Nuovo Piano per il Riarmo continentale. Analisi del Libro Bianco della Difesa EuropeaIl Libro Bianco per la Difesa Europea, uscito a metà Marzo 2025, resta tra i
documenti meno letti dalle realtà contro la guerra, tuttavia, se incrociato con
la più recente pubblicazione del Bilancio Europeo[1] suscita preoccupazioni
tanto forti da renderne indispensabile un approfondimento analitico. Se la
Bussola Europea era il documento strategico contenente gli atti di indirizzo per
le strategie politico-economiche del vecchio continente, questo Libro Bianco
Europeo definisce il quadro strategico operativo di Rearm Europe ossia l’intero
piano piano industriale per il riarmo continentale.
Il Bilancio traccia le coordinate per il riarmo e spingendo verso lo sviluppo di
una rete di collegamenti stradali, ferroviari ed energetici fondamentali per
quella mobilità militare che attraverserà i Paesi membri fino all’Ucraina. Il
libro bianco entra nel merito di alcune questioni, dalle facilitazioni
procedurali atte a rapide concessioni di appalti militari alle spese per la
difesa in deroga alle regole vigenti per tutte le altre voci all’interno del
Bilancio nazionale.
E, infine, consideriamo che «il Libro bianco sarà seguito dalla strategia
dell’Unione per la preparazione, che definirà un approccio integrato
multirischio alla preparazione ai conflitti e alle crisi, e dalla strategia di
sicurezza interna dell’UE, che fornirà un quadro completo e unificato per
prevenire, individuare e rispondere efficacemente alle minacce alla
sicurezza»[2].
Per comprendere il documento è bene sapere che lo stesso si articola in tre
ambiti: esposizione delle tesi politiche a sostegno del riarmo; individuazione
delle “lacune” nel settore della difesa; definizione di un quadro strategico per
le relazioni geopolitiche con i principali attori internazionali (compresa
l’Ucraina). Ma andiamo con ordine, per agevolare la lettura divideremo
l’esposizione in alcuni capitoli.
LE TESI DELLA COMMISSIONE EUROPEA A SOSTEGNO DEL RIARMO
«L’Europa si trova ad affrontare una minaccia acuta e crescente. L’unico modo
per garantire la pace è essere pronti a fermare coloro che vorrebbero farci del
male». Così inizia il Libro Bianco, ed è tutto dire! Secondo la Commissione «un
nuovo ordine internazionale si formerà nella seconda metà di questo decennio e
oltre. Se non plasmeremo questo ordine – sia nella nostra regione che altrove –
saremo destinatari passivi delle conseguenze di questo periodo di competizione
interstatale, con tutte le conseguenze negative che potrebbero derivarne,
inclusa la prospettiva concreta di una guerra su vasta scala. La storia non ci
perdonerà l’inazione»[3]. La prima tesi del Libro Bianco, dunque, è che se non
vi sarà proiezione di potenza per l’Unione Europea, arriverà la guerra; «su
vasta scala». L’idea è che lavorando per rafforzare il cosiddetto “blocco
occidentale” si possa riuscire a tenere sotto scacco le altre aree del globo e
mantenere, in linea di massima, l’attuale status quo. A nostro parere, tuttavia,
la consapevolezza della possibilità di uno scontro armato di elevata intensità
nel futuro è ben diffusa tra le classi dirigenti, e l’idea che l’Ue possa
eccellere nel settore produttivo della difesa fino al punto da dissuadere i
propri avversari è quantomeno arrischiata. Piuttosto, si lotta per non rimanere
indietro nel prossimo decennio[4].
Accrescere la competitività del Vecchio Continente è, del resto, la premessa
indispensabile per attuare poi il piano di Riarmo attraverso una sorta di
percorso virtuoso che va dalla semplificazione delle procedure amministrative,
l’eliminazione degli ostacoli interni al mercato unico, linee di finanziamento
rapide ed efficienti fino a una sorta di unione dei risparmi e degli
investimenti intende creare nuovi prodotti di risparmio e investimento,
incentivare il capitale di rischio e permettere la continuità del flusso degli
investimenti in tutta l’UE per chiudere con un grande piano atto a promuovere e
sviluppare le competenze indispensabili a questo grande salto economico e
militar industriale per accrescere la tecnologia e la qualità dei posti di
lavoro[5].
