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Audizione in Commissione Parlamentare su scenari futuri in campo militare e ruolo NATO
Alla Commissione Difesa del Senato è stato udito il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Luciano Portolano, Video – Forze armate, audizione del generale Portolano: 39 missioni in atto, cambiare dinamiche di impiego “Strade sicure” L’analisi del Generale non è banale, anzi dovremmo abituarci ad ascoltare e leggere valutazioni di questo genere il cui obiettivo è l’aumento della spesa militare per costruire quel nuovo modello per le Forze Armate italiane reso indispensabile dai nuovi scenari e dal fatto che l’ultima riforma risale a 30 anni fa con la fine dell’esercito di leva e l’arrivo di quello professionale. Tra gli argomenti più gettonati l’aumento dei militari in ogni forza armata, una riserva da cui attingere sul modello israeliano, maggiori investimenti in campo tecnologico e infrastrutturale in sintonia con i piani regionali della NATO e al nuovo Piano Militare di Difesa Nazionale. Le nuove linee guida operative sono da tempo oggetto di discussione, ma seguono in fondo alcune direttive già note che vanno dall’ammodernamento complessivo degli strumenti e delle infrastrutture fino alle tecnologie per rispondere alle minacce ipersoniche, spaziali e cibernetiche, dalla attenzione verso le aree strategiche (ad esempio l’Africa) fino all’utilizzo di tecnologia quantistica e intelligenza artificiale e a tale scopo urge in tempi rapidi uno specifico reclutamento di figure altamente specializzate che operino in ambito duale, civile e militare e ad alto valore scientifico. E se aumenteranno sensibilmente le spese militare servirà prima razionalizzarle sempre nell’ottica di favorire quei fari guida già esplicitati dal Ministero della Difesa ossia prontezza, reattività e capacità decisionale in tempi ridotti. Laddove si parla di valorizzazione del personale le soluzioni potrebbero essere molteplici come un sistema di carriere e livelli retributivi in deroga alle norme che regolano il personale alle dipendenze dello Stato, favorire in questo modo nuove assunzioni, paghe decisamente maggiori, un welfare allargato e magari sconti sugli anni previdenziali per assicurare la massima pensione a un età di gran lunga inferiore ai comuni mortali. E quanto maggiore sarà il richiamo alla sicurezza tanto più agevolato sarà il compito dei Governanti nel giustificare trattamenti di miglior favore alle forze armate creando quel giusto mix tra paura, rassegnazione e una sorta di senso del dovere che spinge da tempo gli italiani a perdere ogni valutazione critica dell’esistente. Sarebbe invece utile riflettere su quante strade potremmo rifare o quanti ospedali riaprire solo con i fondi destinati al “ringiovanimento dei ranghi” e alla “valorizzazione delle competenze” La domanda alla quale non viene risposto è cosa intendiamo fare davanti a un esponenziale aumento delle spese militari, alla sempre maggiore confusione alimentata tra tecnologie duali e civili. Quanto costerà l’ammodernamento, o efficientamento, del sistema militare italiano e quali aziende ne trarranno beneficio? Stiamo parlando di sistemi di ultima generazione e come è arduo discernere ormai tra tecnologie civili e militari è impresa impossibile separare strumenti difensivi da quelli offensivi giusto a ricordare che alcune delle categorie interpretative dei pacifinti sono nel frattempo prive di senso e per questo inutilizzabili. Quando ad esempio si parla di sensori radar e sistemi di allerta, di tecnologie di spionaggio è possibile ipotizzare un uso interno, in chiave repressiva e non solo l’utilizzo a fini militari classici. E in questi scenari la guerra spaziale, il settore cyber acquisteranno ruoli sempre più rilevanti Sorvoliamo sui singoli programmi di ammodernamento, andiamo invece a chiudere sull’aumento dei soldati di professione e la nascita di una riserva attorno a 35.000 unità con funzioni operative, territoriali e specialistiche (e verranno a parlarci di valorizzazione del capitale umano anche per giustificare quei trattamenti diseguali in termini salariali e previdenziali di cui parlavamo precedentemente) Un passaggio a nostro avviso rilevante sarà quello di dotare l’Europa di un comando operativo unificato e credibile, capace di pianificare e condurre operazioni militari complesse al di fuori del quadro NATO: Video – Forze armate, audizione del generale Portolano: 39 missioni in atto, cambiare dinamiche di impiego “Strade sicure” In fondo stiamo facendo solo i conti con quanto prevedeva la Bussola Strategica Europea, quel documento strategico stupidamente ignorato dai pacifinti nostrani anche se anticipava molte delle decisioni oggi al centro dell’attenzione mediatica. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Nessuna partecipazione a progetti di riarmo e militarizzazione: basi NATO e USA avamposti di guerra
Ci stiamo trasformando in una economia di guerra? Stando a un report commissionato da Banca Etica siamo dinanzi a un giro di affari colossale e in continua crescita, parliamo di oltre 959 miliardi di dollari provenienti dalle istituzioni finanziarie a supporto della produzione e del commercio di armi. E i luoghi di lavoro sono soggetti a feroci militarizzazioni, scioperare contro il trasporto di armi via ferrovia o attraverso porti e aeroporti sta diventando sempre più difficile per gli interventi della Commissione di garanzia e perché in nome della difesa nazionale ed internazionale si intende tappare la bocca ai lavoratori e alle lavoratrici che non vogliono rendersi complici della guerra e del riarmo. La Finanziarizzazione della guerra alimenta i conflitti perché i processi speculativi in campo economico e finanziario sono parti dirimenti di questo processo che vede non solo la riconversione di produzioni civili in militari, magari con l’assenso del sindacato che a tutela dell’occupazione ha avallato la produzione di nocività e il sostegno al riarmo, ma anche un giro di affari inimmaginabile.  Mediobanca parla di un rendimento azionario delle aziende della difesa attorno a +72,2% tra il 2022 e il 2024, investire in titoli azionari di imprese produttrici di armi significa accumulare utili superiori del 350 per cento di normali linee di investimenti E i processi di riconversione riguardano in Germania l’indotto metalmeccanico da anni in crisi, il sindacato ha prima favorito esodi volontari poi rinunciato a chiedere l’adeguamento dei salari al costo della vita e infine in silenzio lascia che la crisi dell’indotto venga risolta assoldando piccole e medie aziende nella produzione di armi. Il sindacato diventa complice del riarmo * Non opponendosi alla guerra attraverso campagne, scioperi e mobilitazioni * Scambiando aumenti contrattuali irrisori con istituti contrattuali divisivi * Favorendo la speculazione finanziaria attorno a titoli di imprese belliche (e i fondi pensioni del nord Europa non lesinano acquisizione di azioni destinate a grandi utili) * Non opponendosi alle spese militari al 5% del Pil deciso nell’ultimo summit Nato. Per trovare questi soldi taglieranno il welfare, i fondi destinati al sociale * Facendo credere che sottostare al riarmo e all’economia di guerra saranno salvati i posti di lavoro come quando accettavano produzioni nocive con lo spettro dei licenziamenti Si dimentica invece che * Il settore della produzione di armi non è ad alta intensità di manodopera. * L’aumento esponenziale della produzione di sistemi di arma non ha generato l’occupazione auspicata anche dai sindacati * Gli effetti della riconversione economica sono tutti da dimostrare, ad esempio qualcuno si è chiesto quali sarebbero gli effetti sul settore dell’auto se ripensato in chiave ecologica? * I processi di militarizzazione partono dalle scuole di ogni ordine e grado, dalla sistematica e incessante presenza di militari in molteplici vesti, di accordi tra Istituti e Ministeri. Ma i cittadini percepiscono la gravità della situazione? Ne dubitiamo fortemente anche alla luce di un articolo pubblicato dal giornalista G. Salvini sul Fatto Quotidiano: Il governo ci prova: contratti per le armi più rapidi e segreti Emendamento della Difesa: bombe, missili e aerei non avranno controlli preventivi Il governo non ha mai nascosto i propri obiettivi sempre che si voglia guardare alla realtà con attenzione e non per mero spirito polemico, del resto la storia recente delle nuove basi militari sul territorio italiano insegna che molte delle procedure seguite sono solo in minima