
A Gaza ora si muore in silenzio
Pressenza - Tuesday, June 24, 2025Era la fine del 2023 e la tragedia che colpì la prigione a cielo aperto più grande del mondo denominata “striscia” di Gaza, dopo l’azione militare delle milizie di Hamas, aveva appena avuto inizio. In principio sembrava “solo” una rappresaglia ben organizzata ma pur sempre, sebbene fin dall’inizio oltremodo sproporzionata, una risposta militare dell’IDF nel quadro logico di una vendetta. Fu tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 che tramite una cara amica palestinese che circa vent’anni prima aiutai nella sua titanica impresa di ottenere un permesso di soggiorno per rimanere nella nostra “accogliente” Italia, dopo una laurea, un dottorato e i primi contratti di lavoro, entrai in contatto con Sharif, palestinese nato a Gaza, mediatore culturale a Siena e impegnato con l’ONG “Un ponte per”. Insegnavo Scienze Umane in un liceo del litorale laziale e volevo raccontare ai miei studenti non solo che cosa è stato il colonialismo di insediamento attuato in Palestina fin dalla fine dell’Ottocento dal movimento sionista, ma anche portare in aula, tramite la videoconferenza, una testimonianza diretta di una loro coetanea, una studentessa a Gaza.
Sharif la trovò, non era una studentessa liceale, ma era più facile entrare in contatto con lei in quanto sua parente. Il contatto e la comunicazione non fu senza difficoltà, perché nel frattempo ciò che stava colpendo la sua famiglia, quella della studentessa e tutto il popolo gazawi, si stava ben presto trasformando in ciò che quando tutto sarà finito, sarà ufficialmente classificato come genocidio dalla Corte di Giustizia Internazionale.
Nancy Hamad, così si chiama la studentessa laureanda in economia con una tesi sul commercio on-line, fu intervistata una prima volta per Radio Onda d’Urto tramite un fortunoso collegamento via WhatsApp reso possibile da un gruppo di volontari informatici che organizzava ponti-radio a Gaza. Anche quella volta Nancy aveva percorso circa tre quarti d’ora di cammino tra le macerie per potersi collegare ad internet all’ombra di un gazebo, come faceva d’abitudine per rimanere in contatto con ciò che rimaneva della sua università, ormai rasa al suolo, anche solo per scaricare qualche PDF utile per la sua tesi.
Sharif tradusse in diretta per la trasmissione “Scuola Resistente” quella prima intervista dopo avermi aiutato invano a organizzare il difficilissimo collegamento con i miei studenti. Inseguimmo Nancy per lunghi mesi, infatti, ma quando, sfumata la possibilità del collegamento in videoconferenza prima della fine dell’anno scolastico, riuscimmo ad intervistarla una seconda volta, lei e la sua famiglia avevano cambiato rifugio già cinque volte, su e giù per la striscia, secondo le ciniche e paradossali indicazioni dell’IDF che presentavano ogni volta l’area da raggiungere come “zona sicura”.
Il ponte-radio funzionava a singhiozzo e Sharif a ogni interruzione dell’intervista con Nancy riempiva mano a mano quei vuoti con le frammentarie informazioni che lui stesso riceveva dalla sua famiglia, anch’essa a Gaza alle prese con la sopravvivenza. “Il dolore e l’angoscia sono troppo grandi – mi confessò una volta al telefono – per resistere a quel vuoto di comunicazione che c’è ogni volta quando tento di mettermi in contatto con loro. Preferisco quindi che siano loro a chiamarmi, anche se solo una volta ogni 15 giorni, sempre con la speranza che mi dicano che sono tutti vivi”.
Inizia il nuovo anno scolastico 2024/25, ma l’algoritmo quell’anno decise di non farmi ritornare in aula per l’ennesima supplenza. L’occasione per fare qualcosa di simbolico per Nancy, quanto meno per farle sentire la vicinanza di una parte di mondo “occidentale” me la offrì l’Università RomaTre, tra tutte forse quella più connessa al governo sionista per legami accademici e di ricerca: la laurea honoris causa alla costituzionalista Daphne Barak Erez, giudice della Corte suprema israeliana dal 2012 e artefice, sul piano giuridico, della trasformazione dell'”unica democrazia in Medio Oriente” in uno stato confessionale, dove si sanciva giuridicamente lo stato di apartheid, dividendo il popolo israeliano in “ebrei” e “non ebrei”. In quello stesso giorno, tra poliziotti della celere, le intimidazioni della DIGOS e l’incursione di disturbo, breve e violenta, di alcuni studenti che dalla cerimonia organizzata in sordina dal Dipartimento di Giurisprudenza praticamente a porte chiuse, uscirono in strada, consegnammo, insieme agli amici di “RomaTre Etica” una laurea simbolica in economia a Nancy. Lei non riuscì a collegarsi in diretta con noi, ma ci consentì di leggere un suo messaggio.
Con Sharif ci sentiamo regolarmente. Di ritorno dal Cairo dopo la fallimentare – soprattutto per noi italiani – Global March to Gaza mi risponde così “(…): “Le comunicazioni sono state riprese e tagliate tre volte in una settimana. Ho perso mio padre per mancanza di medicinali e cibo una settimana fa (…)”. Il mio messaggio a Nancy su WhatsApp, invece, al momento ha una sola spunta.