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L’estrema destra sfila per Londra. Per ora è questo l’unico risultato di Starmer
Sabato le strade di Londra sono state riempite da manifestanti razzisti, suprematisti, omofobi, che vogliono un Regno Unito – ancor più – chiuso ai migranti e governato con politiche securitarie. Se a organizzare il raduno, che ha visto partecipanti anche dal resto del Vecchio Continente, è stata l’estrema destra britannica, […] L'articolo L’estrema destra sfila per Londra. Per ora è questo l’unico risultato di Starmer su Contropiano.
Regno Unito, quasi 900 arresti durante la manifestazione di sostegno a Palestine Action
Sabato a Londra la polizia ha arrestato quasi 900 persone durante una protesta contro il divieto imposto dal governo britannico al gruppo Palestine Action ai sensi della legge sul terrorismo. Ora è illegale per chiunque in Gran Bretagna mostrare sostegno a Palestine Action. Da settimane si moltiplicano le proteste contro il divieto. “Persone comuni che non hanno mai partecipato a una protesta in vita loro stanno facendo i conti con la loro coscienza. Pensano: ‘Non posso continuare a stare seduto sul divano giorno dopo giorno a guardare questo orrore abietto senza fare nulla’. E quindi, la cosa straordinaria è che le immagini più potenti che stiamo vedendo sono quelle di persone bianche disabili, di mezza età o anziane che vengono portate via dalla polizia per aver detto: ‘Smettete di uccidere i bambini’”, cosa ormai considerata un crimine” ha denunciato la giornalista Tamara Abood. Domenica a Bruxelles oltre 110.000 persone hanno partecipato a una grande manifestazione a favore della Palestina, pochi giorni dopo che il governo belga aveva annunciato che avrebbe presto riconosciuto lo Stato palestinese e imposto sanzioni a Israele.   Democracy Now!
Quasi mille arresti in un giorno nella democrazia filo-sionista del Regno Unito
Il 6 settembre è stata un’altra importante giornata di mobilitazione nel Regno Unito, annunciata già da tempo e svoltasi, nonostante gli atti repressivi che l’hanno preceduta. Al centro, come da settimane a questa parte, non solo la solidarietà col popolo palestinese, ma anche con Palestine Action, rete di attivisti inserita […] L'articolo Quasi mille arresti in un giorno nella democrazia filo-sionista del Regno Unito su Contropiano.
Amnesty International Regno Unito: gli arresti dei manifestanti di Palestine Action sono “fonte di profonda preoccupazione”
In risposta agli arresti di 466 manifestanti di Palestine Action avvenuti sabato 9 agosto in Parliament Square a Londra, Sacha Deshmukh, direttore esecutivo di Amnesty International UK, ha dichiarato: “Gli arresti di massa di manifestanti pacifici avvenuti in base alla legge antiterrorismo del Regno Unito sono profondamente preoccupanti. La protesta pacifica è un diritto fondamentale. È comprensibile che le persone siano indignate per il genocidio in corso a Gaza, dunque in base al diritto internazionale devono avere la possibilità di esprimere il loro orrore . I manifestanti in Parliament Square non stavano incitando alla violenza e trattarli come terroristi è del tutto sproporzionato, al punto da rasentare l’assurdo. Da tempo critichiamo la legge antiterrorismo britannica in quanto eccessivamente generica e formulata in modo vago, oltre a costituire una minaccia alla libertà di espressione. Questi arresti dimostrano che le nostre preoccupazioni erano fondate. Invece di criminalizzare i manifestanti pacifici, il governo dovrebbe concentrarsi sull’adozione di misure immediate e inequivocabili per porre fine al genocidio perpetrato da Israele ed eliminare qualsiasi rischio di complicità del Regno Unito.” Appello alla moderazione Prima della protesta di sabato 9 agosto Amnesty ha scritto a Sir Mark Rowley, commissario della polizia metropolitana, mettendo in guardia contro l’arresto dei manifestanti pacifici che si sarebbero radunati a centinaia. La lettera sottolinea che arrestare persone solo per aver esposto messaggi come “Mi oppongo al genocidio. Sostengo Palestine Action” violerebbe gli obblighi internazionali del Regno Unito di rispettare il diritto alla libertà di espressione e alla riunione pacifica. Amnesty ha sottolineato che qualsiasi ulteriore arresto per questi motivi violerebbe il diritto internazionale sui diritti umani, secondo cui i discorsi di protesta possono essere criminalizzati solo se incitano alla violenza, all’odio o alla discriminazione. Nel caso della protesta del 9 agosto, tenere in mano un cartello e dichiarare pacificamente il proprio sostegno a Palestine Action non può essere considerato un esempio di incitamento.   Amnesty International
