
Assemblea del People’s Forum: Isabella e il coraggio dei palestinesi
Pressenza - Tuesday, November 18, 2025Il suo nome è Isabella. Avrà una ventina d’anni ed è davvero bella. Boccoli neri e lucidi le incorniciano il viso e le cadono soavi sulle spalle; sono talmente deliziosi che appaiono morbidi persino alla vista. Gli occhi sono grandi, neri e allungati come quelli delle principesse delle fiabe orientali. Quando parla dal leggio lo fa con passione, scandendo bene ogni parola; vuole essere sicura di averla pronunciata correttamente. Ogni tanto si ferma e guarda il pubblico, ogni tanto sorride e diventa ancora più bella. Oggi però trattiene a stento il pianto.
Isabella non è una studentessa italiana che sta facendo un’esperienza a New York; è una ragazza palestinese della diaspora americana che oggi, come tanti altri, non gioisce perché il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato la risoluzione su Gaza. Quell’obbrobrio voluto dal presidente che si tinge i capelli di arancione, quello con cui spera di essersi assicurato il Nobel per la Pace del prossimo anno, quello che i suoi tirapiedi in televisione e sui giornali titolati chiamano pace, ma che tutti sappiamo non lo è.
Ogni lunedì Isabella legge un comunicato all’assemblea riunita presso il People’s Forum, ma oggi fa fatica. Le si rompe la voce e la vedo spalancare gli occhioni come a voler fare più spazio alle lacrime; non vuole che le righino il viso; non perché tema che le si rovini il trucco, che non c’è, ma perché non vuole piangere. È orgogliosa come il popolo a cui appartiene. Attorno a lei ci sono tanti amici: la incoraggiamo con un piccolo applauso, ma lei sa che da palestinese non può mai lasciarsi andare, deve essere sempre pronta a resistere. Non so se sia istinto o seconda natura indotta dalla sofferenza, ma la ammiro profondamente. Ed ecco che piuttosto di piangere, riesce a ridere. Non è il riso spensierato di una ragazza ventenne, ma è riuscita a cacciare via le lacrime. Ha vinto!
Ho voluto raccontare di Isabella perché so che domani (oggi per chi legge) su tutta la stampa italiana giornalisti e scribacchini scriveranno del piano di pace di Trump studiandone uno per uno i venti punti; butteranno giù analisi in fretta e furia e a seconda del colore della squadra a cui appartengono, lo applaudiranno o criticheranno.
L’importante sarà parlarne, non importa se in maniera approssimativa, e poco altro potranno fare, visto che dalle stanze del Palazzo di Vetro è trapelato poco. Vorrei far sapere a tutti loro che a New York una ragazza sta soffrendo perché al suo popolo è stato negato di nuovo il diritto di autodeterminarsi, ma non è disperata e non cede.
Ieri Isabella era davanti all’ONU, al freddo, con il suo cartello a esprimere tutta la propria riprovazione per manovre politiche che calano dall’alto sul suo popolo, la cui colpa originaria è di amare profondamente la propria terra e non volerla lasciare. Un popolo ingegnoso e indipendente che mai sopporterà un padrone, che riesce sempre a trovare nuove forze e nuove idee per reagire e che alla fine vincerà la sua battaglia.
Isabella ha meno della metà dei miei anni, eppure mi sovrasta per forza di carattere. Sono certa che è consapevole di quel che ho scritto di lei e del suo popolo e che non ha bisogno di me, eppure stasera avrei voluto rincuorarla. Dirle che tutto passa e che già oggi le cose stanno cambiando; che quelle cartacce non valgono un fico secco; che i gazawi ci passeranno sopra e tutti se le dimenticheranno. E se gli storici del futuro le riscopriranno sarà solo per annotarne l’arroganza coloniale e il sopruso.
Isabella non ha bisogno di sentirsi dire queste cose, forse ne ho più bisogno io. Lei è già oltre, è parte del mondo che verrà.