Tag - Federico Giusti

Eastern sentry: blindare l’est europeo, finanziare le guerre, confondere tra aggredito e aggressore
PERCHÉ NASCE EASTERN SENTRY (SENTINELLA DELL’EST)? COME BLINDARE L’EST EUROPEO, FINANZIARE LE INFRASTRUTTURE DI GUERRA E CREARE CONFUSIONE TRA AGGREDITO E AGGRESSORE “Eastern sentry“, Sentinella dell’est, è la nuova missione NATO in funzione antirussa, è stata lanciata negli ultimi giorni, ma le premesse sono evidenti da mesi, da quando l’Unione Europea aveva deciso di finanziare, con le prossime manovre di bilancio, la grande rete infrastrutturale tra Polonia e Paesi limitrofi aderenti alla NATO al fine di creare rapidi collegamenti per il trasporto di armi e di truppe. È possibile apparire all’opinione pubblica nel ruolo di vittime quando si è invece responsabili del riarmo per deliberate politiche militariste. Le risorse arriveranno dalla NATO e dai Paesi dell’UE, “tutti insieme” come affermando i vertici NATO, del resto come affermava uno storico della Grecia classica esistono cause reali e cause apparenti all’origine di ogni conflitto bellico. La conferenza stampa del segretario generale della NATO merita di essere ascoltata per trarre qualche idea del livello di guardia raggiunto: Nato, Rutte annuncia l’iniziativa Sentinella orientale per difendere il fianco est dell’Alleanza Una fonte autorevole, e lontana dalle nostre posizioni, come Analisi Difesa aiuta a capire gli scenari e a uscire dalla dicotomia aggredito e aggressore per comprendere i reali scenari di guerra: “Secondo il direttore generale di “Mechanical Protection Systems”, Dmitry Dorofeev, la Russia ha sviluppato un metodo innovativo e a basso costo per proteggere oggetti e infrastrutture dagli attacchi dei droni. Il sistema, denominato “Darwin”, consiste in una rete protettiva espandibile in poliammide in grado di catturare i droni in volo. Il sistema si basa su un processo a due fasi per neutralizzare le minacce: una prima fase di riduzione dell’energia, dove nell’impatto, i fili di poliammide della rete si allungano assorbendo così tra il 50% e il 100% dell’energia cinetica del drone. La versatilità della rete la rende adatta alla protezione di una vasta gamma di bersagli, dai nodi di controllo e centri dati a scuole, ospedali e impianti industriali, comprese le industrie a rischio di esplosione o incendio. L’autore dello sviluppo sottolinea l’importanza di trovare soluzioni economiche e fisiche, in un contesto in cui, secondo lui, l’Ucraina e i Paesi NATO hanno consegnato alle Forze armate ucraine oltre 1,3 milioni di droni nel 2024, con una previsione di 4 milioni nel 2025. Fonte: I russi producono una nuova rete per la protezione contro i droni   – Analisi Difesa  E la reazione NATO e UE arriva dopo l’annuncio del muro anti-drone evocato da Ursula von der Leyen per fortificare il fianco est blindandolo militarmente evocando la imminente aggressione Russa. “Sentinella orientale” è, quindi la nuova, l’ennesima, missione NATO annunciata da Mark Rutte e ne fanno parte alcuni dei Paesi che hanno accresciuto maggiormente la spesa militare come Danimarca, Francia, Regno Unito e Germania, altri ancora stanno invece per aderire come anticipato dalla Alleanza Atlantica. L’occasione si presta utile per mettere a punto il nuovo sistema di produzione militare, accelerare i processi di sinergia tra imprese belliche europee, evitare la frammentazione dei sistemi d’arma in troppi modelli di cui parlano i documenti ufficiali della Unione Europea che poi ricalcano le analisi redatte dalle imprese strategiche nel settore ricerca e sviluppo. La UE vuole spendere di più e meglio i propri soldi e non subire l’egemonia industrial-militare degli USA e per questo promettono rapidi cambiamenti perché gli armamenti europei costerebbero di più rispetto a quelli Usa avendo spazi di mercato decisamente inferiori. A prescindere dal giudizio sulla Russia, da parte nostra non certo benevolo, è innegabile che in pasto all’opinione pubblica venga data una informazione parziale che stride con i fatti reali e gli avvenimenti in corso, con gli interessi della NATO e di quel vasto apparato industriale e militare per l’ampliamento del quale (ipotizzato dalle imprese europee come nevralgico e strategico) serve appunto una sentinella armata nell’est europeo. Ma è proprio questa sentinella a soffiare sui venti di guerra, altro che strategia difensiva come i servi sciocchi della stampa occidentale si affrettano a scrivere. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Il carattere strategico degli investimenti militari per superare la crisi sistemica
Il Piano “Readiness 2030” dell’UE prevede un impegno complessivo di circa 800 miliardi di Euro, con la spesa UE-27 salita a 348,5 miliardi nel 2024 (1,9% del PIL, +24% rispetto al 2023) e un obiettivo NATO del 5% al 2035, pari a 781,7 miliardi aggiuntivi per l’UE. Di questi 800 miliardi di Euro, 650 miliardi sarebbero richiesti dai bilanci nazionali dei singoli Stati Membri (ipotizzandoli esenti dalle regole fiscali europee) mentre 150 miliardi di Euro da ReArm Europe sarebbero raccolti sui mercati dei capitali, sostenuti dal bilancio dell’UE, stimolando l’aumento dei contributi della Banca Europea degli Investimenti (BEI): Forum di Cernobbio: 51^ edizione | The European House – Ambrosetti Il documento strategico sull’industria di armi presentato al Forum di Cernobbio merita di essere letto, studiato e diffuso, il ricorso al Riarmo e alla Guerra è stato studiato a tavolino e da tempo proposto come soluzione della crisi sistemica. Sono cambiati gli scenari di guerra, acquistano sempre maggiore rilevanza le tecnologie digitali, i satelliti e i droni e per giustificare colossali investimenti pubblici e privati si denuncia