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UNIONE EUROPEA: SOSPETTI DI FRODE AL COLLEGIO D’EUROPA, FERMATA LA RETTRICE FEDERICA MOGHERINI
Terremoto nelle Istituzioni Europee con il fermo della rettrice del Collegio d’Europa di Bruges, Federica Mogherini, ex alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea ed ex Ministra degli Esteri nel governo guidato da Matteo Renzi, nel 2014. Il fermo, che deve essere convalditato entro 48 ore, arriva per presunte irregolarità nell’assegnazione da parte del Servizio Europeo per l’Azione Esterna di un programma di formazione finanziato dall’Unione Europea. Insieme a lei fermati anche Stefano Sannino, 65emme, diplomatico italiano ex segretario generale del Servizio Europeo per l’Azione Esterna ed un manager del Collegio. I reati ipotizzati sono turbativa e frode in appalti pubblici, corruzione, conflitto di interessi e violazione del segreto professionale. Per il fermo di Mogherini e di Sannino, che potrebbe tramutarsi in arresto, la magistratura ha chiesto ed ottenuto la rimozione dell’immunità diplomatica. Da Buxelles il collegamento con Federico Baccini, corrispondente dalla capitale belga per l’Osservatorio Balcani e Caucaso. Ascolta o scarica
Il confine come laboratorio di impunità: il Policy Memo del BVMN sui Balcani
Il 22 settembre, il Border Violence Monitoring Network (BVMN) ha pubblicato Policy Memo: Strengthening Migration Governance Monitoring in the Balkans 1, un documento politico che ha preso forma nel corso della consultazione con l’Alto Commissariato ONU per i diritti umani. Rispondendo alla Risoluzione 57/14 del Consiglio dei diritti umani, l’Ufficio dell’Alto Commissariato ONU per i diritti umani (OHCHR) ha realizzato un’indagine sulla possibilità di monitorare gli effetti pratici delle politiche migratorie europee. In questo contesto, le Nazioni Unite hanno consultato organizzazioni della società civile per rispondere a una domanda complessa: è possibile trovare strumenti per rilevare e controllare le pratiche usate nella gestione dei flussi migratori? La relazione finale dell’OHCHR 2 nominava in modo esplicito il Border Violence Migration Network (BVMN) come soggetto in grado di svolgere questa funzione, specialmente nei contesti caratterizzati da scarsa accessibilità e ostacolo al monitoraggio (delle aree più remote, ma non solo), criminalizzazione e difficoltà nel contatto coi i decisori politici. Il Network è stato quindi una delle organizzazioni più ascoltate dell’OHCHR stessa nel corso dei suoi lavori. Nel contesto di questi, il BVNM ha consegnato alle Nazioni Unite una nota politica e risposte scritte alle domande più critiche sollevate sulle tecnologie usate per il controllo delle persone migranti. Nel Policy Memo, i Balcani in particolare sono individuati come zona di grave mancanza di accountability degli attori statali e di confini segnati da violenza e violazioni dei diritti umani 3. Gli unici soggetti che qui agiscono per cercare un cambiamento positivo sono organizzazioni della società civile, spesso criminalizzate e in difficoltà per la mancanza cronica di fondi e di spazi (reali e virtuali) dove diffondere il proprio lavoro e portare avanti azioni di sensibilizzazione del contesto sociale. In generale, gli Stati europei usano sparizioni forzate e pushback istantanei per nascondere i propri abusi sui migranti. Il Network e i suoi membri hanno rilevato 25.000 pushback da parte di 14 Paesi. Spesso le persone migranti vengono detenute in segreto in luoghi inadatti al fermo di qualsiasi soggetto: garage, caravan, stalle, edifici abbandonati e pericolanti, container di metallo e addirittura canili. Nel 2021 il 20% delle detenzioni dimostrate di persone migranti non erano comunicate formalmente, non seguivano le normali procedure per la detenzione di individui. Nel 2024, il BVMN ha raccolto prove di 19 detenzioni irregolari. In totale continuità con questa pratica è evitare di registrare le persone migranti detenute: diventano fantasmi che passano attraverso carceri (veri o improvvisati) senza lasciare traccia. Tra 2022 e 2024, il 96% delle persone migranti soggette a pushback in Grecia non era stata registrata dalle