“Desaparecer” in gruppo: le rotte migratorie marittime del Chiapas
Il 21 dicembre del 2024, 40 persone migranti di varie nazionalità sono state
fatte desaparecer in mare aperto, di fronte alle coste del Chiapas, nel sud del
Messico. La rotta marittima che doveva portarle varie centinaia di chilometri
più a nord, si è rivelata una trappola “che le/li ha inghiottiti” senza
lasciarne traccia.
10 mesi di vuoto da parte delle istituzioni hanno convinto madri, nonne, sorelle
ad alzare le loro voci, perché risuonino al di là di tutte le frontiere, in una
conferenza stampa che si è tenuta il 25 ottobre 2025.
Le madri delle persone desaparecidas
LE AUTORITÀ MESSICANE: UN MURO DI INDIFFERENZA, SILENZIO E NEGLIGENZA
«Dopo la desaparición dei nostri figli, ci siamo scontrate con un muro di
indifferenza, silenzio e negligenza da parte delle autorità messicane… Per vari
mesi ci siamo sentite sole, prive di protezione e disperate… Siamo andate di
ufficio in ufficio, abbiamo presentato denunce, ma le nostre voci non sono state
ascoltate… L’immobilismo delle Procure non solo ci impedisce di trovare i nostri
figli, ma perpetua l’impunità e permette che si continuino a commettere
ingiustizie… La vita di un migrante non vale, la sua desaparición non merita
un’investigazione… Quanti altri sogni devono sparire perché qualcuno faccia
qualcosa? … Esigiamo l’immediato inizio di ricerche esaustive e trasparenti,
sulla desaparición dei nostri figli e di tutti gli altri migranti fatti sparire
in Messico»
Sono i frammenti di un solo discorso corale, pronunciati da Alicia, Margarita,
Lázara, Isis, Elizabeth, Graciela, Lilian, 7 donne familiari di persone migranti
cubane e un honduregno, vittime di una desaparición in massa in Chiapas,
Messico, in un tratto marittimo della rotta verso gli USA. Per loro è arrivato
il momento della denuncia pubblica, con dolore, rabbia e con indignazione.
Parlano anche a nome di altre madri dell’Ecuador y del Perù che si stanno appena
scoprendo e riconoscendo come parte del gruppo.
DESAPARECER LONTANO, CERCARE “A DISTANZA“
Come si fa la ricerca “a distanza”? È la domanda che attraversa, come un filo
invisibile, la conferenza stampa organizzata lo scorso 25 ottobre da sei madri e
nonne cubane e da una sorella honduregna. Collegate da Cuba e dagli Stati Uniti,
con computer, videocamere, schermi e un link di Meet, hanno dato una risposta
concreta a quella domanda, dialogando con giornalisti, giornaliste e persone
solidali riunite in Messico, Spagna e Italia.
Hanno raccontato il loro calvario, iniziato il 21 dicembre 2024: la disperata
ricerca dei propri cari scomparsi a migliaia di chilometri di distanza, in un
paese che da decenni rappresenta la frontiera verticale degli Stati Uniti. Un
paese latinoamericano in cui, paradossalmente, a chi proviene dal resto
dell’America Latina è “vietato l’accesso”, perché – secondo la logica del
suprematismo bianco al potere negli USA – rappresenterebbe una minaccia per la
sicurezza nazionale.
È il 21 dicembre 2024, a San José el Hueyate, un’oasi tropicale sulla costa del
Chiapas. Alle 8:14 del mattino, un gruppo di 23 persone – che ha trascorso la
notte in una casa di sicurezza a pochi metri dal mare – viene condotto sulla
spiaggia e fatto salire su un motoscafo diretto verso il mare aperto.
L’imbarcazione attraversa la “barra”, il punto in cui si scontrano la forza
delle correnti marine e quella del fiume che preme per uscire.
Poco dopo, un secondo motoscafo accoglie un’altra ventina di persone, anche loro
provenienti dallo stesso villaggio. In tutto, più di quaranta persone imbarcate.
La rotta marittima era stata scelta per evitare i numerosi posti di blocco lungo
i 400 chilometri di strada che separano Tapachula da Juchitán, nello stato di
Oaxaca: una decisione apparentemente prudente, ma che per molti si rivelerà una
brusca e inquietante sorpresa, poiché avevano pattuito un viaggio via terra, in
un veicolo considerato sicuro.
