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Decreto Delrio su antisemitismo e antisionismo: svolta repressiva anche del PD
L’INCEDIBILE ASCESA DELLA EQUIPARAZIONE TRA ANTISIONISMO E ANTISEMITISMO. L’ENNESIMO DECRETO DI LEGGE DI STAMPO REVISIONISTA PER APRIRE UNA NUOVA CACCIA ALLE STREGHE…QUESTA VOLTA DA PARTE DEL PARTITO DEMOCRATICO CON GRAZIANO DELRIO. Incalcolabili sono i danni recati dalla parentesi renziana a capo del Partito Democratico, danni che poi portano alcuni nomi e cognomi con posizioni in politica estera analoghe, o fotocopia, di quelle delle destre. A volte tornano sotto i riflettori distinguendosi con l’inutile servilismo verso lo Stato di Israele, presentando una proposta di legge che equipara l’antisionismo all’antisemitismo, superando a destra i parlamentari di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. Il Disegno di Legge, presentato da Graziano Delrio, denominato “Disposizioni per il rafforzamento della strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, e per la prevenzione ed il contrasto all’antisemitismo e delega al Governo in materia di disciplina degli interventi relativi ai contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme online di servizi digitali” già dal titolo fa capire il fine della iniziativa: un controllo repressivo che riguarderà scuole, università, realtà sociali e i social destinatari della campagna securitaria (clicca qui per le info). Il disegno di legge segue i classici copioni sperimentati in qualche trasmissione televisiva, narrare la piaga dilagante dell’antisemitismo, dell’odio verso gli ebrei condito da rigurgiti razzisti. E così gli autori del genocidio, i sionisti, in un colpo solo diventano le vittime. E la fonte da cui attingere dati e informazione non è certo super partes, parliamo del monitoraggio operato dal Centro di documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) (https://www.osservatorioantisemitismo.it/), vicino ad ambienti sionisti e da anni attivo nel catalogare ogni espressione di odio contro gli ebrei che spesso e volentieri vengono confusi con i fautori del sionismo. Peccato che tra le segnalazioni si possa ritrovare anche un semplice adesivo di solidarietà con la Palestina affisso alla fermata dei bus o all’ingresso di una mensa. La narrazione parla di un incremento degli episodi antisemiti molti dei quali non sarebbero tracciati giusto a drammatizzare ulteriormente la situazione.  Leggiamo testualmente: «Le evidenze raccolte non sono solamente allarmanti da un punto di vista quantitativo, essendo rilevante l’esame qualitativo della tipologia degli atti segnalati, consistenti, tra l’altro, in invettive e stereotipi antisemiti nella realtà virtuale e nella vita quotidiana, in particolare nelle istituzioni scolastiche e universitarie. Si ravvisano altresì minacce a persone ed istituzioni ebraiche, atti di discriminazione (si pensi a esponenti politici e giornalisti cui è stata resa impossibile la partecipazione agli eventi pubblici) e persino alle aggressioni fisiche in luoghi pubblici». Avete letto bene? In Italia radio, giornali e tv sarebbero occupati da antisemiti, giornalisti e politici, manipoli di razzisti si aggirerebbero per le città nel solo intento di impedire l’esercizio di parola agli ebrei recendo loro violenza verbale e fisica. La verità è che le reti Mediaset e la Rai sono sistematicamente occupate da esponenti del centrodestra con posizioni filoisraeliane, parliamo di oltre il 90% degli ascolti televisivi, aggiungiamo i giornali nelle mani di pochi gruppi editoriali e schierati a destra o, se su posizioni del centro sinistra, vicino alle posizioni governative in materia di politica estera. Vittimismo o strategia del complotto? Continuando a leggere il disegno, l’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo si fa sempre più forte fino a denunciare un’autentica persecuzione degli ebrei ai quali sarebbe impedito di manifestare la loro stessa religione e identità. Negli ultimi anni da parte dei movimenti solidali con la causa palestinese non c’è stato alcun gesto contro simboli ebraici e sinagoghe, al contrario gli episodi di aggressione ai danni di attivisti filopalestinesi risultano innumerevoli. La narrazione vittimista è funzionale a descrivere una realtà falsata, le grandi adesioni alle mobilitazioni contro il genocidio possono essere avversate non criminalizzando i milioni di partecipanti, ma facendo credere che nel Paese il germe del razzismo antisemita sta prendendo corpo, il passaggio successivo sarà la criminalizzazione di tutti i solidali e gli antisionisti trasformati in odiatori da tastiera al pari di chi lancia invettive senza costrutto assalito dall’odio instillato dalle dichiarazioni avventate di politici senza memoria. E tra gli odiatori chi ritroviamo? Una lunga sequela di nemici che vanno dai movimenti sociali ai sindacati, dagli intellettuali non allineati agli islamici tout court, tutti accomunati da odio ed aggressività. Ma qual è il fine di questo disegno di Legge? Leggiamo dal testo: «Il presente disegno di legge si pone l’obiettivo di adattare la disciplina vigente in ambito digitale e formativo, recando misure volte a prevenire e contrastare le nuove forme di antisemitismo nonché a