parte rintracciabili sui siti e sui documenti ufficiali. Non è a ora che segretezza e riservatezza attorno al militare determinano la forte contrazione delle informazioni su innumerevoli passaggi, anzi gli emendamenti della Difesa, stando a numerose anticipazioni a mezzo stampa, parlano esplicitamente della fine di ogni controllo preventivo. Procedure semplificate, segretezza dei contratti e appalti militari in deroga alla normativa sugli appalti pubblici sono solo l’atto finale di un lungo percorso che arriva all’emendamento del Ministero della Difesa di cui la edizione domenicale del Fatto Quotidiano riporta ampia notizia prima ancora che sia depositato alla Camera. In attesa allora di conoscere il testo dell’emendamento e dando per buono quanto riportato dal quotidiano non ci resta che guardare ai documenti ufficiali ossia alle spese militari in aumento incluse quelle afferenti a capitoli di bilancio di altri Ministeri (quando parliamo di tecnologie duali a rendere ardua la distinzione tra produzione civile e militare pensiamo anche alla difficoltà di quantificare la spesa militare complessiva suddivisa e parcellizzata su differenti capitoli di bilancio ormai da lustri… Le spese per la difesa nel bilancio dello Stato 2025-2027) Le procedure cambiano, anche in deroga alle norme vigenti, quando le esigenze della politica lo impongono e l’ultima accelerata per accrescere le spese militari, rappresenta una motivazione più che sufficiente a stabilire una sorta di “corsia preferenziale” per i contratti di materiale bellico e militare, vuoi per accelerare l’iter vuoi per evitare troppi passaggi e controlli che aumenterebbero i tempi di realizzazione. E anche in questo caso basta menzionare la norma della tutela primaria della sicurezza nazionale ed internazionale che poi ritroviamo utilizzata da tutti i governi succedutisi negli ultimi anni.  Appena tocchiamo la sfera militare ogni pretesa di trasparenza viene sacrificata sull’altare della sicurezza e dubitiamo fortemente che il Presidente della Repubblica voglia intervenire tempestivamente per invocare il controllo preventivo della Magistratura contabile, sarebbe una autentica sfida agli interessi primari che ruotano attorno alla sfera della sicurezza e del militare. Anche senza parlare di democrazia, trasparenza, correttezza, bisogna prendere atto che da anni non esiste reale sovranità e opportunità per il cittadino consapevole che voglia acquisire informazioni, anzi quell’insieme di procedure pensate un tempo come garanzia del controllo pubblico e della oculatezza di spesa possono anche essere sacrificate sull’altare del 5% del Pil per le spese militari Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Crosetto a Padova tace su ruolo basi USA e NATO in Italia negli imminenti scenari di guerra
Intervenuto in un convegno nell’Ateneo di Padova, il Ministro Guido Crosetto ha scelto la lectio magistralis sulla sicurezza per comunicare l’operato del Governo e rassicurare il mondo accademico sulla bontà delle politiche fino ad oggi intraprese.   Nulla di nuovo all’orizzonte, dichiarazioni quindi non nuove rispetto ad altri interventi pubblici in occasione di convegni e iniziative, questa volta tuttavia la puntualizzazione sulla nozione di sicurezza e sulla necessità della coesione sociale e della fiducia nelle istituzioni meritano attenzione. Il rapporto del Centro Studi Confindustria di giugno 2025 (I dazi colpiscono fiducia ed export. L’ennesima guerra rincara l’energia, peggiorando le attese | Confindustria) mostra un Paese alle prese, come del resto l’intero vecchio continente, con una economia debole e una crescita irrisoria, incertezza dominata dal ricorso strutturale alla guerra che genera rincaro dei prezzi energetici e costi in aumento per aziende e famiglie. E aggiungiamo le politiche monetarie degli Usa che si ripercuotono negativamente soprattutto sull’euro zona. Citiamo l’incipit del rapporto redatto in queste ultime ore giusto a ricordare che la vulgata ufficiale del Governo, improntata a sarcasmo contro ogni lettura critica, è ben diversa dalle note redatte dai centri economici che contano: «Un altro shock. Lo scenario, già complesso, è aggravato dall’aumento del prezzo del petrolio a causa del conflitto Israele-Iran. L’industria italiana ha tenuto a inizio 2° trimestre e gli indicatori sono migliorati per i servizi. Ma i dazi sull’export e l’incertezza stanno deteriorando la fiducia, brutto segnale per i consumi e gli investimenti. Positivo, invece, è il proseguire del taglio dei tassi nell’Eurozona». Crosetto, o chi per lui, conosce i dati economici e sa come l’indice di fiducia stia scendendo mese dopo mese, sfiducia dei cittadini verso le istituzioni, dei consumatori verso l’economia, dei lavoratori riguardo le imprese. E poi le continue giravolte di Trump in materia di dazi non sono di aiuto per le economie europee alle prese con ascensori sociali fermi e un malessere sociale diffuso che cova sotto la cenere. E il Ministro sa bene che un aumento delle spese militari avrà impatti anche sul welfare, per questo il suo discorso è rivolto alla coesione sociale, alla capacità di adattamento ai nuovi scenari geo politici della NATO, al principio di mutua difesa che fa presagire il sostegno italiano a un eventuale intervento USA nella guerra contro l’Iran. Ma per amor del vero le dichiarazioni di Crosetto non parlano di guerra né di partecipazione italica, si evitano come al solito gli argomenti scomodi, ad esempio il ruolo delle basi USA e NATO sul nostro territorio, ma fuori da ogni giurisdizione nazionale. E quelle basi sono avamposti di guerra, potenziate, collegate alle infrastrutture negli ultimi anni proprio per rendere efficace e tempestivo l’apporto della logistica di guerra ai conflitti. Cosa significherà poi parlare con il sud del mondo? Depredare quei paesi delle risorse del sottosuolo e intervenire militarmente quando decideranno di non sottostare ai ricatti occidentali? Merita di essere letta la nota dell’ufficio stampa sul sito ministeriale: «Siamo passati da un mondo in cui contavano i valori a un mondo in cui conta il valore economico. Siamo passati dall’epoca delle grandi democrazie, delle conquiste sociali, all’epoca delle grandi potenze e non ce ne siamo accorti. In questo cambiamento noi abbiamo un dovere: che è quello di presidiare le conquiste di migliaia di anni che ci hanno portato a codificare un diritto internazionale. Oggi il potere si misura con nuovi strumenti: chi guida la tecnologia guida il mondo. La sicurezza passa dal controllo delle risorse strategiche, dalle catene di approvvigionamento. Siamo nel cuore di una rivoluzione: il Digital Order, che sta riscrivendo gli equilibri globali, i modelli di sviluppo, perfino la nostra idea di sovranità. L’Europa non può permettersi di restare alla finestra. Servono visione, volontà e investimenti concreti in ricerca e innovazione. Le minacce oggi hanno nuove forme. L’intelligenza artificiale e il quantum computing sono sempre più strumenti di potere. Proprio per questo servono menti preparate, risorse e visione. Preservare il nostro patrimonio di idee, conoscenza, cultura, valori, identità è oggi – più che mai – una missione di sicurezza nazionale». Il Ministro della Difesa all’Università di Padova per convegno “La ricerca di nuove sicurezze: La difesa nazionale e la pace, fra incertezze UE ed egemonia USA” Parole scisse dalla realtà, il diritto internazionale è ridotto a carta straccia, ogni decisione ONU sul genocidio palestinese fermata dal veto USA, le grandi democrazie elogiate hanno fatto ricorso strutturale a guerra e colonialismo, le conquiste sbandierate sono spesso i furti ai danni dei popoli oppressi. E ancora una volta sullo sfondo delle dichiarazioni Ufficiali la Bussola europea, il controllo delle risorse strategiche per il quale bisogna essere pronti a scatenare una guerra presentandola come difesa degli interessi occidentali e della cosiddetta sicurezza nazionale. E per sicurezza si intende implicitamente anche quell’insieme di norme securitarie e repressive che ha preso corpo con il pacchetto sicurezza, all’indomani dello sciopero dei metalmeccanici e alcuni blocchi stradali sono annunciate denunce e inchieste avvalendosi delle aggravanti del Codice penale previste per questa tipologia di reati. Una nozione di sicurezza a tutto tondo con cui presto ciascuno di noi farà i conti. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
La guerra ottenebra le menti. Perché non si scende in piazza contro l’aggressione di Israele all’Iran?
