Ci sarà la pace in Ucraina? Chi ha vinto? Chi ha perso?Andiamo con ordine. Dopo gli incontri in Alaska e a Washington ci sarà la pace
in Ucraina, una vera pace, intendo?
No. Si stanno facendo trattative per la spartizione dell’Ucraina, la sua fine
come Stato unitario, binazionale, neutrale, ponte tra Occidente e Oriente. Si
pensa non alla pace, ma al congelamento armato della guerra, come da decenni si
protrae la fine delle ostilità tra le due Coree, senza nessuna pace e
riconciliazione.
Una vasta area super militarizzata e invalicabile chiude oggi le due Coree e
domani, nei piani dei signori della guerra, spaccherà l’Ucraina, forse per
sempre o per i prossimi decenni. Le trattative in corso non vanno nella
direzione del disarmo e di una vera distensione: il riarmo europeo continuerà
per garantire con la forza la fine delle ostilità, anzi il loro congelamento a
tempo indeterminato.
Per avere la pace si dovrebbe procedere a trattative vere, promosse dall’ONU,
unica istituzione sovranazionale legittimata a trovare e promuovere soluzioni
sulla base del diritto internazionale e del pieno rispetto dei diritti umani sia
come singoli individui, sia come comunità, popoli, nazioni, Stati.
Si dovrebbe partire dal sanare una ferita tuttora aperta e cioè dal
riconoscimento dell’indipendenza dell’Ucraina, di uno Stato sovrano da cui
andrebbero ritirate le truppe straniere, compresi addestratori e mercenari.
Una volta data la possibilità ai profughi di rientrare, possono anche essere
ridiscussi i confini sulla base del diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Attraverso nuovi referendum, tenuti sotto il controllo delle Nazioni Unite,
saranno i popoli di quelle regioni a stabilire il destino del Donbass e della
Crimea su due opzioni fondamentali: regioni autonome parte di un’Ucraina
federalista o della Federazione Russa.
Sarebbe un nuovo grave precedente, uno sfregio del diritto internazionale
accettare che i confini siano modificati non per volontà delle popolazioni dei
territori interessati, sulla base del principio di autodeterminazione, ma da
accordi tra Trump e Putin e per di più sulla base di una conquista militare.
Dopodiché vale per l’Ucraina ciò che dovrebbe valere per ogni Stato del mondo,
Palestina in primis: pieno rispetto dei diritti umani individuali, civili,
sociali, politici e nazionali.
Nel concreto uno Stato autenticamente democratico, laico sulle questioni
religiose, pienamente binazionale, nel pieno rispetto della lingua e cultura
ucraina e della lingua e cultura russa, che qui in realtà non indicano due
popoli separati, perché binazionali sono gran parte delle famiglie e quindi
delle persone. Do per scontato il pieno rispetto e riconoscimento delle
minoranze nazionali presenti su questo complesso e articolato Paese: rom,
bielorussi, ungheresi, polacchi, rumeni, tatari di Crimea, greci, armeni…
Un tempo erano presenti sia una vasta comunità tedesca, che ha lasciato il
Paese, sia gli ebrei, in gran parte sterminati dai nazisti e dai nazionalisti
suprematisti ucraini, attivi soprattutto nella parte occidentale, quella che mai
fece parte dell’Impero Russo. Essi furono, e sono tuttora, i seguaci di Stepan
Bandera, per loro un eroe nazionale, che aspirava a un’Ucraina etnicamente
pura. Odiavano a tal punto i russi che non si fecero scrupoli ad allearsi con i
nazisti tedeschi, anche se questi ritenevano tutti i popoli slavi, e pertanto
pure i suprematisti ucraini, gente inferiore da sottomettere.
Tutt’altro che nazista, la maggior parte della popolazione dell’Ucraina fece la
propria parte nella guerra antinazista, sia come partigiani sia nelle file
dell’Armata Rossa.
Tutti o quasi qui parlano e capiscono il russo, soprattutto nelle città, tanti
sono di madrelingua (o padrelingua) russa o sono perfettamente binazionali,
perché di famiglie “miste” da più di una generazione.
