BBC, AFP, AP e Reuters: i giornalisti di Gaza “sempre più impossibilitati a sfamarsi” a causa della carestia provocata da IsraeleGaza – Quds News. Associated Press, AFP, BBC News e Reuters hanno rilasciato
giovedì una dichiarazione congiunta esprimendo profonda preoccupazione per i
loro giornalisti a Gaza, che sono “sempre più incapaci di sfamarsi e sfamare le
proprie famiglie”, mentre Israele continua a bloccare l’ingresso degli aiuti
nell’enclave da oltre quattro mesi.
“Siamo estremamente preoccupati per i nostri giornalisti a Gaza, che sono sempre
più incapaci di procurarsi il cibo per sé e per le loro famiglie” — hanno
dichiarato le quattro principali testate giornalistiche.
“Per molti mesi, questi giornalisti indipendenti sono stati gli occhi e le
orecchie del mondo sul campo a Gaza. Ora si trovano ad affrontare le stesse
condizioni disperate delle persone di cui stanno raccontando”.
“I giornalisti sopportano molte privazioni e difficoltà nelle zone di guerra.
Siamo profondamente allarmati dal fatto che ora anche la fame sia una di
queste”.
La dichiarazione chiede a Israele di permettere ai giornalisti di entrare e
uscire da Gaza e di autorizzare l’ingresso di adeguati rifornimenti alimentari
nel territorio.
“Rinnoviamo il nostro appello alle autorità israeliane affinché permettano ai
giornalisti di entrare e uscire da Gaza. È essenziale che la popolazione riceva
rifornimenti alimentari adeguati”.
Mercoledì, anche Al Jazeera Media Network ha sollecitato la comunità
giornalistica, le organizzazioni per la libertà di stampa e gli organi legali
competenti a “intraprendere azioni decisive” per fermare “la fame forzata e i
crimini” commessi da Israele contro i giornalisti e i professionisti dei media a
Gaza.
“Da oltre 21 mesi, i bombardamenti israeliani e la fame sistematica inflitta a
quasi due milioni di persone a Gaza hanno portato un’intera popolazione
sull’orlo della morte” — ha dichiarato l’emittente.
“I giornalisti sul campo, che hanno coraggiosamente denunciato questo genocidio
in corso, hanno messo a rischio le proprie vite e quelle delle loro famiglie per
dare visibilità a queste atrocità. Ma ora lottano per la propria sopravvivenza”.
Il 19 luglio, i giornalisti di Al Jazeera hanno iniziato a pubblicare messaggi
strazianti sui social media, segnalando che la loro capacità di continuare a
lavorare sta venendo meno.
“Non ho smesso di raccontare ciò che accade nemmeno per un momento, in 21 mesi,
e oggi lo dico chiaramente… e con un dolore indescrivibile. Sto annegando nella
fame, tremo per la stanchezza e resisto agli svenimenti che mi colgono a ogni
istante… Gaza sta morendo. E noi moriamo con lei” — ha scritto Anas al-Sharif di
Al Jazeera.
Mostefa Souag, direttore generale di Al Jazeera Media Network, commentando la
situazione dei giornalisti a Gaza, ha dichiarato: “Dobbiamo amplificare le voci
dei coraggiosi giornalisti di Gaza e porre fine alle insopportabili sofferenze
che stanno subendo a causa della fame forzata e delle uccisioni mirate da parte
delle forze di occupazione israeliane”.
“La comunità giornalistica e il mondo hanno una grande responsabilità: è nostro
dovere far sentire la loro voce e mobilitare tutti i mezzi disponibili per
sostenere i nostri colleghi in questa nobile professione. Se non agiamo ora,
rischiamo un futuro in cui non ci sarà più nessuno a raccontare le nostre
storie. La nostra inazione sarà ricordata come un fallimento monumentale nella
difesa dei nostri colleghi giornalisti e come un tradimento dei principi che
ogni giornalista dovrebbe difendere”.
232 giornalisti palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani sulla
Striscia di Gaza dall’inizio del genocidio in corso, nell’ottobre 2023.
Domenica, anche l’AFP ha lanciato un grave allarme: i suoi giornalisti a Gaza
rischiano di morire di fame, una tragedia mai vissuta nei suoi 80 anni di
storia.
“Per la prima volta temiamo di perdere colleghi a causa della fame” — ha
affermato in un comunicato la Società dei Giornalisti (SDJ) dell’agenzia.
“Abbiamo assistito a ferite di guerra, incarcerazioni e morti sul campo, ma mai
a questo”.
Gli avvertimenti arrivano mentre continua ad aumentare il numero delle vittime
dell’assedio e della carestia imposti da Israele.
Secondo quanto riferito mercoledì dal ministero della Sanità palestinese,
dall’inizio del genocidio nell’ottobre 2023, sono morte per fame e malnutrizione
111 persone, tra cui 81 bambini.
Oltre 100 organizzazioni umanitarie — tra cui Amnesty International, Medici
Senza Frontiere (MSF) e Oxfam — hanno avvertito mercoledì che la “fame di massa”
si sta diffondendo a Gaza, con i loro colleghi nell’enclave che si consumano per
la fame mentre Israele continua a bloccare l’ingresso degli aiuti da oltre
quattro mesi.
“I medici segnalano tassi record di malnutrizione acuta, in particolare tra i
bambini e gli anziani” — si legge in una nota.
“Si diffondono malattie come la diarrea acquosa acuta, i mercati sono vuoti, i
rifiuti si accumulano, e gli adulti crollano per le strade per la fame e la
disidratazione”.
“A Gaza arrivano in media solo 28 camion al giorno — ben lontani dal soddisfare
i bisogni di oltre due milioni di persone, molte delle quali non ricevono aiuti
da settimane” — hanno aggiunto. “Il sistema umanitario guidato dall’ONU non ha
fallito: gli è stato impedito di funzionare”.
Le ONG hanno dichiarato che i governi devono smettere di aspettare
un’autorizzazione per agire.
“È il momento di agire con decisione: chiedere un cessate il fuoco immediato e
permanente; revocare tutte le restrizioni burocratiche e amministrative; aprire
tutti i valichi di frontiera; garantire accesso completo a tutta Gaza; rifiutare
modelli di distribuzione controllati dai militari; ripristinare una risposta
umanitaria guidata dall’ONU, fondata su principi, e continuare a finanziare
organizzazioni umanitarie imparziali e indipendenti”.
“Accordi parziali e gesti simbolici, come lanci aerei o accordi di aiuto
difettosi, sono solo una cortina fumogena per l’inazione” — conclude la
dichiarazione. “Non possono sostituire gli obblighi legali e morali degli Stati
di proteggere i civili palestinesi e garantire un accesso efficace e su larga
scala. Gli Stati possono e devono salvare vite umane prima che non ne resti più
nessuna da salvare”.