Perché la pressione di Israele ad annettere la Cisgiordania potrebbe segnare il punto di rottura del limite di sopportazione della GiordaniaPalestine Chronicle. Di Robert Inlakesh. Nella peggiore delle ipotesi, la
popolazione inizierebbe ad essere cacciata in Giordania il che, molto
semplicemente, si tradurrebbe nel rovesciamento del Regno Hascemita di
Giordania.
Il parlamento israeliano (Knesset) ha approvato un disegno di legge che prevede
un programma di annessione della Cisgiordania illegalmente occupata. La mossa
appare come il primo passo verso una catastrofica migrazione che potrebbe
rivelarsi ancora più destabilizzante per la regione di quanto lo sarebbe la
pulizia etnica di Gaza
I parlamentari israeliani hanno votato, con 71 voti a favore e 13 contrari, un
atto legislativo che cerca di dare il via alla completa annessione della
Cisgiordania. Dopo l’approvazione del disegno di legge, il presidente del
parlamento israeliano, Amir Ohana, ha così commentato:
“Questa è la nostra terra. Questa è la nostra casa La Terra di Israele
appartiene al popolo di Israele. Nel 1967 l’occupazione non iniziò, bensì finì e
la nostra patria ritornò ai suoi legittimi proprietari. Siano i primordiali
abitanti di questo territorio. Gli ebrei non possono essere gli “invasori” di
una terra che per 3000 anni è stata chiamata Giudea”.
Ohana ha anche chiesto che ci sia la confisca del territorio di Gaza,
un’opinione che è tutt’altro che marginale e proviene da un parlamentare del
partito del Likud, chiarendo che tali dichiarazioni non sono semplicemente
l’opinione dei funzionari eletti del partito religioso sionista, come il
ministro delle Finanze Bezalel Smotrich.
Anche la tempistica del voto non è una coincidenza dato che mentre i colloqui
per il cessate il fuoco a Gaza vanno avanti, l’annessione della Cisgiordania è
un punto all’ordine del giorno per il primo ministro israeliano Benjamin
Netanyahu il quale cerca di tenere unita la sua coalizione di governo.
Se si arrivasse ad un cessate il fuoco tra il governo israeliano e Hamas, la
promessa dell’annessione della Cisgiordania potrebbe bloccarsi mantenendo i
dissidenti all’interno della cerchia del governo di Netanyahu.
L’annessione funzionerà?
L’annessione della Cisgiordania non è più una questione di se, bensì di quando.
Una larga fetta dell’establishment politico guarda a questa questione come a una
questione della massima importanza, e la schiacciante maggioranza dei
parlamentari israeliani è pronta a sostenerla.
Quindi, la tempistica dipenderà dalla sua fattibilità politica, che è dettata
sia dalla politica americana che da quella israeliana. Dal lato americano, la
più ricca miliardaria di Israele ha finanziato la campagna di Trump con 100
milioni di dollari, in cambio del suo consenso all’annessione della
Cisgiordania.
In effetti, la campagna del presidente del partito repubblicano è stata
finanziata da miliardari sionisti di spicco, e questo spiega il motivo per cui
la sua amministrazione, da un punto di vista ideologico, non sembrerebbe fuori
posto nell’assumere un ruolo di comando a Tel Aviv
Il presidente statunitense Donald Trump non è semplicemente un oppositore a
parole della cosiddetta “soluzione dei due Stati” , ma ha anche cercato di
realizzare il disastroso “Affare del secolo” nel 2020. Questo accordo fallito in
partenza fu, in sostanza, un piano che aprì la strada all’annessione israeliana
di vasti territori della Cisgiordania, creando, nel contempo, piccole enclavi
simili a Gaza nel resto del territorio, dove l’autorità palestinese governerebbe
senza veri e propri confini o esercito. Quindi, da parte degli Stati Uniti, è
improbabile che ci sia molta resistenza. Di conseguenza, il principale fattore
determinante sarà la politica interna israeliana.
Se il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta veramente considerando un
cessate il fuoco a Gaza, questo potrebbe essere il momento perfetto per
preparare un piano d’annessione. Tuttavia ci sono una serie di misure che
dovrebbero essere adottate per attuare correttamente la linea politica
israeliana.
Alcuni ministri israeliani come Like Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir
potrebbero far passare l’imposizione de iure dell’annessione del territorio come
una questione semplice, tuttavia per gli attori politici e militari più accorti,
dietro le quinte di nasconderebbero potenziali insidie.