L’accordo “uno a uno” tra Francia e Regno Unito
«Quando ho promesso che non mi sarei fermato davanti a nulla per garantire la sicurezza dei nostri confini, dicevo sul serio», ha dichiarato su X il primo ministro britannico Keir Starmer 1, sottoposto a forti pressioni affinché fermi l’afflusso di migranti. Il capo del governo britannico aveva concordato un «progetto pilota» con il presidente francese Emmanuel Macron durante la sua visita di Stato nel Regno Unito all’inizio di luglio. La Commissione Europea ha poi «dato il via libera a questo approccio innovativo per scoraggiare l’immigrazione illegale», come dichiarato dal Ministero dell’Interno inglese in un comunicato 2. Dunque, giovedì 7 agosto 2025 il le autorità britanniche hanno annunciato di aver bloccato i primi migranti arrivati nel Regno Unito su piccole imbarcazioni. Dall’inizio dell’anno, secondo i dati del Ministero dell’Interno francese, 18 persone sono morte nel tentativo di raggiungere clandestinamente l’Inghilterra su queste piccole imbarcazioni 3.  L’accordo, valido fino al giugno 2026 e i cui dettagli di attuazione non sono stati specificati, mira a dissuadere le persone che desiderano attraversare la Manica. Il trattato si basa sul principio “uno a uno”, da cui prende il nome, il quale prevede che la Francia riprenda i migranti arrivati nel Regno Unito. Qualsiasi persona migrante adulta che attraversi la Manica a partire dal 6 agosto 2025 sarà ora a rischio di rimpatrio, se la sua richiesta di asilo sarà considerata inammissibile. Alcuni media hanno riferito che il Regno Unito mira a rimpatriare circa 50 persone a settimana 4; tuttavia, nel trattato non sono state fornite indicazioni ufficiali sul numero di migranti interessati. Si menziona solo un “equilibrio” per garantire che il numero di persone rimpatriate in Francia e quelle che entrano nel Regno Unito corrispondano.  Viceversa, Londra si impegna ad accettare le persone che si trovano in Francia e che hanno presentato domanda su una piattaforma online, operativa da giovedì sul sito web del governo britannico. I richiedenti devono soddisfare certi criteri di idoneità (come allegare un documento di identità e una foto recente), seguendo una procedura standard per la richiesta del visto e superare i controlli di sicurezza. I candidati selezionati dovranno superare ulteriori controlli biometrici, un aspetto ormai onnipresente nella gestione dei flussi migratori 5. Se accettati, avrebbero tre mesi di tempo per richiedere un visto nel Regno Unito e sarebbero soggetti alle stesse regole applicate a tutti i richiedenti asilo, ovvero non potrebbero lavorare, studiare o accedere alle prestazioni sociali 6.  Le ONG che sostengono i profughi chiedono vie di transito sicure, mentre più di una settimana fa una persona è morta nel tentativo di raggiungere l’Inghilterra via mare. «Questo trasferimento di persone annunciato è assolutamente terribile dal punto di vista politico, ma anche filosofico», aveva già avvertito Flore Județ, coordinatrice dell’Auberge des migrants. «Questo non farà altro che generare ancora più stress e panico per persone che già vivono in condizioni di assoluta precarietà», ha continuato la responsabile dell’associazione 7. Le persone provenienti da paesi devastati dalla guerra e dalla siccità, come l’Eritrea, potrebbero essere escluse dal programma a causa del requisito dei documenti ufficiali. Un portavoce di Refugee Legal Support ha dichiarato: «Questa settimana a Calais abbiamo parlato con molte persone provenienti dall’Eritrea e quasi nessuna di loro possiede una copia del proprio passaporto eritreo perché non è mai riuscita a ottenerne uno. I cittadini eritrei sono la nazionalità più rappresentata tra coloro che attraversano la Manica nel 2025; l’86% dei richiedenti asilo eritrei ottiene una decisione positiva, ma quasi tutti saranno esclusi da questo programma» 8.  