l’estrema pericolosità degli attacchi cyber in UE, cresciuti di numero e sempre meno prevedibili per il supporto accordato dalla Intelligenza artificiale. Un monito verso l’Italia lanciato dagli imprenditori che ricordano la esigua spesa nazionale per combattere gli attacchi informatici costruendo dei sistemi difensivi avanzati e altamente tecnologici. Sempre nel rapporto si scrive che l’Italia rimane ultima tra i principali Paesi europei per spesa in difesa cyber in rapporto al PIL……e cresce l’esigenza di sviluppare capacità autonome di difesa a livello UE. L’obiettivo è ambizioso, acquisire tecnologie di ultima generazione per garantire alla UE l’autonomia strategica con incremento delle spese in D&S di circa 800 miliardi di euro per raggiungere in un decennio la spesa militare pari al 5 per cento del PIL a cui aggiungere ulteriori capitoli di spesa dipendenti da altri Ministeri ma pur sempre riconducibili al comparto bellico. La UE punta quindi sull’industria della D&S la cui crescita in termini di fatturato, utili, azioni in borsa e anche occupazione è considerata la più elevata performance nell’economia capitalistica. I dati indicati nel documento strategico sono eloquenti ipotizzando la crescita nel fatturato e nell’occupazione (rispettivamente +7,4% e +7,2% medio annuo nel quinquennio 2019-2023) quanto nelle esportazioni e negli investimenti in Ricerca &Sviluppo (cresciuti entrambi di oltre il 9% nel quinquennio 2019-2023).Con una presenza consolidata di grandi gruppi della D&S nei principali Paesi europei (in primis, Francia, Italia, Germania e Regno Unito), il fatturato dell’industria europea della D&S è cresciuto in media del 7,4% annuo nel quinquennio 2019-2023 rispetto al +5% del PIL UE-27. Anche l’occupazione della filiera europea della D&S è cresciuta a un tasso medio annuo del 7,2% nello stesso periodo rispetto al +0,7% dell’occupazione a livello complessivo UE. Sono soprattutto le speculazioni borsistiche, le quotazioni in borsa dei titoli azionari legate alle imprese produttrici di armi a rappresentare una fetta rilevante degli affari in corso, al contempo Ricerca e Sviluppo sono indirizzati ai settori giudicati dirimenti per il futuro dell’industria bellica europea, in linea con le indicazioni del grande progetto di Riarmo europeo ossia i sistemi (elettronici e non ) di difesa aerea e antimissile, i droni e gli anti droni, la IA, il settore cyber e la guerra elettronica oltre a sistemi di artiglieria, munizioni. I limiti dell’Italia sono legati al basso numero di brevetti depositati e agli investimenti stanziati, le criticità evidenziate suggeriscono repentini cambi di rotta destinando risorse economiche in alcuni campi che poi sono quelli dove maggiore è la presenza delle multinazionali. Grande è il peso della propaganda, la industria delle armi leggere pesa come la industria del turismo ma nell’immaginario collettivo si pensa a un apporto decisamente maggiore, gli analisti (legati alle grandi aziende del settore) calcolano un aumento esponenziale della produzione, degli occupati e degli utili per le aziende produttrici di armi e connesse alla Ricerca e Sviluppo di nuove tecnologie, prendiamo allora per buoni i dati presentati: “La filiera italiana della Difesa e Sicurezza genera ogni anno un giro d’affari totale superiore a 60 miliardi di Euro e presenta un moltiplicatore economico pari a 2,72, il che significa che per ogni Euro di fatturato diretto si attivano ulteriori 1,72 Euro nell’economia nazionale“. L’aumento degli investimenti pubblici è di vitale importanza, pensano che attestando la spesa militare al 5% del PIL si possa triplicare il fatturato dell’industria nazionale della D&S ad oltre 70 miliardi di Euro all’anno 2035 non prima di avere ripensato anche la struttura organizzativa e gestionale dell’intero settore, dall’apparato burocratico per il procurement militare fino a un rapporto di collaborazione e sinergico tra le imprese del settore. E se un settore viene giudicato strategico  e questo settore produce armi e sistemi di distruzione di massa viene da pensare che le guerre saranno sempre più presenti e da giustificare nel contesto sociale con una devastante presenza della cultura militarista per prepararci alla ineluttabilità del conflitto armato come unica soluzione alle controversie internazionali. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Militarizzazione e spesa pubblica: partiti gli investimenti per il riarmo europeo e italiano
CI SI INDEBITA PER IL RIARMO QUANDO MANCANO I SOLDI PER LE SCUOLE E LA SANITÀ O PER LA MANUTENZIONE DEI TERRITORI Si vanno, giorno dopo giorno, delineando gli scenari dei prossimi bilanci nazionali con un forte impulso alla spesa militare. Ad esempio, l’Italia potrà ricorrere a 14,9 miliardi del fondo Safe (Security Action for Europe)  che ammonta complessivamente a 150 miliardi per progetti dei paesi UE legati alla difesa. https://www.eunews.it/2025/09/09/safe-per-litalia-in-arrivo-prestiti-da-149-miliardi-di-euro-per-rilanciare-la-difesa/ Ad oggi non tutti i Paesi europei si sono avvalsi della possibilità di attingere da questi fondi che poi sono prestiti destinati al riarmo, fondi che dovranno essere spesi nei prossimi 5 anni e restituiti entro 45. Sono 19 i Paesi dell’Unione Europea che hanno deciso di accedere ai prestiti europei per il riarmo e in questi giorni è stata resa la ripartizione dei fondi dalla apposita Commissione (la foto con cui abbiamo aperto l’articolo). I prestiti serviranno anche per investimenti tecnologici in ambito militare, per la produzione di missili e sistemi di arma, per droni e anti drone, non esiste settore escluso nell’ottica di ampliare la produzione nazionale, per acquisire le competenze tecnologiche indispensabili