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La solitudine dei palestinesi – di Ahmed Frenkel
L’attacco da parte dell’esercito israeliano deciso unilateralmente dal governo Netanyahu contro Gaza City assomiglia sempre più a una sorta soluzione finale di tragica memoria. Avviene nella totale complicità e indifferenza non solo del mondo occidentale (con sporadiche eccezioni, vedi Spagna e Irlanda) ma anche del mondo arabo. In questi giorni a Bruxelles si è [...]
Cancellare Gaza, annettere la Cisgiordania, incendiare il Medio Oriente
Gaza Cancellare Gaza città e deportarne la popolazione. È l’ordine di Netanyahu all’esercito. In modo sistematico vengono bombardate le case con missili lanciati dai caccia, con bombe dell’artiglieria e attacchi con droni. Poi agiscono i robot esplosivi e i bulldozer. Ordini di evacuazione e bombardamenti non hanno ottenuto il loro risultato atteso dai criminali generali. “Non ce ne andremo. È la nostra città”, dice un bambino di 11 anni in un video. Una resistenza passiva e disarmata che affronta a mani nude la pioggia di fuoco israeliano. Più della metà delle vittime di ieri sono cadute a Gaza città. I resoconti giornalistici riferiscono di 72 uccisi in 24 ore. Il rapporto giornaliero del ministro della sanità riferisce di 38 uccisi nel sud della Striscia, fino a mezzogiorno di ieri. Non ci sono collegamenti telematici con gli ospedali del centro e del nord di Gaza. La statistica è parziale. Migliaia di palestinesi vagano nella notte da Gaza città verso sud, senza meta e senza ripari. Affamati, feriti e senza assistenza. Cisgiordania 1000 arresti in un giorno a Tulkarem. Le immagini che arrivano sui social sono terribili. La città è stata trasformata in un campo di concentramento all’aperto. Lunghe file di civili con le mani alzate attorniati da soldati super-armati. Vengono ammanettati e ammassati in una piazza, per essere interrogati. Rastrellamenti anche a Sha’afat. Ingenti truppe hanno invaso il campo profughi a nord di Gerusalemme est occupata. Hanno sparato pallottole di guerra contro i giovani che contrastavano la loro avanzata con il lancio di pietre. Due minorenni palestinesi sono stati feriti gravemente al collo e lasciati sull’asfalto per ore. Versano in gravi condizioni. Qatar Si sono svolti ieri a Doha i funerali di stato delle 6 vittime dell’attacco terroristico israeliano contro la sede delle trattative indirette Hamas-Netanyahu. Alla cerimonia ha partecipato Al-Hayya, il negoziatore politico palestinese che era oggetto dei missili di Tel Aviv. “Israele è un paese canaglia che intende incendiare il M.O. Con l’attacco su Doha ha evidenziato la mostruosità del sionismo espansionista”, ha scritto la testata on line Shorouk. Assemblea ONU Un voto sulla Palestina che ha segnato l’isolamento dei guerrafondai di Israele e Usa. La risoluzione di appoggio alla formula dei due stati ha ottenuto 142 voti a favore, 10 contrari e 22 astenuti. Tel Aviv e Washington si sono trovate in compagnia di Tonga, Micronesia e Palau… a dire no allo stato palestinese. Francia, Gran Bretagna e altri 10 paesi hanno annunciato il prossimo riconoscimento dello Stato di Palestina. Uno schiaffo diplomatico sonoro al militarismo ed espansionismo israeliano, che dovrà essere seguito da azioni concrete di boicottaggio delle armi agli aggressori genocidari. Global Sumud Flotilla Al via da giovedì la missione italiana con la Global Sumud Flotilla, la flotta civile in missione umanitaria verso Gaza per rompere il blocco di Israele e consegnare aiuti alla popolazione civile della Striscia sotto assedio. “Dall’Italia sono 18 le barche che partono per Gaza, sulle quali ci saranno 150/160 persone. Dalla Grecia partiranno sei imbarcazione con una settantina di persone. In questo momento ci sono anche delle barche più grandi. In tutto, dalla Tunisia, da Barcellona, dalla Grecia e da altri Paesi saremo circa 600 persone”, ha detto Maria Elena Delia, la portavoce della Flotilla italiana. Salpa da Siracusa anche la nave di Emergency, la Life Support. La nave di ricerca e soccorso dell’Ong fondata da Gino Strada sarà l’ultima a partire delle barche italiane dirette a Gaza, avrà il ruolo di osservatrice e offrirà supporto medico e logistico alle imbarcazioni che dovessero averne necessità. Emergency insieme alla flotta italiana si incontrerà poi con la delegazione internazionale. La Life Support offrirà assistenza sanitaria ai partecipanti, garantirà assistenza per riparare attrezzature tecniche danneggiate e contribuirà al rifornimento di acqua e viveri alle barche della flotta. “Emergency ha deciso di aderire a questa iniziativa promossa dalla società civile perché ha visto direttamente le condizioni della popolazione nella Striscia – dichiara Anabel Montes Mier, capomissione della Life Support di Emergency -. Lo staff, che lavora nella Striscia in due centri sanitari nel governatorato di Khan Younis riporta una situazione gravissima, mai vista prima. Di fronte al silenzio e all’inazione dei governi, l’ampia partecipazione dei cittadini alle manifestazioni a sostegno di questa cordata umanitaria è segno di una volontà di pace e giustizia che condividiamo e vogliamo sostenere”. Intanto presidi quotidiani permanenti si moltiplicano in tutte le città italiane a sostegno della Palestina e della Sumud Flotilla. ANBAMED