autorità. Questo meccanismo alimenta l’impossibilità di obbligare gli attori statali a rispondere del destino delle persone migranti sul loro territorio. Per creare poi maggior danno alle persone migranti e insieme nascondere meglio gli abusi da loro subiti, le autorità distruggono i loro beni personali (e sopratutto dei telefoni cellulari). Significa distruggere la loro possibilità di geolocalizzarsi, comunicare con la famiglia, dimostrare la loro identità, provare l’eventuale passaggio attraverso diversi Stati e raccogliere prove di violazioni dei loro diritti. In Croazia, il Network ha documentato vere e proprie pire di oggetti “migranti”. Questa pratica si inserisce all’interno di un contesto legislativo, amministrativo e spesso sociale che criminalizza la migrazione nel tentativo (mai riuscito) di scoraggiarla. Nel 2022, ad esempio, la Turchia ha deportato una ragazza siriana verso il Nord della Siria dopo che, per proteggerla, il fratello ha denunciato gli abusi fisici e verbali che lei subiva a scuola. Rispetto alla società civile, il BVMN ha rilevato che gli Stati costruiscono ostacoli (legislativi e di fatto) per impedire alle organizzazioni non-governative di monitorare la gestione dei flussi migratori e di effettuare operazioni di search and rescue a terra. In più, si impegnano nella criminalizzazione dei difensori dei diritti umani attraverso strumenti più o meno formali: ostacoli burocratici e amministrativi alla loro vita quotidiana, legislazioni sempre più restrittive, sorveglianza (non dichiarata), inchieste e procedimenti giudiziari non giustificati, campagne diffamatorie, aggressioni, atti di vandalismo, furti. Il tutto nella quasi completa impunità, perché anche in questo contesto le autorità continuano a sfuggire a qualsiasi meccanismo di controllo e di ottemperanza a politiche rispettose dei diritti umani. Nel Policy Memo, il Border Violence Migration Network suggerisce buone pratiche. Sottolinea particolarmente la necessità di integrare il lavoro di investigazione della società civile, delle ONG e dei difensori dei diritti umani nelle riflessioni e procedure delle grandi istituzioni (come l’ONU) per portare alla luce in modo più completo e capillare le violazioni dei diritti umani che gli Stati perpetrano (quasi) indisturbati ai danni delle persone migranti e per responsabilizzare in modo inderogabile i decisori politici. Suggerisce anche l’uso delle nuove tecnologie per verificare il destino e/o la posizione delle persone migranti scomparse. Ma proprio la tecnologia, sottolinea ancora il BVMN, ha una doppia valenza. Chiamato dal Consiglio ONU sui diritti umani a rispondere ad alcune domande riguardanti l’uso di nuove tecnologie nelle politiche migratorie da parte degli Stati, il Network ha infatti messo in luce alcune pratiche molto pericolose. Innanzitutto, la mancanza di trasparenza nell’implementazione di tecnologie per la consapevolezza situazionale nei sistemi di sorveglianza dei confini: i Governi non rendono noto in maniera completa quali strumenti tecnologici usano, in che quantità e modalità, dove lungo i confini li posizionano. La scusa è la “sicurezza nazionale”, spesso usata nei discorsi giustificanti la violenza contro le persone migranti e chi le aiuta e difende. Complesso è pure l’accesso a dati, fotografie, filmati raccolti da droni, radar e camere: spesso sono fatti scomparire, cancellati o nascosti, per evitare che servano in processi di denuncia e rivendicazione di diritti umani. A ciò si aggiunge l’evoluzione materiale di queste tecnologie, che ne rende molto difficile l’identificazione: a fronte di una sempre crescente precisione e velocità di rilevamento dati, hanno dimensioni sempre più piccole e aspetto sempre più anonimo. Infine, c’è l’uso allarmante di spyware per colpire organizzazioni e individui che difendono i diritti delle persone migranti. A febbraio 2025, diversi quotidiani italiani hanno riportato che i cellulari di circa 90 attiviste italiane e non sono stati infettati da Graphite, un software di spionaggio creato a scopi militari dall’azienda israeliana Paragon. In merito alla questione, il presidente esecutivo di Parago John Fleming ha dichiarato: la