
Nuovo Piano per il Riarmo continentale. Analisi del Libro Bianco della Difesa Europea
Osservatorio contro militarizzazione di scuole e università - Tuesday, November 11, 2025Il Libro Bianco per la Difesa Europea, uscito a metà Marzo 2025, resta tra i documenti meno letti dalle realtà contro la guerra, tuttavia, se incrociato con la più recente pubblicazione del Bilancio Europeo[1] suscita preoccupazioni tanto forti da renderne indispensabile un approfondimento analitico. Se la Bussola Europea era il documento strategico contenente gli atti di indirizzo per le strategie politico-economiche del vecchio continente, questo Libro Bianco Europeo definisce il quadro strategico operativo di Rearm Europe ossia l’intero piano piano industriale per il riarmo continentale.
Il Bilancio traccia le coordinate per il riarmo e spingendo verso lo sviluppo di una rete di collegamenti stradali, ferroviari ed energetici fondamentali per quella mobilità militare che attraverserà i Paesi membri fino all’Ucraina. Il libro bianco entra nel merito di alcune questioni, dalle facilitazioni procedurali atte a rapide concessioni di appalti militari alle spese per la difesa in deroga alle regole vigenti per tutte le altre voci all’interno del Bilancio nazionale.
E, infine, consideriamo che «il Libro bianco sarà seguito dalla strategia dell’Unione per la preparazione, che definirà un approccio integrato multirischio alla preparazione ai conflitti e alle crisi, e dalla strategia di sicurezza interna dell’UE, che fornirà un quadro completo e unificato per prevenire, individuare e rispondere efficacemente alle minacce alla sicurezza»[2].
Per comprendere il documento è bene sapere che lo stesso si articola in tre ambiti: esposizione delle tesi politiche a sostegno del riarmo; individuazione delle “lacune” nel settore della difesa; definizione di un quadro strategico per le relazioni geopolitiche con i principali attori internazionali (compresa l’Ucraina). Ma andiamo con ordine, per agevolare la lettura divideremo l’esposizione in alcuni capitoli.
Le tesi della Commissione Europea a sostegno del riarmo
«L’Europa si trova ad affrontare una minaccia acuta e crescente. L’unico modo per garantire la pace è essere pronti a fermare coloro che vorrebbero farci del male». Così inizia il Libro Bianco, ed è tutto dire! Secondo la Commissione «un nuovo ordine internazionale si formerà nella seconda metà di questo decennio e oltre. Se non plasmeremo questo ordine – sia nella nostra regione che altrove – saremo destinatari passivi delle conseguenze di questo periodo di competizione interstatale, con tutte le conseguenze negative che potrebbero derivarne, inclusa la prospettiva concreta di una guerra su vasta scala. La storia non ci perdonerà l’inazione»[3]. La prima tesi del Libro Bianco, dunque, è che se non vi sarà proiezione di potenza per l’Unione Europea, arriverà la guerra; «su vasta scala». L’idea è che lavorando per rafforzare il cosiddetto “blocco occidentale” si possa riuscire a tenere sotto scacco le altre aree del globo e mantenere, in linea di massima, l’attuale status quo. A nostro parere, tuttavia, la consapevolezza della possibilità di uno scontro armato di elevata intensità nel futuro è ben diffusa tra le classi dirigenti, e l’idea che l’Ue possa eccellere nel settore produttivo della difesa fino al punto da dissuadere i propri avversari è quantomeno arrischiata. Piuttosto, si lotta per non rimanere indietro nel prossimo decennio[4].
Accrescere la competitività del Vecchio Continente è, del resto, la premessa indispensabile per attuare poi il piano di Riarmo attraverso una sorta di percorso virtuoso che va dalla semplificazione delle procedure amministrative, l’eliminazione degli ostacoli interni al mercato unico, linee di finanziamento rapide ed efficienti fino a una sorta di unione dei risparmi e degli investimenti intende creare nuovi prodotti di risparmio e investimento, incentivare il capitale di rischio e permettere la continuità del flusso degli investimenti in tutta l’UE per chiudere con un grande piano atto a promuovere e sviluppare le competenze indispensabili a questo grande salto economico e militar industriale per accrescere la tecnologia e la qualità dei posti di lavoro[5].
