Tag - Europa

Riflessioni, interrogativi, dubbi dopo il Festival Alta Felicità
La “convergenze” degli incontri e delle riflessioni dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Tra gli spunti di riflessione presentati al Festival Alta Felicità, mi pare importante dare risalto al primo appuntamento che ha aperto il Festival venerdi 25 luglio alle ore 10.00 con la presentazione del libro “Sotto il cielo di Gaza” di Don Nandino Capovilla e di Betta Tusset e con Enzo Infantino. Don Nandino è parroco di Marghera, Venezia, da anni impegnato in progetti di inclusione sociale per migranti e senza fissa dimora. Ha ricoperto il ruolo di coordinatore nazionale di Pax Christi Italia dal 2009 al 2013, ed è particolarmente noto per la campagna “ponti e non muri” sulla questione israelo‑palestinese. Betta Tusset, veneziana, consigliera nazionale di Pax Christi Italia, laureata in lettere moderne, è attiva nel mondo del volontariato sociale; dal 2018 al 2020 ha coordinato nella sua città un progetto di inclusione sociale, abitativa e lavorativa per persone migranti in situazioni di vulnerabilità. Enzo Infantino, cooperante calabrese e attivista per i diritti umani, è impegnato da oltre vent’anni nelle missioni di solidarietà e riflessione sui conflitti contemporanei. Originario di Palmi, in Calabria, ha lavorato in contesti difficili come i campi profughi in Grecia, Siria, Libano, Cisgiordania e Gaza. Enzo è stato protagonista di numerose missioni nei campi profughi di Grecia e Medio Oriente, compresi i campi di Idomeni, in Grecia al confine con la Macedonia, dove per mesi sono rimasti bloccati oltre sedicimila esseri umani. Il libro “Sotto il cielo di Gaza”, pubblicato l’11 marzo 2025 da Edizioni La Meridiana, è un libro-inchiesta realizzato attraverso una serie di conversazioni con Andrea De Domenico, funzionario dell’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, attivo nei territori palestinesi occupati e si presenta come “raccoglitore di storie, testimonianze e dati”, descrivendo il dramma vissuto quotidianamente a Gaza per il genocidio in corso: perdita della casa, della terra, della libertà di movimento, di pane, acqua, salute, istruzione con statistiche aggiornate all’inizio del 2025,  che riportano numeri drammatici: decine di migliaia di morti, la maggioranza donne e bambini, infrastrutture distrutte, tra cui scuole, case, strutture sanitarie; emergenza alimentare e malnutrizione diffusa tra la popolazione di Gaza. Il libro denuncia quella che Don Nandino definisce il genocidio del popolo palestinese come criminale e mette al centro la responsabilità internazionale di ridurre il massacro di civili inermi a soli dati numerici, dimenticandosi dei “volti e dei nomi” di ogni vittima, a cui è negata da decenni di occupazione militare ogni diritto. “Sotto il cielo di Gaza” è anche un libro di preghiera e di supplica, quelle che a partire dai testi biblici ha scritto Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme, chiedendo al Signore di “fermare la morte e la guerra e di convertire all’umanità quelli che hanno piani di morte nei loro cuori”. L’incontro con Don Nandino, Betta ed Enzo ha rappresentato delle voci autentiche, radicate nei propri contesti di vita ma rivolte al mondo, dove ogni gesto quotidiano può essere seme di cambiamento e resistenza. Gli interrogativi nascono dagli altri dibattiti ed eventi culturali: il Festival ha presentato un’ampia proposta di incontri, presentazioni e confronti, dal tema dell’Intelligenza Artificiale alla precarietà e al lavoro in “zone di sacrificio” (Ilva Taranto e  GKN di Campi Bisenzio); dal dibattito “Liberi tuttu: rappresentazione, cura e diritti” su disabilità, autodeterminazione e resistenza, al focus su nucleare, agrivoltaico, riarmo, riconversione ambientale; dall’assemblea “Guerra alla guerra” contro riarmo europeo e genocidio in Palestina al dialogo tra Patrick Zaki e Ilaria Salis su democrazia, repressione e diritti. A tutte queste occasioni – alle quali si sono affiancate altre presentazioni di libri nell’area autogestita –  la partecipazione è stata massiccia con tantissimi giovani interessati ad approfondire i vari temi toccati, dimostrandosi giustamente preoccupati per il futuro loro e del pianeta. La “convergenze” degli incontri che, per chi vuole, sono tutti disponibili sul sito del festival , dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Così arriviamo ai dubbi: davvero l’incendio di alcune sterpaglie e di alcuni manufatti sono solo segno di violenza? Non possono essere considerati sabotaggi? Qualcuno ha scritto che in questo modo si passa dalla parte del torto, che così non si è ascoltati, che non si riesce a dialogare… Sono 30 anni che si cerca il dialogo nel merito dell’opera, non degli slogan, sono 30 anni che si prova in tutti i modi ad avere degli incontri con i tecnici di LTF prima e Telt adesso, non vi è MAI stata data un’occasione che sia una di confrontarsi. Ricordo solo due occasioni: “Ascoltateci” digiuno a staffetta nel 2012 in Piazza Castello a Torino e in Valle, che non ha prodotto alcun risultato; un incontro pubblico in una parrocchia a Torino presente Virano, all’epoca presidente dell’Osservatorio sul TAV, e quando abbiamo fatto alcune domande precise e puntuali, siamo stati gentilmente accompagnati fuori con la motivazione che quello non era né il luogo né il momento: eravamo solo in 2 mio marito ed io. E potrei andare avanti ancora a lungo con tanti e tanti esempi di come la voluta mancanza di confronto sia sempre stata da parte dei proponenti l’opera. Le nostre argomentazioni non