Si può essere guerrafondai in Europa e pacifisti in Italia o, se volessimo porre la questione in altri termini, è possibile assumere decisioni diametralmente opposte nell’arco di poco tempo? Stando alla realtà diremmo di si, il Partito democratico al Parlamento europeo ha votato a favore dell’utilizzo dei fondi PNRR per il riarmo a pochi giorni dalla manifestazione nazionale a Roma a cui ha partecipato tutto il partito. E il voto a Bruxelles unisce il PD a Fratelli d’Italia e Forza Italia ossia i partiti dei ministri Crosetto e Tajani che in queste settimane, specie il secondo, hanno assunto posizioni inconciliabili anche con il pacifismo più annacquato. E intanto una sorta di catena difensiva viene eretta anche da esponenti della sinistra PD che diserteranno le piazze di sabato 21 giugno perché non unitarie. Se non fossimo alla tragedia potremmo parlare di continui paradossi costruiti ad arte per nascondere la realtà di un partito che fin quando si tratta di parlare del gay pride assume posizioni chiare, ma su ogni altra questione fa solo cabaret e per altro di pessimo gusto. Il PD nel Parlamento europeo ha quindi votato a favore del Rapporto Muresan-Negrescu, che non si limita a chiedere la proroga dei tempi per utilizzare in sede nazionale i fondi Pnrr, ma apre all’utilizzo dei fondi del Recovery per la Difesa. La risoluzione non è legislativa, tuttavia assume una valenza politica rilevante, sulla guerra le posizioni del centro sinistra sono più moderate di quelle dei Patrioti. Non staremo a parlare delle due piazze romane e della gara intrapresa dagli organizzatori, non tanto per unificarle, (viste le macroscopiche differenze tra le due piattaforme) quanto piuttosto per rivendicare la bontà del proprio percorso che arriva fuori tempo massimo e gestito con i soliti crismi politicisti. Sono utili oggi le manifestazioni del popolo di sinistra o anche questa forma spettacolare serve a nascondere l’isolamento sociale delle istanze contro la guerra? Ben vengano le manifestazioni, ma per mesi si è detto che i cortei per la Palestina non erano attrattivi perché ultra-minoritari, le piazze odierne forse rappresentano un salto di qualità organizzativo e politico o sono semmai frutto dei soliti equilibrismi da ceto politico? Sfugge all’umana comprensione come sia possibile tergiversare davanti all’economia di guerra e al Riarmo e non ci risulta che ad oggi siano scesi in piazza i vari movimenti contro l’attacco israeliano all’Iran. Insomma, se la confusione regna sovrana è anche il risultato delle enormi contraddizioni alimentatesi da anni attorno ai movimenti contro la guerra, anche quelli che si presentano nella veste radicale e intransigente. È del tutto inutile ricordare che il modello iraniano non possa godere delle nostre simpatie che in anni lontani andarono ai Fedayn del popolo che all’indomani della Rivoluzione del 1979 furono brutalmente repressi; tuttavia, se fosse questa la risposta esatta non si capirebbe il grande giro di affari esistente tra UE e monarchie del Golfo che sui diritti civili e umani non sono certo un modello da seguire. E in tempi nei quali per non parlare di NATO, Riarmo, economia di guerra si rivendica in certi movimenti una visione transfemminista sulla guerra, dobbiamo solo attenderci la debacle o la morte delle realtà contro la guerra per auto dissoluzione o mera demenza politica. Troppi equilibrismi, troppe parole e pochi fatti ad occultare una realtà per altro non complessa, anzi decisamente banale se pensiamo che il PD, a marzo, si astenne sul piano di riarmo UE, ma metà dei suoi eurodeputati votarono a favore e quindi oggi, per evitare una ulteriore spaccatura, hanno scelto di votare a favore della proroga di 18 mesi del Pnrr evitando di parlare dell’utilizzo di questi fondi per la guerra. Insomma, i soliti equilibrismi da ceto politico ricorrendo ai soliti argomenti, ad esempio, l’ennesima polemica salottiera con la Meloni. In seno al centro sinistra è in atto una discussione su un punto focale: il riarmo va bene se a deciderlo è la UE, se si afferma un nuovo modello di difesa comune per la sua sicurezza con risorse aggiuntive e debito comune. Questa è una posizione guerrafondaia e in sostanza sancisce la mera subalternità del PD ai capitali economici e finanziari comunitari laddove invece il centro destra, supportato da ex uomini del centrosinistra oggi a capo di importanti aziende e multinazionali, mette avanti a tutto l’interesse del capitale nazionale. Ma non doveva essere il centrosinistra a difendere la sovranità nazionale dalle ingerenze politiche ed economiche dei poteri forti? E la difesa della sovranità delle proprie multinazionali sarà forse di aiuto alle ragioni della pace? Continuiamo intanto a commuoverci davanti ai santini di Prodi e Draghi, siamo certi che saranno di enorme aiuto per riconquistare credibilità ed egemonia nella società reale (per chi non l’avesse colto il nostro è amaro sarcasmo). Per riprendere Mao, la confusione sotto il cielo è grande, ma la situazione a dir poco ingarbugliata e alla fine vince il partito unico e trasversale dell’Europa militarizzata con il Parlamento a votare per l’utilizzo dei fondi comunitari per incrementare le spese militari. Il neo-interventismo della sinistra italiana è folle e pur con mille distinzioni e in contesti storici differenti ricorda l’interventismo dei socialisti  nella Prima guerra mondiale dalla quale scaturì l’avvento del fascismo. Chiudiamo su due aspetti non banali iniziando dall’eventuale coinvolgimento dell’Italia nella guerra di Israele. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ricorda che prima di un eventuale utilizzo delle basi italiane deve essere avanzata apposita e formale richiesta al Governo, ma anche in tale caso siamo certi che prevarrebbe il classico servilismo italico. E poi, sempre a ricordare il ruolo della NATO, c’è quell’articolo 5 del Trattato del 1949: «Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse (…) sarà considerato come un attacco contro tutte le parti, e che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse (…) assisterà la parte o le parti attaccate». Insomma, basta costruire a tavolino uno pseudo attacco dell’Iran ad un paese NATO per ritrovarsi direttamente coinvolti nel conflitto fermo restando che intanto il sostegno logistico italiano potrebbe arrivare lo stesso come sovente è accaduto nel corso della storia. E qui arriviamo al secondo punto ossia al grande rimosso nel panorama politico italiano rappresentato dalla NATO e dalle basi USA e dell’Alleanza Atlantica nel nostro paese. Questi avamposti giocano da sempre un ruolo dirimente nelle guerre e il movimento contro la guerra in Italia, almeno in molte delle sue componenti, ha ignorato il problema La giurisdizione nelle basi NATO potrà anche essere controversa, ma il nostro Paese non possiede alcuna sovranità su questi avamposti da cui possono partire droni, aerei e rifornimenti per la guerra anche se per un formale decollo di qualche aereo servirebbe l’assenso formale del nostro paese. Ma la guerra può essere condotta in molteplici forme e forse l’interessamento dei costituzionalisti arriva fuori tempo massimo, hanno avuto decenni per dimostrare che l’adesione alla Nato stride con alcuni principi della Carta, farlo ora sarebbe pur sempre utile ma non sufficiente a rimettere in gioco il ruolo della Alleanza Atlantica negli scenari bellici mondiali. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Il modello militare israeliano fa scuola. E se la UE finanziasse la macchina da guerra israeliana?
