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22 settembre, sciopero generale e generalizzato, ma c’è chi prova a mettere i bastoni fra le ruote
ASPETTIAMO UNA RISPOSTA DA CGIL E GILDA. Tanti Collegi Docenti, a partire dall’iniziativa e dalla sensibilità di tanti colleghi e colleghe, hanno deciso di iniziare il nuovo anno scolastico effettuando un minuto di silenzio contro il genocidio in Palestina, per l’immediato cessate il fuoco e per garantire l’arrivo degli aiuti umanitari nella Striscia. Per questa massiccia adesione all’iniziativa lanciata da Docenti per Gaza insieme all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università e alla Scuola per la pace Torino e Piemonte, noi siamo estremamente grati a tutti e a tutte gli/le insegnanti. Nel frattempo, però, cresce l’attenzione verso la missione della Global Sumud Flotilla, che deve poter approdare a Gaza e consegnare gli aiuti. Di fronte a una articolata e coerente iniziativa dal basso, USA e UE continuano a supportare la politica criminale di Israele e il governo Meloni si oppone alle pur timide proposte di sanzioni, che, comunque, non riguarderanno la fornitura di armi e la cooperazione militare con Israele. Fortunatamente cresce l’indignazione e la consapevolezza che bisogna, qui e ora, opporsi al genocidio e fermare la cosiddetta “operazione di terra”, iniziata dall’esercito israeliano. Lo sciopero generale e generalizzato del 22 settembre è una prima decisiva prova per dimostrare da che parte stanno lavoratrici e lavoratori e per chiedere le dimissioni del governo Meloni. Nelle scuole, in particolare, si preannuncia una significativa partecipazione. Ebbene, in questo contesto delegati locali di CGIL e GILDA diffondono, attraverso la deleteria comunicazione What’s App, informazioni di questo tipo: “Ricordiamo ai colleghi che, come previsto dall’Accordo ARAN del 2 dicembre 2020 e dalla Legge 146/1990, in caso di sciopero i docenti devono comunicare per iscritto una delle tre opzioni: aderisco; non aderisco; non ho ancora preso una decisione. La mancata comunicazione comporta responsabilità e può essere oggetto di sanzione disciplinare”. Quindi non solo non partecipano allo sciopero, ma condividono false informazioni. Infatti, secondo la normativa vigente, il personale scolastico non è obbligato a comunicare la propria adesione o meno. Chiediamo, perciò, e con urgenza, alle strutture nazionali dei due sindacati di diffondere una comunicazione corretta. NON ADERIRE A UNO SCIOPERO È UN CONTO, BOICOTTARLO È MOLTO GRAVE. Nino De Cristofaro, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Catania
Rinnovo del PdS per cure mediche: accertata la mancanza di assistenza adeguata in Tunisia
Il Tribunale di Bari ha riconosciuto il diritto al rinnovo del permesso di soggiorno per cure mediche a un cittadino tunisino affetto da grave patologia psichiatrica cronica. Il ricorrente ha potuto ritirare il permesso nella giornata dell’1 agosto, ma solo dopo la diffida del legale inviata al Questore e al Capo di Gabinetto. Il ricorso era stato presentato contro il diniego della Questura di Foggia, che aveva motivato il rifiuto con presunte carenze documentali. Il Tribunale ha evidenziato che, in casi come questo, è prevalente il diritto alla salute, un valore primario tutelato dalla legge, e non un semplice interesse legittimo dell’immigrato. La valutazione della gravità della patologia e dell’impossibilità di ricevere cure adeguate in Tunisia, confermata dalle COI (informazioni sui Paesi di origine) aggiornati sulle condizioni del sistema sanitario tunisino, ha portato i giudici a riconoscere il rinnovo del permesso per un anno, con possibilità di ulteriori rinnovi finché persisteranno le condizioni sanitarie che giustificano la protezione. Tribunale di Bari, sentenza n. 2471 del 25 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Gerarda Carbone per la segnalazione. * Consulta altre decisioni relative al permesso di soggiorno per cure mediche
Visti negati, diritti calpestati: l’inerzia del Governo nei confronti dei palestinesi di Gaza
Dal 6 agosto al 10 settembre 2025, il Tribunale di Roma ha emesso una serie di provvedimenti 1 che obbligavano lo Stato italiano a rilasciare visti d’ingresso a famiglie palestinesi intrappolate nella Striscia di Gaza 2. Si tratta, in gran parte, di nuclei con bambini e bambine, riconosciuti come titolari di un diritto all’ingresso in Italia. Nonostante ordini espliciti che imponevano al Ministero degli Affari Esteri e al Consolato italiano a Gerusalemme di agire “entro e non oltre sette giorni”, ad oggi nessun visto è stato materialmente rilasciato. Non sono valsi a nulla i numerosi solleciti inviati dalle avvocate e dagli avvocati ASGI: lo Stato italiano resta inerte 3. L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), che ha seguito i ricorsi, denuncia una «grave e colpevole mancata esecuzione dei provvedimenti giudiziari». Con un nuovo comunicato, ASGI sottolinea come «il silenzio dello Stato italiano non trovi alcuna giustificazione ed è evidente la responsabilità che si assume per l’inerzia sin qui dimostrata». L’associazione evidenzia che tale inadempienza «appare tanto più grave alla luce della drammatica situazione in corso nella Striscia di Gaza, documentata e resa evidente all’intera comunità