rafforzare efficacemente l’attuazione della Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, elaborata nel quadro di quella europea dal Coordinatore nazionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri». Incredibile la descrizione del propagarsi dell’odio antisemita che, secondo questo disegno di legge, sarebbe una minaccia pericolosa alla democrazia e alla libertà. Passando in rassegna il testo si va dalla delega al Governo per l’adozione – entro sei mesi – di uno o più decreti legislativi, volti a disciplinare in modo organico il contrasto all’antisemitismo online (il che fa presagire il controllo della rete stessa, la chiusura di bollettini, siti, pagine social e riviste di orientamento antisionista), fino alla tutela e della libertà della ricerca e di insegnamento in ambito universitario, come se l’autentica minaccia all’università non fosse rappresentata dalla Bernini e dai suoi provvedimenti che andranno ad espellere migliaia di ricercatori. Il vero obiettivo di questo disegno è la normalizzazione del controllo nelle scuole e nelle università a partire dalla sorveglianza dell’operato dei docenti, istaurando un clima repressivo e di soffocante controllo pur celandosi dietro al sommo «valore della conoscenza ed il principio della libera manifestazione del pensiero, nella fondamentale ottica del reciproco rispetto e del confronto civile» (Cass. civ. 28853/2025). E dopo l’alza bandiera arriveranno le buone azioni contro l’antisemitismo, spingendo le scuole a segnalare tutte le iniziative intraprese a sostegno di queste indicazioni con tanto di segnalazioni alle forze di polizia e al Ministero di ogni azione e opinione che possa configurarsi come antisemita. E ancora una volta si va a confondere antisemitismo con antisionismo. Chiunque criticherà l’operato di Israele verrà tacciato di istigatore dell’odio razziale alla stessa stregua di un nazista. Se questo è il disegno di legge partorito dalla fervida immaginazione di un parlamentare del PD, la prossima mossa del centrodestra sarà quella di venirci a prendere a casa per portarci in qualche carcere. Occorre fermare oggi questa follia; occorre fermarli con le ragioni, le azioni propositive e le argomentazioni di cui siamo capaci, è ormai un dovere etico e civile. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università -------------------------------------------------------------------------------- Se come associazioni o singoli volete sostenerci economicamente potete farlo donando su questo IBAN: IT06Z0501803400000020000668 oppure qui: FAI UNA DONAZIONE UNA TANTUM Grazie per la collaborazione. Apprezziamo il tuo contributo! Fai una donazione -------------------------------------------------------------------------------- FAI UNA DONAZIONE MENSILMENTE Apprezziamo il tuo contributo. 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Leva militare e militarizzazione: l’Europa di fronte a nuove sfide
Sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso, con il crollo del Muro di Berlino e lo sgretolamento del Patto di Varsavia, NATO, USA e Europa capirono che si stavano aprendo enormi spazi per la loro egemonia economica e militare. Nell’arco di pochi anni la NATO iniziò ad espandersi nell’est e nel Nord Europa, iniziava allora quella che venne stupidamente definitiva “una nuova era di pace“, visto che un decennio dopo l’Occidente capitalista scatena conflitti con milioni di morti. In quel contesto storico la leva era un ferro vecchio del secolo precedente, serviva un esercito di professionisti, meno numeroso ma operativo per interventi in varie parti del Globo. E fu così che tanti Paesi decisero di archiviare la leva obbligatoria, congelandola in attesa degli eventi. Il conflitto tra Russia ed Ucraina ci riporta indietro nel tempo ed è indubbio che soffino venti di guerra visto che la Bundeswehr (forze armate tedesche) ha redatto un corposo documento reso pubblico nei giorni scorsi ipotizzando nei minimi particolari lo scontro con la Russia. Il Wall Street Journal ha parlato di questo documento e c’è un passaggio, riportato anche da Il Fatto Quotidiano in un articolo pubblicato nell’edizione del 29 novembre, in cui si parla della necessità di spostare fino a 800 mila soldati NATO verso il confine Russia. Solo questo spostamento comporta una rete ferrovia, stradale, dei porti e degli aeroporti funzionanti, una rete logistica e infrastrutturale da ammodernare per scopi di guerra. Al posto della manutenzione dei territori abbiamo un piano di logistica con investimenti straordinari, ecco un esempio pratico di come si sta facendo strada (letteralmente) quella che definiamo economia di guerra. Logiche e strategie da Guerra fredda, un intervento indispensabile perchè innumerevoli vie di comunicazioni non sono adeguate al trasporto di armi e la rete ferroviaria da tempo necessita di investimenti e ammodernamenti. Se qualcuno ironizzava sulle dichiarazioni di Crosetto riguardo al pericolo di attacchi ibridi presto dovrà ricredersi  visto che sta per arrivare in Parlamento un disegno di legge per soldati volontari. Non si parla ancora di leva obbligatoria, ma per trovare un numero congruo di soldati le strade sono molteplici e al fine di invogliare i giovani a scegliere la