società «concede in licenza la sua tecnologia a un gruppo selezionato di democrazie globali, principalmente agli Stati Uniti e ai suoi alleati». Non ha fatto alcuna ulteriore specifica. Il Policy Memo: Strengthening Migration Governance Monitoring in the Balkans contiene un’ulteriore prova che il sistema di impunità costruito, alimentato e difeso da “democrazie” violatrici di diritti umani, discriminatorie e razziste è consistente e si sta evolvendo utilizzando strumenti di ultima generazione, pratiche che tendono alla “violazione invisibile” dei diritti umani e politiche che de-umanizzano le persone migranti mentre squalificano socialmente chi le aiuta. Il lavoro del Border Violence Migration Network dimostra anche che l’unico ostacolo a questa corruzione è la reazione della società civile. 1. Qui il documento ↩︎ 2. Leggi il documento ↩︎ 3. BVMN Monthly Report – August 2025 ↩︎
La CEDU condanna nuovamente la Croazia per le espulsioni illegali
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha nuovamente condannato la Croazia (caso Y.K. contro Croazia) per aver espulso un cittadino turco di etnia curda senza garantirgli l’accesso effettivo alla procedura d’asilo e senza dare la possibilità di ricorrere a un rimedio giuridico in grado di sospendere automaticamente la sua espulsione. La Corte ha riconosciuto la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, che vieta trattamenti inumani o degradanti, e dell’articolo 13, che tutela il diritto a un ricorso effettivo, e ha disposto un risarcimento di 8.500 euro per danno morale e 3.300 euro per spese legali. Y.K., nato nel 1984, aveva raccontato di essere stato perseguitato e torturato in Turchia per il suo attivismo politico. Dopo essere fuggito dal Paese, nel febbraio 2021 era entrato irregolarmente in Croazia dalla Serbia. Arrestato a Zagabria e trasferito nel centro di detenzione per stranieri di Ježevo, si era trovato di fronte a diverse barriere burocratiche. Nonostante avesse espresso più volte la volontà di chiedere asilo (anche in presenza dei rappresentanti della Difensora civica croata e tramite il proprio avvocato), le autorità non avevano registrato la richiesta e avevano continuato a trattarlo come una persone migrante da espellere. Secondo la Corte, la polizia croata approfittò della vulnerabilità del richiedente – privato della libertà, senza contatti con il suo legale e sottoposto a isolamento con il pretesto della quarantena Covid – per indurlo a firmare documenti di “rimpatrio volontario” verso la Macedonia del Nord. Quel consenso, osservano i giudici di Strasburgo, non fu affatto libero: Y.K. era stato dissuaso dal presentare domanda d’asilo con la minaccia di restare a lungo detenuto e con la promessa di una partenza “tranquilla” se avesse accettato di lasciare il Paese. La Corte ha sottolineato che le autorità croate erano perfettamente consapevoli del rischio di persecuzione che l’uomo avrebbe corso in caso di ritorno in Turchia e che, in ogni caso, prima di allontanarlo, avrebbero dovuto valutare se la Macedonia del Nord fosse davvero un Paese sicuro, verificando l’effettivo accesso alla procedura d’asilo. Nulla di tutto ciò è stato fatto. Inoltre, il legale di Y.K. non aveva ricevuto copia dei provvedimenti di espulsione e non aveva potuto presentare ricorso, perché nessuno dei rimedi giuridici disponibili in Croazia prevedeva la sospensione automatica della misura di allontanamento. Per la Corte di Strasburgo, la partenza di Y.K. non fu quindi volontaria ma il risultato di una pressione esercitata dalle autorità con l’obiettivo di evitare che potesse formalizzare la richiesta di protezione internazionale. In questo modo, la Croazia ha violato i suoi obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, privando un richiedente asilo del diritto a essere ascoltato e a ottenere una valutazione reale del rischio di persecuzione. «La Corte europea condanna nuovamente la Croazia per violazioni dei diritti dei richiedenti asilo – commenta il Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) – Ufficio Rifugiati -. La sentenza, ormai definitiva, riconosce che la Croazia ha violato il diritto d’asilo nei confronti di Y. K., cittadino