internazionale». «Sappiamo che la situazione è estremamente complessa e che tutto deve passare anche dalle autorità israeliane. Al momento, però» – spiega l’avvocato Dario Belluccio di ASGI – «non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione sulle eventuali attività svolte dall’Italia per dare seguito alla decisione del Tribunale. I nostri assistiti non ce la fanno più, sono allo stremo. E qualsiasi ritardo può costare loro la vita». Un’ordinanza del Tribunale sostiene: «Lo Stato italiano non solo non può legittimamente ostacolare l’ingresso sul territorio dei ricorrenti in fuga da Gaza, ma anzi ha un obbligo rafforzato a consentirne l’accesso, quale misura di protezione minima e necessaria per prevenire la violazione irreparabile del diritto alla vita, all’incolumità personale e alla dignità umana». Le ordinanze riguardano cinque nuclei familiari, per un totale di circa una quarantina di persone, molte delle quali sono minori, anziani, persone malate, oppure familiari di cittadini italiani. Il tribunale ha fatto espresso riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio, sottolineando che l’Italia ha obblighi giuridici non solo di cooperazione ma di prevenzione. Le autorità italiane, secondo ASGI, non hanno fornito risposte concrete: nessuna motivazione ufficiale per il ritardo, nessuna conferma che siano stati compiuti atti per ottenere le autorizzazioni necessarie dalle autorità israeliane. La situazione nella Striscia di Gaza è documentata come genocidaria: bombardamenti indiscriminati, fame e difficoltà nell’accesso a beni di prima necessità, rischio costante per i civili, specie per i più vulnerabili. ASGI ribadisce: «Lo Stato italiano deve agire immediatamente, nessun ulteriore ritardo è giustificabile. Tutti i palestinesi devono avere gli stessi diritti. Riterremo responsabile lo Stato italiano della colpevole inerzia se qualcuno dei nostri assistiti dovesse morire o subire ulteriori gravissimi danni». Quanto emerso mostra che non è più possibile considerare questo un difetto amministrativo: è una questione politica, giuridica e morale. Lo Stato italiano è chiamato non solo a rispettare la legge nazionale, ma anche gli obblighi internazionali – inclusi quelli derivanti da trattati che ha sottoscritto. ASGI chiede: il rilascio immediato dei visti ordinati, l’avvio concreto delle operazioni di fuoriuscita dalla Striscia, la trasparenza sulle richieste e i contatti con le autorità israeliane, e che ogni ritardo venga riconosciuto come aggravante. «Ogni ulteriore ritardo – conclude l’associazione – costituirà un’aggravante della già grave responsabilità politica, giuridica e morale assunta dal Governo. Ogni limite è superato ed è chiara la colpevole responsabilità dello Stato italiano, di cui si chiederà soddisfazione in ogni sede». 1. La sintesi delle pronunce del Tribunale di Roma emesse tra il 6 e il 13 agosto, ASGI (26 agosto 2025) ↩︎ 2. Gaza, il tribunale di Roma ordina l’ingresso di famiglie palestinesi. Asgi: “Ma il governo ancora non agisce”, Il Fatto Quotidiano (23 agosto 2025) ↩︎ 3. Il comunicato di ASGI del 23 agosto 2025 ↩︎
Spesa sanitaria pubblica: l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi del G7
Per la spesa sanitaria pubblica pro-capite il nostro Paese nel 2024 si è collocato al 14° posto tra i 27 Paesi europei dell’area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7. Una spesa sanitaria pubblica che si è attestata al 6,3% del PIL, percentuale inferiore sia alla media OCSE (7,1%), sia a quella europea (6,9%). E per la spesa pro capite il gap con i Paesi europei è di € 43 miliardi. Sono i dati di un recente Report della Fondazione GIMBE, che ancora una volta evidenziano come il sottofinanziamento pubblico della sanità italiana sia ormai una questione strutturale che si scarica pesantemente sui cittadini, costretti a confrontarsi ogni giorno con liste d’attesa fuori controllo, pronto soccorso al collasso, carenza di medici di famiglia, disuguaglianze territoriali e sociali sempre più marcate e la necessità sempre più frequente a pagare di tasca propria visite e prestazioni sanitarie fino a rinunciare del tutto. Nel 2024 sono state costrette a farlo ben 5,8 milioni di persone, quasi 1 su 10. La fonte utilizzata dalla Fondazione GIMBE è il dataset OECD Health Statistics, aggiornato al 30 luglio 2025. I confronti con i paesi OCSE e con quelli europei sono stati effettuati sulla spesa sanitaria pubblica, sia in termini di percentuale del PIL che di spesa pro-capite in dollari a prezzi correnti e a parità di potere d’acquisto. È utile ricordare che la spesa sanitaria pubblica di ciascun Paese include diversi schemi di finanziamento, di cui uno generalmente prevalente: fiscalità generale (es. Italia, Regno Unito), assicurazione sociale obbligatoria (es. Germania, Francia), assicurazione privata obbligatoria (es. USA, Svizzera). Nel 2024 la spesa sanitaria pubblica pro-capite in Italia si è attestata a $ 3.835, un valore nettamente inferiore sia alla media OCSE ($ 4.625) con una differenza di $ 790, sia soprattutto alla media dei Paesi europei ($ 4.689) con una differenza di $ 854. Tra gli Stati membri dell’Unione Europea, sono 13 i Paesi che investono più dell’Italia: si va dai +$ 58 della Spagna ($ 3.893) ai +$ 4.245 della Germania ($ 8.080). Come ha sottolineato il presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta, “l’Italia è prima tra i paesi poveri: precede solo alcuni paesi dell’Est e dell’Europa Meridionale, visto che Repubblica Ceca, Slovenia e Spagna investono più di noi. Fino al 2011, la spesa sanitaria pro-capite in Italia era allineata alla media europea; poi, per effetto di tagli e definanziamenti operati da tutti i Governi, il divario si è progressivamente ampliato, raggiungendo i $ 430 nel 2019. Il gap si è ulteriormente allargato durante la pandemia, quando gli altri paesi hanno investito molto più dell’Italia; il trend si è confermato nel 2023, con una spesa stabile in Italia, e nel 2024, quando l’incremento è stato inferiore alla media degli altri Paesi europei. L’entità di questo progressivo definanziamento  è imponente: al cambio corrente dollaro/euro il gap pro-capite nel 2024 ha raggiunto € 729. Applicato all’intera popolazione residente, corrisponde un divario complessivo di € 43 miliardi. Una erosione progressiva di risorse pubbliche al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che, soprattutto dopo la pandemia, è sempre più in affanno”. Nel 2024 l’Italia si è quindi confermata come il fanalino di coda con una spesa pro-capite di $ 3.835, mentre la Germania l’ha più che doppiata raggiungendo i $ 8.080. Particolarmente significativo è il caso del Regno Unito, che condivide con l’Italia un modello sanitario universalistico: se fino al 2019 ha registrato una crescita modesta, a partire dalla pandemia ha progressivamente aumentato in modo consistente la spesa pubblica, superando in soli cinque anni Canada e Giappone e posizionandosi poco al di sotto della Francia. Per la Fondazione GIMBE è proprio dall’impietoso confronto con gli altri Paesi europei e del G7 che bisogna ripartire, affinché Governo e Parlamento prendano atto dell’enorme e crescente divario strutturale rispetto agli altri Paesi avanzati, senza trasformare il tema in scontro politico. È urgente pianificare un progressivo rilancio del finanziamento pubblico della sanità: non per risalire le classifiche internazionali, ma per restituire forza e dignità al SSN e garantire a tutte le persone, ovunque vivano e a prescindere dal loro reddito, l’inalienabile diritto alla tutela della salute sancito dalla Costituzione. Perché se non investiamo sulla salute, pagheremo tutto con gli interessi: in disuguaglianze, malattia, impoverimento e perdita di futuro. Qui per approfondire: https://www.gimbe.org/pagine/341/it/comunicati-stampa.  Giovanni Caprio
Inondare l’Università di barchette per supportare da terra la Global Sumud Flotilla
Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università segnaliamo questa interessante iniziativa nonviolenta, cioè quella di inondare l’Università di barchette con i colori della bandiera Palestina, che gli studenti e le studentesse di Cambiare Rotta hanno ideato e lanciato per lunedì 15 settembre, in occasione dell’inizio dell’anno accademico all’Università di Bologna. Si tratta di un’iniziativa promossa all’interno del presidio con le tende davanti al Rettorato che si sta svolgendo da una settimana circa per sostenere come “equipaggio di terra” la missione della Global Sumud Flotilla e dare forza e risonanza alle ragioni dell’azione in solidarietà col popolo palestinese e contro il genocidio a Gaza. Si punta inoltre a rilanciare lo sciopero generale del 22 settembre, che vuole rappresentare un monito alle istituzioni per far sì che la flotilla possa raggiungere Gaza con gli aiuti umanitari in tutta sicurezza. In caso contrario, ci si prepara a bloccare tutto. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Nulla osta ex art. 42, co. 2, d.l. 73/2022: obblighi istruttori e difetto di motivazione nel provvedimento di revoca
Un’ordinanza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – sezione prima – che accoglie un’istanza cautelare relativa ai “nuovi” nulla osta all’ingresso di lavoratori stranieri (art. 42, co. 2, d.l. 73/2022), emanati senza una preventiva verifica circa l’eventuale sussistenza di elementi ostativi. Nel caso di specie, il nulla osta era stato rilasciato nonostante la già intervenuta condanna del datore di lavoro, circostanza che rendeva quest’ultimo inidoneo alla stipula del contratto. Il lavoratore, dopo aver ottenuto il visto di ingresso dalla competente Ambasciata su istanza del datore, era giunto in Italia; solo dopo molti mesi gli veniva tuttavia notificato il provvedimento di revoca del nulla osta. Il Collegio, in sede cautelare, non ha approfondito le censure sollevate di illegittimità costituzionale dell’art. 42, co. 2, d.l. 73/2022 e di violazione del principio di legittimo affidamento, ma si è concentrato su due profili: * il difetto di motivazione, poiché l’Amministrazione aveva utilizzato un mero modulo prestampato senza individuare la fattispecie concreta; * il difetto istruttorio, atteso che – nel caso in esame – l’impossibilità di stipulare il contratto (per la condanna già esistente a carico del datore prima dell’emanazione del nulla osta) imponeva alla P.A. l’onere di valutare ogni altra possibilità, comprese eventuali alternative occupazionali per il lavoratore. T.A.R. per il Piemonte, ordinanza n. 266 del 26 giugno 2025 Si ringrazia l’avv. Pasquale Franco De Rosa per la segnalazione e il commento.
