dal sovraffollamento. Al momento della pubblicazione del report di I Have Rights, a inizio 2025, le persone trattenute a Samos erano 4303, il 118% della capacità del CCAC. Amnesty International dopo una visita a fine 2023 descrive il centro – che l’Unione Europea aveva promesso sarebbe stato “aderente agli standard europei” per garantire “condizioni abitative migliori per tutti” – come un “incubo distopico”: un campo militarizzato, senza le infrastrutture e i servizi più essenziali, dove, con il pretesto di identificare le persone, le autorità sottopongono sistematicamente i richiedenti asilo a detenzione illegittima e arbitraria 10. Sono forse questi gli standard europei promossi dal Nuovo Patto? L’elemento chiave del sistema dei CCAC è la restrizione della libertà delle persone trattenute. In teoria, la permanenza nel centro dovrebbe durare massimo 5 giorni, ma nella maggior parte dei casi viene estesa a 25 giorni e oltre, spesso senza una decisione ufficiale a riguardo; durante questo periodo non è possibile uscire dal centro, salvo rare eccezioni (cure mediche, attività ricreative per i minori). I Have Rights ha dimostrato che un tale livello di restrizione deve essere qualificato come detenzione de facto 11, e la stessa Commissione Europea – promotrice e finanziatrice dei centri – ha individuato nella detenzione sistematica dei richiedenti protezione una violazione del diritto dell’UE, in una procedura di infrazione iniziata contro la Grecia. Le restrizioni alla libertà personale sono però ancora più profonde. I check point e in particolare le tecnologie di sorveglianza nel campo creano un ambiente estremamente securitizzato, dove ogni movimento è controllato e registrato. Le telecamere del sistema Centaur, installate anche negli spazi usati come abitazioni (I have rights) Per attraversare i checkpoint che separano le varie zone del CCAC è necessario presentare una tessera di identificazione biometrica e scannerizzare le proprie impronte digitali. Il controllo è capillare: in base a quanto riportato da IHR e BVMN, il CCAC di Samos è dotato di almeno quattro sistemi informatici: Centaur, Hyperion, Rea e Alkioni, finanziati dall’Unione Europea. Centaur utilizza algoritmi di analisi dei movimenti e trasmette immagini, video, e audio delle telecamere a circuito chiuso e raccolti dai droni ad una sala di controllo nel Ministero della Migrazione e l’Asilo. Secondo IHR, le informazioni fornite dal Ministero greco non chiariscono se Centaur usa sistemi di IA oppure algoritmi di analisi dei comportamenti. Le aziende coinvolte nello sviluppo e utilizzo dei sistemi sono almeno cinque, di cui tre greche (ESA Security, Space Hellas, Adaptit) e due israeliane (ViiSights e Octopus, che hanno tra i propri clienti anche il governo israeliano). In base alle interviste condotte nel campo, le telecamere e i droni sono presenti anche nei luoghi dove le persone vivono e dormono – nonostante le rassicurazioni del Ministero. Una parte delle persone intervistate ha riportato di sentirsi al sicuro grazie ai sistemi di sorveglianza, ma a causa della mancanza di informazioni molti hanno espresso dubbi a riguardo e paragonato il campo ad una prigione. La presenza di aziende israeliane nel CCAC non è senza conseguenze: dopo il 7 ottobre 2023, centinaia di residenti del campo hanno protestato contro la risposta di Israele, e un drone è subito intervenuto per raccogliere immagini e video da trasmettere ad Atene in tempo reale; subito dopo i cancelli che separano le varie zone del campo sono stati chiusi, e cinque richiedenti asilo arrestati 12. Il sistema Hyperion utilizza dati biometrici per monitorare gli ingressi e le uscite dal CCAC. I richiedenti asilo devono presentare le proprie impronte digitali nonché avere con sé carte elettroniche dove sono registrate foto, impronte digitali e firma del possessore, che vengono lette attraverso sistemi di Radio Frequency Identification. È da notare che nessuno degli operatori che lavorano nel campo ha acconsentito a registrare le proprie impronte digitali, ritenendolo non necessario e una violazione dei loro diritti, e accedono quindi tramite le proprie carte di identità, che non contengono dati biometrici. Il mediatore europeo ritiene che l’infrastruttura di sorveglianza del CCAC ricalchi quello di un carcere, e dubita che il rispetto per la dignità umana e la protezione dei minori e delle persone vulnerabili siano possibili in una simile struttura 13. Anche la Relatrice speciale sul traffico delle persone delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione per le tecnologie di sorveglianza utilizzate, che, insieme alla posizione isolata rispetto al centro abitato di Samos, causa restrizioni alla libertà personale e mancanza di servizi 14. Secondo IHR e BVMN, questo si allinea perfettamente con la politica delle autorità greche, che a gennaio 2025 sono state ancora una volta sanzionate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per detenzione sistematiche e respingimenti 15. Samos, dopo Lesbo, è l’isola greca dove si registrano più push-back. L’utilizzo massiccio di sistemi algoritmici e di IA aumenta anche il rischio di bias contro le persone trattenute nel centro, che potrebbero essere segnalate come minaccia in base a bias