Siamo di fronte ad una chiara strategia politica di propaganda. Negli ultimi mesi, infatti, sono aumentati gli arrivi attraverso la Manica e da inizio anno un numero record di oltre 25.400 persone è entrato nel Regno Unito attraverso questo canale, con un aumento del 49% rispetto all’anno precedente 9. La situazione è stata strumentalizzata dai media di destra e dall’opposizione dei Conservatori e di Reform UK (che ha riportato una storica vittoria alle ultime elezioni locali 10), ma lo stesso partito Laburista, con Starmer in testa, ha adottato una retorica e degli slogan contro l’immigrazione praticamente identici a quelli della destra. Lo scorso maggio, ad esempio, il primo ministro aveva promesso di «riprendere il controllo delle frontiere», invocando il rischio che la Gran Bretagna diventi «un’isola di stranieri» 11. Nonostante ciò, i conservatori sostengono che il nuovo programma non avrà un effetto deterrente sufficiente e non riuscirà a respingere un numero consistente di potenziali migranti, affermando che l’accordo con la Francia sarà meno efficace del piano di collaborazione con il Ruanda proposto dal precedente governo conservatore 12.  Uno dei motivi principali dell’aumento degli arrivi di migranti irregolari è l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea nel 2020 (sostenuta proprio da Nigel Farage, leader del Reform UK). Dato che il Regno Unito non fa più parte dell’UE, non è più soggetto al Regolamento di Dublino, un sistema volto a rimpatriare i richiedenti asilo nel loro paese UE di primo arrivo. Pertanto, coloro che raggiungono il Regno Unito, nonostante abbiano attraversato diversi Stati UE e abbiano potenzialmente presentato domanda di asilo in uno qualsiasi di questi, possono comunque richiedere protezione nel Regno Unito senza rischiare di essere rimandati in un altro Paese di transito ai sensi del regolamento di Dublino.  È in questo clima, infine, che si svolgono ormai regolarmente nel Regno Unito numerose manifestazioni razziste contro i richiedenti asilo. In tutto il Paese si assiste infatti a livelli significativi di violenza contro le comunità razzializzate e migranti in diverse forme, dalle parole e dal linguaggio usati per descrivere e attaccare le comunità, agli episodi di violenza fisica. Nelle ultime settimane, per esempio, sono stati presi di mira hotel che ospitano migranti e richiedenti asilo, come nel caso di Epping, pochi chilometri a nordest di Londra, dove un migrante era stato accusato di violenza sessuale, Ma anche a Manchester e Newcastle, in un generale clima di tensione e di scontri tra gruppi “anti-migranti”, che brandendo le bandiere britanniche chiedono di chiudere le strutture e spostare altrove i migranti scandendo slogan come “proteggiamo i nostri bambini”, e gruppi anti-razzisti che rispondono con “i rifugiati sono benvenuti qui” e tentano di portare il loro supporto alle persone migranti 13.  Queste proteste ovviamente non nascono dal nulla. Sono plasmate e alimentate dal linguaggio dei politici e dei media: un linguaggio provocatorio, razzista e disumanizzante che descrivendo le comunità razzializzate e migranti come “illegali” e “criminali” legittima la diffusione dell’odio e della violenza. Rinforzando il mito secondo cui il Regno Unito sarebbe invaso da migranti criminali, i politici (quasi tutti ormai, sia a destra che a sinistra) possono giustificare politiche migratorie sempre più severe e assecondare l’ascesa della popolarità dell’estrema destra. È uno schema che vediamo non solo Regno Unito ma, più in generale, in tutta Europa. Questa atmosfera politica e sociale affonda le radici in una lunga storia di stereotipi razziali e narrazioni coloniali, che tuttora rispondono a un’esigenza politica ineludibile: individuare un nemico cui addossare la colpa.  