Acerbo (Prc): voto ONU per Stato di Palestina vittoria del popolo palestinese e del movimento di solidarietà
Finalmente anche l’Italia ha votato a favore della Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU per il riconoscimento dello stato di Palestina entro i confini del 1967. E’ una vittoria del movimento di solidarietà con il popolo palestinese che ha costretto il governo italiano ad abbandonare la consueta astensione a cui ci aveva abituato. Evidentemente i sondaggi hanno indotto il governo Meloni a rivedere la linea finora tenuta. Questo voto dell’Assemblea Generale ONU è una vittoria del popolo palestinese che resiste da decenni all’occupazione illegale, all’apartheid, alla pulizia etnica. Ci sono voluti più di 63.000 morti accertati per arrivare a questo risultato per ora simbolico ma che rappresenta il no dei popoli di tutto il pianeta ai piani di Netanyahu e dei suoi ministri criminali. Sono rimasti al fianco del fascismo israeliano gli USA di Trump, l’Ungheria di Orban e Argentina di Milei. Ora bisogna instancabilmente continuare la mobilitazione per ottenere le sanzioni e il completo isolamento economico, militare e diplomatico di Israele per porre fine al massacro e all’occupazione che da decenni subisce il popolo palestinese, con la complicità di Europa e Stati Uniti. Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
L’ONU può fermare il genocidio
L’ONU può fermare il genocidio invocando la Risoluzione 377 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (nota anche come Unione per la Pace), approvata il 3 novembre 1950. Questa risoluzione autorizza l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ad agire qualora il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non intervenga a causa del voto negativo di un membro permanente, nel caso in cui vi sia una minaccia alla pace, una violazione della pace o un atto di aggressione. L’Assemblea può quindi esaminare immediatamente la questione al fine di raccomandare agli Stati membri di adottare misure collettive per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionali. Esistono basi giuridiche e memorandum a supporto delle procedure per l’avvio di processi in grado di fermare il genocidio. In ogni caso, una riforma delle Nazioni Unite contribuirebbe a istituire meccanismi più rapidi per risolvere queste situazioni. Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza
Condanna a morte per Pakhshan Azizi: presentato ricorso all’ONU
Condanna a morte per Pakhshan Azizi: su Mandato dell’UDIK, le avvocate Bitonti e Galletta presentano ricorso all’ONU per violazione del diritto ad un processo equo. L’Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK) presieduta e rappresentata da Gulala SALIH ha conferito mandato alle avvocate Angela BITONTI e Lucia GALLETTA al fine di presentare ufficialmente Reclamo all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani a difesa della già nota posizione dell’operatrice umanitaria Pakhshan Azizi. I legali hanno domandato l’avvio di una Procedura Speciale al Consiglio dei Diritti Umani, ossia un’inchiesta internazionale per gravi violazioni del diritto ad un Processo Equo, principio previsto e garantito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. È oramai manifesto che Azizi è stata condannata a morte in Iran al termine di un procedimento giudiziario opaco e privo di garanzie minime: le avvocate denunciano una sistematica violazione dei principi di imparzialità, pubblicità e contraddittorio. “Su mandato dell’UDIK, abbiamo chiesto agli organi competenti delle Nazioni Unite di intervenire con urgenza attraverso una formale e prevista procedura speciale di inchiesta. La vita di Pakhshan Azizi è appesa a un filo e il silenzio della comunità internazionale diverrebbe complice,” dichiarano Bitonti e Galletta. La Presidente Gulala Salih ricorda anche la posizione delle attiviste Warisha Moradi e Sharifa Mohamadi, per le quali l’UDIK sta lavorando con altre difese. Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)
Come diventare una delle “20 Zero Waste Cities” delle Nazioni Unite