Il Fondo europeo per la difesa è attivo fino al 2027, si avvale di un Regolamento e di svariati documenti, soffermiamoci un attimo sugli obiettivi. Il fondo dovrebbe sostenere gli sforzi di collaborazione e la cooperazione transfrontaliera tra enti pubblici e privati dell’Unione, quali aziende (comprese le piccole e medie imprese), università e organizzazioni di ricerca e tecnologia. Il regolamento ha due obiettivi specifici: * il sostegno alla ricerca collaborativa, che porterebbe all’ottimizzazione dell’innovazione e all’introduzione di nuovi prodotti e tecnologie militari, comprese tecnologie rivoluzionarie per il settore della difesa, avvalendosi dell’impiego più efficiente delle spese per le attività di ricerca connesse alla difesa nell’Unione; * il sostegno allo sviluppo collaborativo di prodotti e tecnologie militari, favorendo così la maggiore efficienza delle spese connesse alla difesa nell’Unione, conducendo in definitiva a un incremento della standardizzazione dei sistemi di difesa e, quindi, a un’interoperabilità superiore. Fondo europeo per la difesa (2021-2027) | EUR-Lex Ricordiamo quale sia l’oggetto della discussione odierna: favorire una spesa efficiente in campo militare, uniformare i sistemi di difesa in dotazione nei vari paesi UE, sviluppare una attiva cooperazione tra pubblico e privato, tra grandi e piccole aziende, multinazionali e start up nella ricerca prima e nella successiva realizzazione dei sistemi di arma, per dare vita a un grande bacino industrial militare. Dai documenti ufficiali si evince che questo progetto era antecedente alla guerra in Ucraina, a questo punto saremmo equiparati a dei terrapiattisti se asserissimo che il progetto di riarmo era già previsto e necessitava, al sonnolento occhio della opinione pubblica, di una causa apparente o scatenante per occultare la realtà militarista della NATO? Tra il 2021 e il 2027 la UE pensava di favorire il mercato interno dando impulso alle piccole e medie imprese particolarmente specializzate e tecnologizzate, da utilizzare in più settori e con ruoli duali ossia civili e militari. Una impresa di piccole dimensioni arriva a 50 dipendenti con un fatturato inferiore a 10 milioni di euro, una microimpresa raggiunge massimo 10 dipendenti, una di medie dimensioni presenta un fatturato massimo di 50 milioni di euro, per un bilancio di 43, e occupa fino a 250 dipendenti, queste sono le definizioni rese dalla Commissione europea: Piccole e medie imprese – EUR-Lex. E a scanso di equivoci, giusto a ricordare la scomoda realtà, il piano di azione europeo della difesa risale all’anno 2016: EUR-Lex – 52016DC0950 – EN – EUR-Lex. Alla luce di queste considerazioni e dei documenti ufficiali, la lettura dei quali sembra essere ostica anche per i settori pacifisti e di movimento, non desti sorpresa la nascita di alcune piccole aziende di armi sul continente europeo come la greca Intracom Defense ( DIFESA INTRACOM – IDE) azienda da due anni controllata al 95% dalla israeliana IAI (IAI) che ritroviamo particolarmente attiva a Gaza. L’esempio è calzante, questa azienda partecipa a tanti progetti del Fondo europeo per la Difesa (EDF), ma è di proprietà israeliana e i vantaggi che ne ricava, anche sotto forma di relazioni (e conoscenze) industriali e commerciali, vanno a beneficio di un Governo genocida. E se avessimo la pazienza di analizzare una per una le aziende che partecipano ai Programmi europei per la difesa capiremmo che la UE probabilmente non si limita a memorandum tra singoli paesi e Israele ma sviluppa un sistema di relazioni industriali e militari ben più complesse. L’accusa di giornali e realtà pacifiste è che l’azienda con sede in Grecia alla fine permetta ad Israele di partecipare al riarmo Europeo acquisendo poi conoscenze che andrà a sviluppare a beneficio del proprio apparato tecnologico ed industriale, hanno parlato poi dei droni realizzati dalla Intracom che potrebbero essere presto utilizzati contro la inerme popolazione civile palestinese. E non casualmente il Memorandum Italia Israele è stato via via reiterato negli anni da qualunque governo in carica per cui sulle ragioni etiche e morali, sui principi di giustizia e civiltà sono proprio gli interessi economici e militari ad avere sempre la meglio Leggiamo su «Il Fatto Quotidiano» Commissione Ue: “Non finanziamo piani d’Israele contro Gaza” la smentita della Ue all’accusa di collaborare con Israele e in un articolo pubblicato nella versione cartacea cartaceo il giorno 11 Giugno si aggiungono alcuni particolari: «A niente sono servite le richieste di accesso agli atti: le garanzie sono segrete e non vengono divulgate. “Intracom Defense è stata ritenuta idonea a partecipare ai progetti EDF – ha spiegato un portavoce dell’esecutivo europeo –, tali progetti sono stati selezionati solo dopo valutazioni tecniche e giuridiche approfondite”». Abbiamo analizzato tre di questi, tutti partiti a fine 2024, quando la situazione a Gaza era già catastrofica e si contavano più di 40 mila morti. I primi due, Triton e Marte, mirano a sviluppare, rispettivamente, una tecnologia di sicurezza informatica basata sull’intelligenza artificiale e un carro armato. Quest’ultimo, Marte, acronimo di Main Armoured Tank of Europe, coinvolge le italiane Leonardo e Iveco, che non hanno risposto alle nostre domande sull’opportunità d’interrompere il progetto. Leonardo non ha risposto neanche su un’eventuale sospensione delle sue attività in Israele dove, dal 2022, tramite la sua consociata americana Drs, possiede la Rada Technologies, specializzata in radar tattici militari, e che da giugno 2023 ha firmato un contratto con il ministero della Difesa israeliano per la fornitura di sistemi radar tattici per veicoli. Siamo davanti a una situazione assai complessa e ingarbugliata, proviamo a districare la matassa in alcuni punti * Una azienda comunitaria viene acquistata dagli Israeliani * Questa azienda è a capo di un progetto europeo in campo bellico con milioni di euro di finanziamento pubblico * Alcuni paesi comunitari vogliono sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele ma fino ad oggi erano silenti pur sapendo che stavano indirettamente finanziando il sistema bellico di Israele e, sempre indirettamente, i fondi comunitari e dei singoli Stati andavano a rafforzare la macchina da guerra israeliana Quelle che abbiamo giudicato amnesie ed equilibrismi nella mancata presa di posizione Ue contro Israele erano in realtà ben altro, interessi economici e militari, si può essere complici di un Genocidio in tanti modi, mandando ogni giorno in tv e in radio giornalisti capziosi e disinformati che diventano i megafoni del sionismo o prendendo tempo mentre i piani di riarmo vanno avanti palesando relazioni e collegamenti ignoti all’opinione pubblica. E i rapporti tra UE e Israele sono molto probabilmente più intrecciati e ricchi di quanto si voglia far credere. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Europa di guerra: prossimo summit NATO deciderà aumento spese militari al 5% del PIL?
