Ebrei che non si piegano: sospensioni, ricorsi e censura nel Regno Unito. Il caso dei 36 membri del Board of Deputies of British JewsEsistono gruppi di ebrei laici e progressisti (Jewish Voice for Peace, IfNotNow,
Na’amod, Independent Jewish Voices, JCall, ecc.) che sostengono apertamente la
causa palestinese, denunciano l’apartheid e parlano di genocidio ed esistono
intellettuali, storici della Shoah, psicoanalisti, teologi, registi ebrei che
hanno preso pubblicamente parola contro la violenza, spesso pagando un prezzo
altissimo.
Ma cosa succede a questi ebrei quando criticano Israele?
Succede che vengono accusati di essere “ebrei che odiano se stessi”, traditori,
complici dell’antisemitismo, o che vengono espulsi da comunità e organismi
ufficiali. Come nel caso recentissimo dei 36 membri del Board of Deputies of
British Jews (il principale organismo rappresentativo della comunità ebraica
britannica), colpevoli di aver firmato una dichiarazione in cui si parla
apertamente di “genocidio” a Gaza.
Il Board of Deputies of British Jews è la principale organizzazione
rappresentativa degli ebrei nel Regno Unito. Fondato nel 1760, agisce come
organo consultivo e interlocutore ufficiale tra la comunità ebraica e il governo
britannico, rappresentando sinagoghe, enti educativi, associazioni culturali e
religiose. È considerato, in sostanza, la voce istituzionale del giudaismo
britannico nei rapporti con autorità politiche, media e organismi pubblici.
Il suo orientamento tradizionalmente filo-israeliano lo ha spesso portato a
sostenere in modo più o meno esplicito le politiche dello Stato di Israele.
Tuttavia, al suo interno convivono correnti diverse, e ciò ha generato scontri e
tensioni, soprattutto negli ultimi anni, quando alcune sue figure di spicco
hanno espresso critiche aperte verso la gestione israeliana del conflitto con i
palestinesi.
Il caso dei 36 firmatari che hanno denunciato il genocidio a Gaza è emblematico
non solo perché rompe l’omertà istituzionale, ma perché mette in discussione la
pretesa del Board di rappresentare tutta la comunità ebraica britannica. Le loro
sospensioni disciplinari dimostrano quanto sia difficile, anche all’interno di
contesti ebraici ufficiali, esprimere dissenso rispetto alla linea dominante.
Dichiarazione pubblica di membri del Board of Deputies of British Jews contro la
guerra a Gaza (The Guardian, 26 giugno 2025)
Siamo ebrei britannici, membri e membri onorari del Board of Deputies of British
Jews, che hanno espresso pubblicamente la loro opposizione all’attuale guerra
condotta da Israele nella Striscia di Gaza. Alcuni di noi sono stati sospesi o
oggetto di procedimenti disciplinari da parte del Board per aver rilasciato
dichiarazioni che, a loro dire, “violano la neutralità dell’organizzazione”.
Riteniamo che l’attuale devastazione di Gaza, con decine di migliaia di morti,
una popolazione affamata, la distruzione sistematica di ospedali, scuole,
infrastrutture e quartieri interi, rappresenti non solo una tragedia umanitaria,
ma un crimine di proporzioni storiche.
Quando, nel novembre 2023, abbiamo chiesto un cessate il fuoco immediato, siamo
stati accusati di tradire il nostro popolo. Quando abbiamo denunciato la
disumanizzazione dei palestinesi, ci è stato detto che stavamo legittimando
l’antisemitismo. Quando abbiamo espresso preoccupazione per l’uso strumentale
del trauma ebraico, siamo stati tacciati di insensibilità.
Ma non ci facciamo intimidire. Parliamo non nonostante la nostra identità
ebraica, ma a partire da essa. Parliamo perché i nostri valori ci impongono di
alzare la voce contro la disumanizzazione, ovunque si manifesti. Parliamo perché
crediamo che nessun popolo debba essere ridotto a un bersaglio collettivo.
Parliamo perché il silenzio, in questo momento, è complicità.
L’uso sistematico della parola “mai più” per giustificare atti che sfiorano la
definizione di genocidio è un affronto alla memoria della Shoah e a tutto ciò
che di più sacro l’identità ebraica ha saputo custodire: la responsabilità verso
l’altro, il dovere dell’empatia, il rifiuto dell’oppressione.
Denunciare la guerra non significa odiare Israele. Significa rifiutare l’idea
che Israele debba essere identificato con un governo violento, etno-nazionalista
e corrotto, che sta compromettendo non solo la vita dei palestinesi, ma anche
l’anima morale del popolo ebraico.
A chi ci accusa di antisemitismo rispondiamo: noi siamo ebrei, orgogliosi,
pensanti e profondamente indignati.
Chiediamo che il Board of Deputies riconosca la legittimità della nostra
posizione e sospenda ogni misura disciplinare nei confronti di chi ha scelto di
non voltarsi dall’altra parte.
Cosa è accaduto ai firmatari della lettera
Il 26 giugno 2025, il Board of Deputies ha annunciato un provvedimento
disciplinare senza precedenti contro i 36 firmatari della lettera pubblica che
denunciava la guerra a Gaza. Cinque di loro sono stati sospesi per due anni, in
pratica espulsi per tutta la durata del loro mandato. Gli altri trentuno hanno
ricevuto una reprimenda formale. È la più grande azione disciplinare della
storia del Board: oltre il 10% dei membri eletti è stato colpito da sanzioni.
La colpa dei cinque sospesi? Aver rilasciato interviste alla stampa dopo la
pubblicazione della lettera sul Financial Times nell’aprile precedente. Il Board
ha giustificato le sanzioni con la violazione del codice di condotta, che
vieterebbe ai membri di esprimere pubblicamente posizioni che “distorcono la
linea ufficiale” o gettano discredito sull’organizzazione.
I firmatari hanno annunciato ricorso legale e in una dichiarazione pubblica
hanno ribadito la loro posizione: “Rimaniamo profondamente preoccupati per la
crisi umanitaria a Gaza, per i prigionieri ancora detenuti e per il
deterioramento della situazione in Cisgiordania”. Hanno aggiunto di condividere
le posizioni della maggioranza degli israeliani, che nei sondaggi chiedono la
fine della guerra in cambio del rilascio degli ostaggi.
Uno di loro, Philip Goldenberg, ha paragonato la repressione interna subita alla
logica autoritaria: “Espellere chi dice verità scomode al potere è l’esatto
contrario della tradizione ebraica del dibattito. Questo somiglia più alla
Russia di Putin”. Sua moglie, Harriett Goldenberg, anche lei sospesa, ha
dichiarato: “Abbiamo ricevuto centinaia di messaggi da ebrei britannici che si
sono riconosciuti nelle nostre parole. È tragico che quella voce debba ancora
lottare per farsi sentire”.
Fonte: https://www.facebook.com/profile.php?id=61554708501839
Redazione Italia