1. Leggi il post ↩︎ 2. Leggi la nota ↩︎ 3. Manche : un migrant décédé et plusieurs dizaines d’autres secourus ce week-end, InfoMigrants (28 luglio 2025) ↩︎ 4. What do we know about the UK-France agreement on asylum returns? freemovement.org.uk (7 agosto 2025) ↩︎ 5. Il Ministero dell’Interno britannico ha annunciato l’intenzione di sperimentare l’uso dell’intelligenza artificiale nella valutazione dell’età attraverso la stima dell’età facciale (FAE). Questa tecnologia viene proposta per l’uso sui minori non accompagnati richiedenti asilo, ovvero giovani in cerca di sicurezza che arrivano nel Regno Unito senza genitori o tutori. Spesso i giovani non dispongono di documenti che attestino la loro età; pertanto, il governo effettua una “valutazione dell’età” per decidere se debbano essere trattati come minori o adulti. Questa decisione determina l’accesso alla protezione dei minori, all’istruzione e al sostegno abitativo, ed è chiaro che presenta numerosi rischi. Cfr. righttoremain.org.uk ↩︎ 6. Dozens of migrants detained under ‘one in, one out’ deal with France, BBC (7 agosto 2025) ↩︎ 7. Immigration : l’odieux accord entre Paris et Londres du « un pour un » est entré en vigueur, L’Humanité (5 agosto 2025) ↩︎ 8. First people to be returned to France under UK’s ‘one in, one out’ asylum deal, The Guardian (7 agosto 2025) ↩︎ 9. Immigration : le Royaume-Uni annonce avoir arrêté les premières personnes sous le coup du traité franco-britannique, Le MOnde (7 agosto 2025) ↩︎ 10. Reform UK makes big gains in English local elections, BBC (3 maggio 2025) ↩︎ 11. UK risks becoming ‘island of strangers’ without more immigration curbs, Starmer says, The Guardian (12 maggio 2025) ↩︎ 12. What is the UK’s plan to send asylum seekers to Rwanda?, BBC (giugno 2024); Q&A: The UK’s former policy to send asylum seekers to Rwanda, The Migration Observatory (luglio 2024) ↩︎ 13. Pro- and anti-migrant protesters face off at London hotel housing asylum seekers, The Guardian (2 agosto 2025) ↩︎
Regno Unito: in pochi giorni 600.000 persone aderiscono al nuovo partito lanciato da Jeremy Corbyn e Zarah Sultana
Lo scorso 24 luglio Jeremy Corbyn e Zarah Sultana, entrambi parlamentari indipendenti ed ex membri del Partito Laburista britannico hanno annunciato il progetto di creare un nuovo partito di sinistra, alternativo ai laburisti e invitato a iscriversi al sito yourparty.uk. In pochi giorni sono arrivate 600.000 adesioni. Non è la prima volta che Corbyn suscita una simile, entusiastica risposta: negli anni tra il 2015 e il 2020, quando era leader del Partito Laburista, c’è stato un enorme aumento del numero di iscritti, soprattutto giovani, in un’atmosfera di rinnovamento e fervore quale non si conosceva da tempo, tanto che alle elezioni del 2017 i laburisti ottennero quasi 13 milioni di voti. Corbyn ha dovuto però affrontare un’aspra battaglia interna scatenata dall’ala destra del partito, che non gli ha mai perdonato le sue posizioni “troppo” a sinistra. A questa si è aggiunta una campagna di degradazione, manipolazione e calunnie da parte della maggior parte dei media, in cui l’accusa di antisemitismo ha svolto un ruolo centrale, tanto che nel 2020 è stato sospeso dal partito e nel 2024 espulso. Questo non gli ha impedito di ottenere una vittoria schiacciante nel suo storico collegio di Islington North, che l’anno scorso lo ha eletto come indipendente. Tornando al presente, l’obiettivo di Corbyn e Sultana è quello di “costruire una vera alternativa alla povertà, alla disuguaglianza e alla guerra”, un nuovo tipo di partito politico, legato alle comunità, ai sindacati e ai movimenti sociali. In settembre si terrà una conferenza inaugurale per definire il nome del partito e le sue proposte, ma alcuni punti sono già chiari: ridistribuzione della ricchezza e maggiori tasse per i ricchi, servizio sanitario nazionale libero dalla privatizzazione, nazionalizzazione di energia, acqua, ferrovie e poste, opposizione ai giganti dei combustibili fossili, fine della