Non sono pochi anche nel nostro Paese gli attori locali che da anni agiscono per trasformare in realtà la visione di un futuro a rifiuti zero. Il ruolo della gestione dei rifiuti, delle misure anti-incenerimento e della riduzione della produzione di plastica nel diminuire le emissioni globali di gas serra diventerà sempre più importante. E tante città lavorano per diventare o per confermarsi come “Comuni a Rifiuti Zero”, esprimendo un impegno costante per eliminare i rifiuti alla fonte. Invece di bruciarli o seppellirli, ci si concentra insomma sulla progettazione e implementazione di sistemi che ne prevengano la produzione fin dall’inizio. In Europa da tempo è attiva una rete dei Comuni verso rifiuti zero, che comprende realtà all’avanguardia nel campo della gestione e delle risorse dei rifiuti, come il distretto di Contarina in Veneto, il più performante in Europa. Tuttavia, l’obiettivo di Zero Waste Europe non è solo quello di dare visibilità ai migliori risultati, ma anche di facilitare e riconoscere l’impegno di quei Comuni che, pur ottenendo risultati insoddisfacenti, sono fermamente impegnati a progredire costantemente verso rifiuti zero (qui per visitare la rete dei Comuni europei a rifiuti zero, trovare il Masterplan Rifiuti Zero per unirsi a loro e confrontare le loro prestazioni rispetto ad altre città europee: www.zerowastecities.eu). I Comuni Italiani che hanno adottato la strategia Rifiuti Zero alla fine dello scorso novembre erano 337, per un totale abitanti di 7.284.392 (https://www.zerowasteitaly.org/comuni-rifiuti-zero/). L’Associazione ZERO WASTE ITALY, costituita nel maggio 2009 con il compito primario di raccordare le iniziative Zero Waste italiane con le reti europee e mondiali, ha –  tra le altre iniziative – messo a punto un utile strumento operativo per amministratori, tecnici e attivisti, che permette di valutare efficacia, efficienza ed economicità dei sistemi comunali di gestione dei rifiuti. Un Vademecum che, una volta raccolti i dati necessari, permetterà di: identificare eventuali criticità strutturali; collocare il sistema analizzato in una delle tre fasce – patologico, fisiologico, virtuoso; ricevere supporto gratuito da un Gruppo di Monitoraggio dedicato, per proporre “terapie” e miglioramenti concreti (qui per scaricare il Vademecum: https://www.zerowasteitaly.org/wp-content/uploads/2025/07/Vademecum-Rifiuti.pdf). Per incoronare le 20 Città “Zero Waste Cities” le Nazioni Unite hanno indetto ora un concorso. In risposta all’appello del Segretario Generale dell’ONU per un’azione trasformativa in materia di rifiuti, il Comitato Consultivo Rifiuti Zero invita le città a presentare una breve descrizione del proprio progetto e a compilare un breve questionario entro il 19 settembre 2025, partecipando così ad una selezione che promette visibilità globale e un sostegno di alto livello per orientare le politiche e sbloccare finanziamenti. La partecipazione rappresenta un’opportunità unica per dimostrare leadership in innovazione, inclusività e sostenibilità olistica e per ispirare altri a replicare il successo ottenuto nella propria Comunità. Come si ricorderà, il 30 marzo 2023 il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha istituito il Comitato Consultivo Rifiuti Zero, in conformità con la  Risoluzione 77/161 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Selezionato per le sue conoscenze e competenze, il Comitato è composto da 11 membri eminenti che presentano e pubblicano buone pratiche e storie di successo, sensibilizzando e promuovendo iniziative locali e nazionali per l’obiettivo Rifiuti Zero. Il Comitato Consultivo si concentra sulla condivisione di buone pratiche, casi di studio e briefing tematici per accelerare la transizione globale verso una gestione sostenibile dei rifiuti, in linea con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Per poter partecipare alla selezione occorre compilare – in qualsiasi lingua delle Nazioni Unite preferita – un breve questionario e inviarlo a  advisoryboard.zerowaste@un.org.  Bisogna nominare il file “Nome della tua città” e includere nell’oggetto: 20 Città Rifiuti Zero “Il nome della tua città”. Venti proposte tra quelle pervenute saranno pubblicate e presentate dal Comitato Consultivo e messe in evidenza sulla sua pagina web dedicata. Le proposte selezionate saranno inoltre presentate dai membri del Comitato Consultivo in occasione di eventi di alto livello. I criteri premianti nella selezione sono: impatto e sostenibilità; comunicazione e sensibilizzazione a rifiuti zero; quadro politico; partnership e collaborazione; inclusività ed equità sociale; innovazione e tecnologia; sostenibilità finanziaria; scalabilità e trasferibilità; monitoraggio e reporting: (https://unhabitat.org/sites/default/files/2025/07/02_selection_criteria_20_zero_waste_cities.pdf). Per qualsiasi domanda specifica o per ricevere informazioni e supporto nella compilazione o nell’invio del questionario, la Segreteria del Comitato consultivo ha già offerto chiamate tramite Microsoft Teams, possibilità offerta anche per lunedì 8 settembre 2025 dalle 17:00 alle 18:00 (qui per registrarsi: https://events.teams.microsoft.com/event/1c48dbea-7bd5-431f-9c9f-25c49999b962@0f9e35db-544f-4f60-bdcc-5ea416e6dc70). Qui per maggiori informazioni sulla selezione: https://unhabitat.org/join-us/calls/zero-waste-cities-nominate-your-city-town-or-municipality. Qui per approfondire la realtà dei “Comuni rifiuti zero”: https://zerowasteeurope.eu/our-work/zero-waste-cities/.   Giovanni Caprio