via militare interverranno sulle condizioni lavorative e previdenziali. Ad esempio, i militari potrebbero beneficiare di scivoli e aiuti per una uscita anticipata dal mondo del lavoro facendo pesare più di ogni altra categoria i contributi versati. Ad esempio, 30 anni di servizio militare potrebbero essere equiparati a 43 anni di contributi per arrivare alla pensione con un elevato assegno pur avendo dieci e oltre anni di contributi versati in meno. E sempre nei mesi scorsi avevano parlato di welfare e piano casa per i militari, di buste paga maggiorate, tutte ipotesi ancora al vaglio del Governo La questione va quindi affrontata nella sua complessità perchè una lettura di questi fatti non potrà essere parziale, non basta parlare di enorme flusso di denaro dal civile e dal militare o genericamente di economia di guerra, dietro all’aumento degli effettivi  di celano innumerevoli scelte. In Germania hanno già reintrodotto la leva, volontaria, pronta a trasformarsi in obbligatoria, se non ci saranno i numeri previsti. In Francia hanno già pensato al servizio nazionale volontario a partire dal 2026, con dieci mesi di naia, il progetto prevede di arrivare entro 10 anni a 50 mila unità in aggiunta ai militari di professione veri e propri. Negli ultimi anni l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha denunciato la presenza deli militari nelle scuole, il reclutamento ideologico, la esaltazione della vita in divisa, le scuole militari, i campi estivi organizzati dalle associazioni legate ai vari corpi armati, le Fondazioni culturali e scientifiche emanazioni di aziende militari, un sistematico lavoro di catalogazione che si è guadagnato il sarcasmo di chi non aveva contezza della realtà. La presenza di tanti militari aveva uno scopo ben preciso, perché lor signori hanno una marcia in più rispetto ai creduloni da social: essi leggono, studiano, hanno documenti strategici e si muovono in largo anticipo per preparare il terreno sul quale muoversi. Storicamente la presenza di militari nelle scuole ha sempre determinato la costruzione di un clima da guerra, di una cultura militarista, un po’ di letture sarebbero a portata di tutti. Quanto accade in Francia funge da modello anche per il nostro Paese. Se in Germania parlano esplicitamente di obbligatorietà della leva, in questi due Paesi ci si ferma, al momento, alla volontarietà. Tra poche settimane leggeremo quanto prevede il testo di legge, intanto la presenza di militari nelle scuole per il reclutamento futuro dei giovani avrà un ulteriore impulso. E se fino ad ora abbiamo parlato solo di Francia, Italia e Germania sarà il caso di sapere che in molti Paesi del Nord Europa sono ancora in piedi, dalla guerra fredda, dei sistemi di coscrizione parzialmente obbligatori, in diverse nazioni ci sono i volontari ma in caso di necessità le loro leggi nazionali prevedono la leva obbligatoria. In Polonia, il Paese che ad est è arrivato per primo al 5% del PIL per la spesa militare, esiste oltre un mese di addestramento base volontario a cui seguono periodi più lunghi di specializzazione. E per giustificare l’ennesimo processo di militarizzazione, per spianare la strada all’avvento generalizzato dell’economia di guerra si torna a parlare della urgente necessità per la UE di dotarsi di un esercito comune e ancor prima di un sistema militare che tenga insieme le imprese belliche del vecchio continente evitando che siano inglobate nel sistema statunitense. Gli scenari sono molteplici, il nostro impegno sarà quello di farli conoscere a chi sarà carne da macello per le prossime guerre, impresa ardua specie in tempi come i nostri. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Puntata del 25/11/2025@1
Il primo approfondimento della puntata lo abbiamo fatto in compagnia di Federico Giusti delegato della CUB e della redazione del blog delegati-lavoratori-indipendenti-Pisa sulla conferenza stampa del 26/11/2025: “Ferrovieri contro la guerra, Coordinamento Antimilitarista Livornese, Cub Pisa danno appuntamento alle realtà contro la guerra e la militarizzazione dei territori, ai sindacati promotori dello sciopero generale del 28 Novembre per una conferenza stampa che si terrà Mercoledi’ 26\11 alle ore 15 in piazza della Stazione di Pisa (davanti alla fontana). Nella occasione parleremo di quanto sta avvenendo sulla linea ferroviaria Pisa-Livorno e in merito al potenziamento della base militare di Camp Darby per il trasporto di armi e munizioni anche a seguito della discussione avvenuta in Consiglio comunale a Pisa lo scorso 13 Novembre con la interpellanza di Diritti in Comune.” Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- Il secondo approfondimento della puntata lo abbiamo fatto in compagnia di Lorenzo Giustolisi dell’esecutivo nazionale confederale USB sullo sciopero generale del 28/11/2025: “Lo sciopero generale del 28 novembre sarà un’importante giornata di lotta contro la finanziaria di guerra del Governo Meloni: in decine di città in tutto il Paese si stanno preparando le mobilitazioni contro i tagli e le politiche del riarmo, per la fine dei rapporti con lo stato israeliano e del genocidio in Palestina, per i salari e le pensioni” A Torino l’appuntamento è alle ore 10 Piazza XVIII Dicembre Federico ci ha ricordato anche l’impegno che l’USB sta cercando di portare per far confluire tutte le realtà sindacali e politiche alla manifestazione nazionale a Roma che partirà da Porta San Paolo alle ore 14:00 il 29/11/2025 e che: Hai diritto di scioperare! Il 28 Novembre 2025 è stato proclamato Sciopero Generale da USB – Unione Sindacale di Base. Nessun obbligo di preavviso. Nessuna sanzione possibile. Sciopero legittimo ai sensi della L.146/90. Qualsiasi provvedimento disciplinare è nullo. Se lavori nei servizi essenziali (sanità, porti, aeroporti, stazioni, scuola) contatta il delegatə sul posto di lavoro per avere tutte le informazioni. Difendi i tuoi diritti, sciopera con noi! Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- Il terzo argomento della serata è stato nuovamente quello dello sciopero generale. Abbiamo voluto sentire il punto di vista del SiCobas, intervistando Fabio, esponente della sezione torinese del sindacato di base, per farci illustrare le principali motivazioni per intraprendere questo doppio appuntamento nel fine settimana del 28 e 29 novembre di sciopero e mobilitazioni. Infatti oltre alla piazza nazionale a Roma, si terrà anche un appuntamento a Milano sabato 29 in risposta all’ ultima finanziaria del governo Meloni, in solidarietà alla alla resistenza palestinese contro la corsa al riarmo e l’economia di guerra. Obbligatorio è stato anche il passaggio sulla paradigmatica vicenda che ha visto protagonista l’Imam di Torino Mohamed Shahin e l’iniziativa di una mobilitazione permanente per chiedere la sua liberazione. Buon ascolto
Puntata del 25/11/2025@0
Il primo approfondimento della puntata lo abbiamo fatto in compagnia di Federico Giusti delegato della CUB e della redazione del blog delegati-lavoratori-indipendenti-Pisa sulla conferenza stampa del 26/11/2025: “Ferrovieri contro la guerra, Coordinamento Antimilitarista Livornese, Cub Pisa danno appuntamento alle realtà contro la guerra e la militarizzazione dei territori, ai sindacati promotori dello sciopero generale del 28 Novembre per una conferenza stampa che si terrà Mercoledi’ 26\11 alle ore 15 in piazza della Stazione di Pisa (davanti alla fontana). Nella occasione parleremo di quanto sta avvenendo sulla linea ferroviaria Pisa-Livorno e in merito al potenziamento della base militare di Camp Darby per il trasporto di armi e munizioni anche a seguito della discussione avvenuta in Consiglio comunale a Pisa lo scorso 13 Novembre con la interpellanza di Diritti in Comune.” Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- Il secondo approfondimento della puntata lo abbiamo fatto in compagnia di Lorenzo Giustolisi dell’esecutivo nazionale confederale USB sullo sciopero generale del 28/11/2025: “Lo sciopero generale del 28 novembre sarà un’importante giornata di lotta contro la finanziaria di guerra del Governo Meloni: in decine di città in tutto il Paese si stanno preparando le mobilitazioni contro i tagli e le politiche del riarmo, per la fine dei rapporti con lo stato israeliano e del genocidio in Palestina, per i salari e le pensioni” A Torino l’appuntamento è alle ore 10 Piazza XVIII Dicembre Federico ci ha ricordato anche l’impegno che l’USB sta cercando di portare per far confluire tutte le realtà sindacali e politiche alla manifestazione nazionale a Roma che partirà da Porta San Paolo alle ore 14:00 il 29/11/2025 e che: Hai diritto di scioperare! Il 28 Novembre 2025 è stato proclamato Sciopero Generale da USB – Unione Sindacale di Base. Nessun obbligo di preavviso. Nessuna sanzione possibile. Sciopero legittimo ai sensi della L.146/90. Qualsiasi provvedimento disciplinare è nullo. Se lavori nei servizi essenziali (sanità, porti, aeroporti, stazioni, scuola) contatta il delegatə sul posto di lavoro per avere tutte le informazioni. Difendi i tuoi diritti, sciopera con noi! Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- Il terzo argomento della serata è stato nuovamente quello dello sciopero generale. Abbiamo voluto sentire il punto di vista del SiCobas, intervistando Fabio, esponente della sezione torinese del sindacato di base, per farci illustrare le principali motivazioni per intraprendere questo doppio appuntamento nel fine settimana del 28 e 29 novembre di sciopero e mobilitazioni. Infatti oltre alla piazza nazionale a Roma, si terrà anche un appuntamento a Milano sabato 29 in risposta all’ ultima finanziaria del governo Meloni, in solidarietà alla alla resistenza palestinese contro la corsa al riarmo e l’economia di guerra. Obbligatorio è stato anche il passaggio sulla paradigmatica vicenda che ha visto protagonista l’Imam di Torino Mohamed Shahin e l’iniziativa di una mobilitazione permanente per chiedere la sua liberazione. Buon ascolto
Puntata del 25/11/2025@2