sono mai state considerate, saliamo agli onori della cronaca solo quando avvengono fatti “violenti” come quelli di sabato a margine della manifestazione ma nessuno ha dato risalto al comunicato di Amnesty International: > ”La manifestazione del 26 luglio in Val di Susa, organizzata a margine del > festival dell’Alta Felicità dal movimento “No Tav”, è stata caratterizzata da > fasi del tutto pacifiche e da momenti di tensione. Gli osservatori di Amnesty > International Italia erano presenti alla manifestazione e hanno potuto > monitorare due delle azioni realizzate dal gruppo di manifestanti, presso il > cantiere di San Didero e Traduerivi. Nella zona da loro monitorata a San > Didero, gli osservatori hanno documentato un uso sproporzionato e > indiscriminato di gas lacrimogeni da parte delle forze di polizia: tra i 180 e > i 200 in poco più di un’ora contro circa 500 manifestanti, in risposta al > lancio di oggetti. Le forze di polizia hanno utilizzato i gas lacrimogeni > anche contro persone che si stavano allontanando e che non rappresentavano > alcuna minaccia per l’incolumità altrui. In diversi casi, anziché essere > diretti verso l’alto, le granate contenenti gas lacrimogeni sono state > lanciate ad altezza persona: ne è stato testimone diretto anche uno degli > osservatori di Amnesty International Italia, che nonostante indossasse la > pettorina, è stato colpito sulla schiena. Sono state ferite altre due persone, > rispettivamente alla nuca e alla fronte.  Come già emerso in precedenti > osservazioni in Val di Susa, anche quest’anno le forze di polizia hanno dunque > fatto un uso dei gas lacrimogeni non rispettoso degli standard internazionali > sui diritti umani. Amnesty International Italia ricorda che, secondo i > medesimi standard, una protesta pacifica, seppur attraversata da circoscritti > atti di violenza, resta pacifica e le forze di polizia devono garantire che > possa proseguire, tutelando le persone che vi stanno partecipando; la forza > dovrebbe essere utilizzata come ultima risorsa, solamente laddove non esistano > altri mezzi per raggiungere obiettivi legittimi e solo quando sia necessaria e > proporzionata alla situazione.” Da oltre trent’anni le ragioni di critica e di opposizione sono sempre le stesse: la Torino-Lione è inutile, è costosissima, è devastante per l’ambiente, è un’opera vecchia, superata dai tempi e dalla storia, la cantierizzazione produrrà polveri sottili e movimenterà sostanze potenzialmente inquinanti e insalubri. Soprattutto è certificata la sottrazione di enormi quantità di acqua dalla montagna ed all’ambiente naturale, spreco dimostrato fin dal 2008 dalle decine di litri al secondo drenate ogni giorno dalle gallerie di servizio già realizzate. Cosa altro dobbiamo inventarci per far comprendere queste ingiustizie trasportistiche, economiche, climatiche, ambientali e sociali e far sì che l’enorme inutile investimento economico sia dirottato verso settori più necessari, a partire dalla messa in sicurezza dei territori? Centro Sereno Regis
Guerra alla guerra: dal Festival dell’Alta Felicità in Val Susa il più deciso NO al riarmo e al Genocidio in Palestina
Tra i momenti più importanti all’interno del programma del Festival dell’Alta Felicità che si è concluso pochi giorni fa a Venaus, merita senz’altro una menzione speciale l’assemblea in tema di Guerra alla Guerra, Stop Riarmo, Stop Genocidio, bella e partecipata sotto il tendone-dibattiti di domenica 27 luglio. Guerra alla Guerra  sarebbe in realtà il titolo di un libro che un certo Ernest Friedrich – cittadino prussiano, anarco-pacifista, reduce da un buon numero di anni di prigione per essersi rifiutato di partecipare alla 1ma Guerra Mondiale – decise di pubblicare un centinaio di anni fa per documentare quegli orrori che lui era riuscito a schivare, ma non la maggior parte dei suoi coetanei: i corpi trucidati in trincea senza possibilità di soccorso, le amputazioni, la sofferenza inflitta alle popolazioni, impressionante raccolta di 180 immagini rintracciate in vari archivi militari, che rilegò e pubblicò a sue spese con il titolo appunto Krieg del Kriegel (Guerra alla Guerra),  Riferimento e titolo quanto mai perfetto, dunque, per questa assemblea che era stata per tempo convocata tra il maggior numero di realtà territoriali, in forma di appello “per tutt* coloro che sentono la necessità di sviluppare un percorso il più possibile largo e partecipato contro la guerra, contro il riarmo dell’Europa e per dire NO al genocidio in Palestina; tutt* coloro che già si mobilitano e vogliono condividere i loro percorsi, mettersi in dialogo e convergere, per curvare un destino che sembra ormai ineluttabile (…) confidando nella capacità di far confluire e moltiplicare le occasioni che si potranno aprire nell’accelerazione degli eventi.” Assemblea che si è aperta con il messaggio di solidarietà all’equipaggio della nave Handale della Freedom Flotilla, che solo la notte prima era stata arrestata dall’esercito israeliano, e con gli applausi per la liberazione dell’attivista libanese George Ibrahim Abdullah, dopo una detenzione di 40 anni nelle carceri francesi. Il microfono è passato poi a Nicoletta Dosio che rievocando alcuni momenti cruciali nella storia del Movimento Notav, ha sottolineato il valore della solidarietà e della resistenza “soprattutto nei momenti di sconforto: voglio qui esprimere la gioia di vedere tanti volti giovani, in questo luogo, la piana di Venaus, che è stato il teatro di quell’epica vittoria per il nostro Movimento all’interno di una lotta che all’inizio sembrava