Petizione per la Palestina: basta veti, l’ONU attivi Uniting for Peace
Petizione all’ONU: adottare la procedura “Uniting for Peace” per proteggere la popolazione civile a Gaza. Noi sottoscritti chiediamo all’Assemblea Generale dell’ONU di adottare la procedura “Uniting for Peace” prevista dalla risoluzione 377A dell’Assemblea Generale, per proteggere la popolazione civile nella Striscia di Gaza. La crisi umanitaria ha raggiunto livelli catastrofici. Oltre sessantamila civili sono stati uccisi, gli ospedali sono al collasso, l’accesso agli aiuti è bloccato. Il Consiglio di Sicurezza, paralizzato dal veto, non ha finora adottato misure efficaci. Una coalizione internazionale di associazioni giuridiche e democratiche ha già lanciato un appello formale, chiedendo che l’Assemblea Generale utilizzi la procedura “Uniting for Peace” per adottare misure concrete e vincolanti, tra cui: Cessate il fuoco totale e immediato; Presenza internazionale di protezione autorizzata dall’ONU; Embargo globale sulle armi a Israele; Sanzioni contro Stati e individui responsabili o complici di genocidio; Accesso pieno e sicuro agli aiuti umanitari. Questo appello sarà consegnato simbolicamente durante la High-Level Week dell’Assemblea Generale ONU (23–29 settembre 2025), con il sostegno di ONG accreditate e reti giuridiche internazionali. La procedura “Uniting for Peace” esiste proprio per situazioni come questa: quando il Consiglio di Sicurezza è bloccato, l’Assemblea può agire in nome della pace e dei diritti umani. Firma. Condividi. Fai sentire la tua voce. Link per firmare la petizione. Redazione Italia
Genocidio a Gaza e dintorni
Un fiume di fuoco su Gaza città. Bombe incendiarie sulle case e i ruderi abitati; robot esplosivi operano per cancellare ogni forma di vita. “Un inferno, ci ha raccontato ieri notte una volontaria di Al-Najdah, Israele vuol imporre la deportazione della popolazione con la forza militare”. L’esercito israeliano ha dichiarato Gaza città “zona militare pericolosa” ed ha annunciato l’interruzione delle cosiddette “pause umanitarie”, che in realtà non erano mai state rispettate. Ma servivano alla propaganda del criminale di guerra ricercato. Una buona parte del milione di abitanti di Gaza ha sfollato verso ovest, sulla spiaggia, ma l’affollamento è tale che non ci sono posti per stendere un lenzuolo e dormire. “Una situazione drammatica e anche qui ci raggiungono le bombe”, ha detto una donna scappata da Zaitoun con i suoi 5 figli. L’esercito occupante ha dichiarato di aver ritirato le truppe da Zeitoun e Sabra. La stampa israeliana scrive che un attacco della resistenza palestinese si è concluso con la cattura di 4 soldati. Il governo ha imposto la censura sull’accaduto. Si parla solo di 4 soldati dispersi. Non vengono forniti i nomi. Nessuna dichiarazione da parte di Hamas. L’opposizione politica in Israele sfrutta l’accaduto per accusare Netanyahu di aver fallito nel riportare gli ostaggi e di aver provocato la cattura di altri prigionieri di guerra israeliani. Il criminale di guerra si è nascosto dietro il segreto miliare. Il rapporto del ministero della sanità palestinese parla di 59 corpi di uccisi arrivati negli ospedali nella giornata di ieri e di 324  feriti. Il totale degli uccisi a Gaza sotto i bombardamenti israeliani indiscriminati ha superato i 63 mila. I feriti arrivati negli ospedali sono poco meno di 160 mila. A loro vanno aggiunti i dispersi sotto le macerie. L’Onu ha dichiarato che resterà a Gaza City nonostante le operazioni militari israeliane. “Noi e i nostri partner – ha detto il portavoce, Stephane Dujarric – restiamo a Gaza City per fornire supporto salvavita, con l’impegno di servire le persone ovunque esse si trovino. Ci aspettiamo che il nostro lavoro – ha aggiunto – sia pienamente facilitato dalla forza occupante e ricordiamo che i civili, compresi gli operatori umanitari, devono essere protetti in ogni momento. Le strutture umanitarie e le altre infrastrutture civili devono essere ugualmente salvaguardate”. Dujarric afferma che la decisione di Israele di interrompere le pause tattiche giornaliere a Gaza City, ora dichiarata “zona di combattimento pericolosa”, minaccia sia la vita delle persone che la capacità degli operatori umanitari di agire. I team delle Nazioni Unite hanno riferito che, sebbene le pause avessero lasciato spazio all’azione umanitaria, “sono stati comunque registrati bombardamenti nelle aree e nei momenti in cui tali pause