algoritmici. L’agenzia dell’UE per i Diritti Fondamentali ha espresso i propri dubbi proprio rispetto all’algoritmo usato da Centaur, chiedendo al Ministero greco per la Migrazione e l’Asilo di condividere più informazioni riguardo al suo funzionamento. Al momento della pubblicazione del report di IHR e BVMN, il Ministero non aveva ancora dato seguito a queste richieste. L’Autorità per la Protezione dei Dati (APD) greca è intervenuta ad aprile 2024, in seguito a segnalazioni di organizzazioni della società civile greca, comminando una sanzione record (175000 €) al Ministero per la Migrazione per gravi violazioni del GDPR (il Regolamento UE sulla protezione dei dati). Tra le violazioni, l’APD ha individuato mancanza di trasparenza riguardo proprio ai sistemi Centaur e Hyperion. Oltre alla multa, ha poi ordinato al Ministero di conformarsi al GDPR entro luglio 2024, evidenziando quattro punti: violazione dei principi di legalità e trasparenza per la mancanza di una base giuridica chiara per il trattamento dei dati; violazione del diritto delle persone migranti ad una informazione completa; assenza di un chiaro protocollo per la valutazione obbligatoria sulla protezione dei dati; infine, mancata cooperazione del Ministero con l’APD. A partire da questa storica decisione, IHR e Homo Digitalis hanno condotto un’indagine tra luglio 2024 e marzo 2025 per monitorare la risposta del Ministero 16. La conclusione raggiunta, grazie a interviste e analisi del quadro giuridico, è che il Ministero non ha adempiuto al proprio obbligo, e le violazioni nel CCAC di Samos continuano: le persone trattenute nel centro non ricevono informazioni sufficienti sui sistemi di sorveglianza utilizzati, e riportano di non avere la possibilità di rifiutare la registrazione delle impronte digitali o la consegna dei telefonini – che sono sistematicamente ritirati e controllati. Secondo il report, il Ministero greco non ha inoltre fornito chiarimenti sui protocolli utilizzati né sugli algoritmi di Centaur e Hyperion, rendendo impossibile una valutazione imparziale del loro impatto sui diritti fondamentali. I report di I Have Rights, Border Violence Monitoring Network e Homo Digitalis si concludono con tre raccomandazioni rivolte alle istituzioni greche ed europee: si richiede trasparenza e individuazione delle responsabilità in capo alla Polizia Ellenica e per gli algoritmi di Centaur e Hyperion; è imprescindibile proteggere i diritti delle persone in movimento, fermando la confisca sistematica dei telefoni, fornendo informazioni chiare e accessibili sulle tecnologie di sorveglianza usate nel CCAC, e utilizzando sistemi meno invasivi di registrazione; è necessario approntare tutele contro la discriminazione algoritmica, controllando l’algoritmo di Centaur e pubblicando regolarmente report di valutazione dell’impatto che queste tecnologie hanno su persone vulnerabili, che si trovano in posizione di grande debolezza rispetto alle autorità. Il crescente impiego della tecnologia nel contesto migratorio – raccolta di dati, interoperabilità delle banche dati, sistemi decisionali automatizzati – genera maggiore incertezza riguardo alle responsabilità legali e ai mezzi di ricorso. La Grecia e l’Unione Europea stanno utilizzando il CCAC di Samos come territorio di prova, e con il Nuovo Patto e l’AI Act si preparano a rafforzare ulteriormente il ricorso a tecnologie di sorveglianza e controllo automatizzato delle frontiere. Il lavoro di organizzazioni come IHR, BVMN e Homo Digitalis è sempre più essenziale per garantire il monitoraggio da parte della società civile e mantenere al centro del dibattito politico la protezione delle persone, non dei confini. 1. NGOs on Samos uncover a covert operation against asylum seekers and the invasive use of technology in the Samos Closed Controlled Access Centre ↩︎ 2. Visti, di ingressi/uscite Sicurezza e migrazione: sistemi informatici a livello di UE, Consiglio Unione Europea. Statewatch ed Euromed Rights ne hanno fatto un’analisi critica: leggi ↩︎ 3. Legge sull’IA ↩︎ 4. In particolare la #Protectnotsurveil coalition ↩︎ 5. G. Campesi, The EU Pact on Migration and Asylum and the Dangerous Multiplication of ‘Anomalous Zones’ for Migration Management ↩︎ 6. J. P. Cassarino, The Pact on Migration and Asylum: Turning the European Territory into a Non-territory? ↩︎ 7. Come quelli di Solomon e di I Have Rights e Border Violence Monitoring Network (Qui il rapporto) ↩︎ 8. Consulta l’indagine ↩︎ 9. Le istituzioni europee denominano infatti i centri Multi-Purpose Reception and Identification centres, Melting Pot (2023) ↩︎ 10. People seeking asylum detained in EU-funded “pilot” refugee camp on Samos, Amnesty (30 luglio 2024) ↩︎ 11. The EU-Funded Closed Controlled Access Centre – The De Facto Detention of Asylum Seekers on Samos ↩︎ 12. Invisible Walls: How AI Tech at Europe’s Borders Threatens People Seeking Refuge ↩︎ 13. Decision in strategic inquiry OI/3/2022/MHZ on how the European Commission ensures respect for fundamental rights in EU-funded migration management facilities in Greece ↩︎ 14. Leggi la relazione ↩︎ 15. G.R.J. c. Grecia. 2025. No. 15067/21 e A.R.E. c. Grecia.2025. No. 15783/21 ↩︎ 16. Leggi l’indagine ↩︎
Grecia, sospensione dell’asilo e nuova riforma razzista del governo Mitsotakis