L’esercito a scuola per distanziare i bambini. Assolto Antonio Mazzeo
RILANCIAMO L’ARTICOLO PUBBLICATO SU STAMPALIBERA.IT IL 16 SETTEMBRE 2024 SULL’ASSOLUZIONE DI ANTONIO MAZZEO, DOCENTE E ATTIVISTA DELL’OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ. QUANDO SI VERIFICÒ L’”OCCUPAZIONE” MILITARE DA PARTE DELLA BRIGATA “AOSTA” DEL CORTILE DELLA SCUOLA PRIMARIA “PARADISO” DI MESSINA, LA DIRIGENTE ELEONORA CORRADO RICOPRIVA L’INCARICO DI COORDINATRICE DEI DIRIGENTI SCOLASTICI DELLA FLC CGIL. Di EDG – Assolto perché il fatto non sussiste. La Corte di Appello del Tribunale di Messina (Presidente Tripodi, a latere Giacobello, relatore, e Finocchiaro), in riforma della sentenza di primo grado ha assolto l’insegnante e giornalista Antonio Mazzeo, difeso dall’avvocato Fabio Repici, e ha revocato le statuizioni civili della sentenza di primo grado emessa dal giudice onorario Maria Grazia Mandanici il 24 ottobre 2024. Ad Antonio Mazzeo era stato contestato il reato di cui all’art. 595 comma II e III del codice penale (diffamazione a mezzo stampa) perché, in qualità di autore dell’articolo pubblicato il 21 ottobre 2020 su alcune testate giornalistiche, dal titolo A Messina Sindaco e Prefetto inviano l’esercito nelle scuole elementari e medie con il plauso dei Presidi, commentando la circostanza che, per evitare assembramenti, erano stati inviati militari dell’esercito a presidiare l’ingresso dell’istituto scolastico, aveva riportato che la dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo Paradiso, dottoressa Eleonora Corrado “…oltre a essere evidentemente anni luce distante dai modelli pedagogici e formativi che dovrebbero fare da fondamento della Scuola della Costituzione repubblicana (il ripudio della guerra e l’uso illegittimo della forza; l’insostituibilità della figura dell’insegnante e l’educare e il non reprimere, ecc.), si mostra ciecamente obbediente all’ennesimo Patto per la Sicurezza Urbana, del tutto arbitrario ed autoritario e che certamente non può e né deve bypassare i compiti e le responsabilità del personale docente in quella che è la promozione e gestione delle relazioni con i minori”. In primo grado, Antonio Mazzeo era stato condannato alla pena di euro 550 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Nel corso dell’udienza del processo d’appello, il 9 settembre 2025, l’insegnante messinese ha presentato alla Corte una lunga dichiarazione difensiva. “Vi scrivo quale imputato di diffamazione, a seguito di quanto da me riportato in una nota stampa in cui stigmatizzavo la presenza di militari dell’Esercito italiano, armati, all’interno del cortile della scuola di cui la persona offesa dal reato era dirigente, in data 21 ottobre 2020, in funzione di “vigilanza” e per imporre il “distanziamento sociale” alle bambine e ai bambini della scuola primaria e ai loro genitori in tempi di emergenza da Covid-19”, spiega Mazzeo. “In questi anni, sia nella fase delle indagini preliminari (si vedano ad esempio le dichiarazioni da me rese nel corso dell’interrogatorio innanzi ai Carabinieri di Milazzo) e sia in diversi interventi pubblici ho espresso stupore e il profondo dispiacere per l’esito giudiziario delle mie affermazioni che MAI hanno inteso offendere alcuno o delegittimarne il ruolo istituzionale ricoperto”. “Mi permetto tuttavia di far presente che quanto da me narrato nell’articolo contestato, sia sulle illegittime modalità di intervento dei militari dell’Esercito e sia sull’assoluta infondatezza e insostenibilità del Patto per la Sicurezza Urbana con cui sarebbe stato giustificato il loro invio a presidio delle istituzioni scolastiche – ha trovato pieno riscontro anche nei fatti accertati nel corso del giudizio”, ha aggiunto l’insegnante. “Cosa ancora più grave è però che, a quasi cinque anni di distanza da quanto accaduto, nessun organo istituzionale ha sentito il dovere morale di assumersi la paternità dell’invio di militari armati in una scuola primaria come misura di contenimento della pandemia. Ritengo ancora oggi con maggior convinzione che chi lo ha fatto ha abusato ingiustificatamente dei suoi poteri, violando i principi costituzionali e generando ulteriori inutili traumi ai minori e ai loro genitori”. “Mi sia consentito di ricordare che mentre con difficoltà e fatica, insegnanti, studenti e genitori tentavano allora di ricostruire la normalità nelle attività didattiche dopo la lunga e drammatica chiusura delle scuole di ogni ordine e grado con il lockdown decretato nel marzo 2020, la risposta istituzionale al coronavirus privilegiava lo stato di guerra, i suoi linguaggi, le sue metafore, i suoi simboli. L’emergenza sanitaria, drammatica, reale, è stata rappresentata e manipolata come una crisi bellica globale per conseguire controlli repressivi e limitazioni delle libertà individuali e collettive e la militarizzazione dell’intera sfera sociale, politica ed economica”. “Purtroppo la sicurizzazione della risposta al coronavirus si è sviluppata in continuità con il dilagante processo di militarizzazione de iure e de facto degli istituti e degli stessi contenuti culturali e formativi, aggravatosi ulteriormente negli anni successivi come presunta risposta al conflitto in Ucraina o alle gravissime crisi umanitarie in atto nel mondo, a partire dallo scempio inumano in corso a Gaza. Come, senza essere presuntuoso, può essere considerato fatto notorio, da anni denuncio e documento come la scuola italiana si sia trasformata in laboratorio sperimentale di percorsi didattici subalterni alle logiche di guerra e agli interessi politico-militari e geostrategici dominanti. Alle città d’arte e ai siti archeologici le scuole preferiscono sempre più le visite alle caserme e alle basi USA e NATO “ospitate” in Italia o alle industrie belliche mentre agli studenti è imposta la partecipazione a parate militari, alzabandiera, conferimenti di onorificenze a presunti eroi di guerra. Ci sono poi le molteplici attività didattiche affidate a generali e ammiragli (dall’interpretazione della Costituzione all’educazione ambientale e alla salute, alla lotta alla droga e alla prevenzione dei comportamenti classificati come “devianti”, bullismo, cyberbullismo, ecc.); i cori e le bande di studenti e soldati; gli stage formativi sui cacciabombardieri e le fregate; l’alternanza scuola-lavoro a fianco dei reparti d’eccellenza delle forze armate o nelle aziende produttrici di armi. A ciò si aggiunga la conversione delle strutture scolastiche a fini sicuritari con l’installazione di videocamere e dispositivi elettronici identificativi e di controllo (tornelli ai portoni, l’obbligatorietà ad indossare badge, ecc.)”