Sin dalla mattina presto ognuno ha aggiornato la propria famiglia. Le mamme,
rimaste a casa, ricordano: «Mamma, va tutto bene, sto aspettando»
mamma, abbi cura di Lulú (la cagnetta)»
Frasi semplici, quotidiane, come in una qualunque mattina di viaggio: un saluto,
una rassicurazione, un piccolo frammento di normalità.
«Mamma, Lorena ed io partiamo con gli ultimi 20»
«Mamma, facciamo colazione e poi speriamo di andarcene da qui»
E sì, se ne sono andati. Hanno lasciato quelle spiagge tra lagune e mangrovie –
paesaggi da dépliant di vacanze ai tropici – che però sono tristemente note per
essere un nodo strategico dei traffici dei cartelli in questa zona di frontiera.
L’INUTILITÀ DELLA TECNOLOGIA
Una delle persone migranti aveva sul telefono un’app che permetteva ai familiari
di seguirne, passo dopo passo, gli spostamenti. Grazie a questo, si conoscono i
movimenti del gruppo negli ultimi giorni prima della desaparición. Alle 8:25 si
registra l’ultima geolocalizzazione: il segnale li colloca in mare aperto. Poi,
all’improvviso, la tecnologia diventa inutile – il segnale svanisce, i telefoni
tacciono.
Se ne sono andati, ma nessuno sa dove. Come dice Graciela, “Sembra che la terra
li abbia ingoiati”. I cellulari non si riaccendono più, e alle famiglie restano
soltanto quelle ultime parole.
Samei è il più giovane: ha solo 14 anni. Sua nonna paterna, Lázara, racconta che
“è l’unico ricordo che mi rimane di mio figlio Santiago, morto tre anni e cinque
mesi fa”. Viaggia insieme a sua madre, Meiling, 41 anni.
Elianis ha appena compiuto 18 anni, ma mostra una determinazione sorprendente.
Jorge Alejandro ha 23 anni, Dayranis 31, Lorena 28. Tutti sognano di raggiungere
gli Stati Uniti, dove qualcuno li attende per riprendere progetti di vita
sospesi da tempo, a volte per anni.
Provengono da diversi angoli di Cuba – da L’Avana, dalla provincia di Matanzas,
da Santiago de Cuba, l’antica capitale, e da Camagüey. Ma non ci sono solo
cubani tra loro: c’è anche Ricardo, 32 anni, originario del dipartimento
honduregno di Yoro; Karla, 28 anni, anche lei honduregna; e Jefferson Stalin, 21
anni, dell’Ecuador.
Tutte e tutti sono vittime del trumpfascismo. Alcune persone del gruppo avevano
richiesto il “parole” umanitario 1, una delle poche vie ancora possibili per
entrare negli Stati Uniti in modo “regolare”, ma avevano ricevuto solo silenzio
o un secco rifiuto.
Avevano fretta, consapevoli che, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, ogni
tentativo di raggiungere gli Stati Uniti – per vie legali o irregolari – sarebbe
diventato impossibile. Sapevano anche che il diritto di chiedere asilo, un tempo
relativamente accessibile almeno per chi proveniva da Cuba, sarebbe stato
spazzato via dalla nuova amministrazione.
MESSICO SELVAGGIO
Il loro viaggio si è svolto lungo una delle nuove rotte migratorie, che cambiano
di continuo. Un percorso tortuoso, fatto di voli alternati a lunghi tratti via
terra, attraverso numerosi paesi del Sud e del Centro America, fino a
raggiungere Tapachula, in Chiapas.
Fino a quel punto, per tutte e tutti, il viaggio procede senza grandi ostacoli.
Ma a Tapachula l’atmosfera si fa più tesa: si avverte la presenza dei cartelli,
anche se i gesti quotidiani – a volte persino gentili – di alcuni operatori che
controllano o spostano i migranti riescono a bilanciare, almeno in parte, le
paure e le inquietudini che affiorano nei messaggi inviati ai familiari.
Il gruppo cubano, unito e solidale, rappresenta per ciascuno una fonte di forza
e di rassicurazione.
All’inizio, l’interruzione del contatto telefonico non desta troppa
preoccupazione: capita spesso, durante viaggi così incerti. Ma con il passare
delle ore, e soprattutto la sera, il nervosismo delle famiglie cresce.