«Immaginare nuovi paradigmi d’azione. Il mondo in cui ci troviamo a operare è segnato da un conflitto sempre più marcato tra democrazia e autarchia, dove i regimi autoritari sembrano guadagnare efficienza, mentre le democrazie si confrontano con la necessità di mantenere l’efficienza decisionale senza compromettere i principi democratici. L’evoluzione della società richiede che la Difesa non solo si adatti ai cambiamenti, ma che diventi un agente di trasformazione, migliorando continuamente le proprie strutture, la formazione e le capacità decisionali. Questo implica una valorizzazione delle diversità, una promozione della meritocrazia e un adattamento a tempi in cui la rapidità di azione e la capacità di visione globale sono essenziali. Una Difesa italiana rinnovata, più agile ed efficace. In effetti la Difesa italiana ha avviato un processo di trasformazione profonda per garantire uno Strumento moderno, sempre più interforze, capace di rispondere alle sfide globali in modo credibile e sinergico. Questo rinnovamento, che si fonda su un equilibrio tra la quantità e la qualità delle risorse militari, richiede uno sviluppo continuo delle capacità esistenti, il quale a sua volta necessita di investimenti sostenibili nel lungo periodo, in un contesto di stabilità e certezza finanziaria». Programma di Comunicazione MD 2025 Non importa come trovino i soldi, è di vitale importanza che li abbiano a disposizione anche a costo di poderosi tagli al sociale. Non sono queste le dichiarazioni virgolettate del Segretario generale NATO Mark Rutte, ma il suo messaggio, in vista del Summit NATOdel 24 e 25 giugno in Olanda, è fin troppo esplicito: entro 5 anni la UE potrebbe essere attaccata dalla Russia e per questo la spesa militare dovrà essere velocemente accresciuta fino al 5% del PIL suddiviso tra investimenti militari (3,5%) e sicurezza (1,5%). Spingere l’asticella in alto non significa ottenere queste percentuali, del resto già nel 2014 parlavano del 2 per cento del PIL per la spesa militare; tuttavia, le continue pressioni accelerano la tendenza al riarmo e alla guerra e spingono ogni paese ad aumentare la capacità di spesa e di investimento nel settore militare. Poi i paesi si accorderanno su come spendere queste risorse economiche intanto è preferibile liberare il campo da un equivoco: gli USA non vogliono aspettare troppo tempo prima che la UE e gli altri paesi aderenti alla NATO aumentino le spese militari investendo risorse nel cyberwarfare, nelle infrastrutture, per accrescere gli organici delle forze armate inclusi dei riservisti sul modello israeliano. Fin qui nulla di nuovo, siamo davanti a scenari già visti, gli USA vogliono spendere meno per la NATO e investire, sempre in ambito militare, nell’area Indo Pacifica in funzione anticinese, per farlo hanno bisogno che la spesa militare sia comunque non inferiore al 3% del PIL e nell’arco di pochi anni arrivi al 5%. Qualche segnale preoccupante per l’immediato futuro arriva dalla definizione della NATO come “un’alleanza più forte, più equa e più letale”. Il summit di fine giugno potrebbe essere l’occasione propizia per costruire una nuova Alleanza Atlantica, nel frattempo prosegue la più grande mobilitazione economica e militare dalla guerra fredda ad oggi. E il Riarmo viene banalizzato non collegandolo ai cambiamenti dell’economia, ai nuovi processi speculativi in campo finanziario, ai cambiamenti che interverranno nei bilanci di spesa nazionali e comunitari. Una lettura parziale e fin troppo angusta che impedisce di cogliere tutti i processi economici, sociali, finanziari, fiscali che comporterà l’aumento della spesa militare. Nel Regno Unito il governo laburista si impegna a portare il prossimo anno la spesa al 2,5%, hanno da poco presentato il loro Libro Bianco della difesa ribattezzato Strategic Defence Review, che stanzia 15 miliardi di sterline per testate tattiche nucleari, 1,5 miliardi di sterline per sei nuove fabbriche di munizioni, 6 miliardi di sterline destinate a missili a lungo raggio, 1 miliardo per la guerra Cibernetica. In Italia siamo lontani dal 5%, vetta irraggiungibile a detta del Governo, ragione per cui arrivare in un triennio al 2,5% del Pil per spesa militare sarebbe un risultato apprezzabile con l’aggiunta al budget attuale di 23 miliardi di euro e l’approvazione dell’Ue della norma che scorporerà le spese militari dal Patto di Stabilità. L’Italia lavora per rivedere le norme fiscali Ue, il timore del Governo Meloni è legato al giudizio di Bruxelles che vigila sui nostri conti; quindi, le preoccupazioni riguardano gli accordi con la Unione Europea e non la sostenibilità sociale della spesa militare in aumento. Per chi invoca il 5% ricordiamo che passeremmo da 32 miliardi a oltre 100 e si tratta di una spesa che un paese come il nostro potrebbe sostenere solo con decine di migliaia di licenziamenti nella PA, distruzione del welfare, chiusure di ospedali e scuole e una devastazione sociale politicamente insostenibile. Chiudiamo con la Germania, l’obiettivo del 5% entro fine mandato significa 215 miliardi di euro l’anno e il Parlamento tedesco intanto ha esentato dal rispetto delle regole di bilancio ogni spesa riconducibile al militare iniziando la riconversione a fini di guerra di piccoli settori della sua economia (indotto meccanico) I venti di guerra soffiano anche sul territorio iberico e il Governo ha già annunciato di arrivare al 2% del PIL entro il 2029, il massimo della spesa sostenibile dalla Spagna. Ben altre invece sono le dichiarazioni francesi, il presidente Macron da sempre è alfiere della spesa militare ma la crisi economica è tale da indurre a maggiore prudenza per cui il piano di riarmo è diluito nel prossimo decennio con una spesa annuale di 100 miliardi entro 2030. Abbiamo aperto l’articolo citando un documento ufficiale della Difesa italiana sulle strategie comunicative da seguire, sarà il caso di riservare grande attenzione a questo aspetto da cui passeranno anche le banali e semplici giustificazioni per accrescere la spesa militare con argomentazioni di vario genere prima tra tutte l’idea che ogni euro alla difesa sia un investimento per la nostra sicurezza. E proprio sulla nozione di sicurezza si gioca una opera di costante martellamento mediatico per arrivare all’obiettivo finale: militarizzare la società e ogni suo ambito e costruire le condizioni migliori per rendere ineluttabile il ricorso alla guerra. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Militarizzazione della società come risposta alla tenuta di un sistema autoritario e refrattario al dissenso
È trascorso oltre un anno da quando leggevamo alcune interviste, pubblicate da quotidiani nazionali come Il Messaggero e Il Foglio, al ministro Giuseppe Valditara sulla sicurezza nelle scuole, un tema gradito alle destre sociali e politiche per le quali la risposta resta sempre quella di intensificare la presenza sistematica delle forze dell’ordine. Siamo andati a rileggere l’articolo che poi riporta la sintesi del pensiero del Ministro, e del Governo di cui fa parte, per il quale la risposta al disagio sociale è sempre di natura securitaria: Valditara sulla sicurezza: “Ipotesi polizia nelle scuole più a rischio” | Il Foglio Alle logiche repressive e securitarie vanno aggiunge anche ulteriori considerazioni e per questo si rende necessaria una premessa partendo dalla recensione di un libro, edito da Derive Approdi, scritta da Vincenzo Scalia, docente dell’ateneo di Firenze: «Lo Stato ha utilizzato la ricetta nazionalista per ricompattare le differenze di classe in senso identitario. Si tratta però di un processo che si forma in parallelo con un’altra dinamica, vale a dire, quella della nascita dello Stato-Nazione come entità politica antagonista, progressiva rispetto alla società e alla politica premoderne, caratterizzate da discrezione, abusi, privilegi e arbitrio. Un’occhiatina a Foucault e Balibar, da questo punto di vista, non sarebbe stato male dargliela. L’universalità astratta della cittadinanza si costituisce all’inizio come ipotesi sovversiva, progressiva, proprio per cancellare le segmentazioni cetuali tra i cui interstizi prosperava l’arroganza baronale. È stato in seguito all’affermarsi del capitalismo, e alla repressione sanguinosa delle ipotesi alternative dei Moro, dei Munzer, dei Winstanley, dei Buonarroti e delle donne di Salem, dei cangaceiros, dei Nat Turner, che libertà e uguaglianza si sono identificate con l’homo oeconomicus». Alla ricerca del maranza perduto. Recensione a Houria Bouteldja, “Maranza di tutto il