Questo è il motivo per cui la strategia implicita usata in Cisgiordania è stata
di imporre gradualmente nel tempo la dominazione degli occupanti, il che può
essere spiegato dal vecchio proverbio della rana bollita. La teoria è che
gettare la rana nell’acqua bollente scatenerebbe una reazione immediata per cui
salterebbe fuori per salvarsi; all’opposto, mettendo la rana nell’acqua e
aumentando gradualmente il calore, l’anfibio verrebbe intrappolato.
I palestinesi della Cisgiordania sono stati sottoposti alla strategia della rana
bollita per decenni attraverso la lenta invasione degli insediamenti e le
espropriazioni di terreni con una limitata attività militare. Se all’improvviso
Israele decidesse di annettere l’intero territorio e costringesse la popolazione
ad andarsene, questo desterebbe una rivolta e una resistenza su larga scala.
Tuttavia, fin qui, Israele è riuscita a sottomettere con successo la popolazione
della Cisgiordania occupata, e sarebbe un grave errore dal suo punto di vista
spazzar via tutto il lavoro svolto in un colpo solo.
Molto probabilmente, invece, ci sarà un tentativo di annessione di porzioni di
terra della cosiddetta Area C della Cisgiordania, equivalente al 60% della
superficie totale e casa di 350.000 palestinesi.
Le altre due porzioni di terra, che ne costituiscono poco meno del 40% (a causa
degli insediamenti, espropriazioni di mura e territori), sono chiamate Area A e
B, che ospitano la maggior parte dei 3,2 milioni di palestinesi della
Cisgiordania.
Per contestualizzare, il modello delle aree A, B e C fu un prodotto degli
accordi di Oslo tra l’Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP) e
Israele degli anni novanta.
L’Area C è sotto il pieno controllo militare di Israele, mentre l’Area B è sotto
il controllo amministrativo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Poi c’è
l’Area A che costituisce la porzione più piccola del territorio che dovrebbe
essere sotto il pieno controllo amministrativo e di sicurezza dell’Autorità
Nazionale Palestinese.
Di sicuro, non è così che funzionano le cose. In pratica, L’Autorità Nazionale
Palestinese, in effetti, agisce come prestatore d’opera per l’esercito occupante
e svolge il lavoro sporco al suo posto. Nell’area più densamente popolata dei
territorio, l’Autorità Nazionale Palestinese svolge anche il compito di
reprimere la resistenza.
A parte questo, tutte le serie proposte di annessione del passato si erano
focalizzate sull’appropriazione della regione della Valle del Giordano – situata
nell’area C – includendo, al contempo, anche l’intenzione di dichiarare
formalmente annessi i principali insediamenti illegali. Tuttavia, più di
recente, i nuovi arrivati sono diventati molto più avidi e spingono per un
accaparramento totale dell’Area C, oltre ad alcune parti dell’Area B.
Se le proposte iniziali di annessione coincidessero con la tabella di marcia
stabilita, allora ciò significherebbe che Israele sarebbe costretto o a dare o
la cittadinanza a decine di migliaia di palestinesi, garantendo il documento
d’identità come nel caso dei palestinesi che vivono nella Gerusalemme occupata,
o a procedere con la pulizia etnica.
In caso di approccio massimalista, si parlerebbe di un programma di espulsione
di massa di centinaia di migliaia di persone che potrebbero scegliere o di
fuggire in Giordania o di andare nelle aree controllate dall’Autorità Nazionale
Palestinese.
In entrambi i casi, alla fine si arriverà al collasso dell’Autorità Nazionale
Palestinese. Questo è sempre stato il fine ultimo: portare a termine la pulizia
etnica dei Territori occupati nel 1967 una volta per tutte, cosa che gli
israeliani hanno chiaramente in mente.
Molti analisti hanno ipotizzato che la strategia di annessione di Tel Aviv
innescherà una Terza Intifada nella Cisgiordania. Lo sviluppo di questa
prospettiva si basa su una serie di supposizioni, che possono o meno condurre
alle conclusioni delineate.
La popolazione della Cisgiordania non si è mossa di un centimetro, come
comunità, sin dall’inizio del genocidio di Gaza. Anzi, quando i campi profughi
di Jenin e Nour al-Shams sono stati bombardati e le persone costrette ad
andarsene e i massacri di civili sono continuati per tutti gli ultimi 22 mesi,
il resto della Cisgiordania non ha fatto niente.
Ma perché? E’ molto semplice. La rana che bolle in pentola è proprio la
popolazione della Cisgiordania.