Gli autori del Libro Bianco sostengono che «È giunto il momento per l’Europa di riarmarsi. Per sviluppare le capacità e la prontezza militare necessarie a scoraggiare in modo credibile le aggressioni armate e garantire il nostro futuro, è necessario un massiccio aumento della spesa europea per la difesa»[6].
L’intero documento in esame propone una costante drammatizzazione dell’esistente, evitando nella maniera più assoluta di prefigurare alternative, traiettorie di sviluppo differenti, fosse anche solo come prospettiva ideale: bisogna mirare al sodo delle questioni evitando di ammettere la possibilità di percorsi alternativi al riarmo. Per l’appunto, vi si trova scritto che se non si potenzierà il settore militare, «In un’epoca in cui le minacce proliferano e la concorrenza sistemica aumenta, (…) l’Europa sarà meno in grado di decidere del proprio futuro e sarà sempre più strumentalizzata da grandi blocchi economici, tecnologici e militari che cercano di ottenere un vantaggio su di noi»[7].
La terza e ultima tesi principale riguarda l’interpretazione del quadro della competizione “geopolitica”, che per la Commissione è caratterizzato dalla «corsa tecnologica globale» e dall’«approvvigionamento di materie prime essenziali»[8]. Pertanto la strategia di sviluppo militare includerà l’avanzamento delle filiere tecnologiche e dell’Intelligenza Artificiale – in particolare premendo sulle tecnologie dual use – e la diversificazione, nonché la sicurezza, delle fonti di approvvigionamento.
Le “lacune” esistenti nel settore della difesa
La prima problematica è la mancanza di economia di scala nei settori commerciale e produttivo della difesa. Ciò comporta in primo luogo la carenza di scorte di attrezzature militari, munizioni e armamenti, inoltre la mancanza di collaborazione tra gli Stati membri impone tutta una serie di difficoltà economiche aggiuntive che, secondo la Commissione, potrebbero essere evitati, come ad esempio i costi di conformità (adeguamento delle imprese alle certificazioni e alla normativa di ogni singolo Paese) e la difficoltà nell’attrarre investimenti privati.
Di conseguenza, si perdono opportunità di sfruttare le economie di scala europee per ridurre i costi unitari. (…) L’approvvigionamento collaborativo è il mezzo più efficiente per procurarsi grandi quantità di “materiali di consumo” come munizioni, missili e droni. Ma l’approvvigionamento collaborativo è fondamentale anche per la realizzazione di progetti più complessi, poiché l’aggregazione della domanda limita i costi, invia segnali di domanda più chiari agli operatori del mercato, riduce i tempi di consegna e garantisce interoperabilità e intercambiabilità[9].
Al fine di limitare la carenza di approvvigionamenti militari l’Ue ha deciso di sostenere in vario modo la nascita e lo sviluppo di partenariati fra Stati, gli acquisti collaborativi e la creazione di «riserve strategiche localizzate in modo ottimale (o pool di prontezza industriale per la difesa) di prodotti per la difesa realizzati nell’UE»[10]. Tutto ciò nella consapevolezza che, comunque, rispetto a un decennio fa, «gli Stati membri acquistano fino a quattro volte più equipaggiamenti»[11].
Per attrarre gli investitori privati, invece, la Commissione punta a deregolamentare il mercato, semplificando la normativa e facilitando la concessione di appalti e i permessi per le operazioni finanziarie[12].
La seconda “lacuna” del sistema militare europeo consiste nella carenza di infrastrutture logistiche per la mobilità militare. Il primo mezzo per risolverla viene individuato nella facilitazione dei permessi:
La mobilità militare è ostacolata dalla burocrazia, che spesso richiede sia l’autorizzazione diplomatica specifica per i trasporti militari sia il rispetto delle normali norme e procedure amministrative. (…) l’UE e gli Stati membri devono semplificare e snellire immediatamente regolamenti e procedure e garantire alle forze armate l’accesso prioritario alle infrastrutture, alle reti e ai mezzi di trasporto, anche nel contesto della sicurezza marittima[13].
