
Borse di studio per studenti e studentesse palestinesi: un’umanità dimezzata
Pressenza - Saturday, November 22, 2025La Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) coordina un progetto di borse di studio deliberate e messe a disposizione dalle università italiane e destinate a studenti e studentesse palestinesi residenti nei Territori Palestinesi affinché possano iscriversi a corsi di studio in Italia per l’anno accademico 2025/2026 (Progetto IUPALS – Italian Universities for Palestinian Students).

Ai primi di ottobre riceviamo questa lettera da Maha, un’architetta di Gaza destinataria di una di queste borse:
Mi chiamo Maha. Sono un’architetta palestinese di 31 anni originaria di Gaza e, soprattutto, sono una madre.
Oggi scrivo con il cuore pieno di speranza, ma anche oppresso dalla paura: speranza per il futuro di mio figlio e paura che questo futuro gli venga portato via. Mio figlio di 7 anni non conosce altro nella vita che il rumore della guerra. Ora è in grado di distinguere i diversi suoni dei jet da combattimento e delle esplosioni. Questo non è qualcosa che un bambino dovrebbe mai imparare. Dovrebbe andare a scuola, fare sport, imparare la musica, non addormentarsi con la “musica” delle bombe.
Recentemente mi è stata concessa una borsa di studio in Italia attraverso il programma IUPALS per conseguire il master in architettura, un’opportunità per cui ho lavorato instancabilmente, anche in mezzo alla guerra. Questa borsa di studio rappresenta un nuovo inizio sia per me che per mio figlio, un’occasione per ricostruire le nostre vite con dignità, sicurezza e speranza. Dopo aver preparato tutti i documenti richiesti, ho informato sia l’università (Università RomaTre) che l’amministrazione della borsa di studio che dovevo essere accompagnata da mio figlio. La richiesta di mio marito di unirsi a noi è stata respinta e, nell’interesse di nostro figlio, ho accettato di viaggiare da sola con lui.
L’università ha approvato la mia richiesta e ha confermato che, secondo la legge italiana, uno studente ha il diritto di essere accompagnato dal proprio figlio. Anche il programma IUPALS ha approvato la nostra richiesta e inoltrato le nostre informazioni al Consolato italiano a Gerusalemme. Tutto era pronto, finché non ho ricevuto una telefonata dal Consolato. L’impiegata mi ha chiesto: “È interessata a essere evacuata da sola?”. Sono rimasta scioccata. Ho spiegato che il nome di mio figlio era incluso insieme al mio. Lei ha risposto: “Sì, ma solo lei è stata approvata per l’evacuazione, non suo figlio”. Quelle parole mi hanno distrutta. Come si può pretendere che una madre lasci il suo unico figlio in una zona di guerra?
Ora mi trovo di fronte a una scelta impossibile: perdere la borsa di studio che ho guadagnato con anni di sforzi e sacrifici, o separarmi da mio figlio, cosa che semplicemente non posso fare.
Lasciare mio figlio a Gaza significherebbe abbandonarlo a una vita senza sicurezza, istruzione o cure. Mio marito lavora dalle 7 del mattino alle 7 di sera tutti i giorni solo per garantire il minimo indispensabile per la sopravvivenza. La mia famiglia vive fuori Gaza e i genitori di mio marito sono anziani e sfollati dopo che la nostra città natale, Beit Hanoun, è stata completamente rasa al suolo. Ora viviamo senza un riparo adeguato a Deir al-Balah. In tali condizioni, mio figlio rimarrebbe completamente solo, vulnerabile, spaventato e privato anche dei più semplici diritti dell’infanzia. Non sto chiedendo un sostegno finanziario per mio figlio; sono pienamente disposta a coprire tutte le sue spese. Non si tratta di una questione finanziaria, ma umanitaria. Si tratta di salvare la vita e il futuro di un bambino. Prima della guerra, la mia vita a Gaza era piena di significato e di successi. Mi sono laureata seconda nella mia classe in Architettura e ho continuato a lavorare come designer e project manager, costruendo una carriera promettente. Gaza è il luogo in cui ho costruito sia la mia vita professionale che la mia famiglia.
Nonostante abbiamo sopportato quattro guerre, siamo sempre riusciti a ricostruire e a mantenere viva la speranza. Ma dopo oltre 733 giorni di guerra continua, non c’è più nulla da ricostruire. Ho perso la mia casa, i miei averi e molti dei miei cari: amici e parenti la cui assenza continua a spezzarmi il cuore. Vivo nella paura costante di perdere altro, terrorizzata persino dall’idea di essere separata da mio marito o da mio figlio anche solo per un istante, perché qui le perdite di vite arrivano senza preavviso. Eppure mi rifiuto di arrendermi, non per me stessa, ma per mio figlio. Lui merita un futuro in cui le sue giornate siano piene di apprendimento, non di paura. Merita di vedere un mondo pacifico, non in fiamme. Merita la possibilità di sorridere di nuovo.