a dare vita a un articolato e sinergico sistema a livello comunitario. Nasce in sintesi una sorta di grande sistema militare europeo adibito all’innovazione tecnologica e alla produzione di armi tecnologicamente avanzato. E questo piano di riarmo è frutto delle decisioni assunte dal vecchio continente. Inizialmente dovevano finanziare progetti comuni in funzione della guerra in Ucraina per poi acquisire caratteristiche diverse che vanno nella direzione auspicata dai grandi interessi economici che ruotano attorno al settore militare. È innegabile che l’Unione Europea voglia fare un salto di qualità e nonostante le iniziali perplessità anche il Governo Italiano ha deciso di accedere ai prestiti per acquistare 24 Eurofighter e 5 batterie Samp-t, il sistema missilistico sviluppato dal consorzio italo-francese Eurosam. La scelta di  applicare il prossimo anno la “clausola di salvaguardia” che scorpora dai vincoli di bilancio le spese per la difesa è data per scontata già nel 2026. Il nostro Paese andrà a spendere in tre anni 40 miliardi in sistemi d’arma, ma le cifre sono in costante crescita e supereranno presto gli ambiziosi obiettivi di marca militarista già noti. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Livelli record della spesa militare nei Paesi UE
 L’Agenzia europea per la difesa (EDA) ha da poco pubblicato il rapporto annuale relativo al biennio 2024-2025 concernente le spese per la difesa sostenute dai 27 Paesi membri della UE (in allegato). È bene sapere che abbiamo raggiunto la cifra record di 343 miliardi di euro per spese militari con un aumento, nel 2024, del 19 per cento rispetto all’anno precedente. Già oggi, con questo aumento abbiamo superato la soglia del 2% del PIL per spesa militare, sapendo che numerose altre voci e capitoli di spesa afferenti il settore della guerra sono a carico di altri Ministeri e non vengono annoverate nelle cifre ufficiali. Altra notizia rilevante è data dal fatto che una buona parte delle spese sostenute sono destinate a investimenti nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie oltre al tradizionale acquisto di nuovi sistemi di arma. Solo gli investimenti nella difesa superano il 30% della spesa totale, a fare la parte del leone l’ammodernamento tecnologico del settore militare, senza dimenticare che il capitolo di bilancio relativo alle infrastrutture civili viene in buona parte pensato in funzione del riarmo e di un ipotetico conflitto con la Russia. La spesa complessiva è destinata a crescere sempre più nei prossimi anni nell’ottica di costruire un modello nuovo di difesa europea all’interno della NATO e indipendentemente dalla stessa Alleanza Atlantica e prova ne sia una eloquente dichiarazione dei vertici della EDA che annuncia di volere raggiungere il 3,5% del PIL per spese militare come stabilito dalla NATO. Tradotto in euro, per raggiungere l’obiettivo perseguito dalla Alleanza Atlantica sarebbero necessari oltre 630 miliardi di euro all’anno https://eda.europa.eu/docs/default-source/brochures/2025-eda_defencedata_web.pdf EDA prevede per questo anno una spesa militare di circa 381 miliardi di euro ossia quasi 40 miliardi in più rispetto al 2024 con i cosiddetti investimenti nella difesa che passano da 106 a 130 miliardi di euro nel 2025 e la spesa per la ricerca e lo sviluppo (R&S) che dovrebbe superare i 17 miliardi rispetto ai 13 del 2024. I Paesi UE non sono tutti uguali anche davanti alle spese militari, quelli economicamente più forti hanno fortemente sviluppato gli investimenti in tecnologia e sviluppo, prime tra tutte le nazioni dell’Est oltre alla Germania che recentemente ha inaugurato una fabbrica di munizioni tra le più grandi al mondo capace tra meno di due anni di sfornare oltre 350 mila proiettili di artiglieria annui. Ma limitiamoci a menzionare direttamente le fonti ufficiali che parlano non solo dei risultati relativi all’anno 2024 ma anche delle previsioni per l’anno corrente, previsioni che a fine estate risultano ampiamente raggiunte: https://eda.europa.eu/news-and-events/news/2025/09/02/eu-defence-spending-hits-343-bln-in-2024-eda-data-shows Previsioni per il 2025: * Si prevede che la spesa per la difesa dell’UE raggiungerà i 381 miliardi di euro nel 2025 (rispetto ai 343 miliardi di euro del 2024) * La spesa del Blocco è prevista al 2,1% del PIL nel 2025, superando per la prima volta da quando sono iniziati i registri dell’EDA il precedente obiettivo del 2% della NATO. * Gli investimenti nella difesa dovrebbero raggiungere quasi 130 miliardi di euro nel 2025 (rispetto ai 106 miliardi di euro del 2024) * La spesa per ricerca e sviluppo (R&S) potrebbe aumentare fino a 17 miliardi di euro nel 2025 (rispetto ai 13 miliardi di euro del 2024)  Spesa europea per la difesa nel 2024 – Risultati principali: * Nel 2024, 25 Stati membri hanno aumentato la loro spesa per la difesa in termini reali, uno in più rispetto al 2023, mentre solo due paesi l’hanno leggermente ridotta. Sedici Stati membri hanno aumentato la loro spesa di oltre il 10%, rispetto agli undici del 2023.   * Nel 2024, la spesa totale per la difesa per personale militare attivo ha raggiunto la cifra record di 249.000 euro, in aumento rispetto ai 211.000 euro del 2023 e notevolmente superiore ai 138.000 euro spesi nel 2014.  * Nel 2024, 24 Stati membri hanno raggiunto il parametro di riferimento del 20% per gli investimenti nella difesa, rispetto ai 20 del 2023, una tendenza in accelerazione poiché i paesi destinano una quota sempre maggiore della loro spesa agli investimenti. * Gli acquisti di equipaggiamenti per la difesa sono aumentati del 39% dal 2023 a 88 miliardi di euro nel 2024, con una spesa prevista per il 2025 superiore ai 100 miliardi di euro. Si prevede che la tendenza al rialzo continuerà, poiché diversi Stati membri hanno annunciato ulteriori aumenti di bilancio e firmato importanti accordi di appalto nel 2024. * L’approvvigionamento di equipaggiamenti rappresenta oltre l’80% degli investimenti nella difesa. Mentre le esigenze a breve termine hanno spinto gli Stati membri a dare priorità alle soluzioni esistenti, gli investimenti in ricerca e sviluppo sono aumentati. * Un aumento significativo della spesa in ricerca e sviluppo è essenziale per sviluppare capacità di nuova generazione e ridurre la dipendenza dai mercati esteri. La cooperazione in ambito di difesa offre vantaggi quali economie di scala, costi inferiori, migliore interoperabilità e riduzione delle duplicazioni. * Nel 2024, la spesa per la ricerca e sviluppo nel settore della difesa è aumentata. L’aumento del 20% nel 2024 rappresenta una notevole accelerazione rispetto alla crescita del 6% registrata nel 2023. La spesa per la ricerca e sviluppo nel settore della difesa ha raggiunto i 13 miliardi di euro nel 2024. Alla luce di questi dati la UE è direttamente protagonista del grande Riarmo all’interno della NATO e indipendentemente dalla stessa, sta costruendo politiche di bilancio destinate a supportare ingenti investimenti in tecnologia e nello sviluppo di sistemi duali o specificamente militari, si tratta ora di capire dove prenderanno invece parte dei soldi mancanti, se i Bilanci nazionali saranno gestiti attraverso i tagli alla previdenza pubblica, al welfare e al sociale come sembra scontato che avvenga. Siamo certi che non si fermeranno alle attuali folli cifre del riarmo, gli incrementi cresceranno in maniera esponenziale anno dopo anno piegando interi settori dell’economia e della società alle logiche e agli interessi di guerra. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Perignano Lari (PI), 15 agosto: Osservatorio all’incontro “Conflitti, Sanzioni, Riarmo”
Si è tenuto, nel suggestivo spazio della Festa Rossa di Perignano Lari (Pisa) il dibattito coordinato dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università. Alleghiamo la registrazione completa delle due ore di confronto che ha visto protagonisti il geografo Andrea Vento, il blogger, esperto dell’est Europa, Francesco Dall’Aglio e Federico Giusti dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università che si sono soffermati sulle cause e sulle conseguenze della crisi economica della guerra in Ucraina e del genocidio perpetrato da Israele ai danni del popolo palestinese. Abbiamo provato, in questo dibattito, a non cedere a ricostruzioni parziali, cercando invece di approfondire alcune questioni in vista delle mobilitazioni autunnali contro la guerra. Lo abbiamo fatto andando al sodo delle questioni con un occhio di riguardo ai documenti ufficiali di UE, NATO, Confindustria e USA. Perché partire dalle fonti resta per noi non un mero esercizio intellettuale, ma una necessità per costruire un punto di vista alternativo alla guerra con pratiche quotidiane conseguenti.
NATO e UE preparano nuove grandi infrastrutture a fini militari
La prossima manovra di bilancio europeo dedicherà ampi spazi alla difesa, alle tecnologie e alle infrastrutture, per queste ultime il fabbisogno stimato è di 17 miliardi di investimenti per trovarsi preparati in un eventuale scontro con la Russia. Prima del Bilancio pluriennale comunitario, per lunghi mesi, è stata focalizzata l’attenzione sugli interventi necessari e sulle cosiddette tecnologie duali, la logistica viene annunciata come una necessità per l’economia del vecchio continente, ma è indubbio che l’investimento guarderà soprattutto ai pesi prossimi al confine russo Fino a prova contraria non ci sembra che la UE sia in lotta con la Russia, anzi se acquistasse il gas e il petrolio dalla Russia (che poi è lo stesso ad arrivare in Ucraina dopo alcuni giri) ne trarrebbe un indubbio vantaggio economico, del resto la crisi economica è indissolubilmente legata al costo dell’energia (e gli USA ben sapevano che, diventando i rifornitori ufficiali dell’Europa, avrebbero messo questa in ginocchio). Come avvenne con la guerra nei Balcani e i corridoi energetici ridefiniti dopo quell’aggressione al popolo della ex Jugoslavia, si torna a parlare di corridoi da potenziare come la Rete Trans-Europea di Trasporto (Ten-T) a cui aggiungere il vecchio, risale al 2017/8 ossia prima della guerra in Ucraina, Piano di azione per la mobilità militare Piano d’azione sulla mobilità militare: un’iniziativa concreta per un’Unione della difesa. La nuova Manovra pluriennale di bilancio dedica ampio spazio alle infrastrutture e alla tecnologia e lo fa con grande attenzione all’utilizzo duale per evitare sul nascere polemiche interne ad alcuni Paesi, in grave difficoltà, che mal sopporteranno i tagli al sociale. E per questa ragione tra i papaveri di Bruxelles si parla di rafforzare le politiche di rilancio della difesa e degli investimenti strategici, prevedendo, da qui al 2030, una guerra su larga scala per affrontare la quale serve un ammodernamento della logistica e già nel gennaio 2024 la Germania con altri Paesi europei (Paesi Bassi e Polonia ad esempio) aveva sottoscritto una intesa per dare vita a una grande e rinnovata rete di logistica e mobilità militare, oltre a fatto che da tempo si studia un progetto destinato a integrare i tre mari ossia Baltico, Adriatico e Mar Nero. In questa grande opera il ruolo di Germania e Polonia dovrebbe essere quello di guida e non è casuale visto che stiamo parlando dei Paesi che più degli altri hanno accresciuto la spesa bellica.  