erano state dichiarate”. L’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha sottolineato che “le operazioni di soccorso salvavita devono essere rese possibili, non annullate”. Dujarric ha avvertito che costringere le persone a spostarsi più a sud rischia di essere “la ricetta per il disastro” ed equivale ad una deportazione forzata. Una casa vicina alla Guest House di Emergency è stata bombardata da Israele a Deir Balah. Sono state uccise 6 persone, un’intera famiglia con 4 bambini. Gli operatori internazionali sono salvi, ma la struttura ha subito danni. “Lo staff dell’ong sta provvedendo a rimuovere le macerie cadute durante il bombardamento nell’ingresso esterno della guest house, macerie che stanno bloccando l’uscita di veicoli e persone. Non abbiamo ricevuto dalle autorità israeliane nessun avviso dell’imminente attacco” – ha detto Francesco Sacchi, capo progetto di Emergency a Gaza, aggiungendo che “Nessuno è al sicuro all’interno della Striscia di Gaza. Come Ong continuiamo a chiedere il rispetto dei civili e un cessate il fuoco definitivo”. Intanto in Cisgiordania proseguono le violenze dei coloni insediatisi illegalmente, mentre truppe israeliane invadono diverse città palestinesi che ricadono sotto l’amministrazione dell’ANP. A el-Bira, el-Khalil, Jenin e Tulkarem i soldati israeliani hanno proceduto ad attività di devastazione delle infrastrutture urbane con bulldozer e dinamite, per poi passare a rastrellamenti per l’arresto di militanti e attivisti. L’esercito israeliano opera da padrone incontrastato del territorio anche a sud di Damasco, dove non ci sono truppe dell’esercito siriano. Il nuovo governo di Damasco continua a emettere proclami alla comunità internazionale, che guarda dall’altra parte. Il ministro della guerra di Tel Aviv insiste sulla necessità di una normalizzazione dei rapporti diplomatici con il riconoscimento da parte siriana dell’annessione del Golan occupato nel 1967 e la costituzione di una fascia smilitarizzata di sicurezza per Israele su tutta la zona a sud di Damasco. Un protettorato di fatto sulla Siria che garantirà ad Israele il dominio totale sulla regione, nella prospettiva del Grande Israele. Sanzioni turche contro Israele Il governo di Ankara ha deciso di interrompere le relazioni commerciali con Israele, vietare alle navi turche di attraccare nei porti israeliani e chiudere lo spazio aereo turco agli aerei di Tel Aviv. La decisione comunicata dal ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan. Tra i due paesi gli scambi commerciali avevano fruttato nel 2023 un valore di 7 miliardi di dollari. Divieto USA: nessun palestinese all’ONU Il ministro degli esteri Usa, Rubio, ha annunciato che non saranno rilasciati visti per la delegazione palestinese in vista dell’Assemblea generale dell’Onu di settembre che ha all’ordine del giorno la discussione sul riconoscimento dello Stato di Palestina. Il diniego riguarderà anche il presidente Abbas. Una misura di prepotenza che viola gli accordi internazionali che regolano l’accesso ai lavori delle Nazioni Unite.   ANBAMED
Può l’UN Trusteeship Council essere una parte importante della soluzione in Medio Oriente?
Molti provano disperazione e rabbia per il fatto che il genocidio dei palestinesi non venga fermato. Come possono gli Stati Uniti, la Germania e altri continuare a riversare fondi e armi in Israele nonostante le decisioni dei massimi organi delle Nazioni Unite che indicano complicità in base alla Convenzione contro il genocidio? Come possono i Paesi mantenere accordi commerciali con Israele e permettere ai grandi fondi di continuare a investire in un Paese che viola tutto il diritto internazionale e la normale decenza? Come possono i Paesi del mondo accettare di dare alle grandi potenze, in questo caso agli Stati Uniti, così tanto potere anche all’interno dell’ONU, al punto che le decisioni delle Nazioni Unite vengono bloccate dal veto? La soluzione potrebbe essere quella di rivitalizzare l’UN Trusteeship Council, con il mandato di aiutare le ex colonie o i territori in amministrazione fiduciaria a raggiungere l’indipendenza e contribuire così anche alla pace e alla sicurezza? L’UN Trusteeship Council è uno degli organi centrali delle Nazioni Unite, con un mandato e una rappresentanza sanciti nel Capitolo 13 della Carta ONU. È inattivo dal 1994, quando l’ultimo territorio in amministrazione fiduciaria, Palau, è diventato membro delle Nazioni Unite. L’UN Trusteeship Council ha accumulato molti anni di esperienza nell’aiutare colonie e territori fiduciari a funzionare in modo indipendente dopo che le potenze coloniali hanno dovuto rinunciare al loro controllo. Il Consiglio può e deve utilizzare le competenze e le esperienze del resto del sistema ONU nel suo lavoro, non ultimo quelle delle agenzie specializzate. In questo caso sarà anche necessario coinvolgere