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Cipro, nuove speranze di ricomposizione?
La storica e non ancora risolta controversia cipriota torna, se mai vi fosse uscita, nell’agenda internazionale. Si è tenuta infatti giovedì 17 luglio 2025 la sessione plenaria della conferenza su Cipro, convocata dal Segretario Generale, António Guterres, presso la sede delle Nazioni Unite, alla presenza del Presidente della Repubblica di Cipro Nikos Christodoulides, del leader turco-cipriota Ersin Tatar, dei Ministri degli Esteri di Grecia e Turchia, Giorgos Gerapetritis e Hakan Fidan, e del Ministro per l’Europa del Regno Unito, Stephen Doughty. Scopo della conferenza – rilanciare i colloqui di pace, mettendo così alla prova la speranza di una possibile riconciliazione e riunificazione dell’isola, vera e propria – non è solo uno slogan – “perla del Mediterraneo”. Il tutto sotto l’egida delle Nazioni Unite, nel cui contesto si svolgono i colloqui diplomatici e che mantiene una propria storica missione di interposizione (peacekeeping di prima generazione) a Cipro, la Unficyp (United Nations Peacekeeping Force in Cyprus), sin dal 1964, quando fu dislocata sull’isola, all’indomani degli scontri intercomunitari tra greco-ciprioti e turco-ciprioti degli anni precedenti, allo scopo di impedire il ripetersi delle violenze intercomunitarie, interporsi tra le parti in conflitto e contribuire al mantenimento della sicurezza. Sebbene le Nazioni Unite abbiano definito i colloqui “costruttivi”, non molti sono stati gli sviluppi effettivamente rilevanti e difficile resta il clima di dialogo tra le parti. Il Presidente cipriota Christodoulides ha ribadito la disponibilità a riprendere i negoziati, sospesi sin dal 2017, sottolineando la necessità di rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e il quadro giuridico delle Nazioni Unite come fondamento per la risoluzione della questione cipriota che è infatti, al tempo stesso, prodotto di conflitto etnopolitico e questione complessa di diritto internazionale. D’altra parte, secondo la posizione espressa dal portavoce del Ministero degli Esteri turco, Öncü Keçeli, è necessario rilanciare il quadro negoziale a partire dalla c.d. “soluzione a due stati”, quanto mai problematica, tuttavia, dal momento che l’articolazione istituzionale turco-cipriota, la cosiddetta Repubblica Turca di Cipro del Nord, istituita nel 1983, non ha, a parte quello della Turchia, alcun riconoscimento internazionale, e mantiene sul proprio territorio un contingente militare turco di ben 40 mila soldati.  Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha sottolineato che sono stati compiuti progressi su quattro delle sei iniziative concordate nella precedente riunione allargata sulla questione di Cipro, tenutasi a Ginevra a marzo. I quattro ambiti in cui si è registrato un progresso sono stati la creazione di un nuovo comitato tecnico bi-comunitario per i giovani, una serie di iniziative da intraprendere in materia ambientale, il restauro dei cimiteri e la definizione degli accordi sullo sminamento, che saranno finalizzati “una volta definiti i dettagli tecnici definitivi”. Tuttavia, le due principali iniziative concordate a marzo, l’apertura di quattro nuovi punti di attraversamento tra le due parti dell’isola (la parte sud, a maggioranza greco-cipriota, su cui esercita effettivo controllo la Repubblica di Cipro, e la parte nord, amministrata de facto dalla Repubblica Turca di Cipro del Nord e a maggioranza turco-cipriota), nonché la creazione di un impianto di energia solare presso la zona cuscinetto sotto controllo della missione delle Nazioni Unite, non hanno registrato progressi rilevanti.  Come hanno confermato alla stampa fonti diplomatiche turco-cipriote, “non ci sono ancora progressi sulla questione dei valichi di frontiera perché il leader greco-cipriota [il presidente Nikos Christodoulides] insiste su un corridoio di transito, invece di un vero e proprio valico di frontiera”. Si tratta dei punti di attraversamento che si estenderebbero da una parte all’altra dell’isola, in particolare quello attraverso Kokkina, piccolo centro a maggioranza turco-cipriota solo in parte ricadente nel territorio della cosiddetta Repubblica Turca di Cipro del Nord (luogo sensibile, peraltro, perché luogo della battaglia di Tillyria, un violento scontro armato tra forze greco-cipriote, turco-cipriote e turche dell’agosto 1964), e quello tra Aglantzia e Athienou (uno dei quattro villaggi all’interno della zona cuscinetto delle Nazioni Unite, gli altri tre essendo Pyla, Troulloi e Deneia). Come si intuisce, anche questa questione ha a che fare con l’integrità del diritto internazionale: i punti di transito che attraversano la zona cuscinetto (la buffer zone delle Nazioni Unite) e permettono il passaggio tra le due parti non sono infatti un “confine” ma una linea di separazione e al contempo, nei punti concordati, una linea di transito.  