Con il pretesto dell’aumento degli arrivi sulle isole meridionali, il governo di Kyriakos Mitsotakis ha sospeso per tre mesi l’accesso all’asilo per le persone che arrivano via mare da paesi del Nord Africa, ordinandone l’espulsione immediata senza registrazione. Parallelamente, prosegue in Parlamento l’iter della “Riforma del quadro e delle procedure per i rimpatri di cittadini di Paesi terzi”, che amplia la detenzione, introduce pene detentive per chi resta senza documenti e limita le possibilità di regolarizzazione. La norma radicalizza le linee guida del nuovo Patto UE su migrazione e asilo, anticipandone la traduzione più repressiva. ONG e movimenti denunciano gravi violazioni del diritto internazionale, mentre cresce il coordinamento per una risposta sociale e politica. UNO STATO DI EMERGENZA COSTRUITO AD ARTE L’aumento degli arrivi di persone in movimento sulle isole meridionali greche è diventato il nuovo pretesto del governo di centro-destra guidato da Kyriakos Mitsotakis per giustificare l’ennesima offensiva contro il diritto di asilo. Dall’inizio dell’estate, in particolare, Creta e Gavdos hanno registrato un incremento 1 di approdi di persone in fuga da Libia, Tunisia e Algeria. Una dinamica nota da tempo, trasformata oggi in “minaccia nazionale” per invocare misure straordinarie. SOSPENSIONE DELL’ASILO E DEPORTAZIONI IMMEDIATE L’11 luglio con l’emendamento n. 71 della legge 5218, il Parlamento ha imposto un divieto di tre mesi alla presentazione di domande di asilo per le persone che arrivano via mare, prevedendo la loro immediata espulsione verso il Paese di transito o di origine, senza alcuna registrazione. La misura colpirà soprattutto i nuovi arrivi provenienti da Libia, Tunisia e Algeria. «Una situazione tanto grave quanto prevedibile», osserva l’avvocato Minos Mouzourakis di Refugee Support Aegean 2. «L’aumento degli arrivi dalla Libia è una realtà da almeno due anni, come dimostra anche il recente procedimento penale 3 contro alti funzionari della guardia costiera greca per il naufragio di Pylos del 14 giugno 2023, che ha causato oltre 600 morti. Né Creta né Gavdos dispongono di strutture di accoglienza o registrazione, e i piani per crearle sono stati respinti solo tre mesi fa dal Ministero della Migrazione». Il nuovo ministro della Migrazione e dell’Asilo, Thanos Plevris – subentrato il 28 giugno a Makis Voridis, dimessosi in seguito allo scandalo sui fondi agricoli dell’UE – ha già dichiarato che la sospensione dell’asilo potrebbe essere estesa in caso di una “nuova crisi” 4. Chi è Makis Voridis La nomina a marzo di Makis Voridis 5 a ministro della Migrazione ha visto un’intensificazione della retorica e delle politiche anti-migranti. Voridis, con una lunga storia di affiliazioni di estrema destra, tra cui la leadership nell’ala giovanile del partito greco neofascista Epen (Unione Politica Nazionale), ha confermato le aspettative di un programma aggressivamente razzista, illegale e xenofobo. Fonte: Legal Centre Lesvos ONG E SOCIETÀ CIVILE: “PROVVEDIMENTO ILLEGALE” La risposta delle organizzazioni è stata immediata. Più di 100 ONG e associazioni hanno firmato una dichiarazione congiunta per chiederne l’annullamento. «Il diritto di chiedere asilo e la protezione dal respingimento sono principi fondamentali che non possono mai essere limitati. Entrambi sono sanciti da strumenti di diritto internazionale e dell’UE che prevalgono su qualsiasi disposizione legislativa nazionale, come già sottolineato da autorevoli istituzioni a livello greco e internazionale. Questa sospensione è illegale – scrivono le organizzazioni – e deve essere revocata». 🔗 JOINT STATEMENT: THE UNLAWFUL SUSPENSION OF ACCESS TO ASYLUM IN GREECE MUST BE IMMEDIATELY WITHDRAWN Adriana Tidona, ricercatrice di Amnesty International per le migrazioni, aggiunge: «Le autorità greche hanno inoltre annunciato l’intenzione di istituire un centro di detenzione a Creta, per trattenere le persone che arrivano in modo irregolare. Se attuata, questa proposta rischia di generare situazioni di detenzione automatica e quindi arbitraria delle persone migranti, in violazione del diritto dell’Unione europea e del diritto internazionale». LA NUOVA RIFORMA SUI RIMPATRI: CONTINUITÀ E RADICALIZZAZIONE «Chiunque sia illegale in Grecia non sarà mai legalizzato», dichiarava a fine maggio l’ex ministro dell’Immigrazione e dell’Asilo Makis Voridis, riferendosi alle modifiche legislative che stava promuovendo per rafforzare il sistema di rimpatrio. Il disegno di legge preparato da Voridis e, messo in consultazione il 17 luglio dal nuovo ministro dell’Immigrazione Thanos Plevris 6, nei primi giorni di agosto, è stato presentato in Parlamento l’8 agosto scorso 7. Chi è Thanos Plevris Ministro della Migrazione dal 28 giugno 2025, è noto per posizioni estremiste e dichiarazioni apertamente razziste. Celebre, e inquietante, la frase: «La sicurezza delle frontiere non può esistere senza vittime, per essere chiari, se non ci sono morti». La sua nomina segna la continuità e, per certi versi, la radicalizzazione della linea di Voridis La “Riforma del quadro e delle procedure per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi” aggiorna il quadro normativo per espulsioni e rimpatri. L’obiettivo dichiarato dal governo