mondo, unitevi! Per un’alleanza dei barbari delle periferie”, DeriveApprodi, 2025 – Nuova serie dei delitti e delle pene Le osservazioni del prof. Scalia ci porterebbero lontano, tuttavia è necessario citarle perché accompagnano un argomento particolarmente dibattuto sulla stampa, sulle emittenti radio e televisive private e di Stato, ore e ore di trasmissione dedicate ai fenomeni giovanili e metropolitani appositamente confezionati per la narrazione securitaria delle città ostaggio di bande formate prevalentemente da giovani immigrati pronti a delinquere, inclini alla violenza gratuita, allo spaccio, pronti a sovvertire l’ordine costituito rappresentando manovalanza ieri per l’estremismo politico oggi per il terrorismo islamico. Cambiano i soggetti ma in fondo l’interesse per le classi sociali meno abbienti, per le devianze sociali è sempre indirizzato a giustificare percorsi repressivi, in questo ripetuto schema narrativo non c’è traccia alcuna di una critica al progressivo indebolimento del welfare, alla scomparsa degli operatori di strada, dei centri di ascolto, dei punti asl chiusi in questi anni. Al fine di giustificare la presenza, ormai capillare, delle forze dell’ordine serve alzare l’asticella della paura e della preoccupazione sociale, l’ordine pubblico viene sentito in perenne pericolo e sotto minaccia e di conseguenza cresce l’insicurezza percepita dai cittadini. Se andassimo per le strade a chiedere ai cittadini quali informazioni hanno del decreto sicurezza le risposte potrebbero essere sconcertanti, lo sappiamo per esperienza diretta avendone parlato nei luoghi di lavoro e nelle scuole imbattendoci in una disinformazione costruita ad arte. L’inizio di ogni ragionamento dovrebbe partire da ben altri presupposti ossia chiederci la ragione per la quale i reati nella fascia di età inferiore ai 18 anni sono raddoppiati come il numero dei minorenni detenuti negli istituti penali tanto da indurre il Governo a costruire nuove strutture. Urge quindi domandarci la ragione di questi fenomeni ed operare conseguentemente in una ottica non securitaria e repressiva. Se la risposta ai reati o alle devianze sociali, alle proteste di piazze o al dissenso, è quella di costruire nuovi articoli del codice penale e relative aggravanti si intraprende una strada senza ritorno e arriveremo a considerare la scuola come il terreno dove misurare l’efficacia della risposta securitaria. E con questa premessa torniamo alle dichiarazioni di Valditara di cui parlavamo all’inizio: «Nell’ultimo anno scolastico abbiamo registrato un aumento significativo di violenze contro professori e presidi” dice il ministro dell’Istruzione. Il suo obiettivo è riportare dietro ai banchi “il rispetto delle regole”». Forse il Ministro non legge i giornali perché dovrebbe riflettere sulla insicurezza vissuta nelle scuole che cadono a pezzi, una edilizia vecchia e fatiscente senza manutenzione o pensare ad altri fatti di cronaca, ad esempio l’intervento del Governo presso l’Inail per assicurare studenti e studentesse impegnati negli stages scuola -lavoro, crescono considerevolmente i feriti o i morti nel corso di queste attività.  La chiusura delle scuole fuori dagli orari canonici è accettata di buon grado per ragioni di bilancio magari perché mancano i soldi per pagare dei supplenti e degli straordinari, palestre, aule, laboratori non devono essere usufruibili al pomeriggio o alla sera, la scuola pubblica, per iniziativa ministeriale, smarrisce le sue molteplici funzioni educative. Ma invece di pensare alle scuole come ambito di incontro, e anche di scontro, tra più etnie e classi sociali si pensa a istituti comprensivi assediati dalla malavita, un immaginario collettivo che ci riporta alle pellicole statunitensi sul finire degli anni Settanta quando iniziava in quel paese un drastico ridimensionamento del welfare a favore delle guerre stellari, dei processi di privatizzazione dell’allora presidente conservatore R. Reagan. Davanti alla aggressione di studenti o docenti, Valditara non ha dubbi: «Nelle aree particolarmente a rischio si può immaginare una presenza delle forze dell’ordine a protezione di alcune scuole». La prima riflessione dovrebbe partire dal ruolo dell’insegnante caduto da tempo in disgrazia, svilito a colpi di controriforme che ne hanno seppellito ruolo e funzione sotto una montagna di adempimenti burocratici a mero discapito del rapporto frontale con le classi. E le classi pollaio, la scuola azienda erano oggetto di critiche da parte sindacale come la valutazione attraverso il sistema degli invalsi, a distanza di anni quel patrimonio critico si è assai affievolito. E attenzione: la delegittimazione della scuola pubblica va di pari passo con quella della sanità pubblica alla quale mancano risorse, personale e strumenti per competere con il privato, una scelta (fallimentare) costruita ad arte per delegittimare la sanità e l’istruzione pubblica e con esse tutto il personale della PA mortificandone conoscenze, umanità e professionalità. Quando Valditara parla di maggiore coinvolgimento delle forze dell’ordine negli istituti fino all’adozione di metal detector intende ben altro ossia lanciare un messaggio chiaro: la scuola è assediata dalla criminalità, la situazione sociale è fuori controllo, è bene ripristinare delle regole e chi meglio delle forze dell’ordine potrà farlo? E da qui la presenza di uomini e donne in divisa in molteplici vesti, in primis di educatori ed insegnanti fino al ripristino del voto in condotta che riporta indietro la scuola a quando si praticava la pedagogia, si fa per dire, della cieca obbedienza. Per drammatizzare il messaggio e la situazione vengono sapientemente scelti alcuni episodi e narrati a mezzo stampa per giustificare la strisciante opera di militarizzazione delle scuole, degli ospedali e della società. Il ruolo dei sindacati diventa dirimente, ad esempio le continue richieste di prevenire, a ragione, aggressione al personale della Pubblica Amministrazione, offre ai Governanti di turno soluzioni immediate e securitarie. Le aggressioni ai docenti e agli operatori sanitari avvengono non solo in contesti degradati nei quali la presenza dello Stato si limita all’azione repressiva delle forze dell’ordine ma in situazioni nelle quali un paziente può restare sulla barella del pronto soccorso ore e ore in attesa di cure solo per mancanza di personale, per locali non idonei.  E sul modello del pacchetto sicurezza si pensa di aumentare le sanzioni e le pene per chi aggredisce il corpo docente per “riportare nelle scuole il principio del rispetto delle regole” prima ancora di avere valorizzato il ruolo sociale ed educativo della docenza rilanciando la scuola pubblica come strumento di emancipazione anche sociale. In un paese nel quale l’ascensore sociale è fermo da lustri e le risposte al disagio sociale sono quasi solo di natura securitaria c’è da attendersi questo e altro, ad esempio se la via del Riarmo diventa dirimente per il futuro del paese urge abituarsi alle divise e alla normalità della guerra, a un futuro nel quale anche il disagio e le rivendicazioni sociali e politiche rappresenteranno una sorta di lusso intollerabile e insostenibile. E la repressione del cosiddetto nemico interno, una repressione preventiva per chiudere il cerchio della narrazione securitaria tra voto in condotta, soluzioni repressive e militarizzazione del corpo sociale utilizzando innumerevoli messaggi social che vedono la presenza, ormai asfissiante, delle forze dell’ordine in veste di educatori su qualsiasi materia, modelli di educazione civica per militarizzare l’immaginario collettivo. E questa strisciante opera di omologazione diventa determinante nell’attuale contesto storico con il riarmo europeo, l’aumento della spesa militare a discapito di quella sociale, alla idea che un continente di guerra e in guerra debba essere in grado di affrontare un fronte doppio, quello interno (contro le devianze sociali) ed esterno.  Siamo davanti a un modello sociale senza ritorno rispetto al quale non bastano risposte parziali che poi sono incapaci di cogliere l’ampiezza del problema. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Obiettivi di fine legislatura: aumento spese militari e centralità della “cultura della difesa”