impossibile. Un percorso che, a partire dalla fine degli anni ’80, è stato lungo ma è stato soprattutto di crescita collettiva, mentre la guerra ci arrivava in casa, letteralmente. Con i militari reduci dalle guerre in Afghanistan, con i loro strumenti di morte, con i primi Lince che abbiamo visto in Clarea, le zone rosse a interdire il passaggio in territori che erano nostri. E questa è la grande lezione del Movimento No Tav: il territorio è una prima cellula di una realtà che si allarga, che abbraccia tanti problemi. Lo abbiamo detto tante volte. La nostra non è solo una lotta contro un treno, ma l’opposizione a tutto un sistema, che è lo stesso che vuole le guerre. E quindi l’unica possibile risposta a questa aggressione è la ricomposizione delle lotte: mettere insieme i temi del lavoro con le proteste per la casa, nelle università, nelle piazze, contro le solitudini. La lotta contro il Tav è andata avanti per tutti questi anni anche perché è stata una risposta alla sensazione di impotenza, se non di sconfitta, a quella ‘pigrizia del cuore’ che ci fa prende, a volte. (…) E noi dobbiamo imparare a resistere attingendo anche agli esempi del passato, non solo alla lotta partigiana, ma alla storia di continui scioperi dei ferrovieri, delle Officine Moncenisio che ebbe luogo non lontano da qui, nel comune di Condove, come rifiuto di tutti i lavoratori compati nei confronti di una produzione mortifera. La nostra è una Guerra alla Guerra perché come ben sappiamo quel treno è stato progettato come vettore di morte, lungo uno dei tanti corridoi militari che sono stati previsti da chi ci governa, precorrendo i tempi…” Dopo di lei è stata la volta di Marta Collot (Potere al Popolo) che ha ribadito la necessità di andare oiltre il No Rearm Europe: “dobbiamo dire con chiarezza che siamo contrari a qualsiasi progetto di riarmo europeo che ci venga proposto all’insegna della sicurezza, e la lotta alla NATO dovrà essere un elemento centrale della nostra opposizione alla guerra, non solo per la richiesta di aumento delle spese militari, che comporteranno un massacro sociale, ma perché le basi militari nei nostri territori rappresentano già un problema enorme per la sicurezza di tutti noi!”. Dal Movimento No Base di Pisa, da anni in lotta contro l’ennesima base militare, è arrivata una chiara consapevolezza circa l’irreversibilità del progetto “non perché debba considerarsi battaglia persa, ma perché qualunque sia l’opposizione la macchina sta andando avanti, ingenti investimenti sono stati fatti nella crescente cooptazione delle istituzioni comprese scuole e università, in un clima di segretezza che conferma quello che non è uno slogan ma una realtà: le guerre non scoppiano, piuttosto si preparano“. E tuttavia, anche in questo clima di crescente militarizzazione, ecco palesarsi delle opportunità: di reagire, organizzarci, darci degli obiettivi, mobilitarci insieme, nella sempre più capillare conoscenza delle problematiche che caratterizzano i nostri territori e dell’urgenza di costruire alleanze in grado di incidere. Per esempio recentemente abbiamo scoperto un accordo quadro da un miliardo di euro per la realizzazione di 29 infrastrutture militari !!! tra cui la nostra, oltre che in Piemonte, Puglia, Emilia Romagna, nei pressi di Bolzano… su questa traccia intendiamo lavorare, a più mani e a più voci.” Tantissimi gli interventi da parte delle realtà presenti, che per esigenze di spazio ci limiteremo ad elencare. Da Roma è intervenuto Quarticciolo Ribelle che ha ribadito l’importanza di dare voce alla società civile, intesa come realtà di collettivi e movimenti. Tra le realtà che in Italia si sono maggiormente impegnati per la Palestina, sono intervenuti i Giovani Palestinesi, Intifada studentesca, Udap. Per il movimento dei lavoratori portuali che concretamente si oppongono al transito di armi sono intervenuti i GAP di Livorno e i CALP di Genova. E poi le realtà transfemministe di Non Una di Meno, oltre a Extinction Rebellion, il Movimento Disoccupati 7 novembre  da Bagnoli e da Vincenza il movimento Notav e vari centri sociali dal Nord Est d’Italia. Della campagna Stop ReARM ha parlato la portavoce di Arci Nazionale che ha ribadito la necessità di una mobilitazione europea: Stop Rearm Europe! E poi ancora la Rete No DL Sicurezza che ha ricordato l’appuntamento del 21 settembre; Reset; gli operi della Tubiflex e di USB; i Movimenti di lotta per la casa di Roma, Militant… Una lunga, densa, ottimamente condotta e davvero importante assemblea che, ha posto le basi per un percorso collettivo che punti alla ricomposizione delle differenze e alla costruzione di un’unità il più possibile ampia e incisiva, con obiettivi condivisi, e in una prospettiva di lungo periodo. E “senz’altro tutti in convergenza” come ha concluso Dario Salvetti della GKN di Firenze, riprendendo il loro storico slogan. Prossimo appuntamento di mobilitazione nazionale: 8 novembre a Roma- E sarà un’ennesima data tra le tante già annunciate di questo molto prossimo autunno che, tra l’Altra Cernobbio (5-6 settembre), la Università Estiva di Attac (12-14 settembre) e vari altri appuntamenti andando verso la Marcia Perugia-Assisi (12 ottobre) si preannuncia bello caldo davvero. Centro Sereno Regis
La Ocean Viking salva 37 naufraghi. La Guardia Costiera libica le intima di lasciare l’area