è rafforzare la gestione delle espulsioni, prevenire abusi delle procedure d’asilo e ridurre le falle amministrative. In realtà, la norma amplia la detenzione, inasprisce pene e restrizioni, limitando drasticamente le possibilità di regolarizzazione. I punti principali sono:Paesi di rimpatrio ampliati: inclusi residenza abituale, “paese terzo sicuro” e primo paese di asilo.Pene per soggiorno illegale: carcere (minimo 2 anni) o multa fino a 10.000€, senza possibilità di sospensione salvo rimpatrio volontarioMulte e pene aumentate per chi entra o rientra illegalmenteDefinizioni più severe di “rischio di fuga”, come mancanza di residenza fissa o rifiuto di identificazionePartenza volontaria ridotta: da 25 a 14 giorni, con controlli elettroniciDivieti di ingresso più duri: fino a 10 anni, estendibiliPene per soggiorno illegale: carcere (minimo 2 anni) o multa fino a 10.000€, senza possibilità di sospensione salvo rimpatrio volontarioMeno possibilità di richiedere asilo più volte e abolizione del permesso di soggiorno dopo 7 anni di presenza irregolare Un disegno di legge marcatamente razzista, i cui punti salienti Plevris ha illustrato in una recente intervista 8. «Il piano, che sarà votato all’inizio di settembre, prevede che chiunque arrivi in Grecia e veda respinta la propria domanda di asilo sarà condannato a una pena detentiva da due a cinque anni. L’unica possibilità di evitare il carcere sarà quella di collaborare al proprio rimpatrio. Nel frattempo, durante l’esame della richiesta di asilo, la persona potrà essere posta in detenzione amministrativa. Stiamo investendo nella detenzione e nel rimpatrio – ha dichiarato Plevris – e questo può essere ottenuto solo con una politica di disincentivi: chi entra illegalmente nel Paese deve sapere che, se il suo asilo viene respinto, le conseguenze saranno tali da non avere alcun motivo per rimanere». La propaganda governativa Il 7 agosto, Plevris ha visitato 5 strutture. In una foto osserva sorridente il segretario generale per l’accoglienza mangiare il cibo distribuito. “Il nostro ministero non è un hotel”, ha commentato, chiedendo di rivedere il menù “in stile alberghiero” fornito nei campi. Fonte: Efsyn SUL CAMPO: VIOLENZE E NUOVE INFRASTRUTTURE Il Legal Centre Lesvos (LCL) ha pubblicato un rapporto che copre i primi sei mesi del 2025 sull’isola di Lesvos 9, offrendo un quadro complessivo della stretta repressiva in atto. Il LCL denuncia la persistenza di pratiche illegali: perdurare di violenze di frontiera, respingimenti violenti, condizioni degradanti nei campi, espulsioni collettive e ritardi arbitrari. Nuove infrastrutture, come il Centro di Accesso Controllato di Vastria (finanziato dall’UE), sono progettate per aumentare detenzione ed espulsioni. 🔗 NEW REPORT UNPACKS THE CONSTRUCTION OF A MIGRANT DETENTION CENTRE. A REPORT BY CPT AEGEAN MIGRANT SOLIDARITY Eppure la risposta legale non si ferma: assoluzioni in processi per “traffico di migranti“, liberazione di imputati nel caso “Moria 6” 10, incriminazione di 17 ufficiali della Guardia Costiera per il naufragio di Pylos 11. A Creta cresce la solidarietà verso uomini e ragazzi sudanesi criminalizzati, migliorando l’accesso alla difesa legale. Il naufragio di Pylos Il 14 giugno 2023, un peschereccio partito dalla Libia con centinaia di persone si è capovolto e affondato al largo di Pylos, causando oltre 600 morti. L’inchiesta ha portato all’incriminazione di 17 ufficiali della Guardia Costiera greca. È il naufragio più letale della storia recente I MOVIMENTI: «DOBBIAMO RESISTERE» Il 27 luglio, il Coordinamento Antirazzista di Atene – formato da Open Assembly Against Pushbacks and Border Violence, Solidarity with migrants, Mataris Sudan Solidarity Committee e Assembly Against Detention Centers 12 – ha convocato un incontro nel quartiere di Exarchia 13. > «Dobbiamo affrontare tutto questo come un attacco e organizzare la nostra > resistenza, le nostre alleanze e le nostre azioni», hanno affermato. Tra repressione e resistenza, la Grecia si conferma uno dei laboratori più estremi della politica migratoria europea: norme e pratiche securitarie si sperimentano sulle vite delle persone. Ma la mobilitazione, dentro e fuori i tribunali, dimostra che l’opposizione sociale è viva – e pronta a rilanciare. 1. Leggi: Crete – Gavdos: 7,336 refugee arrivals in the first half of 2025, lack of management plan, Refugee Support Aegean (RSA) (9 luglio 2025) ↩︎ 2. Leggi l’editoriale pubblicato su ECRE il 17 luglio 2025 ↩︎ 3. Pylos Shipwreck: Criminal prosecution for felonies against 17 members of the Coast Guard, RSA (23 maggio 2025) ↩︎ 4. Greece may extend North Africa asylum ban if migrant flow resurges, Reuters (7 agosto 2025) ↩︎ 5. Greek PM seeks ‘reset’ with former far-right activist as migration minister, The Guardian (Marzo 2025) ↩︎ 6. Nel suo discorso inaugurale come ministro, Plevris ha dichiarato apertamente che le persone che entrano in Grecia senza autorizzazione avranno solo due opzioni: tornare indietro o essere mandate in prigione, e ha dichiarato – in violazione del diritto greco e internazionale – che a nessuno che entri irregolarmente sarà permesso di richiedere asilo Fonte: Legal centre Lesvos ↩︎ 7. Leggi il comunicato stampa governativo ↩︎ 8. L’intervista a Plevris su