
Ebrei che non si piegano: sospensioni, ricorsi e censura nel Regno Unito. Il caso dei 36 membri del Board of Deputies of British Jews
Pressenza - Friday, July 4, 2025Esistono gruppi di ebrei laici e progressisti (Jewish Voice for Peace, IfNotNow, Na’amod, Independent Jewish Voices, JCall, ecc.) che sostengono apertamente la causa palestinese, denunciano l’apartheid e parlano di genocidio ed esistono intellettuali, storici della Shoah, psicoanalisti, teologi, registi ebrei che hanno preso pubblicamente parola contro la violenza, spesso pagando un prezzo altissimo.
Ma cosa succede a questi ebrei quando criticano Israele?
Succede che vengono accusati di essere “ebrei che odiano se stessi”, traditori, complici dell’antisemitismo, o che vengono espulsi da comunità e organismi ufficiali. Come nel caso recentissimo dei 36 membri del Board of Deputies of British Jews (il principale organismo rappresentativo della comunità ebraica britannica), colpevoli di aver firmato una dichiarazione in cui si parla apertamente di “genocidio” a Gaza.
Il Board of Deputies of British Jews è la principale organizzazione rappresentativa degli ebrei nel Regno Unito. Fondato nel 1760, agisce come organo consultivo e interlocutore ufficiale tra la comunità ebraica e il governo britannico, rappresentando sinagoghe, enti educativi, associazioni culturali e religiose. È considerato, in sostanza, la voce istituzionale del giudaismo britannico nei rapporti con autorità politiche, media e organismi pubblici.
Il suo orientamento tradizionalmente filo-israeliano lo ha spesso portato a sostenere in modo più o meno esplicito le politiche dello Stato di Israele. Tuttavia, al suo interno convivono correnti diverse, e ciò ha generato scontri e tensioni, soprattutto negli ultimi anni, quando alcune sue figure di spicco hanno espresso critiche aperte verso la gestione israeliana del conflitto con i palestinesi.
Il caso dei 36 firmatari che hanno denunciato il genocidio a Gaza è emblematico non solo perché rompe l’omertà istituzionale, ma perché mette in discussione la pretesa del Board di rappresentare tutta la comunità ebraica britannica. Le loro sospensioni disciplinari dimostrano quanto sia difficile, anche all’interno di contesti ebraici ufficiali, esprimere dissenso rispetto alla linea dominante.
Dichiarazione pubblica di membri del Board of Deputies of British Jews contro la guerra a Gaza (The Guardian, 26 giugno 2025)
Siamo ebrei britannici, membri e membri onorari del Board of Deputies of British Jews, che hanno espresso pubblicamente la loro opposizione all’attuale guerra condotta da Israele nella Striscia di Gaza. Alcuni di noi sono stati sospesi o oggetto di procedimenti disciplinari da parte del Board per aver rilasciato dichiarazioni che, a loro dire, “violano la neutralità dell’organizzazione”.
Riteniamo che l’attuale devastazione di Gaza, con decine di migliaia di morti, una popolazione affamata, la distruzione sistematica di ospedali, scuole, infrastrutture e quartieri interi, rappresenti non solo una tragedia umanitaria, ma un crimine di proporzioni storiche.
Quando, nel novembre 2023, abbiamo chiesto un cessate il fuoco immediato, siamo stati accusati di tradire il nostro popolo. Quando abbiamo denunciato la disumanizzazione dei palestinesi, ci è stato detto che stavamo legittimando l’antisemitismo. Quando abbiamo espresso preoccupazione per l’uso strumentale del trauma ebraico, siamo stati tacciati di insensibilità.
Ma non ci facciamo intimidire. Parliamo non nonostante la nostra identità ebraica, ma a partire da essa. Parliamo perché i nostri valori ci impongono di alzare la voce contro la disumanizzazione, ovunque si manifesti. Parliamo perché crediamo che nessun popolo debba essere ridotto a un bersaglio collettivo. Parliamo perché il silenzio, in questo momento, è complicità.
L’uso sistematico della parola “mai più” per giustificare atti che sfiorano la definizione di genocidio è un affronto alla memoria della Shoah e a tutto ciò che di più sacro l’identità ebraica ha saputo custodire: la responsabilità verso l’altro, il dovere dell’empatia, il rifiuto dell’oppressione.
Denunciare la guerra non significa odiare Israele. Significa rifiutare l’idea che Israele debba essere identificato con un governo violento, etno-nazionalista e corrotto, che sta compromettendo non solo la vita dei palestinesi, ma anche l’anima morale del popolo ebraico.
A chi ci accusa di antisemitismo rispondiamo: noi siamo ebrei, orgogliosi, pensanti e profondamente indignati.
Chiediamo che il Board of Deputies riconosca la legittimità della nostra posizione e sospenda ogni misura disciplinare nei confronti di chi ha scelto di non voltarsi dall’altra parte.
Cosa è accaduto ai firmatari della lettera
Il 26 giugno 2025, il Board of Deputies ha annunciato un provvedimento disciplinare senza precedenti contro i 36 firmatari della lettera pubblica che denunciava la guerra a Gaza. Cinque di loro sono stati sospesi per due anni, in pratica espulsi per tutta la durata del loro mandato. Gli altri trentuno hanno ricevuto una reprimenda formale. È la più grande azione disciplinare della storia del Board: oltre il 10% dei membri eletti è stato colpito da sanzioni.
La colpa dei cinque sospesi? Aver rilasciato interviste alla stampa dopo la pubblicazione della lettera sul Financial Times nell’aprile precedente. Il Board ha giustificato le sanzioni con la violazione del codice di condotta, che vieterebbe ai membri di esprimere pubblicamente posizioni che “distorcono la linea ufficiale” o gettano discredito sull’organizzazione.
I firmatari hanno annunciato ricorso legale e in una dichiarazione pubblica hanno ribadito la loro posizione: “Rimaniamo profondamente preoccupati per la crisi umanitaria a Gaza, per i prigionieri ancora detenuti e per il deterioramento della situazione in Cisgiordania”. Hanno aggiunto di condividere le posizioni della maggioranza degli israeliani, che nei sondaggi chiedono la fine della guerra in cambio del rilascio degli ostaggi.
Uno di loro, Philip Goldenberg, ha paragonato la repressione interna subita alla logica autoritaria: “Espellere chi dice verità scomode al potere è l’esatto contrario della tradizione ebraica del dibattito. Questo somiglia più alla Russia di Putin”. Sua moglie, Harriett Goldenberg, anche lei sospesa, ha dichiarato: “Abbiamo ricevuto centinaia di messaggi da ebrei britannici che si sono riconosciuti nelle nostre parole. È tragico che quella voce debba ancora lottare per farsi sentire”.
Fonte: https://www.facebook.com/profile.php?id=61554708501839