A parte la questione dei punti di attraversamento, il Segretario Generale ha poi affermato che le parti hanno raggiunto una “intesa comune” in ordine alla creazione di un “organismo consultivo per il coinvolgimento della società civile”, sulla questione dei beni culturali, su un’iniziativa per il monitoraggio della qualità dell’aria e sulla lotta all’inquinamento. “È fondamentale attuare queste iniziative, tutte, il prima possibile a beneficio di tutti i ciprioti”. Ha poi confermato l’intenzione di incontrare nuovamente entrambi i leader durante la settimana di alto livello dell’Assemblea Generale in programma a settembre. “C’è una lunga strada da percorrere”, ha affermato, “ma questi passi mostrano l’impegno a proseguire il dialogo e a lavorare su iniziative a beneficio di tutti i ciprioti”. Una soluzione da ricercare, appunto, all’insegna del “win-win”, del comune beneficio.   La controversia cipriota resta infatti una questione cruciale in un’area strategica: Cipro (e il suo conflitto ancora irrisolto) è all’interno dell’Unione Europea e occupa una regione strategica (dal punto di vista militare e dal punto di vista economico) nel Mediterraneo orientale. Quest’area, a cavallo tra Grecia, Turchia, Israele, Egitto, e, appunto, Cipro, ospita infatti, secondo alcuni studi del 2010 della USGS, l’Istituto Geologico Nazionale degli Stati Uniti, circa 10 trilioni di metri cubi di gas. Un’area di tensioni, che da tempo le forze di pace cercano di trasformare in una zona di speranza: non mancano situazioni e contesti (Pyla e Potamia, ad esempio) di convivenza, e l’imponente ricchezza storica, artistica e culturale dell’isola può costituire, insieme con i fondamentali progetti a gestione bi-comunale e bi-comunitaria, uno straordinario potenziale di pace.  Riferimenti: Vibhu Mishra, UN chief reports progress in Cyprus talks, 17.07.2025: https://news.un.org/en/story/2025/07/1165427 Elias Hazou, UN bid to break Cyprus deadlock, 17.07.2025: https://cyprus-mail.com/2025/07/17/un-hosts-informal-cyprus-talks Laura Ponte, Il gas del Mediterraneo Orientale come risorsa strategica, 24.05.2022: https://aspeniaonline.it/il-gas-del-mediterraneo-orientale-come-risorsa-strategica Progetto “Dialogues of Peace in Cyprus” (2005-2008):  https://www.pacedifesa.org/home-2/progetti-sul-campo/dialoghi-di-pace-a-cipro Nicosia This Week, An unofficial guide to the biennial that never was, Werkplaats Typografie, 2006: https://www.mottodistribution.com/shop/publishers/werkplaats-typografie/nicosia-this-week-an-unofficial-guide-to-the-biennial-that-never-was.html  Gianmarco Pisa
I Talebani intensificano l’apartheid di genere: decine di donne arrestate per “violazione dell’hijab”
In questi giorni abbiamo ricevuto il racconto affranto delle donne appartenenti alle associazioni afghane che sosteniamo, le quali confermano le notizie allarmanti apprese da alcuni siti circa l’arresto arbitrario di decine di donne da parte della polizia morale, presumibilmente per “violazioni dell’hijab”, trattenute senza accesso a un legale, senza contatti con i familiari e senza assistenza medica. Ci hanno scritto: “Negli ultimi giorni, la situazione per donne e ragazze è tornata ad essere estremamente allarmante. La polizia morale pattuglia le strade, ferma i veicoli e trattiene le donne con la forza. Molte ragazze sono sotto shock e spaventate, hanno paura anche solo di uscire di casa. Secondo quanto riferito, dopo essere state rilasciate, alcune donne sono state rifiutate dalle loro famiglie, come se il peso dell’ingiustizia fosse ancora una volta posto sulle loro spalle. Una ragazza, che per paura aveva inizialmente negato di avere subito un arresto, quando ha compreso il nostro sostegno ha iniziato a piangere e ha detto: ‘Per Dio, ero completamente coperta: indossavo l’hijab, la maschera e il chapan, ma all’improvviso mi hanno circondata come animali selvatici, mi hanno insultata e colpita con una pistola”. Sono svenuta per la paura e il dolore. Quando ho ripreso conoscenza, mi trovavo in uno scantinato buio con decine di altre ragazze assetate e terrorizzate, senza alcun contatto con le nostre famiglie. Quello che abbiamo passato è stato peggio della morte…’.  