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Il confine come laboratorio di impunità: il Policy Memo del BVMN sui Balcani
Il 22 settembre, il Border Violence Monitoring Network (BVMN) ha pubblicato Policy Memo: Strengthening Migration Governance Monitoring in the Balkans 1, un documento politico che ha preso forma nel corso della consultazione con l’Alto Commissariato ONU per i diritti umani. Rispondendo alla Risoluzione 57/14 del Consiglio dei diritti umani, l’Ufficio dell’Alto Commissariato ONU per i diritti umani (OHCHR) ha realizzato un’indagine sulla possibilità di monitorare gli effetti pratici delle politiche migratorie europee. In questo contesto, le Nazioni Unite hanno consultato organizzazioni della società civile per rispondere a una domanda complessa: è possibile trovare strumenti per rilevare e controllare le pratiche usate nella gestione dei flussi migratori? La relazione finale dell’OHCHR 2 nominava in modo esplicito il Border Violence Migration Network (BVMN) come soggetto in grado di svolgere questa funzione, specialmente nei contesti caratterizzati da scarsa accessibilità e ostacolo al monitoraggio (delle aree più remote, ma non solo), criminalizzazione e difficoltà nel contatto coi i decisori politici. Il Network è stato quindi una delle organizzazioni più ascoltate dell’OHCHR stessa nel corso dei suoi lavori. Nel contesto di questi, il BVNM ha consegnato alle Nazioni Unite una nota politica e risposte scritte alle domande più critiche sollevate sulle tecnologie usate per il controllo delle persone migranti. Nel Policy Memo, i Balcani in particolare sono individuati come zona di grave mancanza di accountability degli attori statali e di confini segnati da violenza e violazioni dei diritti umani 3. Gli unici soggetti che qui agiscono per cercare un cambiamento positivo sono organizzazioni della società civile, spesso criminalizzate e in difficoltà per la mancanza cronica di fondi e di spazi (reali e virtuali) dove diffondere il proprio lavoro e portare avanti azioni di sensibilizzazione del contesto sociale. In generale, gli Stati europei usano sparizioni forzate e pushback istantanei per nascondere i propri abusi sui migranti. Il Network e i suoi membri hanno rilevato 25.000 pushback da parte di 14 Paesi. Spesso le persone migranti vengono detenute in segreto in luoghi inadatti al fermo di qualsiasi soggetto: garage, caravan, stalle, edifici abbandonati e pericolanti, container di metallo e addirittura canili. Nel 2021 il 20% delle detenzioni dimostrate di persone migranti non erano comunicate formalmente, non seguivano le normali procedure per la detenzione di individui. Nel 2024, il BVMN ha raccolto prove di 19 detenzioni irregolari. In totale continuità con questa pratica è evitare di registrare le persone migranti detenute: diventano fantasmi che passano attraverso carceri (veri o improvvisati) senza lasciare traccia. Tra 2022 e 2024, il 96% delle persone migranti soggette a pushback in Grecia non era stata registrata dalle autorità. Questo meccanismo alimenta l’impossibilità di obbligare gli attori statali a rispondere del destino delle persone migranti sul loro territorio. Per creare poi maggior danno alle persone migranti e insieme nascondere meglio gli abusi da loro subiti, le autorità distruggono i loro beni personali (e sopratutto dei telefoni cellulari). Significa distruggere la loro possibilità di geolocalizzarsi, comunicare con la famiglia, dimostrare la loro identità, provare l’eventuale passaggio attraverso diversi Stati e raccogliere prove di violazioni dei loro diritti. In Croazia, il Network ha documentato vere e proprie pire di oggetti “migranti”. Questa pratica si inserisce all’interno di un contesto legislativo, amministrativo e spesso sociale che criminalizza la migrazione nel tentativo (mai riuscito) di scoraggiarla. Nel 2022, ad esempio, la Turchia ha deportato una ragazza siriana verso il Nord della Siria dopo che, per proteggerla, il fratello ha denunciato gli abusi fisici e verbali che lei subiva a scuola. Rispetto alla società civile, il BVMN ha rilevato che gli Stati costruiscono ostacoli (legislativi e di fatto) per impedire alle organizzazioni non-governative di monitorare la gestione dei flussi migratori e di effettuare operazioni di search and rescue a terra. In più, si impegnano nella criminalizzazione dei difensori dei diritti umani attraverso strumenti più o meno formali: ostacoli burocratici e amministrativi alla loro vita quotidiana, legislazioni sempre più restrittive, sorveglianza (non dichiarata), inchieste e procedimenti