un contingente più ampio delle forze di pace delle Nazioni Unite. La situazione in Palestina è diversa da quella delle vecchie colonie, ma non così tanto. Quando l’ONU nel 1947, dopo forti pressioni da parte dell’Inghilterra e con molte incertezze, decise di dividere la Palestina in uno Stato ebraico e uno arabo (risoluzione 181), all’UN Trusteeship Council fu affidata la responsabilità di affrontare le difficili questioni relative a Gerusalemme, che era considerata un corpus separatum. L’UN Trusteeship Council avrebbe dovuto garantire che la situazione venisse rivalutata dopo un periodo di prova di 10 anni e che la popolazione potesse esprimere le proprie opinioni tramite referendum. L’attuale e intollerabile situazione nella regione, le numerose guerre seguite alla decisione dell’ONU, il brutale sfollamento dei palestinesi e le violazioni di numerosi accordi hanno dimostrato pienamente che la spartizione della vecchia Palestina fu una decisione insostenibile. Anche la cosiddetta soluzione dei due Stati non è più praticabile, alla luce della situazione complessiva sul terreno. Potrebbe l’UN Trusteeship Council essere l’organo, l’ultima speranza per contribuire a porre fine alle atrocità e al genocidio e anche per favorire la creazione di pace e sicurezza nella regione? La soluzione più efficace sarebbe istituire un protettorato ONU per l’intera area — Israele, Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme — ad esempio per un periodo di 10 anni. Solo il tempo dirà se, dopo il periodo di prova, le esperienze porteranno a una nuova Palestina con pari diritti democratici per ebrei, musulmani, cristiani e altri. Israele, naturalmente, protesterà contro la messa sotto controllo ONU e sarà sostenuto dagli Stati Uniti e probabilmente da alcuni loro alleati. Tuttavia, la decisione di istituire un’area sotto protettorato/amministrazione fiduciaria non deve necessariamente essere presa dal Consiglio di Sicurezza — dove ci si deve attendere un veto statunitense — ma dall’Assemblea Generale. Le persone in tutto il mondo non sopportano più di vedere altra sofferenza e distruzione a Gaza e in Cisgiordania. Per uscire da questa situazione terribile ed evitare che qualcuno scelga di ricorrere alla forza militare per fermare la follia, vale la pena tentare al più presto una soluzione diplomatica così drastica. L’ONU è l’unico organismo che può porre fine a questa situazione. Le persone intelligenti e lungimiranti che hanno redatto la Carta delle Nazioni Unite 80 anni fa ci hanno dato gli strumenti di cui abbiamo bisogno. Spetta alla comunità internazionale usarli.   Ingeborg Breines (ex direttrice UNESCO ed ex presidente del International Peace Bureau)   Inter Press Service
C’era una volta l’acqua
16 agosto 2025 «Le acque Contrex e Hépar contaminate da microplastiche a causa delle discariche abusive della Nestlé. (…) Presentano un tasso record di microplastiche, 515 particelle di microplastiche per litro per Contrex e 2.096 particelle per litro per Hépar. Questi valori superano di 2.952 volte la media mondiale delle falde acquifere»., (++) Nestlé recidiva per l’ennesima volta. I media sono regolarmente pieni di scandali di cui si rendono colpevoli le grandi multinazionali nel campo della salute umana e dei danni ambientali, spesso con la complicità degli Stati. Uno scandalo che assume una luce sinistra, alla luce dell’intollerabile fallimento, il 14 agosto, della conferenza di Ginevra che avrebbe dovuto approvare, quinta e ultima tappa di un lavoro mondiale considerevole, un trattato internazionale sull’eliminazione del grave inquinamento delle acque del nostro pianeta causato dalle microplastiche. L’acqua non è più considerata acqua per la vita, fonte di vita. Tre grandi macchine l’hanno attaccata, devastata e hanno trasformato il suo ruolo e il suo valore. La prima è la grande macchina della predazione della vita che caratterizza l’economia dominante da almeno un secolo. Come ha fatto con tutti i beni naturali essenziali per la vita, ha ridotto l’acqua a una merce oggetto di accaparramento privato e di sfruttamento senza limiti in nome della libertà e del potere economico. Pensiamo a cosa sono diventate aziende per le quali l’acqua è fondamentale come Veolia/Suez, Nestlé, Xylem, Syngenta, Coca-Cola ,Unilever, Danone, Total Energies, Dow Chemicals, Bayer, Basf , Diageo. L’idea di bene comune pubblico mondiale (1) è stata massicciamente sostituita, prima ancora di essere attuata, dal concetto di bene economico privato, mercantile e industriale. Formalmente la sostituzione è avvenuta a livello della comunità internazionale nel 1992, in occasione del Primo Vertice Mondiale della Terra delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro . In tale occasione , la Banca Mondiale ha imposto e fatto approvare una nuova « Bibbia mondiale dell’acqua » (la Integrated