Con voce tremante, ha aggiunto: ‘La libertà è stata l’inizio di un nuovo dolore. Il comportamento di tutti nei miei confronti è cambiato, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Vorrei non essere mai uscita di casa’. Questa paura ha colpito profondamente anche le nostre studentesse. In molte, piangendo, hanno confermato quanto amano imparare, ma hanno chiesto di essere esentate dalla frequenza per qualche giorno, finché la situazione non si sarà calmata. Abbiamo deciso di sospendere le lezioni per due settimane. Anche oggi la polizia morale è passata diverse volte davanti al nostro centro e non possiamo mettere a repentaglio la sicurezza delle nostre studentesse. Sono giorni bui e pesanti, ma la vostra presenza e il vostro sostegno sono per noi una luce di speranza e conforto, la vostra solidarietà ci dà la forza per andare avanti”. Nel suo sito, RAWA NEWS informa: In un nuovo e più intenso attacco alle libertà delle donne, i Talebani hanno lanciato un’ondata di arresti arbitrari in tutto l’Afghanistan, prendendo di mira donne e ragazze accusate di aver violato l’interpretazione estremista che il gruppo dà delle regole sull’hijab. Solo nell’ultima settimana, decine di donne sono state arrestate a Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif, applicando standard di “modestia” vaghi e mutevoli, senza alcun processo o giustificazione legale. Questi arresti avvengono in strade, centri commerciali, caffè e campus universitari, spazi pubblici dove le donne cercano semplicemente di condurre la propria vita quotidiana. A Kabul, nelle zone di Shahr-e-Naw, Dasht-e-Barchi e Qala-e-Fataullah, i testimoni hanno riferito che in alcuni casi le donne sono state aggredite fisicamente dagli agenti talebani prima di essere costrette a salire sui veicoli. Poi sono state trattenute nei cosiddetti “centri di moralità” – strutture gestite dal Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, un’istituzione temuta che ora opera come una forza di polizia religiosa – e rilasciate solo dopo che i loro tutori maschi avevano firmato garanzie scritte che avrebbero “corretto” il loro comportamento. Negli ultimi giorni a Herat sono state arrestate almeno 26 donne, molte delle quali giovani e alcune minorenni; a Mazar-e-Sharif una decina, sempre con l’accusa di non coprirsi completamente il volto. I funzionari talebani hanno confermato gli arresti, sostenendo che le donne erano state avvertite in precedenza. Secondo quanto riferito, le arrestate sono state trattenute senza poter usufruire di assistenza legale, contattare le proprie famiglie o ricevere cure mediche. Alcune famiglie hanno paura di far uscire di casa le proprie figlie, temendo che possano essere arrestate. Non per la religione, ma per il predominio Le Nazioni Unite e gli osservatori dei diritti umani hanno condannato questi arresti, ritenendoli delle gravi violazioni del diritto internazionale e un chiaro segno di apartheid di genere. Tuttavia, i Talebani non sembrano intenzionati a cedere. Anzi, i funzionari del ministero hanno raddoppiato le loro minacce, annunciando che qualsiasi donna trovata a indossare un “cattivo hijab” sarà punita immediatamente e senza preavviso. Queste azioni non riguardano la religione, ma il predominio: i Talebani usano l’imposizione del hijab come arma politica per mettere a tacere e cancellare le donne. Criminalizzando le normali scelte di abbigliamento, i Talebani inviano un messaggio agghiacciante: le donne non appartengono alla sfera pubblica e qualsiasi tentativo di affermare la propria presenza sarà represso con la forza. Si tratta di un’ulteriore fase del sistematico smantellamento dei diritti delle donne da parte dei Talebani, che include il divieto di istruzione per le ragazze oltre la prima media, il divieto per le donne di lavorare con le ONG e le organizzazioni internazionali e dure restrizioni nella possibilità di movimento  e nell’abbigliamento. Nonostante la crescente