. “Fortunatamente oggi il tema della militarizzazione della scuola italiana è entrato nel dibattito politico ed educativo pubblico e negli ultimi anni, promosso da intellettuali, pedagogisti, insegnanti e organizzazioni sindacali di base, è nato un Osservatorio nazionale che ha già presentato report e dossier ripresi con attenzione dai media nazionali ed internazionali”, prosegue Mazzeo. “Comprendo bene che si possa divergere su valutazioni di ordine educativo e pedagogico ma non credo assolutamente che sia un’aula giudiziaria il luogo dove confrontarsi sui processi in atto nella società e nella scuola italiana, specie in assenza (o in vera e propria latitanza) degli interlocutori istituzionali che hanno assunto le scelte generatrici del conflitto tra le nostre rispettive parti. Ma non credo che si possano criminalizzare in sede giudiziaria le mie idee, sostenute sempre in modo rispettoso di chiunque, con esclusivo riferimento ai fatti oggetto di valutazione e ai principi da me propugnati, senza aggredire alcuno o alcuna nella sua dignità di persona”. ALL’INIZIO DELL’ANNO SCOLASTICO 2020-21, QUANDO SI VERIFICÒ L’”OCCUPAZIONE” MILITARE DA PARTE DELLA BRIGATA “AOSTA” DEL CORTILE DELLA SCUOLA PRIMARIA “PARADISO” DI MESSINA, LA DIRIGENTE ELEONORA CORRADO RICOPRIVA L’INCARICO DI COORDINATRICE DEI DIRIGENTI SCOLASTICI DELLA FLC CGIL. AL PROCESSO DI PRIMO E SECONDO GRADO CONTRO L’INSEGNANTE-GIORNALISTA, LA PRESIDE SI È COSTITUITA PARTE CIVILE (DIFESA DALL’AVVOCATO FILIPPO PAGANO). Fonte: stampalibera.it.
Festival delle Migrazioni, un bilancio della settima edizione
Cinque giorni intensi, oltre trenta eventi, cento ospiti e più di cinquemila presenze. Con un sold out emozionante al Palestinian Circus, che ha portato in scena le storie quotidiane sotto occupazione con danza, musica, teatro e acrobatica, si è chiusa a Torino la settima edizione del Festival delle Migrazioni (10-14 settembre), dedicata al tema Il cuore oltre l’ostacolo. Notizie/Arti e cultura IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL DELLE MIGRAZIONI 2025: «IL CUORE OLTRE L’OSTACOLO» A Torino dal 10 settembre cinque giorni di incontri, arte, teatro, cinema e letteratura 9 Settembre 2025 Un gesto politico e poetico che ha attraversato incontri, spettacoli, laboratori e momenti conviviali, e che ha confermato ancora una volta il Festival come spazio di confronto vivo, capace di unire linguaggi artistici e riflessione critica. La rassegna ha dato spazio a conflitti e resistenze che attraversano il presente: Monica Perosino e Anna Zafesova hanno discusso dello stato della guerra in Ucraina; Moni Ovadia ha dialogato con Noor Abo Alrob (direttore artistico del Palestinian Circus) e con Miriam Ambrosini di Terre des Hommes sulle lotte in Palestina; Antonella Sinopoli ha raccontato con Black Sisters e AfroWomenPoetry le voci delle donne dell’Africa sub-sahariana; Boban Pesov ha riportato, attraverso il graphic novel C’era una volta l’Est, il tema delle radici e delle memorie divise. Un’attenzione particolare è stata dedicata alle esperienze delle donne: dalle opere di Parnian Javanmard, artista iraniana che interroga i concetti di casa e identità, alla poesia di Samira Fall, fino alle storie delle vincitrici del Concorso Lingua Madre, che raccontano la complessità delle appartenenze multiple. Il Festival non è stato solo parola e riflessione. Teatro, musica, cinema e linguaggi ibridi hanno attirato un pubblico curioso e partecipe. Tra le novità, la performance Stupefacenti, l’anteprima assoluta di Ceci n’est pas Omar di Omar Giorgio Makhloufi e l’esperienza multimediale Audiowalk Borgodora. Grande successo anche per i workshop, dai laboratori sull’attivismo intersezionale e sulla costruzione artigianale di tamburi, fino al Migrantour a Porta Palazzo. Il momento più corale è stata la Cena delle Cittadinanze, che ha visto 700 persone condividere piatti e storie, seguita dal concerto dei The Brothers’ Keepers. Parallelamente, diverse mostre hanno accompagnato l’intera durata del Festival, dando spazio a fotografi, collettivi e artisti rifugiati. L’appuntamento con l’ottava edizione del Festival delle Migrazioni è fissato a settembre 2026. Un tempo che servirà a consolidare il percorso costruito in questi anni e a rafforzare la rete di realtà artistiche, sociali e associative che hanno reso possibile questa esperienza. Il Festival è ideato e organizzato da Almateatro e A.M.A. Factory, con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, del Ministero della Cultura – Direzione Generale Spettacolo, della Città di Torino, di Legacoop Piemonte e Iren, oltre a un’ampia rete di partner e collaborazioni che include associazioni, media indipendenti, fondazioni e collettivi. In un contesto politico e sociale in cui le migrazioni sono spesso ridotte a slogan e paure, il Festival delle Migrazioni ribadisce la necessità di creare spazi di ascolto, racconto e incontro. Un luogo dove le persone in movimento non sono oggetti di narrazione, ma soggetti che prendono parola attraverso l’arte, la memoria e la testimonianza. Un laboratorio di cittadinanza e di diritti che guarda già al 2026 per continuare a mettere il cuore oltre gli ostacoli.