Il primo approfondimento della puntata lo abbiamo fatto in compagnia di Federico Giusti delegato della CUB e della redazione del blog delegati-lavoratori-indipendenti-Pisa sulla conferenza stampa del 26/11/2025: “Ferrovieri contro la guerra, Coordinamento Antimilitarista Livornese, Cub Pisa danno appuntamento alle realtà contro la guerra e la militarizzazione dei territori, ai sindacati promotori dello sciopero generale del 28 Novembre per una conferenza stampa che si terrà Mercoledi’ 26\11 alle ore 15 in piazza della Stazione di Pisa (davanti alla fontana). Nella occasione parleremo di quanto sta avvenendo sulla linea ferroviaria Pisa-Livorno e in merito al potenziamento della base militare di Camp Darby per il trasporto di armi e munizioni anche a seguito della discussione avvenuta in Consiglio comunale a Pisa lo scorso 13 Novembre con la interpellanza di Diritti in Comune.” Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- Il secondo approfondimento della puntata lo abbiamo fatto in compagnia di Lorenzo Giustolisi dell’esecutivo nazionale confederale USB sullo sciopero generale del 28/11/2025: “Lo sciopero generale del 28 novembre sarà un’importante giornata di lotta contro la finanziaria di guerra del Governo Meloni: in decine di città in tutto il Paese si stanno preparando le mobilitazioni contro i tagli e le politiche del riarmo, per la fine dei rapporti con lo stato israeliano e del genocidio in Palestina, per i salari e le pensioni” A Torino l’appuntamento è alle ore 10 Piazza XVIII Dicembre Federico ci ha ricordato anche l’impegno che l’USB sta cercando di portare per far confluire tutte le realtà sindacali e politiche alla manifestazione nazionale a Roma che partirà da Porta San Paolo alle ore 14:00 il 29/11/2025 e che: Hai diritto di scioperare! Il 28 Novembre 2025 è stato proclamato Sciopero Generale da USB – Unione Sindacale di Base. Nessun obbligo di preavviso. Nessuna sanzione possibile. Sciopero legittimo ai sensi della L.146/90. Qualsiasi provvedimento disciplinare è nullo. Se lavori nei servizi essenziali (sanità, porti, aeroporti, stazioni, scuola) contatta il delegatə sul posto di lavoro per avere tutte le informazioni. Difendi i tuoi diritti, sciopera con noi! Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- Il terzo argomento della serata è stato nuovamente quello dello sciopero generale. Abbiamo voluto sentire il punto di vista del SiCobas, intervistando Fabio, esponente della sezione torinese del sindacato di base, per farci illustrare le principali motivazioni per intraprendere questo doppio appuntamento nel fine settimana del 28 e 29 novembre di sciopero e mobilitazioni. Infatti oltre alla piazza nazionale a Roma, si terrà anche un appuntamento a Milano sabato 29 in risposta all’ ultima finanziaria del governo Meloni, in solidarietà alla alla resistenza palestinese contro la corsa al riarmo e l’economia di guerra. Obbligatorio è stato anche il passaggio sulla paradigmatica vicenda che ha visto protagonista l’Imam di Torino Mohamed Shahin e l’iniziativa di una mobilitazione permanente per chiedere la sua liberazione. Buon ascolto
Riarmo in Europa con European Defence Industry Programme
Il Consiglio europeo dovrà presto verificare se gli obiettivi del Riarmo lanciato nella primavera scorsa, sono stati raggiunti o se invece il cronoprogramma presenta qualche intoppo o incidente di percorso di troppo. Se la UE doveva introdurre enormi capitali e prestiti finanziari per il Riarmo e questo obiettivo può dirsi raggiunto, qualche problema e decisi ritardi, invece, riscontriamo nella realizzazione degli intenti del Libro Bianco di Draghi a proposito di attività industriali e di ricerca sinergiche tra i vari paesi comunitari. Di definitivo abbiamo ad oggi la Defence Readiness Roadmap 2030 presentata dalla Commissione come sviluppo del Libro bianco del marzo scorso. Che ci siano poi problemi dovuti a contraddizioni interne alla UE è risaputo come anche le difficoltà nella messa a punto dell’European Defence Industry Programme (EDIP). L’EDIP altro non è che l’insieme dei finanziamenti per acquistare congiuntamente delle armi e quanto serve per l’equipaggiamento militare, presenta anche fondi destinati all’acquisto di materiali indispensabili ed urgenti avvalendosi di altri capitoli di bilancio. E proprio per questa ragione è impresa ardua conoscere l’esatta spesa militare quando si sovrappongono differenti e molteplici capitoli di bilancio, spesso afferenti a ministeri diversi.   L’EDIP ha un suo budget di spesa che da qui al 2027 dovrebbe aggirarsi su 1,5 miliardi di euro dei quali oltre 300 milioni già destinati all’Ucraina. In questi giorni l’alto rappresentante UE Kaja Kallas ha fatto suo il motto degli antichi per i quali la pace si difende preparando la guerra, se la Germania procede verso il riarmo con uno sforzo economico che non ha pari nel vecchio continente, altri paesi arrancano e faticano a raggiungere le spese promesse al cospetto UE e NATO. Ma resta innegabile che proprio in questi giorni tocchiamo con mano gli interessi materiali statunitensi perché la UE impiegherà anni, ammesso che raggiunga in toto l’obiettivo, prima di acquisire la piena autonomia militare dai prodotti USA. E sarebbe importante capire la composizione azionaria, la dislocazione dei siti produttivi, delle principali aziende di armi comunitarie prima di addentrarci in ulteriori considerazioni. Gli obiettivi poi sono sempre quelli descritti da mesi ossia generare economie di scala, l’interoperabilità, acquisire maggiore standardizzazione dei prodotti evitando doppioni concorrenziali tra loro, attenuare la frammentazione dei mercati europei della difesa, accrescere il budget destinato da quasi 20 anni