Le rassicurazioni dei coyotes non bastano più a placare l’ansia, e le versioni
che circolano nei giorni successivi, invece di portare sollievo, aumentano la
paura: il gruppo sarebbe stato fermato dall’Istituto Nazionale di Migrazione
(INM), o dalla Marina, o dalla polizia nazionale; oppure – si dice – sarebbe
caduto nelle mani della delinquenza organizzata, o avrebbe persino naufragato.
Poi, poco a poco, i coyotes smettono di rispondere a chiamate e messaggi,
recidendo l’unico filo che sembrava poter ricondurre alle persone scomparse.
Quando le famiglie iniziano le ricerche attraverso i social network, scatta la
trappola crudele delle estorsioni. Per circa un mese ricevono chiamate continue,
minacce di ogni tipo, manipolazioni del dolore e della disperazione: tutto per
spingerle a pagare migliaia di dollari, senza mai una prova di vita.
È stato un processo durissimo, imparato da sole e in fretta.
“All’inizio – racconta una delle madri – non sapevamo cosa fare né a chi
rivolgerci, eravamo completamente sole.”
Eppure, fin dall’inizio, l’iniziativa è rimasta nelle mani delle madri e delle
famiglie, che solo in un secondo momento hanno trovato sostegno in alcune
organizzazioni della società civile.
RICONOSCERSI ED AGIRE IN COLLETTIVO
Già a dicembre, nella ricerca sulle reti sociali, madri, sorelle, mariti, padri
iniziano ad incontrarsi, a riconoscersi come parte dello stesso incubo ed a
pensare ed agire insieme. Si cominciano ad organizzare creando un gruppo di
whatsapp. Il 31 dicembre viene contattata per la prima volta la console di Cuba
a Veracruz che, in seguito, informerà la Procura Speciale delle persone migranti
di Chiapas dei fatti avvenuti il 21 dicembre, ma senza ricevere alcuna risposta.
Da quel momento le famiglie hanno utilizzato tutti i mezzi possibili per
denunciare e chiedere sostegno. Hanno intrapreso lunghi viaggi dalle proprie
comunità per recarsi di persona presso gli uffici competenti dei loro paesi –
dai Ministeri degli Esteri alle direzioni consolari – e hanno inviato
innumerevoli email e fatto altrettante telefonate alle istituzioni messicane,
nonostante le enormi difficoltà di comunicazione 2.
Hanno presentato denunce e richiesto l’attivazione delle Commissioni di Ricerca:
quella nazionale (Comisión Nacional de Búsqueda, CNB) e quella statale del
Chiapas (Comisión Estatal de Búsqueda, CEB). Le segnalazioni sono partite da
Cuba, dal Brasile, dagli Stati Uniti e dal Messico.
Si sono rivolte anche alla Procura statale del Chiapas e successivamente alla
Commissione Nazionale per i Diritti Umani (CNDH). Hanno contattato una
corrispondente del quotidiano spagnolo El País, che ha pubblicato un ampio
reportage sulla desaparición di massa del 21 dicembre 2024 3.
Con l’assistenza legale della Fondazione per la Giustizia e per lo Stato
Democratico di Diritto (Fiscalía Especial de investigación de delitos
relacionados con personas migrantes y refugiadas de la Fiscalía General de la
República – FJEDD), l’11 aprile 2025 hanno presentato una denuncia collettiva
alla Procura Speciale per i delitti contro persone migranti e rifugiate,
all’interno della Procura Generale della Repubblica (FGR).
Di fronte al silenzio e all’inerzia delle istituzioni nazionali, le famiglie si
sono rivolte al Comitato delle Nazioni Unite contro la Sparizione Forzata (CED),
chiedendo l’attivazione di azioni urgenti e sollecitando i governi del Messico e
dei paesi d’origine ad avviare indagini e ricerche effettive.
In questi dieci mesi interminabili, le madri non hanno mai smesso di cercare.
Prive di protezione istituzionale, si sono esposte a rischi enormi e hanno
affrontato da sole ogni tipo di difficoltà logistica ed economica.