turco di origine curda, che cercava protezione dopo essere fuggito da persecuzioni politiche e torture. Invece di garantirgli accesso alla procedura d’asilo, le autorità croate lo hanno detenuto e poi espulso, esponendolo al rischio di nuove violenze». L’ICS sottolinea che la decisione «conferma quanto denunciato da anni dal Centro per gli Studi sulla Pace di Zagabria e da numerose organizzazioni per i diritti umani: la Croazia espelle sistematicamente e illegalmente i rifugiati, negando loro il diritto di asilo, la rappresentanza legale e l’accesso alla giustizia». Il Consorzio accoglie la sentenza come «una vittoria della giustizia e un riconoscimento delle gravi violazioni in atto alle frontiere europee» e rinnova l’appello alle istituzioni «a porre fine ai respingimenti, garantire accesso all’asilo, assistenza legale e rimedi effettivi a tutte le persone in cerca di protezione». La sentenza, effettivamente, ribadisce un principio già affermato in precedenti decisioni come M.H. e altri c. Croazia 1: uno Stato non può eludere il principio di non refoulement fingendo che un richiedente asilo abbia “scelto” di partire, se quella scelta è stata estorta in un contesto di detenzione e isolamento. Si richiama così ancora una volta i Paesi europei al rispetto sostanziale, e non solo formale, del diritto d’asilo e delle garanzie procedurali che ne sono parte integrante. 1. Il capolinea dello stato di diritto: la Croazia e la rotta balcanica, tra Schengen, l’Unione europea e violazioni sistematiche dei diritti umani alle frontiere, Francesco Luigi Gatta – Diritto, Immigrazione e Cittadinanza. ↩︎
Nel cuore di Trieste, un contro-evento artistico e politico riaccende la memoria del Silos
Arianna Locatelli 1 L’articolo è disponibile in francese sul blog Échanges et Partenariats (E&P). Il Silos sgomberato, oggi circondato da inferriate e comunicazioni del Comune Il 21 giugno 2024, a Trieste è stato sgomberato il Silos, una struttura adiacente alla stazione centrale che per anni ha rappresentato un rifugio spontaneo per le persone in movimento arrivate dalla Rotta Balcanica. Negli spazi del Silos, quest’anno, è giunto il Cirque du Soleil con lo spettacolo Alegría – In a New Light, invitato dal Comune, dal teatro Rossetti e da Coop Alleanza 3.0. La narrazione pubblica che ha accompagnato l’evento ha descritto il Silos come un luogo di degrado da “restituire” alla città. In risposta, nei mesi precedenti all’arrivo del Circo, attivistə, cittadinə e solidali hanno scritto una lettera aperta per raccontare un’altra storia: quella di un luogo precario ma attraversato da relazioni, scambi e forme di resistenza quotidiana. In reazione a questa narrazione parziale, nei mesi precedenti all’arrivo del Cirque du Soleil, un gruppo nutrito di cittadinǝ, attivistǝ e solidali ha deciso di scrivere una lettera aperta al Circo per raccontare un’altra storia sul luogo che avrebbe abitato per un mese, consapevoli del fatto che artiste e artisti non potevano esserne al corrente. Notizie ALEGRÌA AL SILOS DI TRIESTE: LETTERA APERTA AL CIRQUE DU SOLEIL Una memoria collettiva contro la retorica della riqualificazione 27 Maggio 2025 Perché il Silos di Trieste, luogo nato dal basso come conseguenza delle inefficienze del sistema di accoglienza e di asilo italiano, nonostante le difficoltà e la precarietà, non è stato solamente un luogo di degrado e miseria. È stato uno spazio di incontro e scambio, una casa rotta (Khandwala dal pashto) in cui cucinare, dormire, giocare a cricket, fare festa, imparare l’italiano, un rifugio in risposta alle violenze dei confini europei, un atto di riappropriazione dello spazio da parte di persone che, seppur ostacolate da un sistema escludente, hanno saputo creare un’alternativa. In una lettera, inviata sempre dal gruppo di solidali questa volta direttamente agli artisti, si legge: PH: Andrea Vivoda (Sabato 2 marzo 2024 centinaia di persone hanno attraversato il Silos) Now, let’s bring you in. Close your eyes and picture a large, empty space. Imagine countless tents on the ground, furniture scattered around, strings hanging between the arches to dry clothes. Objects that represented an attempt to give