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NYT: “Israele” sfrutta la guerra a Gaza per impadronirsi delle terre in Cisgiordania
New York – Al Mayadeen. Un editoriale pubblicato giovedì sul New York Times da Philip H. Gordon, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Kamala Harris, ha lanciato l’allarme sull’accelerazione dell’annessione delle terre palestinesi in Cisgiordania da parte di Israele, un progetto che, secondo lui, seppellirebbe la prospettiva di uno Stato palestinese e aggraverebbe lo status di paria di “Israele” a livello mondiale. Mentre lo sguardo del mondo resta fisso sull’assalto devastante a Gaza, Gordon avverte che il governo israeliano sta sfruttando il caos per portare avanti un’agenda coloniale in Cisgiordania. Sottolinea che le figure dell’estrema destra nella coalizione di Benjamin Netanyahu, incoraggiate dall’indifferenza statunitense, stanno cogliendo il momento per consolidare un controllo permanente su territori che appartengono ai palestinesi. Da decenni, i palestinesi vedono la loro terra essere costantemente erosa dagli insediamenti. La popolazione dei coloni, osserva Gordon, è cresciuta fino a circa 740.000 persone a fronte delle appena 10.000 degli anni ’70, e solo nell’ultimo anno sono stati istituiti oltre 100 nuovi avamposti. L’ultimo punto critico è il piano E1, definito un insediamento “apocalittico” dagli avvocati della soluzione dei due Stati, che separerebbe fisicamente Gerusalemme Est dalle città palestinesi come Ramallah e Betlemme. Il ministro delle Finanze di Israele, Bezalel Smotrich, ha ammesso senza mezzi termini che il progetto “seppellisce l’idea di uno Stato palestinese”, mentre Netanyahu ha dichiarato: “Adempiremo alla nostra promessa che non ci sarà uno Stato palestinese. Questo posto appartiene a noi”. Violenza dei coloni protetta. L’espansione non è guidata solo dalla burocrazia, ma anche dall’aumento della violenza dei coloni. I palestinesi subiscono intimidazioni sistematiche: raccolti distrutti, auto incendiate, interruzioni d’acqua e omicidi. L’ONU ha registrato oltre 1.000 episodi solo quest’anno, il numero più alto da quando il monitoraggio è iniziato, nel 2006. Gordon mette in evidenza il caso del colono radicale Yinon Levi, ripreso in un video mentre sparava all’attivista Awdah Hathaleen. Israele ha ritardato la restituzione del corpo di Hathaleen per più di una settimana, mentre Levi è stato rapidamente rilasciato da un tribunale per “insufficienza di prove”. Il ruolo degli Stati Uniti è centrale. A differenza delle amministrazioni precedenti, la squadra di Trump ha offerto copertura alla campagna di annessione di Israele. Il Segretario di Stato, Marco Rubio, ha descritto l’annessione come “non definitiva”, mentre l’ambasciatore Mike Huckabee ha dichiarato che gli Stati Uniti “non hanno mai chiesto a Israele di non applicare la sovranità” in Cisgiordania. Washington ha anche revocato le sanzioni contro i gruppi di coloni violenti e vietato ai leader dell’Autorità Palestinese, compreso Mahmoud Abbas, di partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Espansione dell’apartheid. Secondo Gordon, solo un’azione internazionale coordinata può fermare l’espansione dell’apartheid di Israele”. Gli Emirati Arabi Uniti hanno già avvertito che l’annessione rappresenta una “linea rossa”, mentre Francia e Arabia Saudita stanno portando la questione all’ONU. La scelta, conclude Gordon, è chiara: Israele può mantenere i legami con la comunità internazionale oppure perseguire il dominio sui palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania, ma non entrambe le cose.
Le autorità israeliane radono al suolo 40 case palestinesi nel Negev
Negev/Naqab. Mercoledì mattina, le autorità israeliane hanno demolito 40 case palestinesi nel villaggio arabo di al-Sir, nel deserto del Negev, provocando scontri con i residenti in protesta. Video diffusi sui social media hanno mostrato le forze di polizia sparare candelotti di gas lacrimogeno e granate stordenti contro folle di manifestanti arabi e aggredirli. Il membro della Knesset, Samir bin Said, del Movimento Arabo per il Cambiamento, ha dichiarato che la polizia “ha usato violenza contro i residenti e li ha attaccati con bombe assordanti e gas lacrimogeni”, cosa che ha lasciato diverse persone ferite. Ha aggiunto che alcuni dei manifestanti hanno riportato ferite e sono stati trasportati in ospedale. “Non possiamo accettare una politica di sfollamento delle persone dalle loro case e di tentativo di sradicarle dalla loro terra”, ha affermato il parlamentare, sottolineando che le famiglie del Negev hanno un diritto umano fondamentale a vivere con dignità sulla propria terra. La scorsa settimana, le autorità israeliane hanno demolito 30 case nello stesso villaggio e, secondo fonti locali, quasi altre 200 abitazioni restano minacciate di demolizione. Il governo israeliano classifica circa 40 villaggi del deserto del Negev come “non riconosciuti”, sostenendo che i circa 55.000 beduini palestinesi che vi abitano non possono dimostrare la proprietà della terra.