Solo poche settimane fa la Rete di infrastrutture è tornata al centro della attenzione del Parlamento UE e della NATO, prova ne sia la pubblicazione di alcuni documenti ufficiali che il pacifismo italiano ignora o preferisce dimenticare per riproporci in autunno, la solita sequela di luoghi comuni Military mobility. La manovra di Bilancio è quindi risultata della sinergia tra UE e NATO, dalla cooperazione per dare vita a una grande rete infrastrutturale a fini di guerra, è del resto uno degli impegni assunti da Bruxelles per disimpegnare gli Usa da parte delle spese sostenute  per la difesa proprio come chiesto da Trump E se qualcuno ha già parlato di una sorta di “Schengen militare” (PIANI MILITARI UE: L’ITALIA SNODO CRUCIALE, Ue, avanti tutta sulla mobilità militare), l’Italia non sta a guardare come dimostra il grande accordo, che opera da battistrada nella UE, tra Leonardo e Rete Ferroviaria Italiana di quasi due anni: L’asse Leonardo-Rete Ferroviaria Italiana per la mobilità militare, Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Guerra, repressione e austerità all’ombra del genocidio palestinese
Ci sono Paesi in Occidente che davanti al genocidio palestinese hanno adottato politiche conseguenti rispetto allo Stato di Israele? No, anche i Paesi più critici si sono limitati a qualche invettiva diplomatica, ipotizzando il riconoscimento di un eventuale Stato palestinese, la cui entità geografica è tanto confusa quanto irreale, visto il dispiegamento militare israeliano e i progetti di occupazione e colonizzazione in atto. In molti Paesi poi i tentativi di fermare la vendita di armi ad Israele è stata letteralmente boicottata da lobby sioniste (chiamiamole con il loro nome) che, all’occorrenza, scatenano il senso di colpa verso l’eccidio del popolo ebraico da parte nazista. In altre nazioni si afferma pubblicamente di avere interrotto qualsiasi rapporto commerciale e militare con Israele, salvo poi scoprire ben altra realtà, cioè che, ad esempio, una partita di armi può anche essere ceduta ad un Paese per arrivare ad un altro che, a sua volta, fa recapitare lontano il rifornimento e dopo innumerevoli giri arriva alla vera destinazione. Nelle università statunitensi e in Germania centinaia di attivisti propalestinesi sono stati arrestati e denunciati, quanto accade in terra trumpiana non è detto sia estraneo al clima culturale che vorranno esportare in autunno in Europa a partire da scuole e atenei.  L’obiettivo della campagna filoisraeliana va ben oltre il sostegno al genocidio, mira a ridefinire assetti democratici nei Paesi occidentali, utilizza le accuse di antisemitismo per normalizzare l’insegnamento, per dare impulso alle tecnologie duali avvalendosi magari del sostegno di qualche esponente politico che da anni, ormai, ad ogni domanda sulla Palestina risponde con la litania sul 7 ottobre. Non occorrono grandi conoscenze della storia per capire che da decenni è in atto una feroce repressione del popolo palestinese e con gradualità siamo arrivati al genocidio. Si confonde deliberatamente la critica politica, la lettura storica non in linea con la vulgata ufficiale con istigazione all’odio razziale. È quindi in atto, negli USA, ma presto anche in UE, la normalizzazione delle scuole e dell’università, forse in Italia siamo già avanti con la presenza di protocolli tra Ministero dell’Istruzione, Provveditorati e Forze Armate, gli Atenei, con le linee guida in materia di educazione civica, con gli stages scuola lavoro nelle caserme. Ha ragione Clara Mattei (sul Fatto Quotidiano del 18 Agosto) che, riprendendo Gramsci, ricorda come l’università sia «parte integrante dell’apparato del potere statale, essenziale nella costruzione del consenso per un ordine socio-economico fondamentalmente antidemocratico. Se un tempo la maschera era quella del pluralismo, oggi il volto è apertamente autoritario». E, quindi, un sentito ringraziamento va a studenti, studentesse, ricercatori e a quanti li hanno sostenuti, che hanno elaborato degli statuti accademici con passaggi chiari contro la partecipazione delle università a progetti di guerra: questo, però, potrebbe essere il canto del cigno di percorsi conflittuali ai quali seguiranno processi di normalizzazione e progetti neo-autoritari. In questi giorni estivi, girando per festival e le poche iniziative pubbliche, abbiamo toccato con mano il disinteresse verso l’economia di guerra, l’inconsapevole sottovalutazione politica di quanto la sopravvivenza del sistema capitalistico sia legata alle guerre in corso, prova ne sia l’aumento esponenziale di alcuni titoli azionari in borsa. I governi nazionali stanno facendo di tutto per favorire queste aziende, fautori del libero mercato intervengono invece con fare protezionistico per impedire ad una impresa concorrente di entrare nei mercati nazionali, si ergono a mediatori per rafforzare il capitalismo nazionale all’ombra della produzione di morte. E sarebbe utile, anzi indispensabile, provare a ricostruire quella fitta rete di interessi tra le aziende produttrici di armi, il sostegno accordato alla classe politica dominante a determinate imprese e la politica estera intrapresa dai singoli Paesi. L’accanimento contro Francesca Albanese nasce proprio dalla pubblicazione del report Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, per questo non passa giorno in cui venga descritta dai giornali di centrodestra, e non solo, come una alleata di Hamas con una campagna di odio ben orchestrata ai piani alti dell’editoria e della politica nazionale. Chiudiamo con due ulteriori considerazioni: il bilancio pluriennale europeo ci parla di investimenti duali e nelle infrastrutture, nei singoli paesi UE vedremo tra qualche settimana quante spese sociali saranno cancellate, questione rilevante perché, quando mancano i soldi si vanno a prendere dove sono ossia da sanità e pensioni, dai finanziamenti previsti agli Enti locali.  