Per colmare entrambe queste “lacune” sarebbe necessario, dunque, potenziare l’azione comunitaria a dispetto di quella prettamente nazionale: ciò ha il significato – secondo le espressioni attualmente in uso – di un ulteriore trasferimento di “quote di sovranità nazionale” dai governi dei singoli Paesi alle istituzioni europee. Lo sviluppo di una rete logistica integrata comprenderà «l’ampliamento di gallerie ferroviarie, il rafforzamento di ponti stradali e ferroviari, l’ampliamento di terminal portuali e aeroportuali», senza però dimenticare di includere «un insieme completo di barriere fisiche»[14]. Per quanto nel documento in esame non se ne faccia esplicita menzione, sotto l’espressione “barriere fisiche” oggigiorno si intende, soprattutto sulla scorta dell’esperienza della guerra russo-ucraina, tutta una serie di infrastrutture militari di difesa particolarmente invasive per il territorio, e preoccupanti in sé, quali denti di drago, valli anti-carro, sistemi trincerati e bunker. Ma per la Commissione Europea non è un problema, anzi: si vuole «consentire il rapido rilascio di permessi di costruzione e ambientali per progetti industriali di difesa come questione prioritaria di interesse pubblico»[15].
La terza problematica che il Libro Bianco evidenzia è l’insufficiente spesa per la difesa, e questo aspetto viene volutamente drammatizzato per giustificare un esponenziale aumento degli investimenti a fini militari. Ciò, nonostante «La spesa per la difesa degli Stati membri è cresciuta di oltre il 31% dal 2021, raggiungendo l’1,9% del PIL complessivo dell’UE, ovvero 326 miliardi di euro, nel 2024. Nello specifico, gli investimenti nella difesa hanno raggiunto la cifra senza precedenti di 102 miliardi di euro nel 2024, quasi raddoppiando l’importo speso nel 2021». Il motivo è presto detto: un tale livello di spesa rimane «di gran lunga inferiore a quella degli Stati Uniti e, cosa ancora più preoccupante, inferiore a quella di Russia o Cina»[16]. Dunque, grazie alla flessibilità concessa allentando i vincoli di bilancio per le spese militari e grazie alle facilitazioni (come, ad esempio, il non pagamento dell’Iva sugli acquisti di armamenti realizzati tramite il programma Safe) costruite ad arte per rendere possibili e accelerare i processi in atto, nei prossimi anni gli Stati membri potrebbero «mobilitare spese aggiuntive per la difesa fino all’1,5% del PIL»[17]. Un ulteriore aspetto preoccupante, teso sempre ad aumentare la spesa militare, consiste infine nella rimozione «delle limitazioni nelle politiche di investimento delle istituzioni finanziarie pubbliche e private»[18].
Il quadro strategico
Il Libro Bianco traccia delle coordinate per le relazioni politico-economiche dell’Unione Europea con gli altri Stati. Vi è detto piuttosto chiaramente che «La NATO rimane il pilastro della difesa collettiva dei suoi membri in Europa», e che i maggiori sforzi per la difesa europea si baseranno «sulla profonda ed estesa catena di approvvigionamento transatlantica»[19], nella quale sono inclusi a pieno titolo il Regno Unito, la Norvegia e il Canada, che non appartengono all’Unione.
La cooperazione militare viene estesa agli Stati vicini all’Ue, compresi quelli “di confine” tra i cosiddetti oriente e occidente, rivendicando l’obiettivo di «promuovere la pace, la sicurezza e la stabilità nel nostro continente e oltre»[20]: la Moldavia e l’Ucraina, da un lato; la Macedonia del Nord e il Montenegro dall’altro. Sulle ambiguità delle posizioni turche la Commissione trova poco da dire, mentre i principali partner asiatici in materia di sicurezza vengono individuati in Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Non viene esclusa l’India, alla quale anzi viene dato particolare risalto in virtù dei proficui rapporti sul tema della sicurezza delle rotte marittimo-commerciali.