Le IOF impediscono ai palestinesi di recarsi a scuola in Cisgiordania e Gerusalemme
Cisgiordania. Lunedì mattina, le forze di occupazione israeliano (IOF) hanno impedito agli studenti e agli insegnanti palestinesi di recarsi nelle loro scuole in Cisgiordania e a Gerusalemme. Secondo fonti mediatiche e locali, le IOF hanno bloccato gli autobus che trasportavano studenti dal campo profughi di Shuafat, a nord di Gerusalemme, verso le loro scuole. Le fonti hanno riferito che centinaia di studenti di Shuafat sono stati trattenuti al mattino all’ingresso del campo, dove si trova un posto di blocco delle IOF. A Tubas, le forze israeliane ai checkpoint di Hamra e Tayasir hanno impedito a centinaia di insegnanti di raggiungere le loro scuole. Hanno, inoltre, vietato agli autobus di prelevare gli studenti nelle aree beduine della Valle del Giordano settentrionale. Il direttore dell’istruzione a Tubas ha riferito che decine di studenti provenienti da villaggi beduini stavano aspettando i loro autobus lungo le strade principali per poter raggiungere le scuole. Nella zona est di Nablus, i soldati israeliani hanno intercettato gli studenti del villaggio di Rujeib mentre si recavano nelle scuole, al mattino, e li hanno costretti a fermarsi lungo la strada. Nel frattempo, le IOF hanno chiuso l’ingresso principale della città di Turmus Ayya, nel nord di Ramallah, ostacolando il movimento di migliaia di cittadini. (Fonti: PIC, Quds News).
Colpo di grazia allo Stato palestinese: Israele avanza un piano di insediamento per dividere la Cisgiordania
Complessi di insediamenti israeliani illegali nella Cisgiordania occupata. (Foto d’archivio) Press TV. Israele ha dato l’approvazione definitiva a un progetto di insediamento illegale in Cisgiordania che taglierebbe di fatto in due il territorio occupato e potrebbe distruggere le speranze di un futuro Stato palestinese. In una riunione di mercoledì, un comitato israeliano per gli insediamenti ha approvato il cosiddetto progetto E1, che prevede la costruzione di circa 3.500 unità di coloni tra Gerusalemme e l’insediamento di Ma’ale Adumim nella Cisgiordania occupata. Il progetto mira a dividere la Cisgiordania occupata in due parti, isolando le città settentrionali di Ramallah e Nablus da Betlemme e al Khalil/Hebron a sud, e isolando Gerusalemme Est. Il ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich ha salutato la decisione come un passo significativo per consolidare la presa di Israele sui Territori palestinesi occupati. “Lo stato palestinese viene cancellato dal tavolo non con slogan ma con fatti”, ha dichiarato mercoledì Smotrich, lui stesso un colono. “Ogni insediamento, ogni quartiere, ogni unità abitativa è un altro chiodo nella bara di quest’idea pericolosa”. Peace Now, un’organizzazione israeliana che monitora l’espansione degli insediamenti nella Cisgiordania occupata, ha descritto il progetto come un “colpo da KO” alla soluzione a due stati, avvertendo che dividerebbe in due la Cisgiordania e isolerebbe ulteriormente  Gerusalemme Est. “L’insediamento in E1 non ha altro scopo che sabotare una soluzione politica”, ha affermato l’organizzazione. “Mentre il consenso tra i nostri amici nel mondo è di lottare per la pace e una soluzione a due stati, un governo che da tempo ha perso la fiducia del popolo sta minando gli interessi israeliani, e noi tutti ne stiamo pagando il prezzo”, ha dichiarato Peace Now. Rapporto: l’era Netanyahu vede un aumento del 40% degli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata. Secondo un rapporto, il numero degli insediamenti israeliani illegali nella Cisgiordania occupata è aumentato del 40% dall’insediamento dell’amministrazione del primo ministro Benjamin Netanyahu. La scorsa settimana, Breaking the Silence, un’organizzazione israeliana per i diritti umani, ha definito il piano un furto di terra, che “non solo frammenterà ulteriormente il territorio palestinese, ma consoliderà ulteriormente l’apartheid”. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu respinge l’idea di uno stato palestinese accanto all’entità israeliana e ha dichiarato di mantenere un controllo illimitato sulla Cisgiordania occupata, su Gerusalemme Est occupata e su Gaza. Ben-Gvir promette di espandere gli insediamenti israeliani mentre il Procuratore della Corte Penale Internazionele prepara un mandato d’arresto. In precedenza, i media avevano indicato che il procuratore della CPI, Karim Khan, aveva preparato mandati d’arresto per Ben Gvir. Gli osservatori affermano che il rinnovato impulso al progetto per l’ insediamento sembra essere una risposta ai recenti annunci di alcuni paesi, tra cui Regno Unito, Francia e Australia, di riconoscere la Palestine come  stato durante le riunioni dell’Assemblea Generale dell’ONU di settembre. Secondo il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, durante la riunione di mercoledì, una sottocommissione per gli insediamenti ha anche avanzato un piano per costruire altre 342 unità nell’insediamento di Asahel,  a est e ovest del monte al-Khalil. Nonostante la condanna internazionale e le crescenti richieste per fermare le attività di insediamento, l’espansione israeliana non mostra segni di rallentamento. Questi insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale e rappresentano un ostacolo significativo ai negoziati. Nel luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ha dichiarato illegale l’occupazione decennale della Palestina storica da parte di Israele. La ICJ ha chiesto l’evacuazione di tutti gli insediamenti esistenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Le incessanti attività di costruzione di insediamenti da parte di Israele. Il dibattito sugli insediamenti israeliani illegali nella Cisgiordania occupata si sta intensificando. L’8 agosto, il gabinetto di guerra israeliano ha approvato un piano militare per prendere  la città di Gaza e rafforzare la presa sulla Striscia assediata, che è stata bombardata senza sosta dall’inizio della guerra genocida, il 7 ottobre 2023. Negli ultimi 22 mesi, il regime israeliano ha ucciso quasi 62.122 Palestinesi e ne ha feriti 156.758, la maggior parte dei quali bambini e donne. Traduzione per InfoPal di Edy Meroli
Nuovo progetto di insediamento israeliano sfollerà 7.000 palestinesi nella Cisgiordania occupata
Cisgiordania. Un nuovo progetto di insediamento israeliano provocherà lo sfollamento forzato di circa 7.000 residenti palestinesi nella Cisgiordania occupata, ha avvertito lunedì l’Ufficio del Governatore di Gerusalemme, secondo quanto riportato da Anadolu. La scorsa settimana, il ministro delle Finanze israeliano di estrema destra Bezalel Smotrich, che sovrintende anche alle attività di insediamento presso il ministero della Difesa, ha approvato i piani per la costruzione di oltre 6.900 unità abitative per coloni all’interno e nei dintorni dell’insediamento di Ma’ale Adumim. Smotrich ha affermato che il progetto E1 mira a collegare Ma’ale Adumim a Gerusalemme e a interrompere la continuità territoriale palestinese tra Ramallah e Betlemme. In una dichiarazione, l’Ufficio del Governatore di Gerusalemme ha precisato che 22 comunità beduine dell’area sarebbero direttamente colpite dal progetto di insediamento. Definendo l’iniziativa un piano coloniale israeliano, l’ufficio ha avvertito che il progetto isolerebbe le comunità di Jabal al-Baba e Wadi Jamil dalla vicina città di Al-Eizariya. Le Nazioni Unite hanno costantemente considerato gli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi occupati illegali secondo il diritto internazionale e un grave ostacolo a una soluzione a due stati. Secondo i media israeliani, la decisione di Israele di rilanciare il progetto E1 dovrebbe aumentare le tensioni con i palestinesi e con la comunità internazionale. Peace Now, un’organizzazione israeliana per i diritti umani, ha definito il piano un “colpo mortale” alla soluzione a due stati, avvertendo che dividerebbe in due la Cisgiordania e isolerebbe ulteriormente Gerusalemme Est. Secondo gli osservatori, il rinnovato impulso al progetto sembra essere una risposta ai recenti annunci di Paesi come Regno Unito, Francia e Australia, che intendono riconoscere lo Stato di Palestina durante le riunioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di settembre. I palestinesi ribadiscono che Gerusalemme Est rimane la capitale del loro futuro Stato, richiamandosi alle risoluzioni internazionali che respingono l’occupazione israeliana del 1967 e la successiva annessione della città nel 1980. Dall’inizio del secondo anno della guerra israeliana a Gaza, nell’ottobre 2023, almeno 1.014 palestinesi sono stati uccisi e oltre 7.000 feriti in Cisgiordania dalle forze israeliane e dai coloni illegali, secondo il ministero della Sanità palestinese. Nel luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia ha dichiarato illegale l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi in un parere consultivo, sollecitando l’evacuazione di tutti gli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. (Fonti: MEMO, Anadolu, Quds News). Traduzione per InfoPal di F.L.