giudiziari non giustificati, campagne diffamatorie, aggressioni, atti di vandalismo, furti. Il tutto nella quasi completa impunità, perché anche in questo contesto le autorità continuano a sfuggire a qualsiasi meccanismo di controllo e di ottemperanza a politiche rispettose dei diritti umani. Nel Policy Memo, il Border Violence Migration Network suggerisce buone pratiche. Sottolinea particolarmente la necessità di integrare il lavoro di investigazione della società civile, delle ONG e dei difensori dei diritti umani nelle riflessioni e procedure delle grandi istituzioni (come l’ONU) per portare alla luce in modo più completo e capillare le violazioni dei diritti umani che gli Stati perpetrano (quasi) indisturbati ai danni delle persone migranti e per responsabilizzare in modo inderogabile i decisori politici. Suggerisce anche l’uso delle nuove tecnologie per verificare il destino e/o la posizione delle persone migranti scomparse. Ma proprio la tecnologia, sottolinea ancora il BVMN, ha una doppia valenza. Chiamato dal Consiglio ONU sui diritti umani a rispondere ad alcune domande riguardanti l’uso di nuove tecnologie nelle politiche migratorie da parte degli Stati, il Network ha infatti messo in luce alcune pratiche molto pericolose. Innanzitutto, la mancanza di trasparenza nell’implementazione di tecnologie per la consapevolezza situazionale nei sistemi di sorveglianza dei confini: i Governi non rendono noto in maniera completa quali strumenti tecnologici usano, in che quantità e modalità, dove lungo i confini li posizionano. La scusa è la “sicurezza nazionale”, spesso usata nei discorsi giustificanti la violenza contro le persone migranti e chi le aiuta e difende. Complesso è pure l’accesso a dati, fotografie, filmati raccolti da droni, radar e camere: spesso sono fatti scomparire, cancellati o nascosti, per evitare che servano in processi di denuncia e rivendicazione di diritti umani. A ciò si aggiunge l’evoluzione materiale di queste tecnologie, che ne rende molto difficile l’identificazione: a fronte di una sempre crescente precisione e velocità di rilevamento dati, hanno dimensioni sempre più piccole e aspetto sempre più anonimo. Infine, c’è l’uso allarmante di spyware per colpire organizzazioni e individui che difendono i diritti delle persone migranti. A febbraio 2025, diversi quotidiani italiani hanno riportato che i cellulari di circa 90 attiviste italiane e non sono stati infettati da Graphite, un software di spionaggio creato a scopi militari dall’azienda israeliana Paragon. In merito alla questione, il presidente esecutivo di Parago John Fleming ha dichiarato: la società «concede in licenza la sua tecnologia a un gruppo selezionato di democrazie globali, principalmente agli Stati Uniti e ai suoi alleati». Non ha fatto alcuna ulteriore specifica. Il Policy Memo: Strengthening Migration Governance Monitoring in the Balkans contiene un’ulteriore prova che il sistema di impunità costruito, alimentato e difeso da “democrazie” violatrici di diritti umani, discriminatorie e razziste è consistente e si sta evolvendo utilizzando strumenti di ultima generazione, pratiche che tendono alla “violazione invisibile” dei diritti umani e politiche che de-umanizzano le persone migranti mentre squalificano socialmente chi le aiuta. Il lavoro del Border Violence Migration Network dimostra anche che l’unico ostacolo a questa corruzione è la reazione della società civile. 1. Qui il documento ↩︎ 2. Leggi il documento ↩︎ 3. BVMN Monthly Report – August 2025 ↩︎
Memorandum Italia-Libia, un patto di violazioni e abusi
Da gennaio ad agosto 2025 sono stati registrati 42.693 arrivi via mare, secondo l’UNHCR 1. Negli stessi mesi, 1.126 persone sono morte o scomparse nel mar Mediterraneo (escludendo la sua parte occidentale): 814 sono le vittime della Rotta Centrale. Il punto di arrivo per maggior parte di queste persone è Lampedusa (che accoglie il 75% degli approdi). Il punto di partenza per l’88% di loro, la Libia. Il 2 novembre 2025 si dovrebbe rinnovare il Memorandum d’intesa 2 sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione irregolare, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica italiana 3. Si tratta del documento principale attraverso il quale Roma finanzia il sistema di abuso delle persone messo in atto dalle autorità, ufficiali o meno, di Tripoli. Il Memorandum è stato firmato il 2 febbraio 2017 dal presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni e dal primo ministro del Governo di Accordo Nazionale libico Fayez al-Serraj 4. L’Accordo è stato fortemente sostenuto dal