repressione, molte donne afghane resistono, rifiutandosi di scomparire, documentando gli abusi e parlando, anche a rischio della propria vita, ma le loro voci sono accolte con indifferenza dalla maggior parte della comunità internazionale. Il tempo delle condanne simboliche è finito. Le azioni dei Talebani equivalgono a una prolungata campagna di persecuzione di genere e devono essere trattate come tali. Senza una pressione internazionale concreta, il regime continuerà senza controllo la sua guerra contro le donne, incoraggiato dal silenzio di un mondo che un tempo aveva promesso di stare dalla parte del popolo afghano. Appello urgente: richiesta di aiuto per profughi afghani espulsi dall’Iran CISDA - Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane
L’operatore ONU Gennaro Giudetti sotto i bombardamenti a Gaza. Il governo italiano intervenga
Ieri mattina era arrivato l’ordine perentorio alla popolazione palestinese di lasciare la zona di Deir el Balah, a Gaza, dove hanno sede le Ong e l’agenzia dell’Onu. Molti non avevano i mezzi per allontanarsi mentre fame e sete colpiscono soprattutto i bambini. L’attacco aereo è partito ieri sera, oggi l’avanzata terrestre con i carri armati che stanno distruggendo tutto. È stata individuata una “zona rossa” da radere al suolo. In questa zona agisce come operatore umanitario un cittadino italiano, Gennaro Giudetti, che tenta ancora di portare conforto e aiuto. Il governo italiano, la Farnesina, debbono intervenire immediatamente per fermare l’ennesima violazione del diritto internazionale che rappresenta uno smacco per il pianeta intero. Quanto accade al nostro concittadino e quanto subisce l’intera popolazione dell’area è l’ennesimo crimine di cui Israele e il suo governo debbono rendere conto. Netanyahu è un criminale e chi lo sostiene, come il governo italiano, è un  miserabile  complice. Maurizio Acerbo , segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Congratulazioni per il rinnovo dell’incarico e condanna per le sanzioni USA a Francesca Albanese
L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha avuto il piacere di ospitare in un suo Convegno a Bari il 20 gennaio 2025 la relatrice speciale dell’ONU per il territorio palestinese occupato, dott.ssa Francesca Albanese, la quale ha illustrato ai/alle circa 170 docenti presenti la grave situazione che vive la popolazione palestinese sia a Gaza sia in Cisgiordania (clicca qui per il l’intervento video di Francesca Albanese). Abbiamo apprezzato in quella occasione il suo intervento accorato e condotto in punto di diritto internazionale. Abbiamo avviato a partire da quell’incontro numerosi progetti nelle scuole per leggere e approfondire il testo J’accuse, in cui vengono messi in fila tutti i crimini perpetrati ai danni della popolazione palestinese. Abbiamo voluto approfondire il tema dei diritti umani violati con la prof.ssa Roberta De Monticelli, che a quel libro aveva apposto una sua Postfazione, invitandola al nostro Convegno nazionale del 16 maggio presso lo SPINTIME a Roma. Per tutti questi motivi ci conforta sapere che l’ONU ha confermato a Francesca Albanese per altri tre anni l’incarico di relatrice speciale per il territorio palestinese occupato e ci auguriamo che la sua esperienza possa ancora illuminarci sulla situazione a Gaza, come fatto nell’ultimo report, che invitiamo a leggere nel pdf in calce. Al tempo stesso, l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università esprime la totale solidarietà nei confronti di Francesca Albanese per gli attacchi lanciati dagli USA e da Trump, che cercano di intimidire la giurista attraverso sanzioni ad personam, un unicum nella storia. La nostra vicinanza alla dott.ssa Albanese la esprimiamo anche per la macchina del fango avviata da Israele, che, attraverso inserzioni a pagamento su Google, lancia pagine diffamatorie. La nostra condanna nei confronti di queste iniziative intimidatorie per un lavoro puntuale di cui abbiamo bisogno è totale. Non possiamo, dunque, che accogliere con favore la proposta di candidare Francesca Albanese per il Premio Nobel per la pace e per questo sosteniamo la raccolta firme lanciata su Change.org da firmatari molto vicini all’Osservatorio (clicca qui per firmare la petizione online). Scarica qui il l’ultimo report di Francesca Albanese sul territorio palestinese occupato. Rapporto-Francesca-Albanese-defDownload Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Francesca Albanese: “le aziende traggono grandi profitti dall’occupazione di Israele dei territori palestinesi”