a investimenti congiunti nel settore militare e nella acquisizione di tecnologie di ultima generazione. L’obiettivo presente è quello di ridurre la dipendenza militare e tecnologica UE da Paesi terzi e da qui il tentativo di guidare anche le acquisizioni di proprietà di aziende per evitare che altri paesi vengano a prendersi la tecnologia e la produzione del vecchio continente utilizzandole per competere alla fine con la stessa UE. Fin qui tutto chiaro, poi ci saranno i prestiti Safe in deroga ai tetti di spesa e al limite imposto all’indebitamento statale, anche i fondi previsti, richiesti da 19 stati membri della UE, sono già destinati a progetti e piani regolarmente sottoscritti. L’uso della clausola permetterà ai Paesi che ne fanno richiesta – e sono stati la maggioranza – di “sforare” fino all’1,5 % del PIL i limiti fissati al deficit pubblico per nuovi investimenti sulla difesa. A tutt’oggi i fondi del piano SAFE – richiesti da 19 Stati membri – sono già stati interamente sottoscritti.  Ma qualche passo in avanti la UE dovrà farlo in tempi relativamente celeri per droni, missili e la difesa aerea per acquisire l’auspicata “capacità strategica indipendente” ma “complementare” con i piani militari della NATO.  Nei fatti alla voce “Resilience and security, defence industry and space” sono previste cifre di gran lunga superiori alle iniziali previsioni, si parla di 130,7 miliardi di euro per sette anni, il che imporrà a mettere mano al Bilancio UE che queste enormi somme non ha stanziato con le dovute coperture. È bene ricordare l’obiettivo di portare in pochi anni la spesa al 5 % del PIL con un 3,5 per la difesa in senso stretto e un 1,5 per gli investimenti in sicurezza (infrastrutture per energia, trasporti e digitale), quello che vediamo nelle manovre di Bilancio è solo l’antipasto della economia di guerra. Si tratta di far andare d’accordo allora non solo gli impegni assunti in seno alla UE, ma anche quelli presi in ambito NATO, di sicuro gli incentivi finanziari e fiscali dell’UE potrebbero andare in via privilegiata ad integrare i bilanci nazionali per dare impulso alla industria militare europea, ci sarà da capire se tutte le aziende del vecchio continente vorranno muoversi in questa direzione o se invece subiranno le forti pressioni di importanti azionisti extra europei. Se il sostegno all’Ucraina è il banco di prova della vincente sinergia tra paesi UE i prossimi mesi sapranno offrirci qualche elemento in più, di sicuro noi siamo certi che il disimpegno USA dagli scenari europei sia funzionale all’accrescimento della spesa militare del vecchio continente e  avere maggiori risorse da concentrare in settori nei quali i ritardi europei sono assai evidenti. E non possiamo escludere che parte dei fondi finirà nelle tasche degli USA che guadagneranno somme ingenti dalla vendita delle loro piattaforme e tecnologie senza le quali la industria Ue almeno in campo missilistico e spaziale non potrà acquisire le competenze necessarie. Ecco spiegata la ragione del dibattito, serrato sulla necessaria “europeizzazione” dell’EDTIB che potrebbe tradursi nella standardizzazione degli equipaggiamenti militari europei ragionando in una ottica comunitaria e non più nazionale. I grandi gruppi come Airbus, Rheinmetall, Dassault, Safran, Thales, MBDA e KNDS, BAE Systems, Leonardo saranno sempre più protagonisti delle scelte industriali nell’immediato futuro, non desti meraviglia la crescita esponenziale delle deroghe anche in materia di appalti per velocizzare l’affidamento e la realizzazione di sistemi di arma. Al contempo gli investimenti saranno rivolti in misura quasi assoluta alla continua trasformazione delle tecnologie dual use per portare i necessari cambiamenti alla industria militare, al modello di difesa oggi esistenti. Le ripercussioni sulla ricerca sono scontate, i finanziamenti saranno selezionati e debitamente indirizzati, la lunga mano delle imprese di armi e delle Fondazioni ad esse legate sulla ricerca e sull’università andrà di pari passo al depotenziamento degli investimenti pubblici verso tutti quei settori, quelle branche di studio, estranei al grande riarmo. Fonti: https://www.consilium.europa.eu/it/policies/defence-industry-programme Difesa: il nuovo cantiere dell’industria europea  | ISPI EDIP è un Regolamento proposto dalla Commissione per iniziare a implementare misure concrete identificate in EDIS. https://defence-industry-space.ec.europa.eu/eu-defence-industry/edis-our-common-defence-industrial-strategy_en State of the Union Address by President von der Leyen Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Leonardo ed Edge Group: la nuova joint venture delle armi negli Emirati Arabi Uniti