complicità con il genocidio a Gaza e giustizia per il popolo palestinese. Jeremy Corbyn al corteo pro Palestina del 19 luglio. https://www.facebook.com/JeremyCorbynMP Sono tutte proposte che si contrappongono alle scelte del governo Starmer su temi cruciali quali le politiche migratorie (con deportazioni brutali assai simili a quelle attuate da Trump), i tagli alle spese sociali e l’aumento di quelle militari, scelte che hanno provocato uno scontento di massa a cui il nuovo partito vuole offrire una risposta e uno spazio di azione. In un articolo pubblicato sul Guardian, Corbyn denuncia il fallimento laburista dopo le speranze suscitate dalla vittoria elettorale dell’anno scorso, ma sottolinea anche la risposta di sindacati e attivisti antirazzisti, pacifisti e ambientalisti e il bisogno di una visione politica guidata dalla speranza e non dalla paura. A questo proposito ricorda che migranti e minoranze non sono i responsabili degli attuali problemi sociali, come il governo Starmer e soprattutto il partito razzista Reform UK vogliono far credere. Tali problemi sono causati da un sistema economico e politico che protegge gli interessi dei miliardari e delle grandi aziende a scapito della maggioranza della popolazione. La situazione è ancora in movimento e sono senz’altro in corso incontri e negoziati tra le varie componenti di questo progetto, ma la risposta entusiastica rappresentata dalle adesioni raccolte in poco tempo lascia ben sperare… Anna Polo
Regno Unito, musicisti contro il genocidio a Gaza
Il 17 luglio, la band britannica Massive Attack ha annunciato sui social media la formazione di un’alleanza di musicisti che si oppone al genocidio in corso a Gaza e agli sforzi sistematici delle organizzazioni filo-israeliane per reprimere le voci critiche verso questo sterminio di massa. All’Ethical Syndicate Palestine si sono uniti anche il musicista veterano Brian Eno, i Kneecap, i Fontaines DC e i Garbage. Nella dichiarazione dei Massive Attack si legge: “Le scene a Gaza sono andate oltre ogni descrizione. Scriviamo come artisti che hanno scelto di usare le nostre piattaforme pubbliche per denunciare il genocidio in atto lì e il ruolo del governo britannico nel facilitarlo.” I Massive Attack continuano spiegando che, a causa delle loro “espressioni di coscienza”, la band di Bristol è stata oggetto di vari atti intimidatori, “attraverso enti organizzati come UK Lawyers For Israel (UKLFI)… ideati esclusivamente per censurare e impedire agli artisti di esprimere ciò che hanno nel cuore e nella mente”. L’UKFLI è un’organizzazione di avvocati che agisce per difendere gli interessi di Israele; insieme al CAA (Campagna contro l’antisemitismo), l’UKFLI ha intentato una serie di cause legali per congelare il dibattito pubblico e intimidire gli attivisti solidali con il popolo palestinese. Tra i soggetti presi di mira figurano, tra gli altri, accademici, medici, studenti e organizzazioni benefiche. Nel comunicato dei Massive Attack si legge che molti artisti subiscono pressioni dall’industria musicale, in particolare chi è nelle fasi iniziali della carriera nel mondo della musica. Il collettivo, si legge, sosterrà tutti coloro che sono oggetto di campagne aggressive o vessatorie da parte dei sostenitori di Israele e invita a scrivergli alla mail EthicalSyndicatePalestine@pm.me. L’Ethical Syndicate Palestine incoraggia altri artisti a contattarli per prendere posizione collettivamente su un cessate il fuoco immediato e permanente, un accesso immediato e senza restrizioni a Gaza per le agenzie umanitarie e la fine delle vendite di armi e delle licenze del Regno Unito a Israele. E mentre gli artisti britannici formano questa alleanza, in Italia si è da poco svolto il concerto “Non in mio nome”, durante il quale molti personaggi del mondo dello spettacolo hanno dichiarato il proprio sostegno alla Palestina. Un’importante presa di coscienza e un atto di solidarietà e lotta anche a livello internazionale: la musica, l’arte e la cultura non sono indifferenti al genocidio. Fonte: https://www.facebook.com/insideoveritalia   Redazione Italia