È poi importante ricordare che un aumento delle spese sociali rimetterebbe in funzione l’ascensore interclassista, che invece sono in molti a volere tenere fermo. E se gli USA rappresentano ancora un parametro di confronto, anzi una sorta di anticipazione degli scenari prossimi del vecchio continente, l’aumento delle spese militari ha già sacrificato le risorse destinate a tre capitoli di spesa: la sanità, l’assistenza alimentare, i servizi educativi e i piani sociali destinati ai migranti. E in alternativa? Nuovi centri di detenzione, sorveglianza e tecnologia avanzata per controllare i confini con il Messico e le aree metropolitane facendo leva sulla insicurezza e sui pericoli. SIAMO DAVANTI A UNA SORTA DI AUSTERITÀ CHE TAGLIA I PROGRAMMI SOCIALI, ACUISCE IL CONTROLLO E LA REPRESSIONE, RESTRINGE GLI SPAZI DI LIBERTÀ E DI DEMOCRAZIA, CHIUDE LA BOCCA ALLE VOCI DISSENZIENTI E RAFFORZA I DISPOSITIVI MILITARI NEL CORPO SOCIALE. ECCO SPIEGATO, IN TERMINI SEMPLICI E UN PO’ AFFRETTATI, IL RAPPORTO TRA POLITICHE DI AUSTERITÀ, SOSTEGNO ALLA GUERRA E REPRESSIONE DELLE ISTANZE DEMOCRATICHE, Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Lituania: educare bambini\e all’uso dell’intelligenza artificiale a fini di guerra
Le immagini dei bambini-soldato vengono accompagnate da note di biasimo e di condanna, da appelli a tutela della infanzia mantenendola lontano dagli scenari bellici. E solitamente assoldare bambini e ragazzi per la guerra è considerato riprovevole per la cultura occidentale e i suoi governi, ma questa distanza è più fittizia che reale, le milizie nel mondo vengono armate dai Paesi occidentali per spartirsi terre rare, metalli depredando le ricchezze di aree sconosciute al cittadino occidentale. Detto ciò, bisogna ricordare l’incessante propaganda di guerra che avviene in molteplici forme anche con il semplice coinvolgimento di scolaresche in visite guidate alle basi militari o portandole alle esibizioni dell’aeronautica militare, facendo loro credere che le sole attività svolte sono quelle di natura umanitaria. Il governo lituano ha recentemente annunciato un ambizioso programma di formazione rivolto anche a bambini\e di età tra gli 8 e i 10 anni al fine di insegnare loro a costruire e pilotare droni. Tra l’imbracciare un fucile d’assalto e pilotare un drone verso obiettivi civili e militari esistono differenze sostanziali? Ovviamente no, questi programmi sono destinati a moltiplicarsi nei prossimi mesi nell’ottica di potenziare le capacità di resistenza davanti a eventuali minacce esterne che si dà per scontato arrivino dalla Russia. E a quanti obietteranno sulla militarizzazione delle scuole e il subdolo arruolamento dell’infanzia a fini di guerra è già pronta la replica  ossia che il nemico di turno (la Russia) è già avanti nel coinvolgimento dei giovani nella ideazione e costruzione di droni kamikaze. La notizia non ha una fonte certa, non è detto che sia vera dacchè la propaganda di guerra è avvezza a produrre notizie sensazionali per accompagnare la pubblica opinione ad assumere le posizioni e gli orientamenti desiderati La Lituania sta quindi allestendo sotto il vigile occhio di UE e NATO un grande laboratorio con veicoli aerei senza pilota, un grande piano di addestramento che non distingue tra civili e militari, tutti e tutte devono servire la patria. E da qui l’arrivo di nuovi programmi di studio per diffondere conoscenze tecniche e abituare all’utilizzo della intelligenza artificiale indispensabile per le armi del futuro. Formazione tecnica fin dall’infanzia tra aerodinamica, elettronica di base e lezioni di pilotaggio da remoto, ore di lezioni pratiche e manuali che faranno credere a piccoli studenti di vivere una esperienza esaltante, da protagonisti di un videogioco salvo poi scoprire presto di essere direttamente coinvolti in una guerra sanguinosa. Parliamo delle competenze denominate STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), le materie da insegnare nelle scuole sono oggetto di profonda revisione, fin dalla tenera età dovremo fraternizzare e padroneggiare con la tecnica a fini militari, gli stessi libretti di istruzione dovranno adeguarsi a questo scopo utilizzando immagini accattivanti, linguaggi semplici e coinvolgenti. Da qui a tre anni si pensa di avere un centro di controllo per lanciare droni contro la Russia coinvolgendo direttamente la società civile sotto forma di progetti educativi e scolastici, di utilizzo delle tecnologie che si dimostreranno vitali anche a scopi civili. Centri aperti alla partecipazione di cittadini, scolaresche e militari per partecipare attivamente a simulazioni di missioni reali con ampio ricorso alla tecnologia UAV, questa è la realtà della Lituania che da tempo ha allacciato rapporti con aziende e università capaci di fornire supporto continuo, processi di formazione e percorsi didattici: “Droni autonomi: la corsa alla guerra intelligente e le nuove sfide etiche globali”. Siamo davanti a un modello che presto ritroveremo anche in altri Paesi, un grande processo di militarizzazione della società adducendo la motivazione che il Paese deve difendersi dal nemico russo e per farlo è indispensabile entrare in possesso di tecnologie per l’uso delle quali serve un piano di alfabetizzazione tecnologica di massa e di adeguamento culturale alla ideologia di guerra. La piccola Lituania potrebbe essere il trampolino di lancio per la formazione dei cittadini all’uso della UAV ossia a una feroce militarizzazione della società per questo sono favorite le piccole start up attorno a progetti finanziati da USA, NATO e UE e dai Paesi che svolgono un ruolo dirimente nella produzione di droni (Israele e Turchia). Lituania: corsi di droni anche per bambini per rafforzare la difesa civile | Drone Blog News Droni autonomi: la corsa alla guerra intelligente e le nuove sfide etiche globali | Drone Blog News Investimenti miliardari nei droni AI: Musk, Zuckerberg e altri rilanciano l’hard-tech | Drone Blog News Come i Droni DJI Rafforzano la Sicurezza Pubblica e l’Emergenza | Drone Blog News Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Pisa, 2 agosto 2025: Intervento Osservatorio tavolo sulla guerra alla Festa Nazionale CARC