Water Ressources Management . La “Bibbia” si basa su due principi fondamentali: l’acqua è un bene economico privato e l’accesso all’acqua potabile è subordinato al pagamento di un prezzo in funzione della quantità consumata, secondo il principio “chi usa paga”. Quest’ultimo è diventato il principio ufficiale dell’ONU nell’ambito della prima agenda dell’ONU 2000-2015 “Gli obiettivi di sviluppo del Millennio”. È stato confermato all’unanimità nell’ambito della seconda agenda dell’ONU 2015-2030 “Gli obiettivi di sviluppo sostenibile” (Obiettivo n. 6). (2) Anche se – paradossalmente – l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva nel frattempo approvato nel 2010 (28 luglio) una risoluzione che riconosceva, per la prima volta a livello delle Nazioni Unite, il diritto universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari. Di fatto, i 41 Stati contrari a tale riconoscimento, tra cui i paesi più potenti della Terra, Stati Uniti e Regno Unito in testa insieme a Russia, Giappone e Cina, sono stati messi in minoranza da una congiuntura favorevole alla grande maggioranza degli Stati del «Sud». Ciò non ha impedito loro di ignorare sistematicamente la risoluzione e di respingere qualsiasi nuovo documento delle Nazioni Unite che vi facesse riferimento formale. (3) Al di là, quindi, della risoluzione dell’ONU che è parte integrante del diritto internazionale , il principio dell’“accesso all’acqua per tutti su basi eque e a prezzi accessibili” è diventato il principio accettato dall’ONU e dal mondo degli affari e della finanza . Un principio diverso, se non addirittura opposto, al principio “tradizionale” del diritto universale all’acqua per la vita, finanziato dalla collettività attraverso il bilancio pubblico alimentato da una fiscalità progressiva e redistributiva. Già nel 1992 è stata posta fine all’economia pubblica dei beni comuni essenziali e ai principi della gratuità del diritto umano universale e dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani di fronte alla legge (ovvero 50 litri di acqua potabile al giorno per persona e, come eccezione provvisoria, 25 l/giorno a persona nei paesi “a basso reddito”). (4) In questo modo si sono aperte ampie porte ai  processi di liberalizzazione , deregolamentazione e privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici . Questi ultimi, sono passati, nel primo decennio del XXI secolo, dallo status di “servizi pubblici” a quello di “servizi di interesse generale” (SIG) per finire con lo status di “servizi di interesse economico generale” (SIEG), situazione attuale. (5) La seconda è la grande macchina della distruzione dell’acqua attraverso la contaminazione tossica L’industria chimica e altre attività industriali correlate hanno inondato e avvelenato tutte le acque del pianeta (superficiali, sotterranee, oceani…), con migliaia di prodotti inquinanti (pesticidi, fertilizzanti, microplastiche, rifiuti di ogni tipo…), compresi gli “inquinanti eterni” tra cui i terribili PFAS e TFA . Si tratta di una potente macchina di distruzione della salute degli organismi viventi della Terra, a cominciare dagli esseri umani. (6) All’inizio dell’esplosione della chimica agricola e industriale, più di 100 anni fa, i suoi promotori non erano consapevoli, almeno la grande maggioranza, degli effetti devastanti dei loro prodotti. Il problema è diventato uno dei più critici per la salute dei sistemi di vita della Terra, dal momento che gli industriali (anche agricoli) e i finanzieri , nonostante l’evidenza dei disastri scientificamente convalidati , si sono opposti alla riduzione e all’eliminazione radicale dell’uso di prodotti inquinanti. La loro opposizione rimane netta ancora oggi, in piena crisi idrica mondiale e nel contesto del devastante cambiamento climatico in atto .(7) Ricordiamo però che l’inquinamento tossico dell’acqua (e dell’ambiente) è dovuto principalmente alle attività umane e comporta: la perdita di biodiversità (morte di pesci, piante acquatiche…), rischi per la salute (malattie: colera, tifo, dissenteria, cardiovascolarie), danni agli ecosistemi (qualità dell’acqua, composizione delle specie, catena alimentare), danni economici (pesca, agricoltura, turismo, insicurezza industriale…) e l’indebolimento della democrazia partecipativa dei cittadini ridotti a vittime-spettatori passivi. Di conseguenza, l’opposizione degli industriali e dei finanzieri, spesso con la complicità dei poteri politici eletti (8), deve essere considerata illegale, se non addirittura criminale, in quanto «grave attentato alla salute umana, che rappresenta una violazione massiccia del diritto all’acqua delle popolazioni interessate e di altri diritti umani». (9) Infine, la terza è la grande macchina della finanziarizzazione dell’acqua e di ogni elemento della natura. La finanziarizzazione della vita è l’espressione più insidiosa