“Questa mattina la Ocean Viking ha ricevuto un allarme dall’aereo Seabird per una imbarcazione in difficoltà con 37 persone a bordo in acque internazionali nell’area di ricerca e soccorso libica. Dopo aver ricevuto l’ok a procedere dalle autorità di competenza, abbiamo salvato i naufraghi. Una nave della Guardia Costiera libica ci ha intimato di lasciare l’area. I sopravvissuti sono ora a bordo della nostra nave. La maggior parte di loro viene dal Sudan, dove c’è una gravissima crisi umanitaria in corso.” Lo riferisce SOS Mediterranee Italia su X.     Redazione Italia
La strage. Bologna 2 agosto 1980 – 2 agosto 2025
Questo discorso pronunciato sabato 2 agosto 2025 è il ricordo commosso che le amiche e gli amici della nonviolenza, riuniti contro l’atomica, tutte le guerre e tutti i terrorismi per la 179° settimana a Torino, in piazza Carignano, rivolgono alle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980: la strage forse più orribile. Una strage indiscriminata che a distanza di 45 anni ci appare tanto più terrificante quanto più appare ingiustificata, gratuita, e come tale imprevedibile e irreparabile. Quella mattina, ore 10 e 25, stazione di Bologna, un’esplosione assordante, una strage: 89 morti, 200 feriti. La leggerezza dell’estate inghiottita in un boato, perduta per sempre. Da allora ho imparato ad associare il mese di agosto non più alla spensieratezza, semmai si potesse stare senza pensieri, bensì alla luce che racchiude la speranza. Come scrive il maestro Edgar Morin, oggi, nel secolo nuovo, “l’atteggiamento di chi spera si fonda sulle possibilità inespresse del genere umano, è una scommessa sull’improbabile. Non è più la speranza escatologica dello scontro finale, ma è la speranza coraggiosa della lotta che inizia” (E. Morin, Semi di saggezza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2025, p. 88). Vi ricordate dove eravate la mattina del 2 agosto 1980? Io lo ricordo perfettamente. Il 2 agosto 1980, 24 anni, ero a Oliveri, in provincia di Messina, la prima e unica vacanza in campeggio libero, la tenda vicina al mare, accanto alla nostra, quella di due altri giovani che non ho più rivisto, forse anche loro venivano da Torino. Nel primo pomeriggio li ho visti arrivare dal vicino paese, il capo chino, scossi, turbati, angosciati, il pianto trattenuto. Da loro ho avuto la notizia che a Bologna era scoppiata una bomba. Seduti accanto alle due tende a lungo, guardando l’orizzonte del mare per non guardarci negli occhi, abbiamo parlato di come eravamo prima di Bologna 2 agosto 1980. Quella mattina un treno entrò nella stazione di Bologna, i passeggeri al finestrino aperto, era estate, si respirava aria di vacanza, tante e tanti giovani coi loro zaini e sacchi a pelo, a un certo punto lo schermo di fece buio, l’Italia si spezzò, in pochi attimi non eravamo più come prima. A distanza di 45 anni possiamo dire che i mandanti e gli esecutori della strage un solo errore l’hanno fatto, aver scelto come obiettivo Bologna, che non si è piegata, non si è arresa, non vuole dimenticare. Stringe il cuore che alcuni studenti interpellati possano confondere la strage di Bologna (2 agosto 1980) con la strage di Marzabotto (29 settembre 1944). Tornando a quel tragico 2 agosto, la mattina del giorno dopo la strage, domenica 3 agosto 1980, leggemmo su “il manifesto” una prima pagina interamente dedicata alla strage: “Mai tanti morti. Bomba nera fa saltare in aria mezza stazione a Bologna. Questa sembra la verità, paurosa, dopo una giornata di ansiosi interrogativi. La città scende in sciopero generale”. In un lungo articolo si raccontava l’accaduto sulla base delle prime notizie si legge: “Più passa il tempo e più l’ipotesi della strage acquista credito. E tutti sono attoniti. Perché? Contro chi? Può giustificare una strage di queste dimensioni il fatto che stia per scoccare l’anniversario dell’Italicus?”. Nell’articolo di fondo intitolato Se è un attentato, il grande giornalista Luigi Pintor sembrava non volerci credere, sembrava quasi volersi illudere che “il macello alla stazione di Bologna” fosse stato causato dall’esplosione di una conduttura e non di una bomba. Per poi domandarsi: “Ma se è un attentato?”. La risposta non ha perso nulla della sua inquietante drammatica crudeltà: “Come si può progettare e attuare a freddo una simile carneficina? Come, chi, perché? […] In questa nuova e più grande strage, c’è qualcosa di apparentemente così insensato e immotivato che non è facile considerarla come l’ennesimo filo di una vecchia trama, inscriverlo in quel disegno di «destabilizzazione» che abbiamo già conosciuto”. A distanza di 45 anni giova rileggere la parte iniziale di La strage. L’atto di accusa dei giudici di Bologna (a cura di Giuseppe De Lutiis, prefazione di Norberto Bobbio, Editori Riuniti, Roma 1986): “l’accertamento della verità, opera di per sé sempre difficoltosa, è stato in questo processo ostacolato in ogni modo, poiché le menzogne, gli inquinamenti e le congiure di ogni genere hanno raggiunto un livello talmente elevato da costituire una costante”. Una costante che accomuna le stragi che hanno segnato la storia di questo Paese. Pietro Polito
Mille splendidi fiori, storie di cura, coraggio e comunità tra Afghanistan e Alto Adige
Martedì 5 agosto 2025 alle ore 21:00 Pavillon di San Vigilio di Marebbe (Provincia autonoma di Bolzano, Alto Adige) Evento organizzato da Costa Family Foundation, Insieme si può, Rawa, Gea, Dolomites San Vigilio Una serata per ascoltare voci spesso invisibili: donne che resistono, custodiscono e si fidano. Dall’Afghanistan dell’Associazione RAWA, dove anche una tisana può diventare gesto politico, all’Alto Adige, dove la violenza di genere si nasconde dietro porte chiuse e silenzi troppo lunghi. Un dialogo aperto tra mondi apparentemente distanti – impresa e sociale, poesia e attivismo – uniti dalla stessa tensione verso la dignità e la trasformazione. Parole, musica, volti e storie si intrecciano in un racconto collettivo. A chiudere, un gesto semplice: una tisana condivisa. Perché far fiorire, in fondo, è un atto rivoluzionario.     Redazione Italia
