Borse di studio per studenti e studentesse palestinesi: un’umanità dimezzataLa Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) coordina un progetto
di borse di studio deliberate e messe a disposizione dalle università italiane e
destinate a studenti e studentesse palestinesi residenti nei Territori
Palestinesi affinché possano iscriversi a corsi di studio in Italia per l’anno
accademico 2025/2026 (Progetto IUPALS – Italian Universities for Palestinian
Students).
Ai primi di ottobre riceviamo questa lettera da Maha, un’architetta di Gaza
destinataria di una di queste borse:
Mi chiamo Maha. Sono un’architetta palestinese di 31 anni originaria di Gaza e,
soprattutto, sono una madre.
Oggi scrivo con il cuore pieno di speranza, ma anche oppresso dalla paura:
speranza per il futuro di mio figlio e paura che questo futuro gli venga portato
via. Mio figlio di 7 anni non conosce altro nella vita che il rumore della
guerra. Ora è in grado di distinguere i diversi suoni dei jet da combattimento e
delle esplosioni. Questo non è qualcosa che un bambino dovrebbe mai imparare.
Dovrebbe andare a scuola, fare sport, imparare la musica, non addormentarsi con
la “musica” delle bombe.
Recentemente mi è stata concessa una borsa di studio in Italia attraverso il
programma IUPALS per conseguire il master in architettura, un’opportunità per
cui ho lavorato instancabilmente, anche in mezzo alla guerra. Questa borsa di
studio rappresenta un nuovo inizio sia per me che per mio figlio, un’occasione
per ricostruire le nostre vite con dignità, sicurezza e speranza. Dopo aver
preparato tutti i documenti richiesti, ho informato sia l’università (Università
RomaTre) che l’amministrazione della borsa di studio che dovevo essere
accompagnata da mio figlio. La richiesta di mio marito di unirsi a noi è stata
respinta e, nell’interesse di nostro figlio, ho accettato di viaggiare da sola
con lui.
L’università ha approvato la mia richiesta e ha confermato che, secondo la legge
italiana, uno studente ha il diritto di essere accompagnato dal proprio figlio.
Anche il programma IUPALS ha approvato la nostra richiesta e inoltrato le nostre
informazioni al Consolato italiano a Gerusalemme. Tutto era pronto, finché non
ho ricevuto una telefonata dal Consolato. L’impiegata mi ha chiesto: “È
interessata a essere evacuata da sola?”. Sono rimasta scioccata. Ho spiegato che
il nome di mio figlio era incluso insieme al mio. Lei ha risposto: “Sì, ma solo
lei è stata approvata per l’evacuazione, non suo figlio”. Quelle parole mi hanno
distrutta. Come si può pretendere che una madre lasci il suo unico figlio in una
zona di guerra?
Ora mi trovo di fronte a una scelta impossibile: perdere la borsa di studio che
ho guadagnato con anni di sforzi e sacrifici, o separarmi da mio figlio, cosa
che semplicemente non posso fare.
Lasciare mio figlio a Gaza significherebbe abbandonarlo a una vita senza
sicurezza, istruzione o cure. Mio marito lavora dalle 7 del mattino alle 7 di
sera tutti i giorni solo per garantire il minimo indispensabile per la
sopravvivenza. La mia famiglia vive fuori Gaza e i genitori di mio marito sono
anziani e sfollati dopo che la nostra città natale, Beit Hanoun, è stata
completamente rasa al suolo. Ora viviamo senza un riparo adeguato a Deir
al-Balah. In tali condizioni, mio figlio rimarrebbe completamente solo,
vulnerabile, spaventato e privato anche dei più semplici diritti dell’infanzia.
Non sto chiedendo un sostegno finanziario per mio figlio; sono pienamente
disposta a coprire tutte le sue spese. Non si tratta di una questione
finanziaria, ma umanitaria. Si tratta di salvare la vita e il futuro di un
bambino. Prima della guerra, la mia vita a Gaza era piena di significato e di
successi. Mi sono laureata seconda nella mia classe in Architettura e ho
continuato a lavorare come designer e project manager, costruendo una carriera
promettente. Gaza è il luogo in cui ho costruito sia la mia vita professionale
che la mia famiglia.
Nonostante abbiamo sopportato quattro guerre, siamo sempre riusciti a
ricostruire e a mantenere viva la speranza. Ma dopo oltre 733 giorni di guerra
continua, non c’è più nulla da ricostruire. Ho perso la mia casa, i miei averi e
molti dei miei cari: amici e parenti la cui assenza continua a spezzarmi il
cuore. Vivo nella paura costante di perdere altro, terrorizzata persino
dall’idea di essere separata da mio marito o da mio figlio anche solo per un
istante, perché qui le perdite di vite arrivano senza preavviso. Eppure mi
rifiuto di arrendermi, non per me stessa, ma per mio figlio. Lui merita un
futuro in cui le sue giornate siano piene di apprendimento, non di paura. Merita
di vedere un mondo pacifico, non in fiamme. Merita la possibilità di sorridere
di nuovo.