Regno Unito, decisione senza precedenti: al bando per “terrorismo” Palestine Action
Dalla mezzanotte di sabato 5 luglio sostenere il movimento di azione diretta in solidarietà al popolo palestinese “Palestine Action” nel Regno Unito è un reato penale punibile fino a 14 anni di carcere. È la prima volta nella storia britannica che un gruppo di disobbedienza civile nonviolenta viene classificato come organizzazione terroristica. Il bando, proposto dal Ministero dell’Interno britannico, ha superato il vaglio delle aule giudiziarie nonostante un ricorso d’urgenza. «Migliaia di persone in tutta la Gran Bretagna si sveglieranno scoprendo di essere state criminalizzate durante la notte per aver sostenuto un gruppo di protesta nazionale che spruzza vernice rossa sugli aerei da guerra», ha dichiarato Huda Ammori, co-fondatrice di Palestine Action. Il divieto è stato formalmente approvato dopo che venerdì sera l’Alta Corte ha respinto la richiesta del gruppo di sospendere temporaneamente la proscrizione in attesa di una decisione definitiva. La Corte d’Appello, interpellata in extremis nella stessa sera, ha confermato la decisione. Il governo aveva notificato l’intenzione di mettere al bando Palestine Action lo scorso 23 giugno, motivandola con l’incursione compiuta dagli attivisti in una base militare britannica, durante la quale due aerei della RAF Brize Norton furono imbrattati con vernice rossa. Il danno stimato è di 7 milioni di sterline. Tuttavia, il giudice dell’Alta Corte Chamberlain ha precisato che la valutazione sulla possibile proscrizione del gruppo era già stata avviata a marzo, ben prima dell’incidente. Un’udienza cruciale si terrà il 21 luglio: Palestine Action tenterà di ottenere l’autorizzazione per una revisione giudiziaria dell’ordinanza. Nel frattempo, chiunque ne faccia parte o ne promuova le attività rischia la reclusione. Ma Huda Ammori assicura: «Non smetteremo di lottare per difendere i diritti fondamentali alla libertà di parola e di protesta nel nostro Paese e per sostenere i diritti del popolo palestinese». L’inclusione di Palestine Action nella lista delle organizzazioni proscritte ai sensi del Terrorism Act del 2000 — insieme a gruppi come al-Qaeda, ISIS e National Action — ha scatenato reazioni durissime. La deputata indipendente Zarah Sultana ha dichiarato: «Sia chiaro: equiparare una bomboletta di vernice a un attentatore suicida non è solo assurdo, è grottesco. È una deliberata distorsione della legge per reprimere il dissenso, criminalizzare la solidarietà e sopprimere la verità». Secondo Raza Husain KC, avvocato della co-fondatrice Ammori, il divieto è «un abuso di potere statutario, discriminatorio e sconsiderato». Ha sottolineato come si tratti della «prima volta nella nostra storia che un gruppo di disobbedienza civile che agisce direttamente e che non promuove la violenza viene ritenuto un ente terroristico». Gli account ufficiali X e Meta di Palestine Action risultano ora irraggiungibili. Palestine Action è un movimento britannico di azione diretta nato nel 2020 per contrastare l’industria bellica israeliana e sostenere la causa palestinese. Il suo principale obiettivo è Elbit Systems, il maggior produttore di armi di Israele, con diverse sedi nel Regno Unito. Gli attivisti colpiscono anche aziende complici, come Leonardo, Thales, Teledyne e grandi gruppi finanziari come Barclays e JP Morgan, attraverso blocchi, occupazioni, sabotaggi e danneggiamenti. Le loro azioni hanno avuto un impatto concreto: diverse aziende hanno interrotto i rapporti con Elbit, fabbriche sono state chiuse o vendute, e importanti contratti – come il progetto Watchkeeper da 2,1 miliardi di sterline – sono stati cancellati. Palestine Action ha ottenuto risultati senza ricorrere a petizioni o appelli politici, ma puntando sull’interruzione diretta della produzione bellica. Il movimento si sta ora espandendo anche fuori dal Regno Unito. Da mesi nel Regno Unito sostenere la «resistenza palestinese» è divenuto un rischio concreto di repressione giudiziaria e poliziesca, grazie a una lettura particolarmente