Ogniqualvolta la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni si reca all’estero è solita essere accompagnata da delegazioni di imprenditori, ma nel caso delle visite nel Golfo Persico il ritorno per la industria italiana è rappresentato dalle ordinazioni alle imprese produttrici di armi. EDGE Group e Leonardo SpA, a metà 2025, dichiaravano di voler dare vita a una joint venture (JV) ad Abu Dhab e a distanza di pochi mesi l’operazione entra nel vivo con una ripartizione di quote societarie pari, rispettivamente, al 51% e del 49%. Quali saranno le attività svolte da questo colosso industriale? C’è solo l’imbarazzo della scelta come leggiamo testualmente da un comunicato di Leonardo pubblicato anche da Analisi difesa: https://www.leonardo.com/it/press-release-detail/-/detail/19-11-2025-edge-group-and-leonardo-announce-key-milestone-toward-landmark-joint-venture-in-the-uae Riportiamo alcuni dettagli dell’accordo: «Progettazione, sviluppo, collaudo, industrializzazione e produzione, vendita e leasing, supporto e addestramento per l’intero ciclo di vita per i prodotti della JV negli Emirati Arabi Uniti, i diritti di proprietà intellettuale, nonché la formazione professionale della forza lavoro locale. I prodotti della JV saranno commercializzati in UAE e, dal paese, verso mercati export selezionati. La gamma oggetto di analisi sarà individuata tra soluzioni proposte da Leonardo che spaziano dal settore della sensoristica a quello dell’integrazione di sistemi e alle piattaforme». Leonardo SpA non ha bisogno di presentazioni, è una delle principali aziende compartecipate dello Stato italiano produttrici di armi, ha numerose alleanze e alcune join venture con importanti multinazionali in Europa e nel mondo, le più rilevanti quanto a sistemi tecnologici di ultima generazione. EDGE è a sua volta tra i primi gruppi al mondo proprio nel settore della tecnologia avanzata. Perché la scelta è ricaduta sugli Emirati Arabi Uniti? Perché intendono costruire una sorta di grande «hub globale per le industrie del futuro e creare percorsi chiari per la prossima generazione di talenti altamente qualificati». Parliamo delle ultimissime ed emergenti tecnologie, della trasformazione digitale, dell’utilizzo della IA per applicazioni militari di ogni genere: Piattaforme e Sistemi, Missili e Armamenti, Spazio e Tecnologie Cyber, Trading & Mission Support, Tecnologia e Innovazione, Sicurezza Nazionale. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Nuovo Piano per il Riarmo continentale. Analisi del Libro Bianco della Difesa Europea
Il Libro Bianco per la Difesa Europea, uscito a metà Marzo 2025, resta tra i documenti meno letti dalle realtà contro la guerra, tuttavia, se incrociato con la più recente pubblicazione del Bilancio Europeo[1] suscita preoccupazioni tanto forti da renderne indispensabile un approfondimento analitico. Se la Bussola Europea era il documento strategico contenente gli atti di indirizzo per le strategie politico-economiche del vecchio continente, questo Libro Bianco Europeo definisce il quadro strategico operativo di Rearm Europe ossia l’intero piano piano industriale per il riarmo continentale. Il Bilancio traccia le coordinate per il riarmo e spingendo verso lo sviluppo di una rete di collegamenti stradali, ferroviari ed energetici fondamentali per quella mobilità militare che attraverserà i Paesi membri fino all’Ucraina. Il libro bianco entra nel merito di alcune questioni, dalle facilitazioni procedurali atte a rapide concessioni di appalti militari alle spese per la difesa in deroga alle regole vigenti per tutte le altre voci all’interno del Bilancio nazionale. E, infine, consideriamo che «il Libro bianco sarà seguito dalla strategia dell’Unione per la preparazione, che definirà un approccio integrato multirischio alla preparazione ai conflitti e alle crisi, e dalla strategia di sicurezza interna dell’UE, che fornirà un quadro completo e unificato per prevenire, individuare e rispondere efficacemente alle minacce alla sicurezza»[2]. Per comprendere il documento è bene sapere che lo stesso si articola in tre ambiti: esposizione delle tesi politiche a sostegno del riarmo; individuazione delle “lacune” nel settore della difesa; definizione di un quadro strategico per le relazioni geopolitiche con i principali attori internazionali (compresa l’Ucraina). Ma andiamo con ordine, per agevolare la lettura divideremo  l’esposizione in alcuni capitoli. LE TESI DELLA COMMISSIONE EUROPEA A SOSTEGNO DEL RIARMO «L’Europa si trova ad affrontare una minaccia acuta e crescente. L’unico modo per garantire la pace è essere pronti a fermare coloro che vorrebbero farci del male». Così inizia il Libro Bianco, ed è tutto dire! Secondo la Commissione «un nuovo ordine internazionale si formerà nella seconda metà di questo decennio e oltre. Se non plasmeremo questo ordine – sia nella nostra regione che altrove – saremo destinatari passivi delle conseguenze di questo periodo di competizione interstatale, con tutte le conseguenze negative che potrebbero derivarne, inclusa la prospettiva concreta di una guerra su vasta scala. La storia non ci perdonerà l’inazione»[3]. La prima tesi del Libro Bianco, dunque, è che se non vi sarà proiezione di potenza per l’Unione Europea, arriverà la guerra; «su vasta scala». L’idea è che lavorando per rafforzare il cosiddetto “blocco occidentale” si possa riuscire a tenere sotto scacco le altre aree del globo e mantenere, in linea di massima, l’attuale status quo. A nostro parere, tuttavia, la consapevolezza della possibilità di uno scontro armato di elevata intensità nel futuro è ben diffusa tra le classi dirigenti, e l’idea che l’Ue possa eccellere nel settore produttivo della difesa fino al punto da dissuadere i propri avversari è quantomeno