Gli autori del Libro Bianco sostengono che «È giunto il momento per l’Europa di
riarmarsi. Per sviluppare le capacità e la prontezza militare necessarie a
scoraggiare in modo credibile le aggressioni armate e garantire il nostro
futuro, è necessario un massiccio aumento della spesa europea per la difesa»[6].
L’intero documento in esame propone una costante drammatizzazione
dell’esistente, evitando nella maniera più assoluta di prefigurare alternative,
traiettorie di sviluppo differenti, fosse anche solo come prospettiva ideale:
bisogna mirare al sodo delle questioni evitando di ammettere la possibilità di
percorsi alternativi al riarmo. Per l’appunto, vi si trova scritto che se non si
potenzierà il settore militare, «In un’epoca in cui le minacce proliferano e la
concorrenza sistemica aumenta, (…) l’Europa sarà meno in grado di decidere del
proprio futuro e sarà sempre più strumentalizzata da grandi blocchi economici,
tecnologici e militari che cercano di ottenere un vantaggio su di noi»[7].
La terza e ultima tesi principale riguarda l’interpretazione del quadro della
competizione “geopolitica”, che per la Commissione è caratterizzato dalla «corsa
tecnologica globale» e dall’«approvvigionamento di materie prime essenziali»[8].
Pertanto la strategia di sviluppo militare includerà l’avanzamento delle filiere
tecnologiche e dell’Intelligenza Artificiale – in particolare premendo sulle
tecnologie dual use – e la diversificazione, nonché la sicurezza, delle fonti di
approvvigionamento.
LE “LACUNE” ESISTENTI NEL SETTORE DELLA DIFESA
La prima problematica è la mancanza di economia di scala nei settori commerciale
e produttivo della difesa. Ciò comporta in primo luogo la carenza di scorte di
attrezzature militari, munizioni e armamenti, inoltre la mancanza di
collaborazione tra gli Stati membri impone tutta una serie di difficoltà
economiche aggiuntive che, secondo la Commissione, potrebbero essere evitati,
come ad esempio i costi di conformità (adeguamento delle imprese alle
certificazioni e alla normativa di ogni singolo Paese) e la difficoltà
nell’attrarre investimenti privati.
Di conseguenza, si perdono opportunità di sfruttare le economie di scala europee
per ridurre i costi unitari. (…) L’approvvigionamento collaborativo è il mezzo
più efficiente per procurarsi grandi quantità di “materiali di consumo” come
munizioni, missili e droni. Ma l’approvvigionamento collaborativo è fondamentale
anche per la realizzazione di progetti più complessi, poiché l’aggregazione
della domanda limita i costi, invia segnali di domanda più chiari agli operatori
del mercato, riduce i tempi di consegna e garantisce interoperabilità e
intercambiabilità[9].
Al fine di limitare la carenza di approvvigionamenti militari l’Ue ha deciso di
sostenere in vario modo la nascita e lo sviluppo di partenariati fra Stati, gli
acquisti collaborativi e la creazione di «riserve strategiche localizzate in
modo ottimale (o pool di prontezza industriale per la difesa) di prodotti per la
difesa realizzati nell’UE»[10]. Tutto ciò nella consapevolezza che, comunque,
rispetto a un decennio fa, «gli Stati membri acquistano fino a quattro volte più
equipaggiamenti»[11].
Per attrarre gli investitori privati, invece, la Commissione punta a
deregolamentare il mercato, semplificando la normativa e facilitando la
concessione di appalti e i permessi per le operazioni finanziarie[12].
La seconda “lacuna” del sistema militare europeo consiste nella carenza di
infrastrutture logistiche per la mobilità militare. Il primo mezzo per
risolverla viene individuato nella facilitazione dei permessi:
La mobilità militare è ostacolata dalla burocrazia, che spesso richiede sia
l’autorizzazione diplomatica specifica per i trasporti militari sia il rispetto
delle normali norme e procedure amministrative. (…) l’UE e gli Stati membri
devono semplificare e snellire immediatamente regolamenti e procedure e
garantire alle forze armate l’accesso prioritario alle infrastrutture, alle reti
e ai mezzi di trasporto, anche nel contesto della sicurezza marittima[13].