Francesca Albanese,  relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati illustrerà nel corso di una conferenza stampa a Ginevra domani giovedì un nuovo rapporto, reso pubblico il 15 giugno,  che mappa le aziende che aiutano Israele nello sfollamento dei palestinesi e nella sua guerra genocida contro Gaza, in violazione del diritto internazionale. Il rapporto nomina 48 attori aziendali, tra cui i giganti della tecnologia statunitense Microsoft, Alphabet Inc.  e Amazon. Nell’ambito dell’indagine è stato anche creato un database di oltre 1000 realtà aziendali. “L’occupazione permanente è diventata il banco di prova ideale per i produttori di armi e le grandi aziende tecnologiche, con un’offerta e una domanda significative, poca supervisione e nessuna responsabilità, mentre investitori e istituzioni pubbliche e private ne traggono grandi profitti”, si legge nel rapporto. “Le aziende non sono più semplicemente implicate nell’occupazione: potrebbero essere coinvolte in un’economia di genocidio”, ha affermato in una recente intervista a Al Jazeera, riferendosi al continuo attacco israeliano alla Striscia di Gaza. Pressenza IPA
È tempo di giustizia riparativa per i crimini del colonialismo?
Il movimento per le riparazioni legate alla schiavitù perpetrata dagli imperi coloniali europei sta crescendo e acquistando visibilità. A guidare questa spinta sono soprattutto gli sforzi dei Paesi dei Caraibi, che trovano risonanza anche negli appelli del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Il 30 maggio 2025 António Gutierres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha reiterato l’invito agli Stati Membri a lavorare per la giustizia e le riparazioni per gli africani e la diaspora affermando che: “L’Africa è un continente di energia e possibilità illimitate. Ma per troppo tempo, le colossali ingiustizie inflitte dalla schiavitù, dalla tratta transatlantica degli schiavi e dal colonialismo sono state non riconosciute e affrontate”. Le Nazioni Unite hanno condannato la schiavitù e il commercio transatlantico come crimini contro l’umanità in diverse occasioni e Gutierres ha più volte incitato ad agire per riparare questi delitti. Il Segretario Generale ha precisato come la decolonizzazione, pur avendo segnato la fine formale del dominio coloniale, non è stata sufficiente a liberare i paesi africani e le persone afrodiscendenti dai pregiudizi e dalle strutture razziste che hanno reso questi crimini possibili. Al momento della fondazione delle Nazioni Unite, diversi Paesi africani erano ancora sotto il controllo coloniale e per questo hanno ereditato un sistema internazionale pensato per gli scopi e con i principi di altre regioni del mondo, ancora una volta esclusi dai processi decisionali globali. Pertanto si fa sempre più urgente assegnare ad uno dei Paesi africani un seggio nel Consiglio di Sicurezza. Il tema delle riparazioni o compensazioni per le popolazioni e i Paesi vittime della schiavitù degli imperi coloniali europei non è nuovo, ma negli ultimi anni sta assumendo sempre più visibilità e forza. Già nel 2013, in occasione del World Social Forum di Tunisi, era emersa la proposta di istituire la Giornata Internazionale delle Riparazioni per la colonizzazione, accolta da diverse parti. La data prevista, il 12 ottobre, giorno in cui Cristoforo Colombo approdò nel continente americano, ha il valore simbolico di capovolgere la narrazione eurocentrica legata a quella ricorrenza, trasformandola in un’occasione per restituire la voce alle vittime del colonialismo, rendendo visibili le iniziative in favore della giustizia riparativa.   Africa Rivista
Cooperazione. Siviglia, al via Conferenza Sviluppo