ampia del Terrorism Act del 2000. Dal 2019 e poi nel 2021, Hezbollah e Hamas sono state inserite nell’elenco delle organizzazioni proscritte. Di conseguenza, chiunque ne esalti o anche solo ne discuta favorevolmente può essere considerato «apologista del terrorismo». Dallo scoppio del conflitto, vari giornalisti sono stati presi di mira: Craig Murray è stato fermato all’aeroporto di Glasgow il 16 ottobre 2023, con sequestro di pc e cellulare dopo aver partecipato a una manifestazione pro-Palestina; Richard Medhurst è stato arrestato a Heathrow il 15 agosto 2024 e trattenuto per 15 ore; Sarah Wilkinson – 61 anni – ha subito l’irruzione notturna della polizia antisommossa il 29 agosto 2024, con perquisizione brutale e confisca di effetti personali, restando agli arresti domiciliari; il 17 ottobre 2024 anche Asa Winstanley ha subito perquisizione e sequestro dei dispositivi. Operazioni testimoniano come la Sezione 12 del Terrorism Act  sia stata usata per intimidire e mettere a tacere il giornalismo e l’attivismo pro-Palestina. L'Indipendente
Ebrei che non si piegano: sospensioni, ricorsi e censura nel Regno Unito. Il caso dei 36 membri del Board of Deputies of British Jews
Esistono gruppi di ebrei laici e progressisti (Jewish Voice for Peace, IfNotNow, Na’amod, Independent Jewish Voices, JCall, ecc.) che sostengono apertamente la causa palestinese, denunciano l’apartheid e parlano di genocidio ed esistono intellettuali, storici della Shoah, psicoanalisti, teologi, registi ebrei che hanno preso pubblicamente parola contro la violenza, spesso pagando un prezzo altissimo. Ma cosa succede a questi ebrei quando criticano Israele? Succede che vengono accusati di essere “ebrei che odiano se stessi”, traditori, complici dell’antisemitismo, o che vengono espulsi da comunità e organismi ufficiali. Come nel caso recentissimo dei 36 membri del Board of Deputies of British Jews (il principale organismo rappresentativo della comunità ebraica britannica), colpevoli di aver firmato una dichiarazione in cui si parla apertamente di “genocidio” a Gaza. Il Board of Deputies of British Jews è la principale organizzazione rappresentativa degli ebrei nel Regno Unito. Fondato nel 1760, agisce come organo consultivo e interlocutore ufficiale tra la comunità ebraica e il governo britannico, rappresentando sinagoghe, enti educativi, associazioni culturali e religiose. È considerato, in sostanza, la voce istituzionale del giudaismo britannico nei rapporti con autorità politiche, media e organismi pubblici. Il suo orientamento tradizionalmente filo-israeliano lo ha spesso portato a sostenere in modo più o meno esplicito le politiche dello Stato di Israele. Tuttavia, al suo interno convivono correnti diverse, e ciò ha generato scontri e tensioni, soprattutto negli ultimi anni, quando alcune sue figure di spicco hanno espresso critiche aperte verso la gestione israeliana del conflitto con i palestinesi. Il caso dei 36 firmatari che hanno denunciato il genocidio a Gaza è emblematico non solo perché rompe l’omertà istituzionale, ma perché mette in discussione la pretesa del Board di rappresentare tutta la comunità ebraica britannica. Le loro sospensioni disciplinari dimostrano quanto sia difficile, anche all’interno di contesti ebraici ufficiali, esprimere dissenso rispetto alla linea dominante. Dichiarazione pubblica di membri del Board of Deputies of British Jews contro la guerra a Gaza (The Guardian, 26 giugno 2025) Siamo ebrei britannici, membri e membri onorari del Board of Deputies of British Jews, che hanno espresso pubblicamente la loro opposizione all’attuale guerra condotta da Israele nella Striscia di Gaza. Alcuni di noi sono stati sospesi o oggetto di procedimenti disciplinari da parte del Board per aver rilasciato dichiarazioni che, a loro dire, “violano la neutralità dell’organizzazione”. Riteniamo che l’attuale devastazione di Gaza, con decine di migliaia di morti, una popolazione affamata, la distruzione sistematica di ospedali, scuole, infrastrutture e quartieri interi, rappresenti non solo una tragedia umanitaria, ma un