Mi appello alle autorità italiane e a tutti coloro che hanno il potere di aiutarmi: per favore, non costringetemi a scegliere tra la mia istruzione e mio figlio. Permettetemi di viaggiare con mio figlio, come madre, come studiosa e come essere umano che ha sopportato più di quanto chiunque dovrebbe sopportare. Ho visto con quanto orgoglio il Ministro degli Affari Esteri ha accolto gli studenti dell’IUPALS durante la precedente evacuazione. È stato un momento bellissimo, simbolo di speranza e solidarietà. Dopo tutto quello che ho passato, ora mi verrà negato lo stesso diritto, solo perché mi rifiuto di lasciare mio figlio in una zona di guerra? Chiedo alla dirigenza dell’Università di intervenire immediatamente e di comunicare direttamente con il governo italiano e il Consolato per aiutare a risolvere questa situazione urgente.
Mi appello anche alla comunità universitaria – professori, personale e studenti – che negli ultimi due anni ha dimostrato solidarietà al popolo palestinese, affinché ora mi sostenga personalmente e mi aiuti a garantire il mio legittimo diritto di viaggiare insieme a mio figlio.
Sogno il giorno in cui io e mio figlio arriveremo insieme a Roma, scendendo dall’aereo per iniziare una nuova vita all’insegna della sicurezza e della dignità. Aiutatemi a realizzare questo sogno.
Maha
Con perfetto tempismo, all’approssimarsi dall’imbarco dei primi contingenti di borsiste/i il 27 ottobre 2025 la CRUI aggiorna la propria pagina dedicata al progetto IUPALS, che peraltro richiede praticamente una corsa ad ostacoli quasi impossibile per potervi accedere, specificando che:
(…) il Progetto IUPALS, per cui è attivata l’evacuazione da Gaza con l’assistenza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, prevede esclusivamente borse di studio deliberate e gestite dagli atenei aderenti e non si occupa di ricongiungimenti familiari. Come segnalato dalle autorità compenti, gli interessati potranno attivare le richieste di ricongiungimento familiare una volta regolarizzata la propria posizione in Italia con permesso di soggiorno e presentando domanda presso le Prefetture del luogo di residenza.
A fine ottobre riceviamo un’altra mail da Maha, che tra le altre cose ci spiega come ci sia una totale chiusura burocratica che definiremmo a questo punto disumanizzante:
(…) È stata inviata una lettera congiunta a nome mio e di tutti gli altri studenti che hanno una famiglia – circa 10 studenti su 150 che sono stati ammessi – al Ministero degli Affari Esteri. Siamo rimasti sorpresi dalla dichiarazione pubblica ufficiale del Ministero, in cui si affermava che gli studenti non sono autorizzati a viaggiare con le loro famiglie perché i Paesi di transito non lo consentono. Hanno aggiunto che avremmo potuto richiedere il ricongiungimento familiare in un secondo momento, ma tale processo richiede anni. L’evacuazione a cui dovevo partecipare è avvenuta il 22 ottobre e i 49 studenti sono partiti senza di me, perché non sono riuscita a ottenere la conferma che mio figlio potesse unirsi a me. Ma come posso lasciare mio figlio di 7 anni in una zona di guerra che non è sicura? D’altra parte, come posso rinunciare a questa opportunità di studio conquistata con tanta fatica, per la quale ho lavorato così duramente, anche mentre le bombe cadevano sulle nostre teste? Avevo già accettato con tristezza di partire senza mio marito, ma partire senza mio figlio è impossibile. Ci sono anche altre tre madri nello stesso programma di borse di studio, alcune con bambini di pochi mesi.
Ci siamo guadagnate questa opportunità con merito, ma ora ci viene negata semplicemente perché siamo madri.
Noi rivolgiamo questi stessi dubbi a tutte le autorità competenti: quando si tende una mano questa poi deve stringersi, altrimenti l’altra persona rimane lì.
La “fortezza Europa” che ha grandi responsabilità in ciò che avviene in Palestina, nell’apartheid in territorio israeliano contro ciò che oggi è una minoranza palestinese, ma di dimensioni significative, in alcuni casi addirittura residente ma non cittadina, ma anche in ciò che avviene nei lager libici o in quelli che si costruiranno in Mali o in Niger. Non riesce più ad esprimere un’umanità pienamente compiuta: Maha è stata, di fatto, costretta dal nostro governo a rimanere a Gaza con figlio e marito…”in ottemperanza alle normative che regolano i ricongiungimenti familiari”.