Per colmare entrambe queste “lacune” sarebbe necessario, dunque, potenziare
l’azione comunitaria a dispetto di quella prettamente nazionale: ciò ha il
significato – secondo le espressioni attualmente in uso – di un ulteriore
trasferimento di “quote di sovranità nazionale” dai governi dei singoli Paesi
alle istituzioni europee. Lo sviluppo di una rete logistica integrata
comprenderà «l’ampliamento di gallerie ferroviarie, il rafforzamento di ponti
stradali e ferroviari, l’ampliamento di terminal portuali e aeroportuali», senza
però dimenticare di includere «un insieme completo di barriere fisiche»[14]. Per
quanto nel documento in esame non se ne faccia esplicita menzione, sotto
l’espressione “barriere fisiche” oggigiorno si intende, soprattutto sulla scorta
dell’esperienza della guerra russo-ucraina, tutta una serie di infrastrutture
militari di difesa particolarmente invasive per il territorio, e preoccupanti in
sé, quali denti di drago, valli anti-carro, sistemi trincerati e bunker. Ma per
la Commissione Europea non è un problema, anzi: si vuole «consentire il rapido
rilascio di permessi di costruzione e ambientali per progetti industriali di
difesa come questione prioritaria di interesse pubblico»[15].
La terza problematica che il Libro Bianco evidenzia è l’insufficiente spesa per
la difesa, e questo aspetto viene volutamente drammatizzato per giustificare un
esponenziale aumento degli investimenti a fini militari. Ciò, nonostante «La
spesa per la difesa degli Stati membri è cresciuta di oltre il 31% dal 2021,
raggiungendo l’1,9% del PIL complessivo dell’UE, ovvero 326 miliardi di euro,
nel 2024. Nello specifico, gli investimenti nella difesa hanno raggiunto la
cifra senza precedenti di 102 miliardi di euro nel 2024, quasi raddoppiando
l’importo speso nel 2021». Il motivo è presto detto: un tale livello di spesa
rimane «di gran lunga inferiore a quella degli Stati Uniti e, cosa ancora più
preoccupante, inferiore a quella di Russia o Cina»[16]. Dunque, grazie alla
flessibilità concessa allentando i vincoli di bilancio per le spese militari e
grazie alle facilitazioni (come, ad esempio, il non pagamento dell’Iva sugli
acquisti di armamenti realizzati tramite il programma Safe) costruite ad arte
per rendere possibili e accelerare i processi in atto, nei prossimi anni gli
Stati membri potrebbero «mobilitare spese aggiuntive per la difesa fino all’1,5%
del PIL»[17]. Un ulteriore aspetto preoccupante, teso sempre ad aumentare la
spesa militare, consiste infine nella rimozione «delle limitazioni nelle
politiche di investimento delle istituzioni finanziarie pubbliche e
private»[18].
IL QUADRO STRATEGICO
Il Libro Bianco traccia delle coordinate per le relazioni politico-economiche
dell’Unione Europea con gli altri Stati. Vi è detto piuttosto chiaramente che
«La NATO rimane il pilastro della difesa collettiva dei suoi membri in Europa»,
e che i maggiori sforzi per la difesa europea si baseranno «sulla profonda ed
estesa catena di approvvigionamento transatlantica»[19], nella quale sono
inclusi a pieno titolo il Regno Unito, la Norvegia e il Canada, che non
appartengono all’Unione.
La cooperazione militare viene estesa agli Stati vicini all’Ue, compresi quelli
“di confine” tra i cosiddetti oriente e occidente, rivendicando l’obiettivo di
«promuovere la pace, la sicurezza e la stabilità nel nostro continente e
oltre»[20]: la Moldavia e l’Ucraina, da un lato; la Macedonia del Nord e il
Montenegro dall’altro. Sulle ambiguità delle posizioni turche la Commissione
trova poco da dire, mentre i principali partner asiatici in materia di sicurezza
vengono individuati in Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Non
viene esclusa l’India, alla quale anzi viene dato particolare risalto in virtù
dei proficui rapporti sul tema della sicurezza delle rotte
marittimo-commerciali.