crimine di proporzioni storiche. Quando, nel novembre 2023, abbiamo chiesto un cessate il fuoco immediato, siamo stati accusati di tradire il nostro popolo. Quando abbiamo denunciato la disumanizzazione dei palestinesi, ci è stato detto che stavamo legittimando l’antisemitismo. Quando abbiamo espresso preoccupazione per l’uso strumentale del trauma ebraico, siamo stati tacciati di insensibilità. Ma non ci facciamo intimidire. Parliamo non nonostante la nostra identità ebraica, ma a partire da essa. Parliamo perché i nostri valori ci impongono di alzare la voce contro la disumanizzazione, ovunque si manifesti. Parliamo perché crediamo che nessun popolo debba essere ridotto a un bersaglio collettivo. Parliamo perché il silenzio, in questo momento, è complicità.  L’uso sistematico della parola “mai più” per giustificare atti che sfiorano la definizione di genocidio è un affronto alla memoria della Shoah e a tutto ciò che di più sacro l’identità ebraica ha saputo custodire: la responsabilità verso l’altro, il dovere dell’empatia, il rifiuto dell’oppressione.  Denunciare la guerra non significa odiare Israele. Significa rifiutare l’idea che Israele debba essere identificato con un governo violento, etno-nazionalista e corrotto, che sta compromettendo non solo la vita dei palestinesi, ma anche l’anima morale del popolo ebraico. A chi ci accusa di antisemitismo rispondiamo: noi siamo ebrei, orgogliosi, pensanti e profondamente indignati. Chiediamo che il Board of Deputies riconosca la legittimità della nostra posizione e sospenda ogni misura disciplinare nei confronti di chi ha scelto di non voltarsi dall’altra parte. Cosa è accaduto ai firmatari della lettera Il 26 giugno 2025, il Board of Deputies ha annunciato un provvedimento disciplinare senza precedenti contro i 36 firmatari della lettera pubblica che denunciava la guerra a Gaza. Cinque di loro sono stati sospesi per due anni, in pratica espulsi per tutta la durata del loro mandato. Gli altri trentuno hanno ricevuto una reprimenda formale. È la più grande azione disciplinare della storia del Board: oltre il 10% dei membri eletti è stato colpito da sanzioni. La colpa dei cinque sospesi? Aver rilasciato interviste alla stampa dopo la pubblicazione della lettera sul Financial Times nell’aprile precedente. Il Board ha giustificato le sanzioni con la violazione del codice di condotta, che vieterebbe ai membri di esprimere pubblicamente posizioni che “distorcono la linea ufficiale” o gettano discredito sull’organizzazione. I firmatari hanno annunciato ricorso legale e in una dichiarazione pubblica hanno ribadito la loro posizione: “Rimaniamo profondamente preoccupati per la crisi umanitaria a Gaza, per i prigionieri ancora detenuti e per il deterioramento della situazione in Cisgiordania”. Hanno aggiunto di condividere le posizioni della maggioranza degli israeliani, che nei sondaggi chiedono la fine della guerra in cambio del rilascio degli ostaggi. Uno di loro, Philip Goldenberg, ha paragonato la repressione interna subita alla logica autoritaria: “Espellere chi dice verità scomode al potere è l’esatto contrario della tradizione ebraica del dibattito. Questo somiglia più alla Russia di Putin”. Sua moglie, Harriett Goldenberg, anche lei sospesa, ha dichiarato: “Abbiamo ricevuto centinaia di messaggi da ebrei britannici che si sono riconosciuti nelle nostre parole. È tragico che quella voce debba ancora lottare per farsi sentire”. Fonte: https://www.facebook.com/profile.php?id=61554708501839 Redazione Italia
Dall’Artico all’ombrello nucleare: il protagonismo di Berlino nella ‘difesa’ europea
Non può che suscitare cattivi presagi l’attivismo della Germania in ambito militare. Berlino, da una parte usando i margini di bilancio dati da un’architettura europea sbilanciatissima, dall’altra muovendosi velocemente sul piano degli accordi militari e diplomatici, si sta ponendo come perno dellla futura difesa europea, rimodellata sulle esigenze della proiezione […] L'articolo Dall’Artico all’ombrello nucleare: il protagonismo di Berlino nella ‘difesa’ europea su Contropiano.