Grazie al loro impegno instancabile, hanno fornito nelle denunce informazioni
dettagliate e preziose sugli ultimi giorni trascorsi in Chiapas – fino alle
fatidiche 8:25 del mattino del 21 dicembre – dati che, purtroppo, le autorità
hanno ignorato, rendendoli oggi, a quasi un anno di distanza, praticamente
inutilizzabili.
LA RETE REGIONALE DI FAMIGLIE MIGRANTI
Il contatto con la Red Regional de Familias Migrantes 4 è più recente ed è
servito prima di tutto a fare un bilancio della situazione: la mancanza di
un’indagine efficace, di collaborazione tra le autorità coinvolte, e di
comunicazione con le famiglie. Ne sta prendendo corpo una nuova strategia che ha
già dato luogo a varie iniziative.
Per la prima volta, le madri e altri familiari si sono riuniti con
rappresentanti della Procura Generale della Repubblica (FGR) e della Commissione
Nazionale di Ricerca (CNB), per chiarire se esista un’indagine ufficiale e
conoscerne gli esiti aggiornati. Hanno inoltre chiesto nuove azioni di ricerca e
d’investigazione, una reale coordinazione tra tutte le istituzioni coinvolte – a
livello nazionale e internazionale – e la partecipazione diretta e costante
delle famiglie.
Su questi punti, la FGR e la CNB hanno assunto impegni espliciti.
LE DESAPARICIONES DI MASSA DI MIGRANTI: UNA PRATICA ORMAI COMUNE SULLE COSTE DEL
CHIAPAS?
La conferenza stampa del 25 ottobre nasce all’interno di questa strategia
collettiva: un momento in cui le madri hanno deciso di prendere la parola
pubblicamente, per squarciare il velo di silenzio che ancora nasconde
all’opinione pubblica fatti tanto gravi.
Fatti che avvengono in un territorio, quello del Chiapas, dove la presenza della
delinquenza organizzata e la violenza sistematica contro le persone migranti
sono realtà note da decenni – ma dove, fino a poco tempo fa, le desapariciones
di massa erano un fenomeno inedito.
Questi episodi segnano una svolta nella gestione criminale delle rotte
migratorie alla frontiera sud del Messico. Negli ultimi mesi, infatti, sono
emerse nuove segnalazioni di sparizioni collettive nella stessa area costiera
del Chiapas, come quella di 23 migranti scomparsi il 5 settembre 2025.
Tutto lascia pensare che si tratti ormai di una pratica ricorrente nella
regione.
Le madri chiedono l’appoggio della presidenta del Messico, Claudia Sheinbaum,
affinché si assuma la responsabilità politica di quanto sta accadendo.
Ana Enamorado, fondatrice della Red de Familias de Personas Desaparecidas,
commenta:
> «Claudia Sheinbaum deve sapere che qui stanno facendo desaparecer le persone
> in gruppo»,
forse alludendo ai 133.427 casi ufficialmente registrati di sparizione forzata
5, un numero che il governo sembra intenzionato, se non a occultare, quantomeno
a minimizzare.
Enamorado aggiunge: «Ma il messaggio deve arrivare anche a chi sa dove sono le
persone scomparse, a chi oggi controlla le loro vite».
TROVARE I NOMI CHE MANCANO
La conferenza stampa del 25 ottobre coincide con il quarto anniversario della
Red, celebrato il 15 e il 23 ottobre.
A questo proposito, Sandra Odette Gerardo, collaboratrice solidale della rete
sin dalla sua fondazione, afferma: «Non vorremmo nemmeno che la Rete esistesse,
invece ogni anno le desapariciones aumentano… e sono sempre di più le persone
che si avvicinano al nostro collettivo».
Il gruppo iniziale del 21 dicembre 2024 – già cresciuto con le famiglie
provenienti da Honduras, Ecuador e Perù – sa che resta un passo fondamentale da
compiere: identificare una trentina di giovani migranti tuttora senza nome,
scomparsi nello stesso episodio.
Un lavoro necessario per spezzare la maledizione che colpisce le persone
migranti, costrette a desaparecer due volte: la prima in mare o lungo la rotta,
la seconda nel silenzio, quando nessuno notifica la loro assenza e nessun
registro ufficiale ne riconosce la scomparsa.
Il prossimo passo sarà rintracciare le loro famiglie e coinvolgerle in questa
battaglia per la verità e la giustizia, per – come dicono le madri – «…obbligare
le autorità messicane, ma anche quelle dei paesi d’origine delle persone
scomparse, a fare il loro lavoro e ad assumersi le proprie responsabilità».