In pochi minuti non riusciremo a costruire un intervento esaustivo e il rischio di toccare innumerevoli punti in maniera generica ci spinge alla sintesi scritta e forse un po’ schematica del nostro intervento. * Veniamo da un anno di mobilitazioni diffuse contro la guerra? Si e no, veniamo da un anno in cui il tema della guerra è particolarmente gettonato anche per fini elettorali. Non sta a noi esprimere giudizi trancianti, ma è innegabile che siamo arrivati a tanti appuntamenti con anni di ritardo, mentre decine di migliaia di civili morivano sotto i bombardamenti israeliani, vittime di un genocidio sostenuto da una parte dell’occidente che nasconde l’evidenza dei fatti e scambia l’antisionismo con l’antisemitismo. Ci dovremmo chiedere perché settori politici con una storia documentata di antisemitismo oggi difendano invece, a livello mondiale, l’operato del Governo di Israele. La nostra impressione è che sul tema della guerra si giochino innumerevoli equilibri politici e anche in questa festa abbiamo toccato con mano come alcuni schieramenti ampi a livello nazionale finiscano con il predisporre in fieri un cartello elettorale che alla fine svilirà la mobilitazione stessa contro la guerra. Per queste ragioni pensiamo di debba guardare alla realtà in maniera oggettiva e non pensare che esistano coscienze, sensibilità e mobilitazioni, quelle realizzate non sono all’altezza della situazione sempre che si voglia perseguire l’obiettivo della uscita della guerra dall’Italia inclusa la partecipazione attiva al riarmo, alla riconversione dell’industria, il sostegno ad Israele, l’impulso dato dal Governo e dalle parti datoriali allo sviluppo di tecnologie duali. * Il problema non è rappresentato dalle piazze, ma soprattutto dalla reiterata volontà di piegare la mobilitazione ai classici interessi di bottega. Ci verrebbe da chiedere all’area di USB la ragione per la quale separare le piazze a Roma o a Camp Darby, ma poi ritrovarsi d’amore e d’accordo con molti dei soggetti politici dai quali si erano divisi. Il problema non è l’unità ad ogni costo, ma lo diventano i contenuti e le prospettive ed è su queste che urge misurarci evitando di riproporre dinamiche da social forum che dopo il G8 di Genova hanno palesato innumerevoli contraddizioni travisando quello spirito unitario che su alcuni argomenti, come insegna la mobilitazione negli anni ottanta, dovrebbe essere il nostro faro guida * Per noi ci sono alcuni argomenti dirimenti, il primo riguarda la riconversione della ricerca e della produzione da fini civili e militari. Per decenni abbiamo abbandonato il tema e oggi, con i venti militaristi che soffiano impetuosamente, in ogni paese UE alcune aziende dell’indotto meccanico sono già ristrutturate per la produzione militare con l’assenso del sindacato. E quanto è accaduto in questi giorni con la Iveco dovrebbe indurci a considerare il problema come dirimente * Le mobilitazioni sindacali contro la guerra hanno raccolto pochissimi consensi, per mero realismo guardiamoci i dati delle adesioni agli scioperi e una volta tanto riflettiamoci perché la stragrande maggioranza del popolo italiano sarà anche contrario alla guerra ma fa ben poco per contrastarla a parte manifestazioni, lo stesso ragionamento vale per il boicottaggio dei prodotti israeliani e per la cultura di guerra che ritroviamo invece onnipresente nelle scuole di ogni ordine e grado * Ci sono fin troppe realtà che eludono la questione della NATO, anche in settori antagonisti si può essere contrari alla guerra, alla costruzione di nuove basi ma di fatto evitare ogni riferimento all’ampliamento delle basi e infrastrutture militari all’ombra della NATO e degli USA. Il caso Toscano è emblematico e per noi rappresenta non solo una contraddizione ma un limite oggettivo come dimostra alla fine il sostegno di tanti cittadini accordato alle opere di compensazione * Per il giorno 4 novembre l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha avanzato la proposta di sciopero perché questa data non è solo simbolica, ma emblematica della strisciante e perdurante presenza del militarismo nelle scuole, nell’università, di un coacervo di interessi scientifici ed economici a ruotare attorno a guerra, tecnologie duali, alla cultura della prontezza e della resilienza con cui ormai sviluppano quotidiane narrazioni unidirezionali. Il giorno 11 agosto una assemblea aperta con le realtà del sindacalismo di base affronterà il tema della mobilitazione del giorno 4 novembre noi siamo consapevoli che questo anno servirà una mobilitazione diffusa e non solo uno sciopero contro quella che si preannuncia la Finanziaria contro la guerra, abbiamo appreso che ci sarà anche una manifestazione nazionale il giorno 8 novembre promossa al campeggio in Valle. Poi avremo lo sciopero nazionale a cui il sindacalismo di base ha iniziato a lavorare. Ma sia ben chiaro, almeno per noi, che il problema non è rappresentato dalla fuga in avanti di date ma da un percorso, le realtà contro la militarizzazione di porti, aeroporti e ferrovie sono ancora troppo deboli, subiranno anche gli interventi legislativi atti a limitare, se non proprio ad impedire, il diritto di sciopero, hanno già risuscitato l’obbligo di segretezza