Il CPR di Palazzo San Gervasio sotto la lente d’ingrandimento del Garante Nazionale
Sono stati pubblicati alla fine di agosto i rapporti stilati dalla delegazione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale che il 12 e 13 dicembre ha fatto visita ai Centri di Permanenza per i Rimpatri di Palazzo San Gervasio e Bari – Palese 1. Si tratta di documenti importanti intanto per l’autorevolezza dell’Autorità che ha provveduto alla loro redazione, ma anche per i contenuti che confermano, se ancora ve ne fosse bisogno, le gravi mancanze che tali strutture presentano. In questo articolo ci soffermeremo su quanto riscontrato dalla delegazione nel Centro di Palazzo San Gervasio, rimandando ad altro intervento l’analisi della visita effettuata presso la struttura detentiva di Bari – Palese. LA VISITA PRESSO IL CPR DI PALAZZO SAN GERVASIO Il 12 dicembre 2024 una delegazione del Garante Nazionale, composta dl prof. Mario Serio e dalle dott.sse Elena Adamoli e Silvia Levorato, ha avuto accesso al CPR di Palazzo San Gervasio e nel corso dell’accesso ha avuto modo di interloquire con il Funzionario responsabile del dispositivo di vigilanza, con la responsabile dell’Ufficio immigrazione e con la responsabile dell’ente gestore – Cooperativa Officine Sociali, ma anche con diverse figure professionali presenti nella struttura. Assente invece la Prefettura di Potenza che, come riporta il rapporto, “non è stata in grado, per esigenze di ufficio, di inviare un proprio funzionario”. Un’assenza che non stupisce chi conosce le dinamiche del Centro di Permanenza di Palazzo San Gervasio ed è costretto a scontrarsi con le costanti assenze e i colpevoli silenzi della Prefettura di Potenza. La relazione pubblicata nel mese di agosto, dopo il preventivo invio alle autorità preposte ad effettuare osservazioni (Prefettura e Questura di Potenza) si compone di più parti, alcune destinate a fornire le informazioni generali sulla struttura visitata, altre ad analizzare singoli aspetti della vita dei trattenuti e dei servizi offerti (condizioni materiali, tutela della salute, assistenza psicologica e sociale, qualità della vita detentiva e contatti con il mondo esterno, sicurezza, diritto all’informazione e accesso alla giustizia). Per ognuna delle sopra indicate sezioni, oltre ad un’analisi della situazione riscontrata, la delegazione effettua una serie di raccomandazioni al fine di risolvere e migliorare le criticità riscontrate. CONDIZIONI MATERIALI DELLA STRUTTURA Con specifico riferimento alle condizioni materiali, il Garante evidenzia come la struttura appaia connotata da scarsità di arredi, sbarre alle finestre e una copertura metallica a maglia molto fitta intorno ai moduli abitativi. Si tratta di un rilievo già effettuato in passato dallo stesso ufficio del Garante Nazionale, oltre che dai rapporti pubblicati da ASGI 2 e da CILD 3 negli anni scorsi. I moduli abitativi sono 14 e sono circondati da alte cancellate perimetrali. Un’area abitativa è vuota e viene utilizzata solo nel caso in cui si renda necessario sfollare temporaneamente un settore per interventi di riparazione. I moduli visitati sono privi di spazi di socialità/mensa come invece richiede il Regolamento sui CPR all’art. 4, paragrafo 4, lett. G 4. Gli ambienti, inoltre, si presentano molto bui a causa della copertura fitta dell’area esterna. Non vi sono campanelli di chiamata utilizzabili per chiedere interventi di urgenza del personale in casi di necessità (come malori, aggressioni, disordini) e questa appare una elementare violazione degli standard di sicurezza che appare ancora più significativa nel CPR di Palazzo San Gervasio per la conformazione della struttura e la distanza che sussiste tra i moduli detentivi e l’area medica o l’area in cui sosta il personale di polizia. Rispetto a tale situazione, la delegazione evidenzia come il Garante Nazionale abbia già in passato evidenziato tale situazione e ribadisce pertanto la necessità di dotare i moduli detentivi di campanelli di allarme. Per quanto riguarda invece gli ambienti esterni ai moduli, la delegazione evidenzia le seguenti carenze: 1) assenza di locali per l’attività dell’informatore legale che è costretto a svolgere i colloqui con i trattenuti all’aperto davanti ai singoli moduli detentivi con i trattenuti oltre le sbarre; 2) la mancanza di ambienti per lo svolgimento di attività ricreative o formative. Di fatto, le attività vengono pianificate nell’unico locale disponibile nella palazzina uffici, la sala c.d. di degenza, utilizzata anche per i colloqui dello psicologo e dell’assistente sociale. Una sala che può ospitare non più di 4 persone. In alternativa le attività devono svolgersi all’aperto, quando possibile. Altra importante mancanza riguarda proprio la sala di degenza che dovrebbe essere adibita a “locale di osservazione sanitaria” per l’alloggiamento temporaneo di persone con particolari esigenze sanitarie. Tale locale appare privo dei requisiti minimi funzionali allo scopo cui è preordinata. Manca infatti un accesso diretto ai servizi igienici, presenta una scaffalatura occupata da faldoni e documentazione in uso allo psicologo, all’assistente sociale e all’informatore legale. Per completezza e in aggiunta a quanto rilevato dalla delegazione nel mese di dicembre del 2024, possiamo dire che da diversi mesi la situazione è addirittura peggiorata. Infatti, come denunciato da ASGI in una missiva inviata alla Prefettura di Potenza che non ha ottenuto alcuna risposta, da diversi mesi la c.d. sala di degenza viene utilizzata anche per i colloqui difensivi essendo stata occupata la sala che in precedenza veniva utilizzata dagli avvocati per incontrare i propri assistiti. Per quanto riguarda invece l’infermeria, la delegazione ha evidenziato la mancanza di un lavandino nella sala dove vengono effettuare le visite e somministrati