MonoNews (10 agosto 2025) ↩︎ 9. Lesvos Situation Report January – June 2025, LCL (24 luglio 2025) ↩︎ 10. Il 4 aprile 2025, 3 dei “6 di Moria” sono stati assolti! Erano stati condannati per incendio doloso insieme ad altri 3 adolescenti. Questi 6 adolescenti afghani sono stati assurdamente accusati degli incendi che hanno distrutto il catastrofico campo di Moria a Lesbo nel settembre 2020. Fonte: Solidarity Campaign FreetheMoria6 ↩︎ 11. Leggi anche l’articolo su Efsyn (7 agosto 2025) ↩︎ 12. Detenzione amministrativa: sistemi carcerari e apartheid in Palestina e Grecia. Un podcast di Against Detention Centers Athens ↩︎ 13. La notizia e il testo di convocazione su Efsyn (23 luglio 2025) Efsyn (Εφημερίδα των Συντακτών, Efimerida ton Syntakton) è un quotidiano cooperativo greco. Il suo nome significa “Il giornale dei redattori”. È stato fondato nel 2012 da ex dipendenti del quotidiano Eleftherotypia, che aveva cessato le pubblicazioni. È una cooperativa gestita interamente dai suoi dipendenti ↩︎
C’è chi dice no
-------------------------------------------------------------------------------- Il 22 luglio, un presidio di protesta ha bloccato il porto di Syros, in Grecia (foto unsplash.com), per impedire ai ricchi passeggeri israeliani di sbarcare dalla nave da crociera Mano Maritime. Uno striscione con la scritta Stop the genocide ha accolto la nave che è stata costretta a cambiare rotta -------------------------------------------------------------------------------- Avevamo creduto che un altro mondo fosse possibile. Un mondo fondato sulla pace, sulla giustizia, sulla dignità di ogni essere umano. Oggi, mentre le bombe continuano a cadere su Gaza e i corpi dei bambini vengono estratti dalle macerie, sentiamo risuonare dentro di noi l’urlo del quadro di Munch, quell’urlo muto che dovrebbe squarciare l’indifferenza, perforare le coscienze addormentate, attraversare le stanze blindate del potere. Eppure il mondo tace. Vediamo le immagini, ascoltiamo i racconti, leggiamo i numeri che diventano nomi, i nomi che diventano volti, i volti che scompaiono. Dove sono finite le parole che fermano le mani assassine? Dove si nascondono gli uomini quando l’umanità viene calpestata? Sentiamo le parole di chi uccide senza pietà, di chi li sostiene, di chi se ne vanta sui social come di una partita di calcio. Ma io scelgo di non cedere alla tentazione dell’odio. Non augurerò il male, non risponderò con la stessa violenza linguistica. Perché non voglio diventare il mostro che combatto. Voglio spezzare questa catena maledetta di crudeltà, coltivare invece la capacità di comprendere, di comunicare oltre le barriere dell’odio. Che lo accettiamo o meno, siamo tutti interconnessi: quello che accade ai palestinesi accade anche a me, accade a tutti noi. La sofferenza di un bambino di Gaza ferisce l’umanità intera. Oggi risuonano più che mai le parole di Ingeborg Bachmann: “La guerra non è mai finita per chi la porta dentro”. Quella ferita continua a sanguinare, si tramanda di generazione in generazione, ci scava l’anima. E ci chiama alla responsabilità. Come possiamo credere a chi dice di difendere il popolo ucraino dall’invasione, se poi chiude gli occhi davanti al massacro del popolo palestinese? La giustizia non ammette eccezioni geografiche o religiose. O è universale, o è solo ipocrisia travestita da morale. Ci arrendiamo troppo facilmente al linguaggio della guerra, della forza bruta, della vendetta che genera altra vendetta. Ma la guerra uccide l’anima prima dei corpi, avvelena il futuro, insegna ai bambini che l’odio è l’unica risposta possibile. Non è questo l’eredità che vogliamo lasciare. Noi dobbiamo essere – e saremo – il linguaggio della pace. Della convivenza. Della giustizia senza compromessi. Dell’uguaglianza che non conosce confini. Se non riusciremo oggi, perché oggi prevale la logica della forza, faremo in modo che accada domani. Ma la pace rimarrà il nostro linguaggio. Sempre. Ogni giorno. In ogni confronto. Impareremo parole nuove. Sceglieremo ogni termine con cura. Ogni giorno. Ogni ora. E non ci fermeremo mai. C’è un segnale di speranza che illumina il buio: tra i riservisti israeliani la partecipazione al servizio militare è crollata. Si stima che oltre centomila persone abbiano rifiutato di rispondere alla chiamata alle armi. Non per viltà, ma per coraggio morale. Perché sanno che questa guerra ha oltrepassato ogni limite umano. C’è chi dice no, chi rifiuta di essere complice, chi sceglie la disobbedienza della coscienza. Non siamo soli nella scelta della pace. L’alternativa vive e cresce, anche nel cuore di chi dovrebbe impugnare le armi. La pace sarà il nostro linguaggio. Sempre. Ogni giorno. Ogni ora. Impareremo parole diverse. Le sceglieremo una per una, come chi cura un giardino. E non smetteremo mai. Urliamo, ma non ci arrendiamo alla disperazione. Piangiamo, ma non lasciamo che le lacrime spegnano la speranza. Parliamo, anche quando la voce si spezza per l’emozione. Perché il silenzio, ora, sarebbe complicità. E la complicità è la morte della coscienza. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI SILVIA RIBEIRO: > L’economia del genocidio e le aziende tecnologiche -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo C’è chi dice no proviene da Comune-info.