ministro dell’Interno Marco Minniti. Entrambi gli esponenti italiani erano in quota Partito Democratico. Il Patto si rinnova ogni 3 anni: è stato rinnovato nel 2020 e poi, per tacito accordo, nel 2022. Prevede che l’Italia supporti la Libia nella gestione delle persone dirette in Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, quella che obbliga l’approdo in territorio italiano. Tradotto: il Memorandum è il modo in cui Roma fornisce risorse economiche, strategiche e materiali affinché Tripoli blocchi sul suo suolo chi vorrebbe partire per l’Europa. “Fermateli in Libia”, dice in sostanza l’Italia. “Noi addestriamo la vostra Guardia costiera, le diamo imbarcazioni, motovedette, equipaggiamenti e forse armi. Vi diamo fondi per amministrare i centri di detenzione. Vi supportiamo nel controllo delle vostre frontiere terrestri (perché altre persone non entrino) e marittime (perché altre persone non partano). Supportiamo anche il vostro processo di pacificazione nazionale. Ma voi fermateli a casa vostra”. Un documento che nasce da un simile intento “espulsorio” porta inevitabilmente con sé molte zone d’ombra 5. Non si capisce, ad esempio, quanti soldi Roma abbia trasferito a Tripoli nel contesto del Memorandum. Nel 2023, un articolo di Repubblica parlava di circa 124 milioni di euro 6, ma si tratta di una cifra mai confermata. Non ci sono canali o fonti ufficiali che chiariscano un nodo fondamentale come quello del sostegno economico. Cosa potrebbe fare la Guardia costiera libica senza le motovedette comprate coi finanziamenti italiani? O come si reggerebbe l’intera struttura dei centri di detenzione? Altra questione aperta riguarda la cosiddetta Guardia costiera libica, un ammasso di uomini armati spesso provenienti dalle diverse milizie che controllano i porti. L’addestramento e il supporto materiale che l’Italia fornisce a quest’autorità ufficiosa (se non illegale) equivalgono a complicità nelle violazioni dei diritti umani commesse dai miliziani. Sistematico, in particolare, è il mancato rispetto del principio di non-refoulement, per cui una persona non può essere respinta o deportata in un Paese in cui la sua vita è a rischio. Notizie FONDI EUROPEI ALLA GUARDIA COSTIERA LIBICA 42 organizzazioni chiedono lo stop alla complicità dell’UE Redazione 24 Settembre 2025 A giugno 2025 la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto il ricorso del Governo italiano contro la nave di soccorso Humanity 1, ricorso relativo a una sentenza del Tribunale civile di Crotone che dichiarava il Centro di Coordinamento del Soccorso e la Guardia costiera libica soggetti illegittimi per le operazioni SAR perché responsabili di violazioni dei diritti umani. Giurisprudenza italiana/Notizie LA GUARDIA COSTIERA LIBICA NON È UN SOGGETTO LEGITTIMO PER LE OPERAZIONI SAR Lo conferma una sentenza italiana: respinta l'istanza del governo contro Humanity 1 16 Giugno 2025 La stessa Guardia costiera libica è d’altronde nota per sparare contro persone e navi delle ONG, inseguire imbarcazioni anche in acque internazionali (dove non ha giurisdizione) e riportare chi fugge nei centri di detenzione libici. Proprio i centri di trattenimento e la responsabilità diretta o indiretta di Roma nella loro sopravvivenza sono il più preoccupante effetto del Memorandum Italia-Libia. Questi centri sono luoghi di sistematica offesa alla dignità umana e di ripetute violazioni dei diritti fondamentali. Inchieste giornalistiche, report di organizzazioni come Refugees in Libya, Medici senza frontiere, Amnesty International, oltre a fotografie, video e testimonianze, li descrivono come veri campi di concentramento a cielo aperto: persone ammassate, affamate, assetate, in attesa di essere picchiate, torturate, violentate, uccise o dimenticate. Esistono le testimonianze di chi è sopravvissuto e racconta come questi centri siano mercati di corpi e di manodopera, dove persone libere diventano schiave. Eppure, l’Italia non ha mai opposto resistenze concrete al sistema di detenzione libico. Nel 2019, alla vigilia del primo rinnovo del Memorandum, Roma chiese la riunione della Commissione congiunta Italia-Libia per modificare l’intesa. L’obiettivo dichiarato era quello di contrastare le violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione. Tripoli accettò, ma la discussione non produsse alcuna conseguenza pratica: le carceri libiche rimasero cimiteri viventi. Allo stesso modo, la connivenza di Roma con la Guardia costiera libica è stata più volte segnalata ai tribunali nazionali e internazionali. L’Italia è stata condannata in riferimento