i farmaci in violazione della normativa che prescrive i requisiti minimi che deve possedere un Ambulatorio medico, ed in particolare un lavandino con rubinetto a pedale. Appare singolare che nelle visite e accessi compiuti dalle autorità chiamate a vigilare sul CPR di Palazzo San Gervasio, tale mancanza non sia mai stata evidenziata. Strano che gli addetti dell’ASP e delle altre autorità di controllo non abbiano mai rilevato tale mancanza che appare particolarmente grave. TUTELA DELLA SALUTE Dalle informazioni raccolte dalla delegazione nel corso della visita anche a seguito del colloquio con il medico di turno, sono emerse difficoltà relative alle verifiche sanitarie preliminari da effettuare al momento dell’ingresso e la mancanza di documentazione sanitaria attestante i problemi di salute e le terapie in corso da parte degli stranieri che vengono condotti nella struttura. Una situazione che riguarda soprattutto i soggetti tossicodipendenti i quali fanno accesso alla struttura senza una preventiva, reale e concreta verifica della loro condizione e, quindi, della loro compatibilità con la vita ristretta. Particolarmente gravi appaiono le dichiarazioni della direttrice del Centro che riferisce alla delegazione in visita di aver avuto indicazione di accettare in ingresso nel CPR anche persone che giungono senza visita medica. Tale situazione sarebbe avvalorata da quanto sostenuto dal protocollo sottoscritto dalla Prefettura di Potenza, dalla Questura di Potenza, dall’Azienda ospedaliera San Carlo di Potenza e dall’Ente gestore, che consente di effettuare la visita anche nelle successive 48 ore, ma si pone in contrasto con la Direttiva Lamorgese contenente il Regolamento sui CPR, che prevede un termine di 24 ore. Il Garante, pertanto, raccomanda di allinearsi a quanto previsto dal Regolamento CPR garantendo la visita di idoneità al massimo nelle 24 ore successive all’ingresso nel Centro. Ma le mancanze rilevate non si limitano a questo. Il Garante evidenzia anche la prassi in uso presso il CPR di Palazzo San Gervasio di consentire che lo screening sanitario in ingresso sia effettuato dall’operatore sanitario presente al momento, considerato che la presenza del medico è garantita soltanto per 35 ore settimanali. Tale differimento della visita medica è rischiosa e può arrecare danno alle persone che fanno il loro ingresso e anche alle persone che già sono trattenute nel Centro. Inoltre, oltre alle ragioni di opportunità a che tale prassi non venga seguita, vi sono anche ragioni di legittimità. La compilazione di una scheda medica da parte di personale che non riveste tale qualifica può considerarsi legittima? Ancora, sulle problematiche che attengono al diritto alla salute, si sottolinea nel rapporto che “anche alla luce della documentazione esaminata” e riguardante alcune segnalazioni pervenute al Garante, nella pratica la rivalutazione sanitaria può giungere con molto ritardo rispetto al manifestarsi delle vulnerabilità e soprattutto che, “nel caso di valutazioni psichiatriche, il medico si limita a stabilire una terapia senza interrogarsi sulla compatibilità delle condizioni di salute della specifica persona con la misura restrittiva cui è sottoposto”. Mancano inoltre protocolli di trattamento delle vulnerabilità e del rischio suicidario e in caso di azioni di autolesionismo ci si limita ad aumentare i colloqui con psicologo e assistente sociale. Un paragrafo, poi, è dedicato anche alla fase delle dimissioni dei trattenuti e alle assurde condizioni in cui queste avvengono. Sul punto il Garante evidenzia come le prassi in uso presso il CPR di Palazzo San Gervasio violino la disciplina di settore per i rimpatri e, in casi specifici, anche le raccomandazioni mediche. QUALITÀ DELLA VITA DETENTIVA E CONTATTI CON IL MONDO ESTERNO Nonostante un programma di iniziative previste per il giorno della visita (attività all’aperto, art therapy, giochi di società, calcio, gruppo di psicoterapia e corso di lingua italiana), la delegazione fa rilevare nel rapporto che “fatto salvo l’accesso al campo sportivo, le attività programmate il giorno della visita non avevano luogo concretamente, mentre psicologo e assistente sociale si limitavano a passeggiere accanto ai settori per qualche colloquio con gli stranieri”. Tale affermazione riassume perfettamente la realtà del Centro di Palazzo San Gervasio dove è facile riscontrare una costante discrasia tra quanto formalmente dichiarato e quanto concretamente attuato. D’altra parte, la mancanza di strutture, di spazi idonei, di convenzioni con associazioni esterne, rende la realizzazione di attività ricreative, sociali e culturali una semplice utopia. Quanto alla possibilità di mantenere rapporti con il mondo esterno, questa è fortemente limitata, se non addirittura preclusa, dalla prassi in uso presso il Centro di requisire i cellulari personali al momento dell’ingresso. L’unica possibilità di comunicare con il mondo esterno è data dall’utilizzo di un cellulare (non smartphone) che deve essere condiviso dagli ospiti dei singoli moduli. Tale condizione crea tensioni tra i trattenuti per l’utilizzo del telefono e limita anche la possibilità di comunicare con familiari e con il difensore. Per questo il Garante raccomanda di assicurare alle persone trattenute la libertà di corrispondenza che al momento appare limitata fortemente e si invita a garantire anche la possibilità di effettuare videochiamate. DIRITTO ALL’INFORMAZIONE E ACCESSO ALLA GIUSTIZIA Oltre alle condizioni di estrema precarietà che contraddistinguono la somministrazione della informativa legale da parte degli operatori legali, la delegazione ha evidenziato nel rapporto anche l’esiguità del Regolamento interno del Centro che si limita a riproporre alcune norme del Regolamento ministeriale senza aggiungere altro e senza regolamentare nello specifico