Syros, Grecia: manifestanti pro Palestina impediscono lo sbarco dei passeggeri israeliani della nave da crociera Mano Maritime
Una folla di manifestanti con bandiere palestinesi e striscioni con la scritta Stop the genocide ha bloccato il porto di Syros, in Grecia e ha impedito ai passeggeri israeliani di sbarcare dalla nave da crociera Mano Maritime. In precedenza gli israeliani cantavano: “Possa il tuo villaggio bruciare”. L’enorme nave ha lasciato il porto e sta navigando verso Cipro. Fonte: https://www.facebook.com/vincenzo.giani   Redazione Italia
Controfuoco. Per una critica all’ordine delle cose (N° 2, giugno 2025)
> con·tro·fuò·co/ > Incendio, appiccato volontariamente, > per eliminare il materiale > combustibile e quindi contrastare > l’avanzata di un incendio di grandi > proporzioni, spec. nei boschi. ARCHITETTURE DEL CONFINAMENTO: IL TRATTENIMENTO COME INFRASTRUTTURA L’editoriale di Francesco Ferri e Omid Firouzi Tabar Sono passati oramai dieci anni dalla cosiddetta “crisi dei rifugiati” e appare sempre più chiaro come il regime complessivo di regolamentazione, filtraggio e selezione della mobilità delle persone migranti sia vivendo una preoccupante virata autoritaria e repressiva, una recrudescenza che vede nella privazione della libertà un fattore sempre più diffuso, strutturale e normalizzato. Questa “sicuritarizzazione” dell’apparato sicuritario-umanitario, che vediamo da alcuni anni intrecciare e ibridare dinamiche di controllo e segregazione con quelle dell’assistenzialismo compassionevole e infantilizzante, si sta progressivamente infiltrando gran parte dei contesti legati alle migrazioni. Lo vediamo nelle narrazioni mediatiche sempre più stigmatizzanti, nel piano normativo che restringe progressivamente diritti e garanzie e nelle prassi istituzionali sempre più segnate da dinamiche di abbandono socio-economico e dalla moltiplicazione degli ostacoli amministrativi e burocratici. Stiamo assistendo in primo luogo a un vero e proprio attacco frontale al diritto di asilo per come lo abbiamo conosciuto, che si materializza attraverso la progressiva centralità di concetti come “paesi sicuro” e alle conseguenti procedure “accelerate” o di “frontiera”. In questo senso la richiesta di protezione internazionale non è più soltanto preludio a una vera e propria trappola sociale, ma è sempre più un’opzione che viene semplicemente negata, soprattutto per sottrarre le persone al pacchetto di diritti che tutt’ora implicherebbe. In tale direzione vanno legislazioni nazionali e il nuovo Patto europeo su migrazioni e asilo, punto di svolta decisivo delle politiche migratorie continentali. A questa erosione del diritto di asilo si accompagna una sorta di “Hotspotizzazione” della regolamentazione delle persone anche oltre alle fasi successive all’approdo. Al netto della resistenza, talvolta anche ostinata, di alcuni tribunali, la prospettiva politica sembra essere quella di dare una progressiva centralità (non soltanto simbolica) a strutture classicamente detentive come i Cpr, ma anche a strutture ibride di trattenimento come i centri albanesi (e altri che fioriranno sul perimetro europeo per le “procedure di frontiera”), e quelli di Pozzallo e Porto Empedocle adibiti per le “procedure veloci”. In parallelo, la costante minaccia di “deportabilità” in questi luoghi, ben agevolata dalla diffusione di misure di militarizzazione urbana come le “Zone Rosse”, diventa ingrediente ricattatorio di estrema violenza. Senza scordarci, per completare questo cupo quadro, di una certa intensificazione della criminalizzazione delle pratiche solidali, soprattutto in mare, e di quella, statisticamente preoccupante, dello smuggling e dei cosiddetti “capitani”, che sta allargando la stretta penale su un numero sempre più vasto di migranti. Tutto ciò non sembra proiettarsi nella direzione di un rafforzamento di forme di mera esclusione ed estromissione delle persone dalla cosiddetta “Fortezza Europa”, concetto che ci appare oggi anche poco funzionale, talvolta del tutto fuorviante, per leggere in profondità i processi in corso e le razionalità che li sottendono. In campo sembra invece persistere un’economia politica del modello confinario imperniata su dinamiche di selettività e di violenta (im)mobilizzazione, orientate a garantire nuove linee di inclusione subalterna e di produzione di soggettività, più che a materializzare una rigida (e improduttiva) impermeabilizzazione del perimetro europeo. Più che alla tensione tra rigide linee che separano estromissione da e inclusione nello spazio europeo, dobbiamo in sintesi sforzarci a cogliere tensioni e conflittualità sempre più molecolari e interstiziali tra espressione di mobilità indisciplinata e tentativo di produzione di soggettività esposte a forme sempre più intensive di sfruttamento lavorativo e di stigmatizzazione utile a nutrire le retoriche sicuritarie. Questi nuovi sviluppi si materializzano dentro una congiuntura di guerra che, oltre alle