Con la Palestina contro ogni repressione
Quasi 200 persone al presidio indetto dalla Rete antifascista lecchese il 1° agosto a Como nei pressi dello stadio. L’iniziativa è stata animata per esprimere solidarietà alle cinque persone colpite da un provvedimento di Daspo per avere sventolato una bandiera della Palestina durante la partita Celtic-Ajax a Como il 24 luglio. Negli striscioni e negli interventi, partendo dagli episodi di criminalizzazione delle manifestazioni politiche a Como, a Bergamo e altrove, si è affermato il sostegno alla Resistenza palestinese la condanna dell’orrore del genocidio in atto, il rifiuto della repressione sempre più forte che attraverso decreti sicurezza e retoriche securitarie, restringe lo spazio pubblico, comprime le libertà individuali e collettive e mette a tacere ogni voce fuori dal coro. Free Palestine e Free Gaza certo, ma anche Stop Rearm Europe e la rivendicazione della legittimità di essere antisionisti senza per questo essere accusati di antisemitismo. Nei video gli interventi, aperti da Corrado Conti della Rete antifascista lecchese, della rete Stop al genocidio, dei Giovani palestinesi e in chiusura dell’avvocato Ugo Giannangeli, che ha chiarito l’incongruenza dei provvedimenti repressivi attuati chiarendo tra l’altro che nella legislazione italiana non esiste alcun divieto di sventolare bandiere di altri Paesi. Ecoinformazioni
Manifesto degli insegnanti per Gaza
Riceviamo da Tiziana Guidi, una delle promotrici e volentieri pubblichiamo questo importante documento. In fondo alla lettera al Ministro Valditara si trovano i riferimenti per contatti a informazioni. La scuola è il luogo dove si sviluppano abilità, conoscenze e competenze, e dove si apprendono i veri valori della vita. Oggi il nostro ruolo di educatori non ha senso e non è credibile se non prendiamo una posizione netta contro la risoluzione violenta dei conflitti e il genocidio in corso a Gaza ed in Cisgiordania Non si può rimanere indifferenti di fronte al dramma che sta vivendo la popolazione palestinese e in particolare per le sofferenze indicibili dei bambini e dei ragazzi. La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata nel 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, stabilisce quali sono i diritti inviolabili di bambine, bambini e adolescenti e i doveri degli adulti nei loro confronti: nulla di tutto ciò oggi è possibile in Palestina e Cisgiordania. Ad oggi ai bambini palestinesi  viene negato: il diritto all’istruzione e allo sviluppo il diritto alla protezione dalla violenza e dagli abusi il diritto a un ambiente sicuro e sano, ma soprattutto il diritto all’esistenza! Lanciamo un appello al mondo della scuola invitandolo a sottoscrivere questo documento che così riassume la nostra posizione: Condanniamo la violenza e le violazioni dei diritti umani Ribadiamo l’inalienabilità del diritto all’istruzione e allo sviluppo per tutti i bambini e le bambine palestinesi. Denunciamo la grave crisi umanitaria che avrà conseguenze devastanti a breve ed a lungo termine sulla salute fisica e mentale della popolazione In nome di ciò chiediamo: L’immediato cessate il fuoco e la protezione dei civili. Il riconoscimento dello Stato di Palestina e l’applicazione immediata della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza Il ripristino dei confini antecedenti al 1967, come da risoluzione n. 242 dell’ONU L’immediata cessazione di invio di armi allo Stato d’Israele ed il divieto di qualsiasi collaborazione militare con esso da parte del governo italiano Insieme per una pace giusta e duratura. Promotori e primi firmatari: Tiziana Guidi, Francesca Russo e Alberico Mitrione. Adesioni: Associazioni: La Comunità per lo sviluppo umano- Av, Irpinia in movimento, Insieme per Avellino e l’Irpinia, Unicef- Avellino, L’Angolo delle storie, ASD Taekwondo – Avellino, Controvento, Arci Saviano, Aps Cuore al centro, Pax Christi-AV, Archeoclub d’Italia-Avellino, Zia Lidia Social Club, La mela di Odessa, L’albero vagabondo, Il Bucaneve – edizioni e saggio, Info@Irpinia, Radio Arci Masaniello, L’Albero della vita, Edizioni Disvelare. Gruppi musicali, teatrali e di danza: I Lumanera, Teatro 99 posti, La Bottega del Sottoscala, Puck Teatral, Il Teatro di Gluck, Teatro d’Europa, Barabba Blues, Cantiere Danza, Emian, Muovimenti, Vernice fresca, Teatro Arci Saviano.  Pagine e gruppi FB: Avellino Rinasce, Collettivo Hurriya, Occhi di un Mondo Altro, La Comunità per lo sviluppo umano- Italia, Poesis,  Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza. Sindacati: ANIEF Avellino, FLC-CGIL Il Vescovo di Avellino Monsignor Aiello Le promotrici del manifesto hanno inoltre inviato una lettera aperta al Ministro Valditara: Gentile Ministro Valditara, di fronte  all’immane tragedia che sta colpendo il popolo palestinese non si può non provare un indicibile dolore. Chi le scrive appartiene al mondo della scuola e per noi educatori, in questi mesi, pensare di aver davanti dei giovani, dei bambini e degli adolescenti che possono godere di cibo, istruzione, accoglienza, protezione, assistenza sanitaria, mentre ai loro coetanei palestinesi oggi è negato persino il semplice diritto all’esistenza, è stato fonte di disagio e malessere: ha attanagliato le nostre coscienze condannando spesso le nostre notti all’insonnia. Da questo è nato il “Manifesto degli insegnanti per Gaza”, dalla necessità di non voltarsi dall’altra parte e di ribadire che quei sacrosanti diritti dei bambini e degli adolescenti, affermati nel 1989 dalla Convenzione che li consacrò, non possono continuare ad essere calpestati.  