La Gran Bretagna ha imposto una carestia all’Irlanda, ora sta prendendo parte al genocidio di Gaza
The Electronic Intifada. Di David Cronin. Le persone sepolte nel Cimitero dei Poveri non compaiono nelle storie dell’Impero Britannico. Un visitatore non conoscerà i loro nomi, saprà solo che appartenevano ai “poveri, diseredati, handicappati e indigenti di Wexford”, come recita un’iscrizione sotto una croce celtica. Molti avevano vissuto e erano morti nell’ospizio di questa città sulla costa sud-orientale dell’Irlanda. L’ospizio fu istituito nel 1845, l’anno in cui iniziò la Grande Carestia d’Irlanda. L’ospizio era, di fatto, una prigione per i poveri. I detenuti venivano separati dalle loro famiglie e costretti a lavorare duramente per 11 ore al giorno. La logica alla base di condizioni estremamente dure era che solo i più disperati avrebbero cercato aiuto – se questa è la parola giusta – da un’istituzione del genere. Mentre passeggiavo per il Cimitero dei Poveri a Wexford all’inizio di questa settimana, ho pensato a Refaat Alareer, l’eloquente e coraggioso studioso palestinese assassinato da Israele nel dicembre 2023. Refaat ha tracciato parallelismi tra Palestina e Irlanda. Nell’ottobre 2023 ha pubblicato sui social media che usava per informare gli studenti di come “la Gran Bretagna abbia contribuito ad aggravare la carestia irlandese avvenuta 170 anni fa”, prima di osservare che “gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno aiutando Israele a far morire di fame i palestinesi a Gaza”. Il mese successivo, ha scritto che “la carestia è un’arma puramente europea nei tempi moderni”, citando l’esempio dell’Irlanda e del Bengala. > I used to angrily tell my student how Britain helped exacerbate the Irish > Famine that happened 170 years ago. Can you imagine people starving in the > 1840s?! > Well, the US/UK are helping Israel starve Palestinians in Gaza. > People are literally slimming down and it shows on their… > pic.twitter.com/7Rjv4zhHsN > > — Refaat in Gaza 🇵🇸 (@itranslate123) October 22, 2023 Ho pensato anche a Donald Trump – lo ammetto, è difficile non pensarci. Tra una partita a golf e l’altra dello scorso fine settimana, il presidente degli Stati Uniti si è lamentato del fatto che nessuno abbia espresso apprezzamento per gli aiuti americani a Gaza. Trump – intenzionalmente o meno – ha attribuito connotazioni negative al termine “umanitario”. Mentre un tempo il termine era associato all’altruismo e alla compassione, ora è indissolubilmente legato alla Gaza Humanitarian Foundation, che promette aiuti ai palestinesi che poi vengono massacrati quando vanno a cercarli. Questo, a quanto pare, è l’aiuto “umanitario” finanziato dagli Stati Uniti per il quale Trump si aspetta di essere ringraziato. Grati per le briciole? L’idea che un popolo affamato debba essere grato quando i suoi oppressori gli gettano qualche briciola non è nuova. Nel 1848, il quotidiano The Yorkshireman descrisse le presunte misure di soccorso della Gran Bretagna per la carestia irlandese come “doni d’oro” versati “in grembo al popolo scontento e infelice”. La Gran Bretagna si era fatta avanti “magnanimamente”, secondo il giornale, solo per incontrare la “più profonda ingratitudine” da parte degli irlandesi. Refaat Alareer ha giustamente sottolineato che la Gran Bretagna ha aggravato la carestia in Irlanda. Quando il raccolto di patate fallì nel 1845, gli inglesi inizialmente fecero in modo che il mais venisse importato in Irlanda dall’America. Le importazioni furono interrotte dopo che John Russell del Partito Liberale sostituì Robert Peel dei Conservatori come Primo Ministro nel 1846. I Liberali decisero che la quantità di cibo importata in Irlanda dovesse essere determinata dalle forze di mercato. Riempire le casse di mercanti e produttori di grano era un imperativo politico. Le pance degli irlandesi si svuotarono. La carestia che affligge Gaza è il risultato di una politica deliberata. Le agenzie internazionali hanno una grande riserva di cibo stazionata accanto e in prossimità dei valichi controllati da Israele. Per diversi mesi, Israele ha bloccato la consegna di tali aiuti. Il nuovo annuncio di Israele di sospendere “l’attività militare” per 10 ore al giorno in alcune zone di Gaza – formalmente per facilitare la consegna degli aiuti – non attenua la sua colpevolezza. Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, è ancora ufficialmente ricercato dalla Corte penale internazionale per aver usato la fame come arma di guerra. Anche gli irlandesi furono deliberatamente derubati di cibo negli anni ’40 dell’Ottocento. Invece di essere utilizzati per soddisfare i bisogni del paese, grano, burro, pesce e bestiame furono esportati in grandi quantità dall’Irlanda in quel periodo. Molte delle spedizioni avvenivano sotto scorta armata. Incanalare la rabbia irlandese. La Convenzione delle Nazioni Unite sul Genocidio entrò in vigore quasi un secolo dopo la Grande Carestia irlandese. Ciò nonostante, è inconfutabile che la crisi alimentare imposta all’Irlanda abbia implicato un genocidio, nel senso odierno del termine: l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, religioso o razziale. La sofferenza degli irlandesi fu “causata dalla loro stessa malvagità e follia”, sosteneva l’Economist nel 1846. Morte di fame per milioni di palestinesi “potrebbe essere giusto e morale”, dichiarò nell’agosto del 2024 Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze israeliano, lamentando che “il mondo non ce lo permetterà”. La protesta di Smotrich era inutile. Gli stati più potenti del mondo hanno permesso a Israele di farla franca causando fame di massa, così come hanno permesso a Israele di commettere massacri su massacri e distruggere quasi tutte le infrastrutture civili di Gaza. Tra gli stati più potenti del mondo c’è la Gran Bretagna. La Grande Carestia degli anni ’40 e ’50 dell’Ottocento non fu l’ultima crisi di fame in Irlanda. Livelli elevati di fame si verificarono nuovamente negli anni ’70 e ’90 dell’Ottocento, un decennio che iniziò con Arthur James Balfour a capo dell’amministrazione coloniale britannica in Irlanda. In seguito, nella sua veste di Ministro degli Esteri, egli emanò la Dichiarazione Balfour del 1917. Attraverso di essa, la Gran Bretagna divenne lo sponsor imperiale della colonizzazione sionista in Palestina. Oggi la Gran Bretagna è direttamente coinvolta in un genocidio. I voli della Royal Air Force su Gaza, che decollano da una base “sovrana” britannica a Cipro, vengono utilizzati per fornire “intelligence” a Israele mentre massacra i palestinesi affamati. Gli irlandesi provano ancora rabbia nei confronti dello stato britannico – non, ci tengo ad aggiungere, nei confronti della gente comune britannica. Abbiamo ragione di essere arrabbiati. Dimenticare i crimini della Gran Bretagna sarebbe un affronto ai nostri antenati. Come l’Irlanda, la Palestina è vittima della perfidia della Gran Bretagna. Il modo più produttivo per incanalare la nostra rabbia oggi è chiedere la libertà della Palestina. Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice
Perché la pressione di Israele ad annettere la Cisgiordania potrebbe segnare il punto di rottura del limite di sopportazione della Giordania
Palestine Chronicle. Di Robert Inlakesh. Nella peggiore delle ipotesi, la popolazione inizierebbe ad essere cacciata in Giordania il che, molto semplicemente, si tradurrebbe nel rovesciamento del Regno Hascemita di Giordania. Il parlamento israeliano (Knesset) ha approvato un disegno di legge che prevede un programma di annessione della Cisgiordania illegalmente occupata. La mossa appare come il primo passo verso una catastrofica migrazione che potrebbe rivelarsi ancora più destabilizzante per la regione di quanto lo sarebbe la pulizia etnica di Gaza I parlamentari israeliani hanno votato, con 71 voti a favore e 13 contrari, un atto legislativo che cerca di dare il via alla completa annessione della Cisgiordania. Dopo l’approvazione del disegno di legge, il presidente del parlamento israeliano, Amir Ohana, ha così commentato: “Questa è la nostra terra. Questa è la nostra casa La Terra di Israele appartiene al popolo di Israele. Nel 1967 l’occupazione non iniziò, bensì finì e la nostra patria ritornò ai suoi legittimi proprietari. Siano i primordiali abitanti di questo territorio. Gli ebrei non possono essere gli “invasori” di una terra che per 3000 anni è stata chiamata Giudea”. Ohana ha anche chiesto che ci sia la confisca del territorio di Gaza, un’opinione che è tutt’altro che marginale e proviene da un parlamentare del partito del Likud, chiarendo che tali dichiarazioni non sono semplicemente l’opinione dei funzionari eletti del partito religioso sionista, come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. Anche la tempistica del voto non è una coincidenza dato che mentre i colloqui per il cessate il fuoco a Gaza vanno avanti, l’annessione della Cisgiordania è un punto all’ordine del giorno per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il quale cerca di tenere unita la sua coalizione di governo. Se si arrivasse ad un cessate il fuoco tra il governo israeliano e Hamas, la promessa dell’annessione della Cisgiordania potrebbe bloccarsi mantenendo i dissidenti all’interno della cerchia del governo di Netanyahu. L’annessione funzionerà? L’annessione della Cisgiordania non è più una questione di se, bensì di quando. Una larga fetta dell’establishment politico guarda a questa questione come a una questione della massima importanza, e la schiacciante maggioranza dei parlamentari israeliani è pronta  a sostenerla. Quindi, la tempistica dipenderà dalla sua fattibilità politica, che è dettata sia dalla politica americana che da quella