del potere dell’economia capitalista di mercato e/o statale. Trasformando l’acqua in una categoria di capitale – il «capitale naturale», ovvero un bene finanziario – ne ha modificato la funzione vitale. (10) Ad esempio, la finanziarizzazione dei contratti a lungo termine per il commercio di acqua sfusa, così come quella delle «acque minerali in bottiglie di plastica » (11) significa che il valore dell’acqua è deciso dai mercati azionari altamente speculativi, dai mercati dei prodotti derivati, i più dissociati dall’economia reale. La loro gestione obbedisce imperativamente a criteri di redditività attraverso tecnologie che trattano le negoziazioni finanziarie al millesimo di secondo e , quindi, a prezzi molto variabili nel brevissimo termine. Conclusione provvisoria È illusorio pensare che nell’attuale contesto mondiale sia possibile trovare soluzioni ai problemi della predazione della vita, del disastro climatico e della contaminazione chimica tossica delle acque del pianeta, nonché della finanziarizzazione del mondo senza sradicare le cause strutturali della crisi globale in cui il sistema dominante ha fatto precipitare la vita del mondo. La soluzione incentrata sulla strategia della resilienza (mitigazione e adattamento) è solo una promessa di via d’uscita incerta e insufficiente e, per di più, riservata ai gruppi sociali più potenti.(12) Le tesi della Global Commission on the Economics of Water meritano attenzione, ma presentano anche importanti limiti.(13) Si basano su una «nuova» «strategia economica» mondiale di investimento, diversificata territorialmente attorno ad alcune grandi missioni pubbliche. Queste missioni dovrebbero consentire al mercato di soffiare il vento nelle direzioni desiderate. Nella seconda parte di questo articolo vedremo perché osiamo pensare e agire affinché l’acqua possa diventare un bene comune pubblico mondiale, per tutti, nella giustizia planetaria. Note (++) https://www.mediapart.fr/journal/france/090825/les-eaux-contrex-et-hepar-contaminees-aux-microplastiques-par-les-decharges-sauvages-de-nestle?utm….Nestlé ha colpito ancora. Nel 2024 ha ammesso di aver trattato per 12 anni le sue acque minerali etichettate come naturali in Francia (cosa rigorosamente vietata in tutto il mondo) per un fatturato superiore a 3 miliardi di euro. Lo Stato francese ne era stato informato e non ha fatto nulla. Ha proposto alle autorità giudiziarie competenti una procedura consensuale. È stata condannata a una multa di soli 2 milioni di euro! (1) L’Eau, res publica ou marchandise? Collettivo e Riccardo Petrella, La Dispute, Parigi, 2003 (2) https://agriculture.gouv.fr/odd6-garantir-lacces-de-tous-leau-et-lassainissement-et-assurer-une-gestion-durable-des-ressources (3) Su questa evoluzione, Riccardo Petrella, https://www.pressenza.com/it/2022/11/il-diritto-allacqua-in-via-di-demolizione/ (4) Secondo l’adozione nel 2002 dell’Osservazione Generale n. 15 da parte del Consiglio dei Diritti Economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite, che riconosce per la prima volta il diritto all’acqua come uno dei diritti umani fondamentali, gli Stati devono garantire a tutta la popolazione «l’accesso a un approvvigionamento sufficiente, fisicamente accessibile e a un costo abbordabile, di acqua salubre e di qualità accettabile per gli usi personali e domestici». (5) I servizi pubblici, compresi i servizi idrici, non sono più, nell’ambito dell’UE, ciò che erano in passato. Vedi https://www.vie-publique.fr/fiches/20223-la-notion-de-service-public. Il cambiamento è avvenuto con la direttiva europea sui servizi (2006) https://suap.regione.fvg.it/portale/export/sites/SUAP/allegati/archivio_file/Normativa/Normative_comunitarie/Direttiva_CE_123x_12_dicembre_2006.pdf (6) Una breve ma accurata analisi dell’inquinamento chimico dell’acqua da pesticidi, il caso dell’agricoltura vallona, https://www.canopea.be/qualite-de-leau-et-pesticides-lechec-global/ (7) ) https://www.pressenza.com/it/2025/06/la-nuova-strategia-europea-per-la-resilienza-nel-campo-dellacqua/ (8) https://www.pressenza.com/it/2024/02/lattacco-dellindustria-chimica-europea-al-piano-verde-dellue/ ((9) Cfr., già nel 2016, Sylvie Paquerot. « Crimini ambientali: se l’inquinamento dell’acqua uccide… purtroppo rende ». Criminologia, 2016, 49(2), pagg. 215-240. (10) https://www.pressenza.com/it/2024/05/finanza-e-acqua-mettere-fine-al-dominio-dei-predatori-della-vita-sui-diritti-universali-e-i-beni-comuni-mondiali/ (11) Nel 2004 ho definito questi due fenomeni rispettivamente «petrolizzazione» e «cocacolizzazione» dell’acqua. Intervista a David Cadasse, «No alla petrolizzazione e alla cocacolizzazione dell’acqua», https://www.afrik.com, 28 settembre 2004 (12) op.cit. nota 7 (13) In particolare, The Economics of Water. Valuing the Hydrological Cycle as a Global Common Good, 2024   Riccardo Petrella