Sulla questione taiwanese vi è un passaggio particolarmente chiaro: «Il cambiamento dello status quo di Taiwan aumenta il rischio di una grave perturbazione che avrebbe profonde conseguenze economiche e strategiche per l’Europa. (…) un’escalation delle tensioni nello Stretto di Taiwan potrebbe impedire all’UE di accedere a materiali chiave, tecnologie e componenti critici»[21]. Evidentemente – e ovviamente – da parte della classe dirigente europea c’è piena consapevolezza del ruolo-chiave dell’isola per l’economia internazionale. A nostro avviso uno dei motivi principali è l’importanza che essa riveste per la filiera dei semiconduttori – che da sola, nel 2022, regalava alla Germania l’equivalente di un terzo del Pil italiano di allora[22]. Taiwan è uno dei pochi Paesi ad avere la capacità di produrre semiconduttori al di sotto dei 2 nanometri, e questo già da qualche anno, e mentre sia in Asia che in Usa si arriva a chip della dimensione di 2 nanometri, in Ue non esistono fonderie che vadano al di sotto dei 22, per quanto nella tedesca Dresda sia in costruzione uno stabilimento – costato ben 10 miliardi di €, di cui 5 gentilmente offerti dallo Stato[23] – che a partire dal 2027 potrà destinare parte della produzione a chip tra i 16 e i 12 nanometri. Ma del resto «una fabbrica di semiconduttori in Europa costa il 33% in più di una fabbrica in Corea del Sud, 43 % in più che in Taiwan e 63% in più che in Cina»[24]. Inoltre, al 2019 «Corea del Sud e Taiwan detengono il 50% del mercato della produzione di semiconduttori all’avanguardia»[25]. La rottura delle catene di approvvigionamento di semiconduttori per causa di un’invasione cinese di Taiwan, dunque, comporterebbe danni economici incalcolabili, che si rifletterebbero a catena su tutte le principali filiere tecnologiche, da quella dei robot industriali all’automotive.
Infine, la questione Ucraina. È previsto un aumento corposo delle forniture militari e del sostegno all’industria bellica di questo Paese, in particolare attraverso l’emissione di ordini di fornitura da parte degli Stati membri, ossia facendosi vendere armi dall’Ucraina. Cosa ancor più preoccupante, però, è l’integrazione di un Paese – lo ricordiamo, attualmente in guerra – nel sistema di difesa militare europeo. Questa avverrà concedendo all’Ucraina di partecipare ai programmi spaziali europei (è ancora da valutare in quale misura), relazionando a livello produttivo e commerciale le rispettive industrie della difesa e creando partnership con le start-up europee del settore. Soprattutto, però, nel Libro Bianco è detto che «I corridoi di mobilità militare dell’UE dovrebbero estendersi fino all’Ucraina, il che migliorerebbe l’interoperabilità e costituirebbe un’ulteriore garanzia di sicurezza per scoraggiare future aggressioni»[26].
Conclusioni
Il Libro Bianco della Difesa, insomma, in una titanica lotta contro il tempo vuole gettare le basi per costruire una industria europea capace di espandersi in altri continenti e ampliare così le proprie aree di mercato, in accordo con la Nato ma anche in competizione con i prodotti Usa. La Ue pensa di sfidare l’economia statunitense anche sul suo terreno preferito, quello della produzione di armi e dei processi tecnologici innovativi in campo duale – validi sia per il civile che per il militare –, e un singolo paese del resto non avrebbe le risorse necessarie per compiere un tale salto di qualità. Proprio da qui parte quel ragionamento complesso che mette insieme i principali Paesi membri, ridisegna le regole comunitarie in materia di spesa e di bilancio, deroga alle norme che limitavano le spese, prefigura un nuovo indebitamento funzionale al lancio della nuova industria militare e ipotizza un futuro radioso per le imprese comunitarie con alleanze rinnovate, joint venture e percorsi comuni di ricerca su processi innovativi in ambito duale. Una linea per cui il Libro Bianco è fortemente debitore del famigerato Rapporto Draghi pubblicato nell’autunno scorso.