israeliana. Dal lato americano, la più ricca miliardaria di Israele ha finanziato la campagna di Trump con 100 milioni di dollari, in cambio del suo consenso all’annessione della Cisgiordania. In effetti, la campagna del presidente del partito repubblicano è stata finanziata da miliardari sionisti di spicco, e questo spiega il motivo per cui la sua amministrazione, da un punto di vista ideologico, non sembrerebbe fuori posto nell’assumere un ruolo di comando a Tel Aviv Il presidente statunitense Donald Trump non è semplicemente un oppositore a parole della cosiddetta “soluzione dei due Stati” , ma ha anche cercato di realizzare il disastroso “Affare del secolo” nel 2020. Questo accordo fallito in partenza fu, in sostanza, un piano che aprì la strada all’annessione israeliana di vasti territori della Cisgiordania, creando, nel contempo, piccole enclavi simili a Gaza nel resto del territorio, dove l’autorità palestinese governerebbe senza veri e propri confini o esercito. Quindi, da parte degli Stati Uniti, è improbabile che ci sia molta resistenza. Di conseguenza, il principale fattore determinante sarà la politica interna israeliana. Se il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta veramente considerando un cessate il fuoco a Gaza, questo potrebbe essere il momento perfetto per preparare un piano d’annessione. Tuttavia ci sono una serie di misure che dovrebbero essere adottate per attuare correttamente la linea politica israeliana. Alcuni ministri israeliani come Like Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir potrebbero far passare l’imposizione de iure dell’annessione del territorio come una questione semplice, tuttavia per gli attori politici e militari più accorti, dietro le quinte di nasconderebbero potenziali insidie. Questo è il motivo per cui la strategia implicita usata in Cisgiordania è stata di imporre gradualmente nel tempo la dominazione degli occupanti, il che può essere spiegato dal vecchio proverbio della rana bollita. La teoria è che gettare la rana nell’acqua bollente scatenerebbe una reazione immediata per cui  salterebbe fuori per salvarsi; all’opposto, mettendo la rana nell’acqua e aumentando gradualmente il calore,  l’anfibio verrebbe intrappolato. I palestinesi della Cisgiordania sono stati sottoposti alla strategia della rana bollita per decenni attraverso la lenta invasione degli insediamenti e le espropriazioni di terreni con una limitata attività militare. Se all’improvviso Israele decidesse di annettere l’intero territorio e costringesse la popolazione ad andarsene, questo desterebbe una rivolta e una resistenza su larga scala. Tuttavia, fin qui, Israele è riuscita a sottomettere con successo la popolazione della Cisgiordania occupata, e sarebbe un grave errore dal suo punto di vista spazzar via tutto il lavoro svolto in un  colpo solo. Molto probabilmente, invece, ci sarà un tentativo di annessione di porzioni di terra della cosiddetta Area C della Cisgiordania, equivalente al 60% della superficie totale e casa di 350.000 palestinesi. Le altre due porzioni di terra, che ne costituiscono poco meno del 40% (a causa degli insediamenti, espropriazioni di mura e territori), sono chiamate Area A e B, che ospitano la maggior parte dei 3,2 milioni di palestinesi della Cisgiordania. Per contestualizzare, il modello delle aree A, B e C fu un prodotto degli accordi di Oslo tra l’Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP) e Israele degli anni novanta. L’Area C è sotto il pieno controllo militare di Israele, mentre l’Area B è sotto il controllo amministrativo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Poi c’è l’Area A che costituisce la porzione più piccola del territorio che dovrebbe essere sotto il pieno controllo amministrativo e di sicurezza dell’Autorità Nazionale  Palestinese. Di sicuro, non è così che funzionano le cose. In pratica, L’Autorità Nazionale Palestinese, in effetti, agisce come prestatore d’opera per l’esercito occupante e svolge il lavoro sporco al suo posto. Nell’area più densamente popolata dei territorio, l’Autorità Nazionale Palestinese svolge anche il compito di reprimere la resistenza. A parte questo, tutte le serie proposte di annessione del passato si erano focalizzate sull’appropriazione della regione della Valle del Giordano – situata nell’area C – includendo, al contempo, anche l’intenzione di dichiarare formalmente annessi i principali insediamenti illegali. Tuttavia, più di recente, i nuovi arrivati sono diventati molto più avidi e spingono per un accaparramento totale dell’Area C,  oltre ad alcune parti dell’Area B. Se le proposte iniziali di annessione coincidessero con la tabella di marcia stabilita, allora ciò significherebbe che Israele sarebbe costretto o a dare o la cittadinanza a decine di migliaia di palestinesi, garantendo il documento d’identità come nel caso dei