attorno a tutto ciò che sia identificabile come militare obbligando i lavoratori e le lavoratrici alla riservatezza. Qui entrano in gioco i codici di fedeltà aziendali contro i quali poco è stato fatto nel recente passato. Eppure questi codici dovrebbero aiutarci a capire il loro legame con il pacchetto sicurezza contro il quale intere aree si sono mobilitate a poche settimane dalla approvazione in Parlamento dello stesso. E se la storia qualcosa insegna dovrebbe indurci a non ripetere gli stessi errori e a cercare sui temi reali una convergenza a partire dalla lettura che diamo della realtà con iniziative reali atte ad allargare la mobilitazione contro la guerra e a quella logica del nemico interno ed esterno che accompagna i processi di militarizzazione con un effettivo restringimento degli spazi di libertà, di democrazia e di partecipazione. Ed è con questo auspicio che vi salutiamo. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Audizione in Commissione Parlamentare su scenari futuri in campo militare e ruolo NATO
Alla Commissione Difesa del Senato è stato udito il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Luciano Portolano, Video – Forze armate, audizione del generale Portolano: 39 missioni in atto, cambiare dinamiche di impiego “Strade sicure” L’analisi del Generale non è banale, anzi dovremmo abituarci ad ascoltare e leggere valutazioni di questo genere il cui obiettivo è l’aumento della spesa militare per costruire quel nuovo modello per le Forze Armate italiane reso indispensabile dai nuovi scenari e dal fatto che l’ultima riforma risale a 30 anni fa con la fine dell’esercito di leva e l’arrivo di quello professionale. Tra gli argomenti più gettonati l’aumento dei militari in ogni forza armata, una riserva da cui attingere sul modello israeliano, maggiori investimenti in campo tecnologico e infrastrutturale in sintonia con i piani regionali della NATO e al nuovo Piano Militare di Difesa Nazionale. Le nuove linee guida operative sono da tempo oggetto di discussione, ma seguono in fondo alcune direttive già note che vanno dall’ammodernamento complessivo degli strumenti e delle infrastrutture fino alle tecnologie per rispondere alle minacce ipersoniche, spaziali e cibernetiche, dalla attenzione verso le aree strategiche (ad esempio l’Africa) fino all’utilizzo di tecnologia quantistica e intelligenza artificiale e a tale scopo urge in tempi rapidi uno specifico reclutamento di figure altamente specializzate che operino in ambito duale, civile e militare e ad alto valore scientifico. E se aumenteranno sensibilmente le spese militare servirà prima razionalizzarle sempre nell’ottica di favorire quei fari guida già esplicitati dal Ministero della Difesa ossia prontezza, reattività e capacità decisionale in tempi ridotti. Laddove si parla di valorizzazione del personale le soluzioni potrebbero essere molteplici come un sistema di carriere e livelli retributivi in deroga alle norme che regolano il personale alle dipendenze dello Stato, favorire in questo modo nuove assunzioni, paghe decisamente maggiori, un welfare allargato e magari sconti sugli anni previdenziali per assicurare la massima pensione a un età di gran lunga inferiore ai comuni mortali. E quanto maggiore sarà il richiamo alla sicurezza tanto più agevolato sarà il compito dei Governanti nel giustificare trattamenti di miglior favore alle forze armate creando quel giusto mix tra paura, rassegnazione e una sorta di senso del dovere che spinge da tempo gli italiani a perdere ogni valutazione critica dell’esistente. Sarebbe invece utile riflettere su quante strade potremmo rifare o quanti ospedali riaprire solo con i fondi destinati al “ringiovanimento dei ranghi” e alla “valorizzazione delle competenze” La domanda alla quale non viene risposto è cosa intendiamo fare davanti a un esponenziale aumento delle spese militari, alla sempre maggiore confusione alimentata tra tecnologie duali e civili. Quanto costerà l’ammodernamento, o efficientamento, del sistema militare italiano e quali aziende ne trarranno beneficio? Stiamo parlando di sistemi di ultima generazione e come è arduo discernere ormai tra tecnologie civili e militari è impresa impossibile separare strumenti difensivi da quelli offensivi giusto a ricordare che alcune delle categorie interpretative dei pacifinti sono nel frattempo prive di senso e per questo inutilizzabili. Quando ad esempio si parla di sensori radar e sistemi di allerta, di tecnologie di spionaggio è possibile ipotizzare un uso interno, in chiave repressiva e non solo l’utilizzo a fini militari classici. E in questi scenari la guerra spaziale, il settore cyber acquisteranno ruoli sempre più rilevanti Sorvoliamo sui singoli programmi di ammodernamento, andiamo invece a chiudere sull’aumento dei soldati di professione e la nascita di una riserva attorno a 35.000 unità con funzioni operative, territoriali e specialistiche (e verranno a parlarci di valorizzazione del capitale umano anche per giustificare quei trattamenti diseguali in termini salariali e previdenziali di cui parlavamo precedentemente) Un passaggio a nostro avviso rilevante sarà quello di dotare l’Europa di un comando operativo unificato e credibile, capace di pianificare e condurre operazioni militari complesse al di fuori del quadro NATO: Video – Forze armate, audizione del generale Portolano: 39 missioni in atto, cambiare dinamiche di impiego “Strade sicure” In fondo stiamo facendo solo i conti con quanto prevedeva la Bussola Strategica Europea, quel documento strategico stupidamente ignorato dai pacifinti nostrani anche se anticipava molte delle decisioni oggi al centro dell’attenzione mediatica. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università