al principio di non-refoulement, ma sdegno e sentenze non hanno cambiato nulla 7 . L’Unione Europea si muove infatti in linea con l’Italia: il Memorandum è uno strumento per concretizzare la politica migratoria europea, fondata sull’esternalizzazione delle frontiere. E non solo: Roma sembra legata ad alcuni dei peggiori criminali libici. A gennaio 2025 è stato arrestato in Italia Omar Almasri 8, capo della polizia libica ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità (anche contro le persone migranti). Due giorni dopo il fermo, è stato rilasciato e rimpatriato con un volo di Stato italiano. La motivazione ufficiale: un vizio procedurale e la pericolosità sociale di Almasri. Il risultato: un criminale ricercato per gravi violazioni dei diritti umani è tornato libero di perpetrare i suoi reati, con l’appoggio opaco ma evidente delle autorità italiane 9. A seguito dell’episodio, la premier Meloni è stata indagata per favoreggiamento e peculato, insieme al ministro dell’Interno Piantedosi, al ministro della Giustizia Nordio e al sottosegretario alla sicurezza Alfredo Mantovano. Le accuse contro Meloni sono cadute, mentre per gli altri tre il Tribunale dei Ministri ha chiesto il rinvio a giudizio. Il Parlamento si esprimerà a fine ottobre. Un’altra presenza controversa è quella di Abdel Ghani al-Kikli, conosciuto come Gheniwa. Dal 2021 è a capo dello Stability Support Apparatus, milizia attiva in mare e a terra. Numerose ong, come Refugees in Libya 10 e Amnesty International 11, lo accusano di torture, stupri ed esecuzioni extragiudiziali nei centri di detenzione. Il Centro europeo per i diritti umani e costituzionali ha presentato alla Corte penale internazionale un dossier che documenta oltre 500 episodi di violenza riconducibili a lui. Eppure, al-Kikli in Italia non viene mai fermato. A marzo 2025 è arrivato a Fiumicino con una delegazione ufficiale per fare visita al ministro libico Adel Jumaa Amer, ricoverato a Roma. È ripartito indisturbato, come già accaduto nel 2024, quando aveva partecipato alle finali del campionato di calcio libico ospitate a Roma su iniziativa del Governo Meloni. In quell’occasione, gli accordi con Tripoli avevano previsto 5 nuove imbarcazioni per la Guardia costiera libica e 8 miliardi di dollari per aumentare la produzione di gas destinato al mercato interno libico e all’esportazione verso l’Europa 12. Erano stati accompagnati da dichiarazioni di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia. Da questo punto di vista, Meloni è stata di parola: non ha mai ostacolato Tripoli. Con ogni probabilità, quindi, il 2 novembre 2025 si rinnoverà il Memorandum Italia-Libia. E altre persone moriranno in Libia e nel Mediterraneo centrale, con la complicità dell’Italia. «Se non si agirà entro il 2 novembre,» – si legge nell’appello promosso da Refugees in Libya – «questo accordo criminale e sanguinoso sarà automaticamente prorogato per altri tre anni, e gli abusi continueranno. L’esternalizzazione e la brutalizzazione del regime di frontiera dell’UE devono cessare. Per questo chiamiamo a una mobilitazione comune in ottobre a Roma». L’appello è sostenuto da una coalizione internazionale che include Refugees in Tunisia, Refugees in Niger, Abolish Frontex, Amnesty International Italia, ASGI, EMERGENCY, Borderline-Europe, e molte altre realtà impegnate nella difesa dei diritti. La data è il 18 ottobre a Roma ore 14:00 in P.zza Santi Apostoli. 1. Mediterraneo centrale, UNHCR: ad agosto arrivi stabili e nuovi incidenti, UNHCR (3 settembre 2025) ↩︎ 2. Memorandum d’intesa (MoU) con la Libia ↩︎ 3. Cos’è e cosa prevede il Memorandum Italia-Libia, Lenius ↩︎ 4. Memorandum di intesa tra Italia e Libia firmato a Roma il 2 Febbraio 2017 (1/2017), Osservatorio sulle fonti ↩︎ 5. Il Memorandum e le responsabilità italiane, Il Manifesto (marzo 2025) ↩︎ 6. Qui l’articolo ↩︎ 7. Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla politica di “pullback” tra Italia e Libia — S.S. e altri c. Italia, Asgi (giugno 2025). ↩︎ 8. Almasri, il portavoce di Refugees in Libya: “Un criminale, questa non è giustizia”, alanews (gennaio 2025) ↩︎ 9. Da Israele alla Libia, l’Italia Protegge Presunti Criminali di Guerra, HRW (gennaio 2025) ↩︎ 10. The killing of Abdul Ghani al-Kikli may be a turning point for Libya, Refugees in Libya (maggio 2025) ↩︎ 11. Libya: Government of National Unity must ensure militia leaders are held to account after outbreak of violence in Tripoli, Amnesty International (maggio 2025) ↩︎ 12. Meloni a Tripoli, patto sul gas e trattativa sui migranti, Ansa (gennaio 2023) ↩︎