COOPERAZIONE. SIVIGLIA, AL VIA CONFERENZA SVILUPPO: USA ASSENTI L’ONU: MANCANO 4MILA MILIARDI DI DOLLARI PER I PAESI VULNERABILI (DIRE) Roma, 30 giugno Circa 70 capi di Stato e di governo insieme a 4mila esponenti della società civile e di istituzioni multilaterali: questi i numeri della quarta Conferenza sul finanziamento dello sviluppo, nota anche con l’acronimo “FfD4”, al via oggi nella città spagnola di Siviglia. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha sottolineato di sperare che l’incontro consenta di trovare “soluzioni” per i bisogni dei Paesi più svantaggiati e vulnerabili. Questi, stando alle stime dell’Onu, “soffrono di un deficit di finanziamento annuo stimato in 4mila miliardi di dollari”, ovvero 1.500 miliardi in più rispetto a dieci anni fa. I lavori saranno segnati dalla defezione degli Stati Uniti, assenti dopo i tagli agli aiuti internazionali decisi dall’amministrazione di Donald Trump. A prendere parte alla Conferenza invece il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. Con lui anche il capo di Stato francese Emmanuel Macron e quello sudafricano Cyril Ramaphosa. Confermata pure la presenza del presidente della Banca mondiale, Ajay Banga. Sanchez ha detto di “sfide immense” da affrontare e ha ricordato che le difficoltà nel reperire i finanziamenti necessari indeboliscono non solo il multilateralismo ma anche gli “obiettivi di sviluppo sostenibile” e la lotta contro la “crisi climatica”. Secondo Guterres, la Conferenza è “un’opportunità unica per riformare il sistema finanziario internazionale”, giudicato da alcuni “obsoleto” e “disfunzionale”. Fino alla chiusura, prevista giovedì, i lavori di Siviglia saranno seguiti con una diretta sui siti di informazione delle Nazioni Unite. In un aggiornamento pubblicato stamane, accanto a una foto dell’inizio della Conferenza, si riferisce: “Dal crescente indebitamento e dalla diminuzione degli investimenti alla crisi dei finanziamenti per gli aiuti e al mancato raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di sviluppo, il sistema finanziario globale sta fallendo nei confronti delle persone che dovrebbe servire”. La defezione degli Stati Uniti era considerata scontata da più parti, annota l’emittente Radio France Internationale in un suo servizio, “dopo che con l’amministrazione di Donald Trump Washington ha tagliato circa l’83 per cento dei finanziamenti ai programmi all’estero dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid)”. Agenzia DIRE
Lettera dell’Iran del 22 maggio 2025 all’ONU: “Potenziali attacchi israeliani alle nostre infrastrutture”
Con una lettera datata il 22 maggio 2025 indirizzata al Segretario Generale e al Presidente del Consiglio di Sicurezza ONU, il Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Islamica dell’Iran Seyed Abbas Araghchi – tramite il Rappresentante Permanente della Repubblica Islamica dell’Iran presso le Nazioni Unite, Amir Saeid Iravani – avvertiva l’ONU di un potenziale attacco contro la sua nazione da parte di Israele. Cosa che poi si è verificata dopo qualche settimana. Scriveva Amir Saeid Iravani all’ONU: “Ho l’onore di trasmetterLe con la presente una lettera del 22 maggio 2025 di Seyed Abbas Araghchi, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Islamica dell’Iran, a Lei indirizzata in merito alle allarmanti notizie secondo cui il regime israeliano si starebbe preparando a lanciare un attacco contro impianti nucleari, infrastrutture e siti correlati della Repubblica Islamica dell’Iran, in flagrante violazione del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite e dello statuto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (cfr. allegato). Date le conseguenze catastrofiche che tali minacce comportano, il Ministro degli Esteri sottolinea che è solenne dovere del Consiglio di Sicurezza, in quanto organo delle Nazioni Unite a cui è affidata la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, rispondere con decisione e senza indugio. Il Ministro invita inoltre il Segretario Generale e il Consiglio di Sicurezza a condannare con fermezza e inequivocabilmente il regime israeliano per tali gravi violazioni, che rappresentano una seria minaccia alla pace e alla sicurezza regionale e internazionale e rischiano di innescare conseguenze di vasta portata e destabilizzanti. Le sarei grato se volesse far circolare la presente lettera e il suo allegato come documento del Consiglio di Sicurezza.” La lettera del Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Islamica dell’Iran Seyed Abbas Araghchi inizia dicendo: “Desidero richiamare la vostra attenzione sulle ripetute minacce del regime sionista di Israele di lanciare un attacco contro gli impianti nucleari pacifici della Repubblica Islamica dell’Iran. Nell’ultimo rapporto, pubblicato il 20 maggio 2025 dalla CNN e citando fonti ufficiali degli Stati Uniti, si afferma che – sulla base di informazioni di intelligence recentemente ottenute – il regime sionista si sta preparando a lanciare un attacco contro gli impianti, le infrastrutture e i siti nucleari della Repubblica Islamica dell’Iran.” La lettera dei diplomatici iraniani segue descrivendo la pericolosità di questi potenziali attacchi – verificatesi in questi giorni di giugno -, mettendo in chiaro che il programma nucleare civile iraniano è costantemente monitorato dall’AIEA. La lettere chiedeva la via diplomatica per impedire gli attacchi israeliani.   Lorenzo Poli