Infine molti sono di famiglie originarie dei territori della Russia vera e
propria, la cosiddetta “grande Russia”, venuti a lavorare nel distretto
minerario e industriale del Donbass, oppure a ripopolare, nella seconda metà
degli anni Trenta del Novecento, moltissimi villaggi ucraini spopolati a seguito
della terribile carestia causata dalla folle politica staliniana di
collettivizzazione forzata, eliminazione dei kulak e sequestro di ogni derrata
alimentare prodotta nei villaggi per sfamare le città. Espropri condotti senza
pietà fino a lasciar morire la gente di fame. Gli ucraini lo considerano il loro
genocidio e lo chiamano Holodomor, uccisione per fame.
Dopo l’invasione russa iniziata il 24 febbraio del 2022 (che sia stata una
gravissima violazione del diritto internazionale lo dice Francesca Albanese)
molti russofoni abbandonarono le regioni conquistate; alcuni di loro hanno
persino smesso di parlare russo, almeno pubblicamente, anche come forma di
“protesta” e di affermazione della propria identità, non etnica, ma nazionale.
Tuttavia il russo è tuttora la lingua principale per tantissime persone che,
almeno da questa parte della linea del fronte, sono diventate ostili a Putin,
alle sue armate e spesso anche al popolo che lo ha votato e che lo sostiene.
Il basamento della statua della zarina Caterina, rimossa dagli ultranazionalisti
ucraini in odio alla Russia, nonostante l’importante ruolo da lei svolto nella
storia di Odessa.
Non posso parlare di ciò che accade di là dal fronte se non per i racconti che
mi fanno i profughi. Riporto dunque quello che pensano i moltissimi profughi
interni, praticamente tutti di madrelingua russa. Vogliono un’Ucraina
indipendente e sovrana, entro i confini della Repubblica Sovietica di Ucraina e
dello Stato pienamente indipendente nato nel 1991 dalla disgregazione dell’Urss.
Le mie riflessioni nascono anche dalle “interviste” che ho fatto per strada a
tanta gente comune, soprattutto giovani e giovanissimi, quelli più disposti a
raccontare il loro punto di vista, dall’incontro con le insegnanti e le
psicologhe del Sindacato degli insegnanti di Odessa, affiliato alla Cgil, dalle
conversazioni con l’italiano Ugo Poletti, direttore del giornale in lingua
inglese Odessa Journal e con l’ex ambasciatore Enrico Calamai, con cui mi sono
confrontato circa il Diritto Internazionale. Ugo Poletti ha avuto il coraggio di
non lasciare Odessa, che è diventata la sua città, anche nelle fasi più cruente
del conflitto, quando le armate russe tentarono di conquistarla, ma furono
fermate a est della città di Mykolaïv da una strenua e inaspettata resistenza.
Chi ha vinto la guerra, dunque?
Nessuno.
I russi erano convinti di arrivare perlomeno a Kiev accolti come liberatori e
così non è stato. Gli ucraini erano fiduciosi di riprendersi, con l’aiuto
militare degli Usa e dei Paesi della Nato, il Donbass e persino la Crimea, e
così non è stato; anzi, hanno perso alcune porzioni dei loro territori orientali
ora annessi unilateralmente alla Federazione Russa.
Chi ha perso veramente, quindi?
I due popoli che hanno perso centinaia di migliaia di uomini, soprattutto civili
in divisa, ma anche tantissimi civili delle città a ridosso del confine,
martoriate e devastate dalla guerra, a cui vanno aggiunti i civili morti in
numero assai minore nelle città più lontane, colpite dai droni e dai lanci di
missili.
Chi ha vinto?
I produttori e i trafficanti di armi e i politici guerrafondai e corrotti, che
nulla hanno fatto per prevenire e fermare la guerra e trattare per una pace vera
e non per la spartizione del Paese.
Solo i popoli possono costruire un’umanità fraterna e solidale, fermare il
genocidio del popolo palestinese e le “inutili stragi” in Ucraina, Somalia e
ovunque si combatta oggi. La pace vera può nascere soltanto dal basso, con un
immenso lavoro che deve impegnare tutte e tutti noi, ma che non può perdere più
un istante di tempo, perché l’orrore divora ogni giorno troppe vittime
innocenti.
Mauro Carlo Zanella