Così come avviene per il diritto all’autodeterminazione dei popoli, sancito nei trattati di pace al termine della 1* Guerra Mondiale proprio da un presidente americano, Woodrow Wilson,  nei suoi 14 punti,   e che  è oggi disatteso e messo all’angolo quando si parla dello Stato Palestinese. Eppure il rispetto, tra gli Stati come nelle relazioni, non può nascere senza  il riconoscimento dell’altro.   L’iniziativa del “Manifesto degli insegnanti per Gaza” è nata spontaneamente da un gruppo di tre docenti, alla fine di maggio, praticamente ad attività didattica  conclusa, ma nonostante ciò si è estesa a macchia d’olio: dai docenti agli allievi, poi ai loro genitori, al mondo della cultura ed alla società nelle componenti più varie, confermando quella naturale trasversalità che il nostro mondo scolastico ha nelle comunità.                                  Ha finito per coinvolgere in poco più di un mese più di mille persone, 20 Associazioni, oltre 70 tra scrittori, musicisti, artisti, gruppi teatrali, musicali e di danza, diverse pagine FB, un’agenzia stampa, due sindacati ed il sostegno del nostro Vescovo, Monsignor Aiello. Apparteniamo a una piccola città campana in un area interna qual è l’Irpinia, che è certo terra di gente testarda, ma siamo persone comuni, senza alcun superpotere e se tutto questo è stato possibile è perché il nostro disagio trovava rispondenza nel cuore di molti,  si leggeva negli occhi dei tanti che cercavano un modo per poter dire “non nel mio nome”. Perché “la libertà è l’obbedienza alla verità interiore”. C’è una strada obbligata perché le violenze in Medio Oriente si plachino da ogni parte, e questa passa dal riconoscimento dello Stato della Palestina, poiché soltanto dando pari dignità ai due popoli che abitano quei territori essi potranno intraprendere un dialogo autentico e costruttivo.  Abbiamo ascoltato la premier Meloni dire che sarebbe “prematuro” tale riconoscimento e ci viene spontaneo chiederci: quale tempo viene considerato congruo perché la Palestina veda riconosciuto il suo diritto all’autodeterminazione? 77 anni sono un tempo considerato troppo breve? Noi crediamo di no. Così come crediamo necessaria la non collaborazione con lo Stato d’Israele fino a quando non cessi la sua politica di genocidio. Pertanto, gentile Ministro Valditara, le chiediamo di esercitare il suo peso all’interno del governo italiano affinché  l’Italia, seguendo l’esempio del Vaticano e delle altre potenze europee che lo hanno già fatto, riconosca lo Stato di Palestina ed interrompa ogni rapporto di partenariato con Israele fino a quando non muti la sua politica. Professoresse Tiziana Guidi e Francesca Russo. Informazioni di contatto: kefinovanta@yahoo.it francesca.ing.russo@gmail.com    Redazione Italia
“Siate sovversivi: abbiate speranza”. Il messaggio di Nicolò Govoni ai 40mila di Piazza San Pietro
Ospite di due eventi a Roma per il Giubileo dei Giovani, il CEO di Still I Rise ha lanciato ai giovani un appello al cambiamento. “Sapete qual è la cosa più sovversiva, la più folle, la più strana che si possa fare al giorno d’oggi? Avere speranza”. Così Nicolò Govoni si è rivolto agli oltre 40mila ragazzi e ragazze accorsi da tutto il mondo in piazza San Pietro a Roma, per l’evento “Tu sei Pietro” all’interno della cornice del Giubileo dei Giovani. “La società che ci circonda è congegnata per generare insoddisfazione, così da farci bramare ciò che pensiamo ci manchi. Ci convincono del fatto che nulla possa mai cambiare davvero, e quindi perché provarci?”, ha sottolineato dal sagrato di piazza San Pietro, prima di raccontare la propria esperienza personale che da potenziale fallito lo ha portato invece a fondare l’organizzazione non profit Still I Rise. “In India, circondato da venti orfani, ormai dodici anni fa, ho scoperto la mia chiamata. Esserci. Essere in prima linea. Essere quello che ci prova, anche quando chiunque altro mollerebbe. Essere fiducioso che il mondo si possa cambiare davvero”, ha aggiunto, per poi arrivare al suo appello finale, accolto con grande entusiasmo dalla piazza. “Trovate qualcosa che vi riempia il cuore e dedicategli la vita. È così che capirete la cosa più importante: il supereroe che vi hanno insegnato ad aspettare, quello forte e bravo e capace abbastanza da risolvere i problemi del mondo, non arriverà mai. È già qui. Siate sovversivi: abbiate speranza.” Nicolò Govoni ha condiviso il palco con l’attore Giorgio Pasotti, don Antonio Loffredo, parroco del Rione Sanità, Laura Lucchin, madre di Sammy Basso, e con i cantanti Amara, Mr Rain, Pierdavide Carone e Mimì, accompagnati dall’Orchestra sinfonica del Conservatorio A. Casella de L’Aquila, diretta dal maestro Leonardo De Amicis. La giornata si è conclusa con un intenso momento di raccoglimento presieduto dal cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI. L’incontro in piazza San Pietro è stato il secondo a cui il CEO di Still I Rise ha partecipato durante la giornata: in mattinata è stato tra i relatori dell’evento “Verso l’altro: Coscienza, Senso, Scoperta” organizzato dal Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità presso la Basilica San Giovanni Battista dei Fiorentini. Still I Rise
I naufraghi a bordo del mercantile Port Fukuoka sbarcheranno a Pozzallo