IL DIRITTO DELLE FAMIGLIE A CERCARE
A una domanda sul possibile coinvolgimento delle famiglie nella ricerca sul
terreno, la prima risposta, spontanea, di diverse madri è netta: non vogliono
farlo.
> «Non vogliamo che sia necessario. Vogliamo che le nostre ragazze e i nostri
> ragazzi compaiano subito…»
Poi, dopo un silenzio, Lilian aggiunge: «…ma se questo non succederà, siamo
disposte ad andare fino in capo al mondo per cercarlə».
Perché questo sia possibile, spiega Sandra Odette Gerardo, le autorità devono
riconoscere alle famiglie il diritto di cercare le persone scomparse, senza
alcuna distinzione di nazionalità o status migratorio – così come stabilito dal
diritto internazionale e dalle leggi messicane.
In concreto, è necessario che le madri e gli altri familiari del gruppo del 21
dicembre vengano riconosciuti come vittime indirette, affinché nel 2026 si possa
organizzare una brigata internazionale di ricerca in Chiapas, con l’appoggio del
governo.
Solo così potranno recarsi nei luoghi dove le persone amate hanno trascorso gli
ultimi giorni prima di essere inghiottite dalla rotta migratoria, per
raccogliere informazioni, tracce, nuove piste su cui spingere le autorità a
indagare – fino a trovare e riportare a casa chi oggi manca all’appello.
LE VITE DELLE PERSONE MIGRANTI DESAPARECIDAS VALGONO
Le madri sanno che la loro lotta va ben oltre la ricerca dei propri familiari. È
una battaglia contro le politiche migratorie che producono morti e sparizioni di
frontiera in tutto il mondo. Hanno chiaro che gli obiettivi di verità e
giustizia sono inseparabili dal principio della non ripetizione:
«La desaparición dei nostri figli e di tanti altri migranti è una tragedia che
non possiamo ignorare. Non è un caso individuale, ma il riflesso della grave
crisi umanitaria che vivono i migranti in Messico e nel resto del mondo.
Non possiamo permettere che altre famiglie soffrano questa agonia».
Le madri promettono una tenacia instancabile, per difendere e affermare i valori
più profondi e radicali della solidarietà e dell’umanità:
> “…Non permetteremo che i loro sogni diventino statistiche dimenticate.
> La loro assenza è una ferita aperta nel cuore delle loro famiglie e
> dell’umanità.”
La logica dei governi e delle istituzioni deve cambiare.
Perché le nostre vite valgono.
Notizie
IL DIRITTO DI MIGRARE NELL’ERA TRUMP
Le riflessioni di Gabriela Hernández, direttrice di “Tochan, Nostra Casa“ di
Città del Messico
Mara Girardi
26 Febbraio 2025
1. Il programma di “Parole humanitario”, ovvero la libertà condizionata
umanitaria (CHNV, acronimo di Cuba, Haiti, Nicaragua, Venezuela), era stato
istituito dall’amministrazione Biden nell’ottobre 2022. Permetteva a
migranti provenienti da questi quattro paesi di entrare regolarmente negli
Stati Uniti e di viverci e lavorare per un periodo di due anni.
Con l’ordine esecutivo “Proteggere i nostri confini”, firmato da Trump il
giorno stesso del suo insediamento (20 gennaio 2025), questo programma di
libertà vigilata è stato abolito, cancellando una delle poche vie legali di
accesso al territorio statunitense per migliaia di persone in fuga da crisi
economiche e politiche ↩︎
2. Le istituzioni non mettono a disposizione numeri con whatsapp, e alle
famiglie mancano le risorse per fare lunghe telefonate internazionali ↩︎
3. Anatomía de una desaparición masiva en México: “Mamá, caí en manos de la
mafia”, El Pais (22 giugno 2025); Intervista di Adela Micha a Beatriz
Guillén ↩︎
4. Collettivo di familiari di migranti centro e sudamericani desaparecidas
nelle rotte migratorie del Messico ↩︎
5. Al 5 novembre 2025, secondo la base di dati del Registro Nacional de
Personas Desaparecidas y No Localizadas, RNPDNO della CNB ↩︎