È possibile che il riarmo porterà con sé ulteriori difformità fra uno Stato membro e l’altro, ampliando i divari interni all’Ue: molti Paesi non sono pronti alla riconversione bellica della propria industria, e le joint ventures più incisive, svolgendosi tra i paesi più forti, porteranno a una ulteriore divaricazione con i più deboli. L’Italia, di per sé, ha una economia claudicante e – da ex grande potenza industriale – è risultata in ritardo rispetto a diversi ambiti della competizione economica. Nel caso della difesa, però, parte da una posizione agevolata: il suo settore armiero non è mai entrato in crisi… anzi! Ha una notevole articolazione interna, spaziando dalle armi leggere a quelle pesanti e a maggiore connotazione tecnologia. Perciò, l’insistenza dei nostri giornali sulla necessità del riarmo ha una sua, certo canagliesca, razionalità.
Non è che il riarmo porterà con sé ulteriori difformità in seno all’Ue? Molti paesi non sono pronti alla riconversione bellica della propria industria. E le joint ventures più incisive, svolgendosi tra i paesi più forti, porteranno a una ulteriore divaricazione con i più deboli.
Per l’immediato futuro, l’Italia non potrà eludere una questione dirimente come fare i conti con la sua economia claudicante – da ex grande potenza industriale – in ritardo rispetto a diversi ambiti propri della competizione economica. Al contrario di altri paesi tuttavia l’industria bellica italiana non è mai entrata in crisi e presenta una notevole articolazione interna, spaziando dalle armi leggere a quelle pesanti con maggiore connotazione tecnologia. Perciò, l’insistenza dei nostri giornali sulla necessità del riarmo ha una sua, certo canagliesca, razionalità
E. Gentili, F. Giusti, S. Macera, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
[1] E. Gentili, F. Giusti, Analisi Bilancio UE: guerra, difesa e (poca) crescita, 26 Agosto 2025, https://diogenenotizie.com/analisi-bilancio-ue-guerra-difesa-e-poca-crescita/.
[2] Commissione Europea, Libro Bianco per la Difesa Europea – Readiness 2030, p. 6.
[3] Ivi, p. 2.
[4] Parimenti, nel documento denominato “Bussola Europea” si individuavano tre obiettivi strategici per il rilancio della Ue, riprendendo i contenuti del Piano Draghi: colmare il deficit di innovazione, decarbonizzare l’economia e ridurre le dipendenze dagli ordini di fornitura.
[5] https://commission.europa.eu/topics/eu-competitiveness/competitiveness-compass_it.
[6] Ivi, p. 3.
[7] Ivi, p. 4.
[8] Ivi, p. 5.
[9] Ivi, p. 8.
[10] Ivi. P. 10.
[11] Ivi, p. 13.
[12] Cfr. ivi, p. 15.
[13] Ivi, p. 8.
[14] Ivi, pp. 8 e 9.
[15] Ivi, p. 9.
[16] Ivi, p. 16.
[17] Ibidem.
[18] Ivi, p. 17.
[19] Ivi, pp. 18 e 19.
[20] Ibidem.
[21] Ivi, p. 5.
[22] Darp (Deutscher aufbau und resilienzplan), p. 367.
[23] Commissione Europea, Commission approves €5 billion German State aid measure to support ESMC in setting up a new semiconductor manufacturing facility, Comunicato stampa, 20 Agosto 2024.
[24] L. Alessandrini, L’industria dei semiconduttori, LUISS 2022, p. 48.
[25] E. Gentili, F. Giusti, S. Macera, Attraversando il Pnrr, «Machina». I semiconduttori all’avanguardia sono quelli stampati su wafer in silicio inferiori ai 300 mm.
[26] Commissione Europea, Libro Bianco …, p. 11.