Tanto per cominciare, centinaia di migliaia di palestinesi nella Cisgiordania
lavorano per le aziende israeliane e molti di loro praticamente vivono negli
insediamenti costruiti sopra la propria terra.
Inoltre, in Cisgiordania, non c’è una vera leadership palestinese, poiché
l’Autorità Nazionale Palestinese è alle dipendenze di Israele e degli USA, e,
una larga fetta della popolazione della Cisgiordania è pagata dall’Autorità
Nazionale Palestinese.
Tenendo presente queste due cose, una grande parte della popolazione dipende
dagli occupanti israeliani e dai loro subappaltatori per mantenere il loro
tenore di vita.
Poi c’è la pletora delle ONG occidentali che lavorano nei Territori occupati,
dando sovvenzioni condizionate ai palestinesi per tutto, dalla coltivazione di
ortaggi, all’emancipazione femminile o qualcosa di tanto innocuo come il
sollevamento pesi.
E’ così che l’Unione Europea, il Regno Unito e gli Stati Uniti sono riusciti a
“ongizzare” il territorio, cambiandolo anche a livello culturale, e plasmando
il modo in cui la gente vede la resistenza e allontanando i propri obiettivi
dalla liberazione della patria.
Se, come palestinese, vuoi ottenere una sovvenzione dalle organizzazioni
internazionali, per qualsiasi scopo, ci sono dei paletti da rispettare. Inoltre,
quello che fanno queste ONG è anche mettere l’uno contro l’altro città, campi
profughi e tribù riguardo a questioni come l’accesso, lo status, i viaggi e il
denaro.
Senza menzionare ciò che è forse la peggiore forma di tranello, cioè prestiti e
carte di credito. Ebbene sì, nella Cisgiordania ai palestinesi vengono erogati
prestiti quasi senza alcuna restrizione. Perché? Perché possano rimanere
intrappolati in un mare di debiti dai quali non potranno mai liberarsi.
Oltre a ciò, l’accesso ai grandi prestiti e alle carte di credito è stato
affiancato da una invasione di autovetture straniere e dalla diffusione della
cultura del caffè. In altre parole, i giovani, facilmente influenzabili, vengono
indotti a preoccuparsi di cose materiali, come le auto, i vestiti o le borse, a
inseguire dunque i beni materiali piuttosto che a preoccuparsi di resistere
all’occupazione.
Com’è possibile tutto ciò quando le persone sono circondate da checkpoints, sono
sotto la minaccia del fuoco dei soldati invasori, assistono all’invasione delle
loro case, come se ciò fosse una normale prassi e sopportano la violenza dei
coloni? E’ molto semplice, le persone hanno finito per accettare la loro realtà
e scelgono di concentrarsi sulle distrazioni, dicendo a loro stessi che il
prezzo della resistenza è troppo alto.
Nonostante tutto ciò, ci sono ancora molti palestinesi della Cisgiordania che si
rifiutano di prostrarsi e cercano di resistere. Questo, spesso, si traduce in
attacchi contro soldati o coloni illegali, da parte di lupi solitari, o nella
formazione di piccoli gruppi di resistenza in tutto il territorio. Quasi ogni
palestinese sostiene queste coraggiose persone, ma la maggior parte si rifiuta
di seguire il loro esempio a causa dell’immenso costo.
Allora, è tutto inutile? Assolutamente no. Una rivolta è sempre possibile e la
popolazione della Cisgiordania oggi viene schiacciata in un modo che non si era
visto dalla Seconda Intifada.
Tuttavia, la causa scatenante per una mobilitazione è relativamente
imprevedibile. Potrebbe praticamente essere qualsiasi cosa. Tuttavia, se
l’Autorità Nazionale Palestinese dovesse cadere, probabilmente ciò accelererebbe
il processo. Nel caso in cui ciò dovesse succedere, allora la popolazione così
divisa dovrà affrontare importanti sfide poiché non dispone di un esercito ben
addestrato né di una resistenza armata come quella di Gaza.
Nella peggiore delle ipotesi, la popolazione sarebbe espulsa e mandata in
Giordania che, molto probabilmente, si tradurrebbe nella caduta del Regno
Hashemita, non da ultimo a causa del peso economico e sociale che una pulizia
etnica di massa causerebbe.
La caduta della Giordania porterebbe inevitabilmente i gruppi di resistenza a
utilizzarla come trampolino di lancio per l’azione contro Israele.
Traduzione per InfoPal di Elena Pelliccia