Mi appello alle autorità italiane e a tutti coloro che hanno il potere di
aiutarmi: per favore, non costringetemi a scegliere tra la mia istruzione e mio
figlio. Permettetemi di viaggiare con mio figlio, come madre, come studiosa e
come essere umano che ha sopportato più di quanto chiunque dovrebbe sopportare.
Ho visto con quanto orgoglio il Ministro degli Affari Esteri ha accolto gli
studenti dell’IUPALS durante la precedente evacuazione. È stato un momento
bellissimo, simbolo di speranza e solidarietà. Dopo tutto quello che ho passato,
ora mi verrà negato lo stesso diritto, solo perché mi rifiuto di lasciare mio
figlio in una zona di guerra? Chiedo alla dirigenza dell’Università di
intervenire immediatamente e di comunicare direttamente con il governo italiano
e il Consolato per aiutare a risolvere questa situazione urgente.
Mi appello anche alla comunità universitaria – professori, personale e studenti
– che negli ultimi due anni ha dimostrato solidarietà al popolo palestinese,
affinché ora mi sostenga personalmente e mi aiuti a garantire il mio legittimo
diritto di viaggiare insieme a mio figlio.
Sogno il giorno in cui io e mio figlio arriveremo insieme a Roma, scendendo
dall’aereo per iniziare una nuova vita all’insegna della sicurezza e della
dignità. Aiutatemi a realizzare questo sogno.
Maha
Con perfetto tempismo, all’approssimarsi dall’imbarco dei primi contingenti di
borsiste/i il 27 ottobre 2025 la CRUI aggiorna la propria pagina dedicata al
progetto IUPALS, che peraltro richiede praticamente una corsa ad ostacoli quasi
impossibile per potervi accedere, specificando che:
(…) il Progetto IUPALS, per cui è attivata l’evacuazione da Gaza con
l’assistenza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale, prevede esclusivamente borse di studio deliberate e gestite
dagli atenei aderenti e non si occupa di ricongiungimenti familiari. Come
segnalato dalle autorità compenti, gli interessati potranno attivare le
richieste di ricongiungimento familiare una volta regolarizzata la propria
posizione in Italia con permesso di soggiorno e presentando domanda presso le
Prefetture del luogo di residenza.
A fine ottobre riceviamo un’altra mail da Maha, che tra le altre cose ci spiega
come ci sia una totale chiusura burocratica che definiremmo a questo punto
disumanizzante:
(…) È stata inviata una lettera congiunta a nome mio e di tutti gli altri
studenti che hanno una famiglia – circa 10 studenti su 150 che sono stati
ammessi – al Ministero degli Affari Esteri. Siamo rimasti sorpresi dalla
dichiarazione pubblica ufficiale del Ministero, in cui si affermava che gli
studenti non sono autorizzati a viaggiare con le loro famiglie perché i Paesi di
transito non lo consentono. Hanno aggiunto che avremmo potuto richiedere il
ricongiungimento familiare in un secondo momento, ma tale processo richiede
anni. L’evacuazione a cui dovevo partecipare è avvenuta il 22 ottobre e i 49
studenti sono partiti senza di me, perché non sono riuscita a ottenere la
conferma che mio figlio potesse unirsi a me. Ma come posso lasciare mio figlio
di 7 anni in una zona di guerra che non è sicura? D’altra parte, come posso
rinunciare a questa opportunità di studio conquistata con tanta fatica, per la
quale ho lavorato così duramente, anche mentre le bombe cadevano sulle nostre
teste? Avevo già accettato con tristezza di partire senza mio marito, ma partire
senza mio figlio è impossibile. Ci sono anche altre tre madri nello stesso
programma di borse di studio, alcune con bambini di pochi mesi.
Ci siamo guadagnate questa opportunità con merito, ma ora ci viene negata
semplicemente perché siamo madri.
Noi rivolgiamo questi stessi dubbi a tutte le autorità competenti: quando si
tende una mano questa poi deve stringersi, altrimenti l’altra persona rimane lì.
La “fortezza Europa” che ha grandi responsabilità in ciò che avviene in
Palestina, nell’apartheid in territorio israeliano contro ciò che oggi è una
minoranza palestinese, ma di dimensioni significative, in alcuni casi
addirittura residente ma non cittadina, ma anche in ciò che avviene nei lager
libici o in quelli che si costruiranno in Mali o in Niger. Non riesce più ad
esprimere un’umanità pienamente compiuta: Maha è stata, di fatto, costretta dal
nostro governo a rimanere a Gaza con figlio e marito…”in ottemperanza alle
normative che regolano i ricongiungimenti familiari”.
Stefano Bertoldi