Sulla questione taiwanese vi è un passaggio particolarmente chiaro: «Il
cambiamento dello status quo di Taiwan aumenta il rischio di una grave
perturbazione che avrebbe profonde conseguenze economiche e strategiche per
l’Europa. (…) un’escalation delle tensioni nello Stretto di Taiwan potrebbe
impedire all’UE di accedere a materiali chiave, tecnologie e componenti
critici»[21]. Evidentemente – e ovviamente – da parte della classe dirigente
europea c’è piena consapevolezza del ruolo-chiave dell’isola per l’economia
internazionale. A nostro avviso uno dei motivi principali è l’importanza che
essa riveste per la filiera dei semiconduttori – che da sola, nel 2022, regalava
alla Germania l’equivalente di un terzo del Pil italiano di allora[22]. Taiwan è
uno dei pochi Paesi ad avere la capacità di produrre semiconduttori al di sotto
dei 2 nanometri, e questo già da qualche anno, e mentre sia in Asia che in Usa
si arriva a chip della dimensione di 2 nanometri, in Ue non esistono fonderie
che vadano al di sotto dei 22, per quanto nella tedesca Dresda sia in
costruzione uno stabilimento – costato ben 10 miliardi di €, di cui 5
gentilmente offerti dallo Stato[23] – che a partire dal 2027 potrà destinare
parte della produzione a chip tra i 16 e i 12 nanometri. Ma del resto «una
fabbrica di semiconduttori in Europa costa il 33% in più di una fabbrica in
Corea del Sud, 43 % in più che in Taiwan e 63% in più che in Cina»[24]. Inoltre,
al 2019 «Corea del Sud e Taiwan detengono il 50% del mercato della produzione di
semiconduttori all’avanguardia»[25]. La rottura delle catene di
approvvigionamento di semiconduttori per causa di un’invasione cinese di Taiwan,
dunque, comporterebbe danni economici incalcolabili, che si rifletterebbero a
catena su tutte le principali filiere tecnologiche, da quella dei robot
industriali all’automotive.
Infine, la questione Ucraina. È previsto un aumento corposo delle forniture
militari e del sostegno all’industria bellica di questo Paese, in particolare
attraverso l’emissione di ordini di fornitura da parte degli Stati membri, ossia
facendosi vendere armi dall’Ucraina. Cosa ancor più preoccupante, però, è
l’integrazione di un Paese – lo ricordiamo, attualmente in guerra – nel sistema
di difesa militare europeo. Questa avverrà concedendo all’Ucraina di partecipare
ai programmi spaziali europei (è ancora da valutare in quale misura),
relazionando a livello produttivo e commerciale le rispettive industrie della
difesa e creando partnership con le start-up europee del settore. Soprattutto,
però, nel Libro Bianco è detto che «I corridoi di mobilità militare dell’UE
dovrebbero estendersi fino all’Ucraina, il che migliorerebbe l’interoperabilità
e costituirebbe un’ulteriore garanzia di sicurezza per scoraggiare future
aggressioni»[26].
CONCLUSIONI
Il Libro Bianco della Difesa, insomma, in una titanica lotta contro il tempo
vuole gettare le basi per costruire una industria europea capace di espandersi
in altri continenti e ampliare così le proprie aree di mercato, in accordo con
la Nato ma anche in competizione con i prodotti Usa. La Ue pensa di sfidare
l’economia statunitense anche sul suo terreno preferito, quello della produzione
di armi e dei processi tecnologici innovativi in campo duale – validi sia per il
civile che per il militare –, e un singolo paese del resto non avrebbe le
risorse necessarie per compiere un tale salto di qualità. Proprio da qui parte
quel ragionamento complesso che mette insieme i principali Paesi membri,
ridisegna le regole comunitarie in materia di spesa e di bilancio, deroga alle
norme che limitavano le spese, prefigura un nuovo indebitamento funzionale al
lancio della nuova industria militare e ipotizza un futuro radioso per le
imprese comunitarie con alleanze rinnovate, joint venture e percorsi comuni di
ricerca su processi innovativi in ambito duale. Una linea per cui il Libro
Bianco è fortemente debitore del famigerato Rapporto Draghi pubblicato
nell’autunno scorso.