La donna incinta che aveva rotto le acque a bordo della nave commerciale Port Fukouka è stata evacuata insieme al marito a Lampedusa. Gli altri sono in viaggio verso l’Italia, dopo due interminabili giorni di attesa. Destinazione: Pozzallo. Le autorità italiane avrebbero potuto raggiungere e soccorrere le persone in poche ore e lo stesso avrebbe potuto fare la nostra nave di soccorso Aurora, se non fosse stata fermata con un pretesto dalle autorità. Con il mercantile arriveranno a Pozzallo anche i corpi di due bambini morti. Un’altra persona è scomparsa tra le onde. Vittime dell’omissione di soccorso delle autorità europee.   Sea Watch
Il boomerang coloniale
Articolo di Miguel Mellino «È un magnifico accordo! È giusto andare incontro alle sue esigenze, auguri e tante buone cose, presidente!». Queste le parole di Ursula von der Leyen nella conferenza stampa congiunta dopo la sigla di un accordo commerciale ed energetico di felice e manifesto vassallaggio economico e politico da parte della Ue nei confronti degli Stati uniti di Trump. Un accordo firmato nel campo da golf personale di Trump in Scozia: una scena che basta soltanto guardarla, senza bisogno di suoni o parole, per capire il rapporto materiale e simbolico di sottomissione (anche di genere) che ne è alla base. Le parole di von der Leyen appartengono alla stessa «grammatica generativa», per ricordare il Chomsky linguista, di quelle pronunciate da Mark Rutte dopo l’accordo tra paesi europei e Nato per l’aumento al 5% del Pil della spesa militare: «È logico che l’Europa paghi le armi che Stati uniti invia in Ucraina. Sei straordinario, Donald, solo tu!». Ma di tutta l’imbarazzante «fraseologia della servitù» espressa da von der Leyen e Rutte, e in presenza fisica di Trump (non a distanza, vale la pena sottolinearlo!), vi è un «atto linguistico» del segretario generale della Nato che ci appare, al tempo stesso, il più rivoltante ma anche il più sintomatico: «Sometimes, Daddy has to use a Strong a Language». Si tratta di un «atto linguistico», un’azione espressa in parole secondo il linguista J. Austin, che esprime nel modo più efficace la natura del «sovranismo» europeo. In primo luogo delle ultradestre, certo, di «Patrioti», «sovrani» e «conservatori» di Europa, che si autopromuovono a partire da questo concetto; ma anche la Ue ne è attraversata sin dalla sua costituzione materiale tra Maastricht e Schengen, pur se in modi diversi e più ibridi, come ci ricorda ogni giorno la commissione von der Leyen, la più a destra della storia. Questa sottomissione volontaria di Rutte nell’invocare il «nome del padre» ci mostra in modo eloquente una certa «trasparenza del male». Lo ricordiamo, per Baudrillard, la trasparenza del male non significava che il male fosse più chiaro, ma, al contrario, che esso si fosse dissolto nella visibilità, nella banalizzazione tipiche delle società mediatizzate postmoderne contemporanee. Il male, dunque, non è più visibile come tale, poiché si è mimetizzato con il sistema, con la norma, con una nuova accezione del bene. LA TRASPARENZA DEL MALE Mettere sulla filigrana della scena di von der Leyen l’ignobile deferenza di Rutte a Trump ha l’effetto di una risonanza magnetica: ci mostra nella sua trasparenza scheletrica la vera ossatura dei «sovranismi» europei. Si tratta di sovranismi reattivi – fondati sulla naturalizzazione della condizione servile nei confronti del Signore, per dirla con e contro Nietzsche – poiché appare già depotenziato in partenza dalla forza reale delle potenze con vere ambizioni «sovrane» nell’attuale congiuntura globale, segnata dalla guerra e da un caos sistemico oramai strutturale: Stati uniti, certo, ma anche Cina, Russia e perfino Israele, braccio armato (tuttora) coloniale dell’ex impero occidentale in Medioriente. Nessuna autonomia politica, tanto meno economica: questo pseudo-sovranismo europeo – intendendo questo termine in senso meramente descrittivo, non come un giudizio di valore negativo rispetto agli altri sovranismi e quindi al di fuori di ogni «campismo» – scarica tutta la sua «violenza sovrana» soltanto su oppressi e dissidenti: «diversi», poveri, migranti, rifugiati, detenuti, lavoratori, senza-casa, precari, attivisti, militanti e studenti. Deregolazione, dunque, assalto autoritario alle repubbliche liberal-borghesi, potere assoluto al capitale, alla finanza, alle corporation, alle piattaforme, ai grandi monopoli e proprietari; subordinazione, iper-sfruttamento, securitarismo, violenza razziale, pugno duro col resto. È questo ciò che significano oggi «riarmo» e «filo-atlantismo» nel linguaggio tanto delle ultradestre europee quanto dell’attuale Ue: sembianti orwelliani che stanno per accumulazione capitalistica a briglia sciolta, punitivismo, sottomissione assoluta al complesso militare-finanziario-penitenziario statunitense, sostegno incondizionato al progetto genocida del sionismo, ma anche alla guerra dell’occidente bianco e cristiano contro l’irreversibile declino della propria egemonia globale. Da qui la paranoia della grande sostituzione etnico-razziale nel continente, l’insistenza quasi eugenetica sul cosiddetto «inverno demografico» bianco, ma soprattutto la nostalgia del colonialismo e del fascismo che attraversa questi pseudo-sovranismi europei: due esercizi del potere fondati, non a caso, sulla supremazia assoluta dell’Europa, per ricordare Fanon, ma anche sulla restaurazione morale e patriarcale dell’autorità, ovvero – stando invece a Lacan, Adorno, Pasolini e altri – sull’estrazione di un perverso «surplus di godimento» dalla sopraffazione fisica e psichica di corpi già disarmati