Una nota Ansa parla di un report di 33 pagine, documento datato 8 maggio a cura del Ministero della Difesa, per delineare il programma e gli obiettivi da perseguire fino al termine della legislatura. La cultura della difesa, l’idea e la difesa della patria sono i pilastri culturali ed ideologici del Ministro Guido Crosetto, dietro a cui si celano ben altri, e rilevanti, interessi: il connubio tra ricerca e industria civile e militare, la riforma delle forze armate con la istituzione di una riserva sul modello Israeliano per coinvolgere anche chi è “privo di pregresse esperienze militari” fino ai progetti di riconversione a fini militari di settori industriali. Ed è innegabile l’attenzione del Governo verso le industrie produttrici di armi divenute una sorta di vanto del Made in Italy a sostituire la moda, l’artigianato o qualche prodotto di nicchia destinato ai mercati ricchi del globo. In attesa di conoscere il testo possiamo tuttavia trarre esaustive informazioni da precedenti interviste ed esternazioni del Ministro Crosetto, da documenti e discorsi ufficiali, da articoli sulla stampa o dagli interventi parlamentari per capire il veloce riposizionamento dell’Italia all’indomani degli incontri tra Meloni e Trump. Per esigenze di sintesi e di efficacia della comunicazione ci soffermeremo solo su alcune questioni * Dopo mesi di interviste e di dichiarazioni in apparenza contraddittorie la verità viene finalmente a galla, si conferma il ruolo nevralgico della NATO (per quanto ne dicano quei settori contro la guerra che sulla NATO non prendono mai posizione per opportunismo e comodità politica) e la necessità che l’Italia, al suo interno, acquisti peso assumendosi l’onere di intensificare la presenza di truppe nelle missioni all’estero, ma anche attraverso investimenti veri e propri come il rapido raggiungimento del 2% del PIL per spesa militare (10 miliardi) grazie anche allo “scorporo dai vincoli di bilancio europei”. Cannoni e non burro, deroghe alle norme di bilancio comunitarie per scorporare le spese militari, ma allo stesso tempo occultando che queste crescenti spese saranno finanziabili solo con tagli allo stato sociale. Citiamo a tal riguardo un documento ufficiale «La terza condizione è che si raggiunga il traguardo del 2% in termini di Rapporto tra le Spese della Difesa e PIL, confermato da tutti i governi, e quello attuale non fa eccezione. L’impegno del governo segue il trend già previsto dai precedenti. Di fronte alle difficoltà economiche generali e rispetto al superamento di tali condizioni, un importante risultato è stato già raggiunto ed è rappresentato dallo scorporo delle spese della Difesa dai vincoli di bilancio dai vincoli imposti dal Patto di stabilità. Tale traguardo è il frutto di una incalzante e instancabile azione del Vertice del Dicastero. Lo scorporo delle spese della Difesa dai vincoli di bilancio è, di fatto, “l’unico modo per non togliere risorse a interventi sociali”, come aveva spiegato lo stesso Ministro in audizione alle Camere. L’impegno del 2% assunto nel 2014 è ormai considerato dall’Alleanza Atlantica un punto di partenza, con numerosi Paesi che già spingono per superarlo. L’Italia si è impegnata a raggiungere tale traguardo entro la fine del 2028, pur nella consapevolezza che il percorso sarà impegnativo». Programma di Comunicazione MD 2025; * In attesa della pubblicazione di queste 33 paginette cogliamo il reiterato, e servile, impegno al raggiungimento del 2% per spese militari, se poi volessimo conoscere nel dettaglio la cultura della difesa e la ideologia della patria basta leggersi le “Linee programmatiche del Ministro della Difesa” (2023) , il “Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2024 – 2026”  o il programma di comunicazione della Difesa che poi è la fonte ispiratrice di queste nostre considerazioni (Programma di Comunicazione MD 2025); * La strategia comunicativa del Ministero della difesa parte quindi da un presupposto ben preciso: la nozione della difesa prevede ambiti in cui muoversi assai vasti nonchè interventi complessi che vanno dalla ricerca all’economia, dalla comunicazione spicciola a interventi a tutela della sicurezza nazionale ed internazionale, non esiste campo in cui la cultura della difesa non possa inserirsi, concedere patrocini, promuovere iniziative pubbliche, costruire collaborazioni editoriali, cinematografiche, occupare ogni spazio comunicativo e sociale è diventato dirimente a partire dalla spasmodica attenzione riservata alle scuole di ogni ordine e grado. E le giornate ufficiali istituite dalla Repubblica si prestano come occasioni propizie per affermare la cultura della patria e della difesa in una azione costante di legittimazione del militarismo e di affermazione dei suoi valori che necessita anche di parziali riscritture della storia passata; * Siamo lontani anni luce da un’idea della difesa ancorata ai valori e alle pratiche di un tempo, uniti nella diversità significa legare la società civile e la scuola alle forze armate o piegare la ricerca a fini duali che alla fine vanno a indirizzare la ricerca stessa a finalità di guerra. Il militare del presente e del futuro non è quello nostalgico del ventennio, del nonnismo e delle soluzioni autoritarie, ma il militare attento alla diversità, sensibile all’ambiente (nel potenziamento delle basi militari troverete progetti ecologici come l’uso di pannelli solari, il riciclo delle acque, il tema della riduzione nel consumo di suolo o del risparmio energetico fino alla tutela della biodiversità), esperto in comunicazione, rispettoso dei dettami costituzionali debitamente depurati da ogni forma di pacifismo avanzato, il militare che sa andare nelle scuole interagendo con alunni e docenti attraverso progetti civici. Ma alla fin fine il militarismo esce sempre fuori e con esso l’idea di una società della sorveglianza nella quale gli spazi di democrazia reale vengono compressi in nome della sicurezza nazionale e internazionale; * Non è facile convincere una opinione pubblica acritica e refrattaria a ogni approfondimento e discussione che sotto i suoi occhi sta crescendo una pratica militarista nella società assumendo sembianze, caratteristiche e funzioni in apparenza innovative e civili. Non ci aiuta una stampa becera e asservita ai poteri economici e finanziari dominanti, una stampa che alla fine svolge il mero ruolo di cassa di risonanza del potere politico. Prendiamo ad esempio il concetto della Difesa al servizio del paese. Parliamo di: “funzioni industriali” “funzioni sanitarie”, “funzioni formative” “funzioni giurisdizionali, “funzioni di ricerca, sviluppo e innovazione” . Se si vuole comprendere il ruolo odierno delle Forze armate diventa imprescindibile addentrarsi in queste articolate connotazioni che poi sono elementi fondanti  della “Cultura della Difesa”. Emerge non solo la necessità di connettere il militare ad ogni sfera della società e dell’economia ma traspare il fondamentale ruolo della comunicazione istituzionale e non. Il rapporto tra ricerca e industria civile e militare diventa sempre più stringente, prova ne sia la presenza di Fondazioni e aziende dentro gli atenei e le scuole con finalità molteplici, alla occorrenza anche nella veste di finanziatori della scuola pubblica visti i crescenti disinvestimenti Governativi. Quando si parla di autonomia scientifica e tecnologica all’interno di un documento dedicato alla cultura della difesa è evidente che siamo andati assai avanti nell’opera di piegare la ricerca e lo studio a fini di guerra.  Leggiamo testualmente: «Si dovrà partire dal rafforzamento delle sinergie tra il mondo accademico, i centri di ricerca e il comparto industriale, non trascurando le piccole e medie imprese, le Start-Up e i gruppi informali di esperti. Occorre valorizzare al massimo le collaborazioni con il mondo accademico e quello industriale, evitando la dispersione di energie ed incoraggiando gli sforzi dell’industria verso la messa a punto di prodotti ad elevato potenziale di mercato e di reale interesse per lo Stato. È necessario, inoltre, sviluppare un piano per il supporto dell’Industria nazionale, anche attraverso l’applicazione in ambito Difesa dei Poteri Speciali, la cosiddetta Golden Power, finalizzati alla tutela di asset e know-how strategici nazionali che, dato il contesto globale sempre più complesso e ibrido, sono oggi più che mai a fortissimo rischio di ingerenza straniera. Parte di questo piano sarà anche il rafforzamento degli accordi Gov-to-Gov, per aumentare la rilevanza del nostro export, colmando il divario commerciale e industriale nel confronto con altri Paesi. L’industria della Difesa dovrà diventare una leva ad alto contenuto tecnologico che possa abilitare le Forze Armate ad operare in modo predittivo in tutti i futuri scenari di crisi. Programma di Comunicazione MD 2025 Quando leggiamo della presenza di aziende produttrici di armi e di militari nelle scuole non soffermiamoci alle note ufficiali, ma interroghiamo a fondo le trasformazioni in atto, riflettiamo su quanto accade sotto i nostri occhi, sulle finalità di questa onnipresente cultura della difesa domandandoci quali saranno gli effetti sulla nostra società. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Ritorno della leva obbligatoria: militarismo dilagante in Italia e in Unione Europea