uccisioni, ai massacri, ai genocidi e alle devastazioni che produce nelle zone di conflitto dove è materialmente in atto, si espande in quanto regime complessivo di produzione di linee di comando, ispirando drammaticamente molte politiche europee tra cui quelle che riguardano migrazioni e confini. In questo scenario bellico la costruzione dei blocchi e delle polarizzazioni, strutturati intorno a un ritorno di costruzioni identitarie come popolo, stato e nazione, produce inevitabili e considerevoli ripercussioni nei regimi di  “bordering” e di “othering”, ponendosi come frame perfettamente coerente con la stretta sicuritaria vissuta in questa fase storica in molti territori europei. Scendendo su un piano più concreto, l’analisi del “modello Albania” fornisce indicazioni utili per cogliere le tendenze che attraversano il regime confinario. Il funzionamento del centro di Gjader ha evidentemente caratteristiche peculiari ma non è, dal punto di vista della logica che lo informa, un’eccezione. Questo progetto, infatti, rende visibile e leggibile una delle traiettorie più rilevanti del governo della mobilità: l’estensione selettiva del trattenimento come pratica ordinaria. In Italia, la detenzione amministrativa si presenta come diffusa ma non generalizzata: uno scarto importante, da cogliere per darne preciso rilievo politico. Infatti, la gran parte delle persone rimpatriate non passa dai Cpr. Ma questo dato non ridimensiona il ruolo politico di quei centri. Al contrario, lo chiarisce: i Cpr non funzionano per volumi, ma per effetto. Producono una pedagogia della minaccia, inscrivono nella vita migrante una moltiforme precarietà costitutiva, alimentano una condizione permanente di esponibilità alla violenza e al rimpatrio. Il modello Albania riproduce questa stessa logica: poche persone effettivamente trattenute bastano a produrre un salto, simbolico e materiale, nell’architettura del confinamento. È per questo che l’analisi non può fermarsi ai numeri. Serve uno sguardo qualitativo e politico sulla detenzione, che è poi quello che questo numero di Controfuoco tenta di portare. Le molteplici forme del trattenimento non vanno valutate unicamente sulla base della capienza o del tasso di rimpatri che producono, ma interrogati come dispositivi: macchine selettive di produzione della soggettività e della forza-lavoro migrante. Le loro funzioni travalicano i corpi che rinchiudono. La violenza concreta che esercitano non va dunque ridimensionata, ma compresa nella sua estensione. La lista dei diritti violati – libertà personale, difesa, salute, unità familiare – è solo la soglia di un impatto più ampio: una violenza sistemica, che agisce al di là delle griglie giuridiche. È una violenza strutturale, fatta di trattamento differenziale, segregazione materiale e simbolica, disciplinamento sociale. Il trattenimento va allora letto come infrastruttura, non come eccezione. Non è una parentesi nella vita migrante, ma una condizione che incide sui tempi, gli spazi, le possibilità di movimento e di relazione. La deportabilità – più che la deportazione effettiva – è oggi la condizione generalizzata che definisce la collocazione sociale di ampi settori di soggettività migrante. Il rischio permanente della detenzione orienta le traiettorie, comprime le aspettative, spezza le reti, contribuisce alla collocazione nel mercato del lavoro, nei modelli dell’abitare. È in questo scenario che si colloca il presente numero di Controfuoco, dedicato alle molteplici forme del trattenimento. Le attraversa, le connette, le storicizza. Non per restituirne un’immagine unitaria, ma per mapparne le articolazioni, le ricadute, le resistenze. Il trattenimento non è ai margini: è un asse portante delle politiche migratorie. È dentro la società, ne riflette le gerarchie, ne rafforza i confini. L’ambizione di questo numero è chiara: contribuire, con strumenti agili e accessibili, alla politicizzazione del dibattito sul trattenimento. Passando in rassegna i vari contributi, Chiara Denaro presenta delle riflessioni che riguardano i nuovi piani di sperimentazione della detenzione migrante. Si parla dei centri di Pozzallo e Porto Empedocle, pensati per trattenere migranti giunti dai “paesi sicuri”, mentre viene esaminata la loro richiesta di protezione internazionale. L’autrice si sofferma in particolare sulla privazione della libertà vista come ingrediente sempre più diffuso del controllo delle migrazioni e sul ruolo svolto dai giudici e dal diritto in questo campo di tensioni. Francesco Ferri presenta una riflessione critica rispetto a un tema che ha avuto recentemente molta amplificazione mediatica, quello dei centri di detenzione in Albania. Ferri si sofferma nello specifico sulla funzione latente di questi luoghi, interpretati come strumenti punitivi che incarnano, anche in prospettiva delle nuove politiche europee, uno specifico modello di controllo della mobilità indisciplinata. In particolare emerge l’idea che tali luoghi