Gaza, Ministero della Salute: “Israele impedisce accesso e arrivo di carburante per ospedali. “Aiuti umanitari” sono trappole di morte”
Di seguito riportiamo l’urgente comunicato stampa del Ministero della Salute Palestinese di Gaza: • L’occupazione israeliana continua a impedire alle organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite l’accesso ai depositi di carburante destinati agli ospedali, con il pretesto che si trovano in zone rosse (pericolose). • L’ostruzione dell’arrivo delle forniture di carburante mette a rischio il funzionamento degli ospedali, che dipendono dai generatori elettrici per alimentare i reparti vitali (come terapie intensive, sale operatorie e pronto soccorso). • Le scorte di carburante attualmente disponibili negli ospedali basteranno solo per 3 giorni. Appello urgente ai nostri fratelli resistenti a Gaza: O figli del nostro fiero popolo, voi che avete dimostrato in ogni prova che la dignità vale più della vita… Vi supplichiamo, con amore e dolore: non andate verso le trappole di morte che chiamano falsamente “aiuti umanitari”. L’occupazione non tende la mano per misericordia, ma per tradimento… Ogni sacco di farina è diventato una trappola, ogni scatola di cibo un’esca letale. Gli ospedali sono saturi di feriti, e i loro corridoi risuonano delle voci dei martiri. Non c’è spazio per nuove vittime… Sì, conosciamo il dolore della fame, comprendiamo l’angoscia del bisogno… Ma l’occupazione non vuole nutrirvi, vuole colpirvi. Cerca di umiliarvi e uccidervi, non di salvarvi. Non lasciate che la fame vi conduca verso un destino tragico. Non date al nemico un’altra occasione per commettere un crimine alla luce del giorno. La vittoria arriva con la pazienza, e la vostra dignità e le vostre vite valgono più di un pane intriso di sangue. O Dio, proteggi il nostro popolo a Gaza e allontana da loro le trame degli oppressori e l’ingiustizia degli aggressori. Ministero della Salute 18 giugno 2025 Redazione Italia
Israele, se è uno Stato non-nucleare, aderisca al Trattato di Non-Proliferazione delle Armi Nucleari
Rafael Mariano Grossi che è il capo dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, è uno dei maggiori responsabili dell’attacco israeliano alle infrastrutture nucleari e al personale militare dell’Iran. L’attacco non sarebbe accaduto oggi senza il suo pronunciamento e le sue accuse rivolte all’Iran. Queste hanno fornito un pretesto ideale a Israele per attaccare. Grossi non ha mai alzato la voce contro Israele, che detiene armi nucleari illegalmente e si sottrae al controllo dell’agenzia internazionale da lui capitanata e alle ispezione del Trattato di Non-Proliferazione (TNP). Tra l’altro sono anche usciti dei documenti che dimostrano il collaborazionismo di Grossi con l’entità sionista. Israele, ad oggi, non conferma né nega di avere armi nucleari: una politica nota come “ambiguità nucleare”. Nonostante l’ambiguità, Israele è ampiamente considerato dotato di armi nucleari, con stime del suo arsenale di circa 90 testate o più, in grado di essere consegnate da missili, sottomarini e aerei. https://ilmanifesto.it/in-medio-oriente-un-nucleare-civile-diventato-bomba-ce-gia-quello-di-tel-aviv Sia il Qatar che il Kuwait hanno chiesto all’Agenzia internazionale per l’energia atomica AIEA di chiedere a Israele di firmare il Trattato di Non Proliferazione nucleare e di sottoporlo a monitoraggio dell’AIEA. Il Qatar ha chiesto che tutte le strutture nucleari israeliane siano sottoposte alle salvaguardie dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) e che Israele firmi il Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari (TNP) come Stato non-nucleare, se questo è ciò che afferma di essere. L’ambasciatore del Qatar e rappresentante