È possibile che il riarmo porterà con sé ulteriori difformità fra uno Stato
membro e l’altro, ampliando i divari interni all’Ue: molti Paesi non sono pronti
alla riconversione bellica della propria industria, e le joint ventures più
incisive, svolgendosi tra i paesi più forti, porteranno a una ulteriore
divaricazione con i più deboli. L’Italia, di per sé, ha una economia claudicante
e – da ex grande potenza industriale – è risultata in ritardo rispetto a diversi
ambiti della competizione economica. Nel caso della difesa, però, parte da una
posizione agevolata: il suo settore armiero non è mai entrato in crisi… anzi! Ha
una notevole articolazione interna, spaziando dalle armi leggere a quelle
pesanti e a maggiore connotazione tecnologia. Perciò, l’insistenza dei nostri
giornali sulla necessità del riarmo ha una sua, certo canagliesca, razionalità.
Non è che il riarmo porterà con sé ulteriori difformità in seno all’Ue? Molti
paesi non sono pronti alla riconversione bellica della propria industria. E le
joint ventures più incisive, svolgendosi tra i paesi più forti, porteranno a una
ulteriore divaricazione con i più deboli.
Per l’immediato futuro, l’Italia non potrà eludere una questione dirimente come
fare i conti con la sua economia claudicante – da ex grande potenza industriale
– in ritardo rispetto a diversi ambiti propri della competizione economica. Al
contrario di altri paesi tuttavia l’industria bellica italiana non è mai entrata
in crisi e presenta una notevole articolazione interna, spaziando dalle armi
leggere a quelle pesanti con maggiore connotazione tecnologia. Perciò,
l’insistenza dei nostri giornali sulla necessità del riarmo ha una sua, certo
canagliesca, razionalità
E. Gentili, F. Giusti, S. Macera, Osservatorio contro la militarizzazione delle
scuole e delle università
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[1] E. Gentili, F. Giusti, Analisi Bilancio UE: guerra, difesa e (poca)
crescita, 26 Agosto 2025,
https://diogenenotizie.com/analisi-bilancio-ue-guerra-difesa-e-poca-crescita/.
[2] Commissione Europea, Libro Bianco per la Difesa Europea – Readiness 2030, p.
6.
[3] Ivi, p. 2.
[4] Parimenti, nel documento denominato “Bussola Europea” si individuavano tre
obiettivi strategici per il rilancio della Ue, riprendendo i contenuti del Piano
Draghi: colmare il deficit di innovazione, decarbonizzare l’economia e ridurre
le dipendenze dagli ordini di fornitura.
[5]
https://commission.europa.eu/topics/eu-competitiveness/competitiveness-compass_it.
[6] Ivi, p. 3.
[7] Ivi, p. 4.
[8] Ivi, p. 5.
[9] Ivi, p. 8.
[10] Ivi. P. 10.
[11] Ivi, p. 13.
[12] Cfr. ivi, p. 15.
[13] Ivi, p. 8.
[14] Ivi, pp. 8 e 9.
[15] Ivi, p. 9.
[16] Ivi, p. 16.
[17] Ibidem.
[18] Ivi, p. 17.
[19] Ivi, pp. 18 e 19.
[20] Ibidem.
[21] Ivi, p. 5.
[22] Darp (Deutscher aufbau und resilienzplan), p. 367.
[23] Commissione Europea, Commission approves €5 billion German State aid
measure to support ESMC in setting up a new semiconductor manufacturing
facility, Comunicato stampa, 20 Agosto 2024.
[24] L. Alessandrini, L’industria dei semiconduttori, LUISS 2022, p. 48.
[25] E. Gentili, F. Giusti, S. Macera, Attraversando il Pnrr, «Machina». I
semiconduttori all’avanguardia sono quelli stampati su wafer in silicio
inferiori ai 300 mm.
[26] Commissione Europea, Libro Bianco …, p. 11.