palestinesi che vivono nella Gerusalemme occupata, o a procedere con la pulizia etnica. In caso di approccio massimalista, si parlerebbe di un programma di espulsione di massa di centinaia di migliaia di persone che potrebbero scegliere o di fuggire in Giordania o di andare nelle aree controllate dall’Autorità Nazionale Palestinese. In entrambi i casi, alla fine si arriverà al collasso dell’Autorità Nazionale Palestinese. Questo è sempre stato il fine ultimo: portare a termine la pulizia etnica dei Territori occupati nel 1967 una volta per tutte,  cosa che gli israeliani hanno chiaramente in mente. Molti analisti hanno ipotizzato che la strategia di annessione di Tel Aviv innescherà una Terza Intifada nella Cisgiordania. Lo sviluppo di questa prospettiva si basa su una serie di supposizioni, che possono o meno condurre alle conclusioni delineate. La popolazione della Cisgiordania non si è mossa di un centimetro, come comunità, sin dall’inizio del genocidio di Gaza. Anzi, quando i campi profughi di Jenin e Nour al-Shams sono stati bombardati e le persone  costrette ad andarsene e i massacri di civili sono continuati per tutti gli ultimi 22 mesi, il resto della Cisgiordania non ha fatto niente. Ma perché? E’ molto semplice. La rana che bolle in pentola è proprio la popolazione della Cisgiordania. Tanto per cominciare, centinaia di migliaia di palestinesi nella Cisgiordania lavorano per le aziende israeliane e molti di loro praticamente vivono negli insediamenti costruiti sopra la propria terra. Inoltre, in Cisgiordania, non c’è una vera leadership palestinese, poiché l’Autorità Nazionale Palestinese è alle dipendenze di Israele e degli USA, e, una larga fetta della popolazione della Cisgiordania è pagata dall’Autorità Nazionale Palestinese. Tenendo presente queste due cose, una grande parte della popolazione dipende dagli occupanti israeliani e dai loro subappaltatori per mantenere il loro tenore di vita. Poi c’è la pletora delle ONG occidentali che lavorano nei Territori occupati, dando sovvenzioni condizionate ai palestinesi per tutto, dalla coltivazione di ortaggi, all’emancipazione femminile o qualcosa di tanto innocuo come il sollevamento pesi. E’ così che l’Unione Europea, il Regno Unito e gli Stati Uniti sono riusciti a “ongizzare” il territorio, cambiandolo anche a livello  culturale, e plasmando il modo in cui la gente vede la resistenza e allontanando i propri obiettivi dalla liberazione della patria. Se, come palestinese, vuoi ottenere una sovvenzione dalle organizzazioni internazionali, per qualsiasi scopo, ci sono dei paletti da rispettare. Inoltre, quello che fanno queste ONG è anche mettere l’uno contro l’altro città, campi profughi e tribù riguardo a questioni come l’accesso, lo status, i viaggi e il denaro. Senza menzionare ciò che è forse la peggiore forma di tranello, cioè prestiti e carte di credito. Ebbene sì, nella Cisgiordania ai palestinesi vengono erogati prestiti quasi senza alcuna restrizione. Perché? Perché possano rimanere intrappolati in un mare di debiti dai quali non potranno mai liberarsi. Oltre a ciò, l’accesso ai grandi prestiti e alle carte di credito è stato affiancato da una invasione di autovetture straniere e dalla diffusione della cultura del caffè. In altre parole, i giovani, facilmente influenzabili, vengono indotti a preoccuparsi di cose materiali, come le auto, i vestiti o le borse, a inseguire dunque i beni materiali piuttosto che a preoccuparsi di resistere all’occupazione. Com’è possibile tutto ciò quando le persone sono circondate da checkpoints, sono sotto la minaccia del fuoco dei soldati invasori, assistono all’invasione delle loro case, come se ciò fosse una normale prassi e sopportano la violenza dei coloni? E’ molto semplice, le persone hanno finito per accettare la loro realtà e scelgono di concentrarsi sulle distrazioni, dicendo a loro stessi che il prezzo della resistenza è troppo alto. Nonostante tutto ciò, ci sono ancora molti palestinesi della Cisgiordania che si rifiutano di prostrarsi e cercano di resistere. Questo, spesso, si traduce in attacchi contro soldati o coloni illegali, da parte di lupi solitari, o nella formazione di piccoli gruppi di resistenza in tutto il territorio. Quasi ogni palestinese sostiene queste coraggiose persone, ma la maggior parte si rifiuta di seguire il loro esempio a causa dell’immenso costo. Allora, è tutto inutile? Assolutamente no. Una rivolta è sempre possibile e la popolazione della Cisgiordania oggi viene schiacciata in un modo che non si era visto dalla Seconda Intifada. Tuttavia, la causa scatenante per una mobilitazione è relativamente imprevedibile. Potrebbe praticamente essere qualsiasi cosa. Tuttavia, se l’Autorità Nazionale Palestinese dovesse cadere, probabilmente ciò accelererebbe il processo. Nel caso in cui ciò dovesse succedere, allora la popolazione così divisa dovrà affrontare importanti sfide poiché non dispone di un esercito ben addestrato né di una resistenza armata come quella di Gaza. Nella peggiore delle ipotesi, la popolazione sarebbe espulsa e mandata in Giordania che, molto probabilmente, si tradurrebbe nella caduta del Regno Hashemita, non da ultimo a causa del peso economico e sociale che una pulizia etnica di massa causerebbe. La caduta della Giordania porterebbe inevitabilmente i gruppi di resistenza a utilizzarla come trampolino di lancio per l’azione contro Israele. Traduzione per InfoPal di Elena Pelliccia