rappresentino un confine interno esternalizzato, dove la dislocazione della detenzione pone, tra i vari, seri problemi dal punto di vista del controllo giurisdizionale e della tutela legale. Il tema della detenzione amministrativa è stato approfondito da Rocco Sapienza, in relazione alla struttura collocata a Palazzo San Gervasio, in Provincia di Potenza. Le riflessioni intorno a questo Cpr si soffermano non soltanto sulla violenza istituzionale agita con le forme del trattenimento all’interno di questo luogo, ma si sviluppano anche in riferimento alla sua collocazione nel territorio e in particolar modo nelle reti e infrastrutture dello sfruttamento lavorativo. La progressiva recrudescenza delle politiche di controllo delle migrazioni e la crescente centralità di strumenti necropolitici e repressivi è la cornice di riferimento del contributo di Francesca Esposito. L’autrice, focalizzandosi sul tema della detenzione amministrativa in Italia e in Europa, propone una riflessione critica di orientamento transfemminista e abolizionista indicando la necessità di guardare alle molteplici interconnessioni tra la violenza confinaria e violenza di genere, con particolare riferimento allo sguardo portato nel dibattito attuale dal femminismo anticarcerario. Anche il contributo di Luca Ceraolo affronta il tema della detenzione delle persone migranti all’interno del Cpr. Tenendo la salute mentale come cornice generale di riferimento, in questo contributo viene messa a fuoco la relazione tra diversi campi del sapere – con particolare attenzione a quello medico – nelle pratiche detentive e la materializzazione di un “continuum coloniale” nei processi di stigmatizzazione che riguardano le soggettività migranti. Luca Daminelli e Andrea Contenta si focalizzano sulla Grecia e sul borderscape rappresentato da quella particolare porta d’ingresso verso l’Europa, segnata fortemente dagli accordi con la Turchia che continuano ad avere molteplici conseguenze. In questo contributo l’attenzione è rivolta ai dispositivi di privazione della libertà, che fungono in modo sempre più diffuso e normalizzato come strategie di regolamentazione, esclusione ed inclusione subalterna dei migranti irregolarizzati, ma anche dei richiedenti asilo. Infine troviamo le riflessioni presentate da Giovanni Marenda, che volge lo sguardo verso la Bulgaria, di nuovo imperniate sull’analisi della centralità assunta dalla pratica della detenzione nel governo delle migrazioni indisciplinate. Secondo l’autore le prassi osservabili in quel territorio, segnate da diffusi soprusi e violenze discrezionali degli attori istituzionali, possono essere interpretate come una sorta di anticipazione del recente Patto europeo sulle migrazioni che tende ad incorporarle, legalizzandole. Quest’ultimo infatti viene immaginato non tanto come cambio di paradigma, ma come normalizzazione di un sistema che prevede lo strapotere di polizia e la generalizzazione della detenzione come fulcri operativi. CONTROFUOCO N° 2 GIUGNO 2025 SOMMARIO I nuovi centri di detenzione per i richiedenti asilo. Genealogia di un fallimento governativo Chiara Denaro Da dove viene la singolare pretesa di trasportare i migranti in Albania per aumentare i rimpatri? Francesco Ferri Geografia del controllo: note da Palazzo San Gervasio Rocco Sapienza Per una critica transfemminista abolizionista della detenzione amministrativa in Italia Francesca Esposito Politiche della diagnosi e continuum della colonia. Riflessioni sulla salute nella detenzione amministrativa Luca Ceraolo La Grecia scudo d’Europa. Di razzismo istituzionale, condizioni di vita inumane e politiche di morte Andrea Contenta e Luca Daminelli Reclusi alla periferia d’Europa. Uno sguardo sulla detenzione dei migranti in Bulgaria Giovanni Marenda Clicca sull’immagine di copertina per scaricare gratuitamente la rivista o qui sotto Download in pdf Acquista una copia cartacea Fotografie: Silvia Di Meo, Rami Sole, Luca Greco, Marios Lolos, Francesco Cibati, Rocco Sapienza, Stop CPR Roma e Mel Progetto grafico: Giacomo Bertorelle Gruppo redazionale: Jacopo Anderlini, Emilio Caja, Francesco Della Puppa, Francesco Ferri, Enrico Gargiulo, Barbara Barbieri, Stefano Bleggi, Giovanni Marenda, Omid Firouzi Tabar, Martina Lo Cascio La foto di copertina è stata scattata durante la mobilitazione del Network Against Migrant Detention in Albania l’1 e 2 dicembre 2024. NAMD è una rete di attivist* transnazionale che chiede l’abolizione della detenzione amministrativa. Cooperativa editrice Tele Radio City s.c.s., Vicolo Pontecorvo, 1/A – 35121 Padova, Italy, Iscr. Albo Soc. Coop. n. A121522 Melting Pot è una testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Padova in data 15/06/2015 n. 2359 del Registro Stampa. Controfuoco è un processo aperto e collettivo che vuole coinvolgere saperi e conoscenze composite e crescere a partire dalle diverse esperienze e biografie che intreccerà. Per contribuire scrivi a collaborazioni@meltingpot.org.