meaning to that space. From the end of 2023, that intention was soon supported: solidarians began entering the Silos with speakers and board games. Where now lies the Grand Chapiteau, supporters mobilised to cut the grass and organise cricket matches. With a bit of idealism, someone planned a party. A banner outside read “Khandwala welcomes Trieste. From abandoned to welcoming places”: Silos – or Khandwala as inhabitants used to call it – invited the city to a 12-hour feast. Some cooked rice for 400 people, others ran back and forth with plates; some met for the first time, others lit fires, beat drums, or played trumpets. From that party, Silos constantly took new forms. Schools came to visit, people gathered for lunch, art and photography classes. At sunset, musicians used to sing traditional resistance songs. Some walls were painted, flags of various nations timidly appeared next to the Italian one. Paper banners were filled with poems, new words scribbling down so as not to forget. One night, even a fire breather came to perform his magic tricks. A theater workshop was suggested (though it was never held)». In seguito allo sgombero si è parlato poco dello spazio del Silos. Nessuna alternativa è stata fornita e le richieste di attivistǝ e solidali sono rimaste inascoltate. Lo sgombero non ha rappresentato una soluzione, ma solamente un’ulteriore violenza della frontiera, un atto di rimozione ed esclusione, volto a spezzare le reti di solidarietà e a rendere ancora più invisibili le persone migranti. Gli edifici di Porto Vecchio, occupati dopo lo sgombero del SIlos, rappresentano oggi la nuova versione di Khandwala Oggi, a Trieste, esistono altri Silos. Il bisogno di richiedenti asilo e persone in movimento di un luogo da abitare ha spinto le persone a occupare i magazzini di Porto Vecchio, strutture adiacenti a quelle del Silos. Queste nuove versioni di Khandwala, però, sono più problematiche e meno comunitarie perché non sono riuscite a ricreare quel clima di condivisione e festa che, a tratti, si generava nel Silos, quel senso di appartenenza nato in diversi attori e attrici che per diverse ragioni lo hanno frequentato negli anni. Locandina per la giornata del 21 Per tutti questi motivi, per raccontare una storia diversa, si è deciso di organizzare una giornata di festa e memoria – il 21 giugno 2025, a un anno dallo sgombero – in Piazza della Libertà, luogo cardine della vita migratoria triestina, a poche centinaia di metri dal Silos, dal Grand Chapiteau del Cirque du Soleil e dai magazzini del Porto Vecchio. L’intento è stato quello di ricordare ciò che il Silos è stato e farlo rivivere per un giorno in uno spazio pubblico della città. Nella lettera aperta, che ha raccolto quasi 1.500 firme in pochi giorni, si esprimeva il desiderio di una presa di coscienza collettiva sulla storia del Silos e si lanciava un invito diretto al Cirque du Soleil: portare fuori dal tendone, a disposizione di tutt3, quell’alegría promessa dal loro spettacolo. L’invito è rimasto inascoltato dalle istituzioni e dal circo, ma l’organizzazione della giornata è proseguita con delle open call ad artistǝ locali triestinǝ per creare un Cirque du Silos durante la giornata del 21. L’organizzazione ha coinvolto la cittadinanza solidale, da attivisti a titolo personale, a volontari, persone in movimento, partiti e associazioni locali. CIRQUE DU SILOS: LA GIORNATA DEL 21 GIUGNO Da piazza della Libertà, il 21 giugno, è passata molta gente. L’obiettivo di raggiungere un pubblico più ampio, non direttamente coinvolto nella vita migratoria e solidale, è riuscito solo in parte, ma per un giorno piazza della Libertà è tornata a vestirsi di quell’allegria che si poteva trovare nel Silos. Senza retorica, in maniera consapevole, cittadinǝ, attivistǝ e richiedenti asilo hanno condiviso una giornata di musica, teatro, chiacchiere e memoria. La mattina si sono svolti vari interventi di persone che per motivi diversi sono entrati a contatto con la realtà del Silos, cercando di ragionare attorno a una serie di tematiche che ad oggi più che mai risultano urgenti e attuali, non solo per Trieste ma per il sistema di asilo e accoglienza nazionale. Dopo