190 palestinesi, tra cui 36 bambini, uccisi dalle forze di occupazione israeliane in Cisgiordania da gennaio
 Cisgiordania – PIC. Almeno 190 palestinesi sono stati uccisi e più di 1.500 feriti in Cisgiordania dall’inizio del 2025, a causa della continua aggressione israeliana, secondo dati recentemente pubblicati. Tra i martiri figurano 36 bambini, colpiti o uccisi in altro modo dalle forze di occupazione israeliane (IOF) nello stesso periodo. L’escalation, iniziata il 21 gennaio, ha visto migliaia di violazioni commesse dalle IOF in tutta la Cisgiordania, provocando la morte di 162 palestinesi solo da quella data. Nella città di Jenin e nel suo campo profughi, sotto attacco continuo da 189 giorni, sono stati uccisi 54 palestinesi, compresi due colpiti dalle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese. A Tulkarem, che subisce aggressioni continue da 184 giorni, sono stati uccisi 16 palestinesi, tra cui un bambino e due donne. Una delle donne era incinta di otto mesi. Dall’inizio dell’anno, le IOF hanno ferito almeno 1.528 persone, ne hanno arrestate 5.807 e hanno effettuato 8.655 incursioni in Cisgiordania. Nel frattempo, dall’inizio della guerra di sterminio nella Striscia di Gaza, nell’ottobre 2023, 1.056 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, 7.587 feriti e più di 20.000 arrestati dalle IOF.
Israele effettua demolizioni a Gerusalemme Est e nel Negev
Gerusalemme/al-Quds –PIC. Martedì mattina, l’autorità di occupazione israeliana ha effettuato demolizioni nel quartiere di Silwan, a Gerusalemme Est, a sud della Moschea di al-Aqsa, con il pretesto di lavori edilizi abusivi. Secondo fonti locali, bulldozer del comune israeliano e delle forze di polizia sono entrati con forza nel quartiere di Ein al-Luza a Silwan e hanno demolito un autolavaggio e una struttura residenziale di proprietà di Hani as-Salaymeh. Il comune israeliano ha inoltre demolito i muri esterni di un’abitazione di un altro cittadino di Gerusalemme nel quartiere di al-Bustan a Silwan. In un episodio separato, le autorità israeliane hanno condotto una vasta campagna di demolizioni in diversi villaggi palestinesi nel Negev, nel sud di Israele (Palestina occupata nel 1948), nell’ambito di uno sforzo volto a costringere i residenti locali ad abbandonare le loro terre. Nel corso della campagna in quei villaggi, le autorità israeliane hanno anche confiscato attrezzature appartenenti ai residenti e distribuito avvisi di evacuazione, sostenendo che la loro presenza nelle aree è illegale.
La Knesset vota sull’imposizione della sovranità israeliana sulla Cisgiordania
Cisgiordania. Mercoledì, la Knesset ha votato una dichiarazione a sostegno dell’imposizione della “sovranità” israeliana sulla Cisgiordania occupata. Il voto si è tenuto al termine della sua ultima sessione prima della pausa estiva. La misura rientra in una “proposta all’ordine del giorno” presentata dai membri della Knesset di destra, Simcha Rothman, Orit Strock, Dan Illouz e Oded Forer. La presidenza della Knesset ha approvato la proposta lunedì, nonostante la tempistica politicamente delicata sia sul piano nazionale che internazionale. Sebbene la dichiarazione sia simbolica e non vincolante, i promotori invitano il governo ad “adottare misure per attuare la sovranità in Giudea e Samaria”, con il sostegno di membri sia della coalizione che dell’opposizione. Secondo quanto riportato da Channel 12, funzionari diplomatici hanno esercitato pressioni sulla Knesset affinché chiarisse che la proposta è semplicemente un appello al governo, temendo che potesse altrimenti essere interpretata come un’approvazione parlamentare ufficiale dell’annessione. Questo voto è considerato parte di un più ampio sforzo della destra israeliana per promuovere un’annessione graduale. Fa seguito a un precedente voto della Knesset che ha respinto a larga maggioranza la creazione di uno Stato palestinese, inviando un chiaro messaggio politico alla comunità internazionale. La mossa riflette anche i continui tentativi della destra israeliana di formalizzare il controllo sulla Cisgiordania tramite iniziative legislative. L’attuale governo ha intensificato l’espansione degli insediamenti e adottato misure volte all’annessione de facto di ampie porzioni del territorio. (Fonte e foto: MEMO).