o resi inermi dalla violenza sovrana. Sta qui, forse, uno degli usi della psicoanalisi, tutto da indagare, per l’analisi politica delle sempre più repressive politiche migratorie e securitarie. LA PARABOLA DI RUTTE COME GENEALOGIA DELLA COMMISSIONE VON DER LEYEN La stessa parabola di Rutte dunque aggiunge trasparenza alla trasparenza. Ex membro del management della Unilever, divenuto leader del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (Vvd) nei Paesi bassi nel 2006 e primo ministro tra il 2010 e il 2023, la carriera politica del segretario della Nato, voluto da Trump e Biden, rappresenta un caso paradigmatico nell’ascesa di questo pseudo-sovranismo trasversale europeo, pur se nella sua versione liberal-razziale Nord-Europea. Tra i sostenitori più severi di una Ue «frugale», significante che condensava un razzismo coloniale «anti-mediterraneo» di tipo calvinista verso i paesi del Sud dell’Europa, Rutte ha caratterizzato il suo pragmatismo di governo attraverso questa combinazione di austerità, riduzione del welfare, libero mercato, finanza, detassazione di profitti, redditi, imprese e deregolamentazione degli investimenti esteri (l’Olanda è oggi un paradiso fiscale) con securitarismo, islamofobia, intransigenza verso poveri, migranti e rifugiati: un dispositivo di potere costruito a livello discorsivo come parte di una crociata occidentale contro la barbarie non-europea. Il Vvd di Rutte è arrivato al centro della scena politica nel clima di islamofobia successivo a due tragici eventi: gli omicidi del leader Lgbt di estrema destra Pim Fortuyn (2002), uno dei primi «omo-femo-nazionalisti” del continente, critico della società multiculturale, dell’Islam, della casta tecnocratica della Ue e del politicamente corretto, e quello del regista Theo Van Gogh (2004), autore del polemico cortometraggio Submission, in cui denunciava l’oppressione delle donne musulmane ritraendo il Corano su un corpo nudo. È così che Rutte e il Vvd hanno cercato di consolidare un consenso di governo riversando la forza del sovranismo su migranti, rifugiati e olandesi non-bianchi. Ancora sintomatica la «politica della crudeltà», riprendendo il fortunato concetto di R. Segato, espressa dai loro provvedimenti anti-immigrazione: riduzione dei ricongiungimenti familiari, creazione di Cpr fuori dalla Ue, potenziamento dei Cpr in patria, ricorso a pressioni diplomatiche (come il taglio dei visti) per costringere i paesi terzi a rimpatriare gli espulsi, taglio delle prestazioni sociali per i non-olandesi, istituzione dell’obbligo di integrazione linguistica e culturale con corsi a pagamento a carico degli stessi migranti, esclusione dei sussidi di chi non supera i test, pressioni sulla Ue per rafforzare Frontex e per rendere più celeri le espulsioni. Va detto che nel 2022, dopo una lunga pressione dei movimenti antirazzisti locali e come effetto transnazionale della lotta antirazzista di Black Lives Matter negli Stati uniti, il governo Rutte ha riconosciuto e chiesto scuse, in nome dello stato olandese, per il passato coloniale del paese e per il suo ruolo nella schiavitù. Al gesto formale di riconoscimento, non è seguito alcun impegno dello Stato nel pagamento di riparazioni storiche o nella lotta materiale al razzismo strutturale contemporaneo. Enunciato in questo modo, dunque, come notato da diversi movimenti antirazzisti olandesi, il gesto sta più per una strategia di decolonial-washing che non per una qualche reale discontinuità con il passato coloniale. È stato lo stesso Rutte a confermare questa persistente colonialità, con un atto affermativo rimasto famoso e degno di «Daddy»: «Chi non si adegua ai valori olandesi, se ne dovrà andare». Inutile aggiungere che la parabola di Rutte appare come una genealogia storica quasi perfetta della commissione Von der Leyen. GLI PSEUDO-SOVRANISMI EUROPEI E IL BOOMERANG COLONIALE Cosa muove questi valori olandesi, ce lo racconta in modo suggestivo Gloria Wekker, antropologa afro-olandese, in White Innocence. Paradoxes of Colonialism and Race (2016). Wekker identifica un paradosso al centro dell’identità nazionale olandese: da una parte, la passione, l’intensità e persino l’aggressività che la razza, nelle sue intersezioni con genere, sessualità e classe, suscita nella popolazione bianca, dall’altra il predominio nelle proprie auto-narrazioni della sua negazione, estraneità e disconoscimento. Sta qui l’operatore simbolico al cuore di ciò che Wekker chiama «innocenza bianca». Questo «fantasma della razza», questo «boomerang coloniale» – per stare alla proposta dello storico del diritto coloniale e imperiale anglo-ghanese Kojo Koram in Uncommon Wealth. Britain and the Aftermath of Empire (2022) – non tiene in ostaggio soltanto il simbolico olandese: agita invece l’intero spettro degli pseudo-sovranismi europei. Qualunque riferimento all’Italia è qui puramente voluto. Il godimento della crudeltà, dell’autoritarismo, della violenza, del militarismo e del razzismo appare qui come un rovescio perfettamente simmetrico della dimensione del declino europeo nel mondo: non è che una sublimazione coloniale della propria impotenza. *Miguel Mellino insegna studi postcoloniali all’Università di Napoli L’Orientale. Tra i suoi libri, Post-Orientalismo. Said e gli studi postcoloniali (Meltemi, 2009), Governare la crisi dei rifugiati (Derive Approdi, 2019) e Marx nei margini. Dal marxismo nero al femminismo postcoloniale (Alegre, 2020). Ha curato l’edizione italiana di Black Marxism di Cedric Robinson (Alegre, 2023). L'articolo Il boomerang coloniale proviene da Jacobin Italia.