permanente presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali a Vienna, Jassim Yacoup Al-Hammadi, ha dichiarato prima di una sessione del Consiglio dei governatori dell’AIEA nella capitale austriaca, che c’è “necessità che la comunità internazionale e le sue istituzioni mantengano i propri impegni in base alle risoluzioni di il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’AIEA e la Conferenza di revisione del TNP del 1995, che invitava Israele a sottoporre tutte le sue strutture nucleari alle salvaguardie dell’AIEA. ” Egli ha osservato che alcune di queste risoluzioni hanno esplicitamente esortato Israele ad ad aderire al TNP come Stato non-nucleare se la mancata conferma del suo programma nucleare è, in effetti, una negazione della sua esistenza. L’ambasciatore del Qatar ha sottolineato che tutti i Paesi del Medio Oriente, eccetto Israele, sono parti del TNP e hanno effettivi accordi di salvaguardia con l’Agenzia. Il Kuwait ha chiesto all’Agenzia internazionale per l’energia atomica di esortare Israele a aderire immediatamente al Trattato di Non Proliferazione Nucleare. In un discorso pronunciato dalla delegazione del Kuwait presso l’ONU, la delegazione ha dichiarato che l’occupazione israeliana si è rifiutata di sottoporre le sue strutture nucleari al sistema AIEA, nonostante l’impegno di tutti i Paesi del Medio Oriente al trattato. La delegazione, guidata da Sara Al-Ajmi, ha affermato che Israele ha continuato a respingere l’idea di creare una zona senza armi nucleari o armi di distruzione di massa nella regione. Inoltre bisogna ricordare che l’Iran ha ratificato il Trattato di Non-Proliferazione nel 1970 e il suo eventuale ritiro ha iniziato ad emergere nel dibattito politico iraniano nel 2020, all’indomani dell’assassinio mirato di scienziati nucleari da parte di Israele e sotto la pressione massima degli USA. Solo in quel momento erano state avanzate proposte di legge in tal senso, ma nessuna di esse è passata. Se l’AIEA critica l’Iran perché non è conforme, perché non approva una risoluzione per l’inadempienza di Israele? Perchè non invita nuovamente Israele ad aderire al Trattato di Non-proliferazione delle armi nucleari? È probabile che la precedente risoluzione dell’AIEA che critica l’Iran abbia dato a Israele un casus belli per attaccare l’Iran. Recentemente il direttore dell’AIEA – spinto da pressioni esterne – ha dichiarato che anche Israele ha violato le leggi internazionali, le convenzioni dell’AIEA e la Carta delle Nazioni Unite attaccando le strutture nucleari iraniane. Il direttore generale dell’AIEA Rafael Mariano Grossi ha rilasciato questa dichiarazione sugli attacchi di Israele all’Iran al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 13 giugno 2025: “Tutti questi sviluppi sono profondamente preoccupanti. Ho ripetutamente affermato che gli impianti nucleari non devono mai essere attaccati, indipendentemente dal contesto o dalle circostanze, poiché potrebbero danneggiare sia le persone che l’ambiente. Tali attacchi hanno gravi implicazioni per la sicurezza, la sicurezza e le salvaguardie nucleari, nonché per la pace e la sicurezza regionali e internazionali. ” A questo proposito, l’AIEA ricorda le numerose risoluzioni della Conferenza generale sul tema degli attacchi militari contro le strutture nucleari, in particolare GC(XXIX)/RES/444 e GC(XXXIV)/RES/533, che prevedono, tra l’altro, che “qualsiasi attacco armato e minaccia contro le strutture nucleari… costituisce una violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite, del diritto internazionale e dello Statuto dell’Agenzia”. Inoltre, l’AIEA ha costantemente sottolineato che “gli attacchi armati contro impianti nucleari potrebbero portare a rilascio radioattivo con gravi conseguenze all’interno e al di là dei confini dello Stato che è stato attaccato”, come affermato in GC(XXXIV)/RES/533. ” In ogni caso, oggi, sembra che sia consentito a solo un Paese al mondo di bombardare infrastrutture nucleari senza incorrere a punizioni, a condanne e a grida di scandalo nella comunità internazionale: Israele, guidato da Netanyahu. https://contropiano.org/news/internazionale-news/2025/06/15/il-nucleare-non-e-un-problema-solo-delliran-le-atomiche-israeliane-un-fattore-di-asimmetria-inaccettabile-0184113 > Israele. Netanyahu, ‘serve l’eliminazione fisica di Khamenei’ Lorenzo Poli