La fine dell’esercito di leva rappresentava, quasi un quarto di secolo fa, una svolta epocale dettata dai contesti storici e geopolitici in evoluzione e dai processi tecnologici che andavano rivoluzionando anche il settore militare. E, se i vari paesi europei si sono convinti, nell’arco di pochi anni, di superare la leva, la spiegazione sta proprio nell’evoluzione dello stesso concetto di guerra per il quale servivano élites militari di professione, addestrate e formate anche sul piano ideologico. Così, una volta cessata l’attività militare, queste élites avevano una corsia preferenziale per accedere ai concorsi nella PA e non solo nelle forze di polizia. Con la guerra in Ucraina sono cambiati alcuni scenari da cui scaturisce la necessità di avere organici numerosi, da impiegare in guerre logoranti che si trascinano per anni con l’occupazione e il presidio di vaste distese territoriali. Ma è indubbio che la leva svolga anche un ruolo ideologico, di fedeltà passiva all’idea di patria, che poi rappresenta il terreno ideologico sul quale si costruiscono teorie e pratiche militariste e guerrafondaie. In una fase storica come la nostra non ci sono le controindicazioni degli anni Settanta e Ottanta, per capirci quelle ragioni etiche, morali e politiche così forti da favorire la renitenza alla leva, l’obiezione di coscienza e una crescente disaffezione verso la nozione di patria e il ruolo delle forze armate. Anche a destra il fascino per la divisa era entrato in crisi, non c’era più da presidiare i confini difendendoli dalla minaccia dei paesi socialisti. Oggi la Lega avanza una proposta di legge per ripristinare la leva obbligatoria e altre forze di destra si fanno promotrici di analoghe istanze in altri paesi UE. Un servizio di leva per 6 mesi, nella propria Regione di residenza impiegando ragazzi e ragazze di età compresa tra i 18 e i 26 anni. Per gli obiettori di coscienza ci sarà il servizio civile di durata identica occupandosi della tutela del patrimonio culturale e naturale, di soccorso pubblico e Protezione civile. E per chi si sottrarrà alla leva e al servizio civile ci sarà una accusa penale ai sensi dell’articolo 14 della legge 230 del 1998 con la reclusione da sei mesi a due anni. Una proposta più completa della mini-naja proposta da Ignazio La Russa, ma tale da provocare qualche perplessità anche a destra, almeno tra i fautori dell’esercito professionale, convinti che una leva obbligatoria rappresenti un eccessivo incremento delle spese senza portare benefici reali ai dispositivi militari A detta di questi settori sarebbe, invece, auspicabile il modello israeliano con la militarizzazione di tutta la società e la istituzione della Riserva operativa in cui far confluire ex militari che, dopo aver trovato un diverso impiego, sono disponibili a essere richiamati, con giustificazione al lavoro, due o tre mesi all’anno per addestramento o emergenze. Questi riservisti li ritroviamo nell’occupazione di terreni e case palestinesi per favorire gli insediamenti coloniali e, per quanto impopolare sia oggi il premier israeliano nel suo stesso paese, la stragrande maggioranza della popolazione risponde con solerzia alle chiamate del Ministero della difesa Un’ulteriore spiegazione per il ritorno in auge della leva potrebbe essere anche motivata dal continuo e costante calo degli organici militari (dai 190 mila nel 2010 siamo passati a 154 mila nel 2024 e senza arruolamenti ulteriori ci troveremmo da qui a 6\7 anni l’età media delle truppe attorno ai 50 anni) che indurrebbe a mantenere  da una parte l’esercito professionale, ma dall’altra anche qualche forma di leva prolungata, o di riservisti per destinare questi ultimi a operazioni sul territorio nazionale che vanno dall’ordine pubblico alla lotta agli incendi, dalla protezione fino al presidio del territorio ricordando che l’Operazione “Strade sicure”, impiega circa 7mila soldati che poi verranno a mancare in eventuali scenari di guerra. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Ritorno della leva obbligatoria in tutta Europa: cosa aspettarsi dalla corsa al riarmo
Sul finire del secolo scorso, l’esigenza dei paesi NATO era quella di costruire un nuovo modello di difesa con militari di professione, giudicando la leva un antico, e ormai inutile, retaggio del passato. Serviva, insomma, un esercito addestrato, con numeri decisamente inferiori al passato, ma capace di intervenire con efficacia e tempestività. La scarsa motivazione dell’esercito di leva, venuto meno quel clima da opposti schieramenti, anche ideologici, sancito dal lungo secondo dopo guerra, l’evoluzione della tecnologia militare e duale, a partire dalle guerre spaziali degli anni Ottanta, andavano mutando scenari e  priorità. Già 30 anni fa giravano vari studi atti a dimostrare che la leva obbligatoria era fonte di inutile spesa pubblica, non servivano soldati poco motivati e obbligati a mesi nelle caserme, ma forze di pronto intervento rapido da utilizzare negli scenari di guerra e dopo alcuni anni da ricollocare, con corsie preferenziali, negli uffici pubblici. E a quel punto qualche anno da militare di professione spianava la strada anche ad un successivo impiego sicuro, questi erano i presupposti con i quali partiva la campagna per l’esercito professionale 25 anni or sono. Con la fine della Guerra Fredda, nell’arco di pochi anni, quasi tutti i paesi eliminano la leva obbligatoria scegliendo la strada (suggerita dagli USA) delle forze di difesa professionali, iniziano Belgio (1995) e Paesi Bassi (1997) seguiti da innumerevoli paesi per arrivare poi, nel nuovo secolo, ad altre nazioni ossia Germania (2012), Ucraina (2014), Lituania (2015), Lettonia (2023). La leva in realtà nel nostro paese non è stata cancellata, ma solo sospesa e di questo l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha ampiamente parlato e scritto negli ultimi mesi, nel frattempo registriamo spinte importanti che vanno nella direzione di ripristinare la obbligatorietà della leva, prevedendo in alcuni casi una scelta tra addestramento militare e un servizio civile. E nazioni come Germania e Polonia da due anni parlano di pianificare l’addestramento militare per i civili per far fronte alla minaccia russa. E questi due paesi sono quelli che maggiormente nel vecchio continente hanno accresciuto le spese belliche in rapporto al loro stesso PIL e nel caso renano sta partendo la riconversione di interi settori dell’economia civile a fini militari, un progetto di economia di guerra sul quale stanno lavorando da un anno. Meno di un anno fa la Polonia annunciava un piano straordinario di addestramento militare a “tutti gli uomini adulti” nell’ottica di costruire un esercito di 500 mila uomini inclusi i riservisti che, sul modello israeliano, diventano sempre più importanti nei futuri scenari militaristi. Se la guerra in Palestina è condotta con ampio utilizzo di tecnologie di ultima generazione e con sistemi all’avanguardia, il conflitto ucraino, per quanto presenti ampio utilizzo di droni e missili, di aerei a guida senza pilota, ha richiesto quantitativi di soldati decisamente maggiori a quelli disponibili, la Russia ha inviato al fronte ex detenuti in cambio della promessa, una volta tornati dalla guerra, di non espiare la pena, in Ucraina i reclutatori dell’esercito costringono giovani ad andare al fronte battendo villaggio per villaggio. In Germania, nel frattempo, si parla di reintroduzione del servizio militare obbligatorio entro la fine dell’anno, in Spagna invece, dove le posizioni sono diametralmente opposte, è iniziata una aspra discussione sulla cultura della sicurezza e della difesa che in soldoni potrebbe portare a rivalutare la leva obbligatoria (con qualche modifica rispetto al passato) da qui a pochissimi anni. Ritorno del servizio militare obbligatorio: più dubbi che certezze – Lavoce.info Servizio militare obbligatorio: Spagna e altri Paesi europei potrebbero ripristinare la leva | EuronewsIl Belgio rilancia il servizio militare volontario: obiettivo 20mila riservisti | Euronews Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università