il trattamento riservato ai soggetti trattenuti nella struttura di Palazzo San Gervasio. Assente nel regolamento è ogni riferimento ai controlli per il rinvenimento di oggetti vietati, o la custodia degli effetti personali, ma anche le modalità di presentazione di domante da parte dei trattenuti (istanze, reclami, richieste di protezione internazionale). Allo stesso modo non vi sono regole scritte che determinano le procedure di nomina dell’avvocato di fiducia, i colloqui e le visite, le modalità di comunicazione con l’esterno, l’accesso ai servizi, la fruizione delle attività, l’acquisto di beni, le regole di comportamento e di convivenza, la consultazione del cellulare personale. > In mancanza di norme scritte e precise, prevale la discrezionalità o > addirittura l’arbitrarietà. Tra le mancanze più importanti rilevate rispetto all’accesso alle informazioni e al diritto di difesa, oltre alla mancanza di mediatori culturali in grado di parlare il portoghese o le lingue asiatiche (Hindi, urdu, farsi, pshtu), lingue utilizzate da una quota non trascurabile di stranieri trattenuti, spicca la mancanza di pratiche tempestive per consentire la registrazione della volontà di chiedere la protezione internazionale. La prassi in uso presso il CPR di Palazzo San Gervasio prevede che lo straniero debba fare richiesta di colloquio con l’Ufficio immigrazione per il tramite del personale dell’ente gestore e che solo in sede di colloquio con l’Ufficio immigrazione viene presa in considerazione e formalizzata la richiesta di protezione internazionale. Considerando che l’Ufficio immigrazione non è operativo dal sabato pomeriggio al lunedì mattina, è facile che passino diversi giorni prima che una richiesta di colloquio venga presa in carico. Quanto poi al diritto di assistenza legale, il Garante evidenzia nel rapporto la necessità di inserire nel regolamento del Centro le modalità di nomina del legale di fiducia, che sia l’ente gestore a raccogliere le nomine e, infine, che la nomina venga tempestivamente comunicata al difensore incaricato. CONCLUSIONI Ancora una volta, il Garante nazionale ha evidenziato la presenza di gravi mancanze e di criticità all’interno del Centro di Permanenza per i Rimpatri di Palazzo San Gervasio. Criticità che riguardano la struttura e la gestione della stessa, ma anche la mancanza di controlli da parte delle autorità che dovrebbero vigilare sul rispetto delle regole all’interno del Centro. La compressione di diritti fondamentali come quello ad una compiuta informazione legale o quello alla tutela della salute, anche dopo gli episodi numerosi e reiterati che sono stati segnalati in questi mesi, ma soprattutto dopo il decesso del povero Oussama Darkaoui il 5 agosto 2024 5, non sono più giustificabili, accettabili, tollerabili. Il rapporto della visita compiuta dalla delegazione del Garante nazionale lo scorso 12 dicembre, rappresenta l’ennesima dimostrazione che il CPR di Palazzo San Gervasio è un luogo strutturalmente patogeno e che troppe sono le omissioni da parte delle autorità a vari livelli. 1. Leggi il rapporto sulle visite effettuate ai Cpr di Palazzo San Gervasio e di Bari il 12 e il 13 dicembre 2024 ↩︎ 2. Diritti negati al CPR di Palazzo San Gervasio. Report e raccomandazioni di ASGI – 17 giugno 2022 ↩︎ 3. Buchi neri. La detenzione senza reato nei CPR – 15 ottobre 2021 ↩︎ 4. Si veda la direttiva ↩︎ 5. Oussama Darkaoui, un anno dopo: il ricordo, la lotta, la speranza ↩︎
Il diritto al rispetto della vita privata e familiare come fondamento della protezione speciale, anche dopo il d.l. 20/2023
I decreti del Tribunale di Roma qui raccolti offrono un quadro significativo del ruolo che la protezione speciale (art. 32, co. 3, d.lgs. 25/2008) continua a rivestire nell’ordinamento italiano, nonostante gli interventi legislativi volti a ridurne la portata. In tutti e tre i casi i giudici romani, pur escludendo i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, hanno valorizzato l’obbligo per l’Italia di rispettare i vincoli costituzionali e internazionali in materia di diritti umani, in particolare il diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 CEDU e dall’art. 5, co. 6, T.U. immigrazione. I giudici ricostruiscono le vicende personali dei richiedenti, ne riconoscono la credibilità e accertano l’esistenza di un percorso di inserimento sociale e lavorativo in Italia sufficiente a far scattare il divieto di espulsione e quindi il diritto alla protezione speciale. Le decisioni si inseriscono in una giurisprudenza ormai consolidata che interpreta la protezione speciale come strumento di garanzia dei diritti fondamentali, capace quindi di sopravvivere alle restrizioni normative introdotte dal d.l. 20/2023, proprio in virtù del suo fondamento costituzionale e sovranazionale, riconoscendo la centralità del diritto al rispetto della vita privata e familiare previsto dall’art. 8 CEDU. Nello specifico, per i due richiedenti asilo tunisini è riconosciuta in ragione del percorso di integrazione in Italia (studio della lingua, iscrizione a corsi di formazione, inserimento lavorativo), ritenuto sufficiente a fondare il diritto al rispetto della vita privata e sociale ai sensi dell’art. 8 CEDU, e come valorizzazione del radicamento in Italia. Tribunale di Roma, decreto del 24 aprile 2025 Tribunale di Roma, decreto del 7 luglio 2025 Anche per il ricorrente del Senegal, viene riconosciuta grazie al concreto percorso di integrazione in Italia (contratti di lavoro regolari, autonomia abitativa, corso di lingua italiana), che renderebbe sproporzionata l’espulsione rispetto alla tutela della vita privata e familiare. Tribunale di Roma, decreto del 16 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Eugenio Francesco Caputo per la segnalazione. * Consulta altre decisioni relative al riconoscimento della protezione speciale