un pranzo condiviso, si è dato avvio a una serie di laboratori artistici, performance ed esercizi teatrali che hanno coinvolto i partecipanti per tutto il pomeriggio. La giornata si è poi conclusa con l’usuale distribuzione serale della cena in piazza della libertà. Ma per un giorno, il clima che si respirava anche durante la distribuzione, è stato caratterizzato dall’energia che si è vissuta durante tutto l’arco dell’evento, con danze condivise al centro della piazza. Foto della giornata del 21 Tutta la giornata si è costruita attorno a una domanda semplice e urgente, che stride con la narrativa delle istituzioni e dei media sull’arrivo del Cirque du Soleil: perché dall’Alegría promessa da municipio, Rossetti, Coop e Circo sono state escluse le persone che hanno abitato per anni il Silos? Il progetto del Cirque si inserisce in un’ottica ormai dominante in tantissime città italiane (e non solo): quella di una riqualificazione urbana volta però alla turistificazione, che rimuove tracce considerate indesiderabili. Con un prezzo medio di 80 euro a biglietto, lo spettacolo è rimasto inaccessibile a chi – secondo la retorica istituzionale – avrebbe vissuto in quel “degrado” tanto denunciato. Il progetto di tale riqualificazione non parte dal basso, non va incontro alle esigenze delle persone che quello spazio lo hanno abitato. La volontà è quella di creare una vetrina escludente, mentre a Trieste – e non solo – centinaia di Silos continuano ad esistere, come centinaia di sgomberi che non portano ad alcuna soluzione se non a ulteriore precarietà. Reportage e inchieste TRIESTE, CITTÀ DI FRONTIERA Piazza Libertà, dove il confine prende corpo 1 Luglio 2025 Nella lettera agli artisti, due dei ragazzi coinvolti nell’organizzazione hanno provato a descrivere lo spettacolo del Silos. Consapevoli dell’estrema precarietà, partecipi della bellezza. Bellezza che il 21 in piazza si è rivista in una giornata che ha lasciato tuttǝ soddisfattǝ e paghǝ di un’energia che si è creata spontaneamente attorno allo scambio, all’arte, ai racconti. Concludo il racconto di questa giornata di “gioia e rivoluzione” (dal nome del gruppo organizzativo) con le parole che si leggono nella lettera agli artisti citata precedentemente: «We’re not here to offer answers or dictate your actions. We believe artists are not inherently problem-solvers, nor should they be. We are here to share and reflect. Because before any show arrived, an art already existed here – performed daily in acts of resistance, gestures of survival, and stories shared despite the violence endured. This art wasn’t official or remembered, but it was real». Uno spettacolo già esisteva. Uno spettacolo di resistenza, sopravvivenza, di storie intrecciate, di atti di cura e condivisione. Uno spettacolo che si tenta in continuazione di sradicare, di soffocare, di invisibilizzare. Consapevoli della necessità di lavorare su un sistema di accoglienza che sia più efficace e che non sia oggettificante, è necessario conservare la memoria di luoghi e realtà come quella del Silos, lottando per il diritto delle persone di rivendicare uno spazio, un luogo da abitare e da vivere in quanto proprio. Uno dei laboratori artistici-teatrali organizzati lungo la giornata.«We are here to share possibilities, meanings, myths, joy. We need to return Silos its lost Alegrìa. We hope to welcome you as guests in this construction of new worlds» 1. Mi sono laureata in antropologia culturale ed etnologia a Bologna. Sono un’attivista e una studentessa e negli ultimi anni ho girato varie città seguendo progetti di ricerca e volontariato su diverse frontiere in supporto alle persone in movimento. Attualmente lavoro per Migreurop e recentemente sono entrata nel CD di OnBorders ↩︎
SERBIA: DOPO L’ULTIMATUM AL GOVERNO PIAZZE SEMPRE PIU’ OCEANICHE
IL 28 giugno, data della battaglia di Kosovo Polje nel 1389, ricorrenza fondamentale in Serbia, è stato lanciato dagli studenti serbi un ultimatum al governo presieduto da Vučić: elezioni anticipate o manifestazioni oceaniche con nuove forme di azione di piazza.  La richiesta di dimissioni del governo e le conseguenti mobilitazioni straordinarie vanno avanti da primo […]