arrischiata. Piuttosto, si lotta per non rimanere indietro nel prossimo decennio[4]. Accrescere la competitività del Vecchio Continente è, del resto, la premessa indispensabile per attuare poi il piano di Riarmo attraverso una sorta di percorso virtuoso che va dalla semplificazione delle procedure amministrative, l’eliminazione degli ostacoli interni al mercato unico, linee di finanziamento rapide ed efficienti fino a una sorta di unione dei risparmi e degli investimenti intende creare nuovi prodotti di risparmio e investimento, incentivare il capitale di rischio e permettere la continuità del flusso degli investimenti in tutta l’UE per chiudere con un grande piano atto a promuovere e sviluppare le competenze indispensabili a questo grande salto economico e militar industriale per accrescere la tecnologia e la qualità dei posti di lavoro[5]. Gli autori del Libro Bianco sostengono che «È giunto il momento per l’Europa di riarmarsi. Per sviluppare le capacità e la prontezza militare necessarie a scoraggiare in modo credibile le aggressioni armate e garantire il nostro futuro, è necessario un massiccio aumento della spesa europea per la difesa»[6]. L’intero documento in esame propone una costante drammatizzazione dell’esistente, evitando nella maniera più assoluta di prefigurare alternative, traiettorie di sviluppo differenti, fosse anche solo come prospettiva ideale: bisogna mirare al sodo delle questioni evitando di ammettere la possibilità di percorsi alternativi al riarmo. Per l’appunto, vi si trova scritto che se non si potenzierà il settore militare, «In un’epoca in cui le minacce proliferano e la concorrenza sistemica aumenta, (…) l’Europa sarà meno in grado di decidere del proprio futuro e sarà sempre più strumentalizzata da grandi blocchi economici, tecnologici e militari che cercano di ottenere un vantaggio su di noi»[7]. La terza e ultima tesi principale riguarda l’interpretazione del quadro della competizione “geopolitica”, che per la Commissione è caratterizzato dalla «corsa tecnologica globale» e dall’«approvvigionamento di materie prime essenziali»[8]. Pertanto la strategia di sviluppo militare includerà l’avanzamento delle filiere tecnologiche e dell’Intelligenza Artificiale – in particolare premendo sulle tecnologie dual use – e la diversificazione, nonché la sicurezza, delle fonti di approvvigionamento. LE “LACUNE” ESISTENTI NEL SETTORE DELLA DIFESA La prima problematica è la mancanza di economia di scala nei settori commerciale e produttivo della difesa. Ciò comporta in primo luogo la carenza di scorte di attrezzature militari, munizioni e armamenti, inoltre la mancanza di collaborazione tra gli Stati membri impone tutta una serie di difficoltà economiche aggiuntive che, secondo la Commissione, potrebbero essere evitati, come ad esempio i costi di conformità (adeguamento delle imprese alle certificazioni e alla normativa di ogni singolo Paese) e la difficoltà nell’attrarre investimenti privati. Di conseguenza, si perdono opportunità di sfruttare le economie di scala europee per ridurre i costi unitari. (…) L’approvvigionamento collaborativo è il mezzo più efficiente per procurarsi grandi quantità di “materiali di consumo” come munizioni, missili e droni. Ma l’approvvigionamento collaborativo è fondamentale anche per la realizzazione di progetti più complessi, poiché l’aggregazione della domanda limita i costi, invia segnali di domanda più chiari agli operatori del mercato, riduce i tempi di consegna e garantisce interoperabilità e intercambiabilità[9]. Al fine di limitare la carenza di approvvigionamenti militari l’Ue ha deciso di sostenere in vario modo la nascita e lo sviluppo di partenariati fra Stati, gli acquisti collaborativi e la creazione di «riserve strategiche localizzate in modo ottimale (o pool di prontezza industriale per la difesa) di prodotti per la difesa realizzati nell’UE»[10]. Tutto ciò nella consapevolezza che, comunque, rispetto a un decennio fa, «gli Stati membri acquistano fino a quattro volte più equipaggiamenti»[11]. Per attrarre gli investitori privati, invece, la Commissione punta a deregolamentare il mercato, semplificando la normativa e facilitando la concessione di appalti e i permessi per le operazioni finanziarie[12]. La seconda “lacuna” del sistema militare europeo consiste nella carenza di infrastrutture logistiche per la mobilità militare. Il primo mezzo per risolverla viene individuato nella facilitazione dei permessi: La mobilità militare è ostacolata dalla burocrazia, che spesso richiede sia l’autorizzazione diplomatica specifica per i trasporti militari sia il rispetto delle normali norme e procedure amministrative. (…) l’UE e gli Stati membri devono semplificare e snellire immediatamente regolamenti e procedure e garantire alle forze armate l’accesso prioritario alle infrastrutture, alle reti e ai mezzi di trasporto, anche nel contesto della sicurezza marittima[13]. Per colmare entrambe queste “lacune” sarebbe necessario, dunque, potenziare l’azione comunitaria a dispetto di quella prettamente nazionale: ciò ha il significato – secondo le espressioni attualmente in uso – di un ulteriore trasferimento di “quote di sovranità nazionale” dai governi dei singoli Paesi alle istituzioni europee. Lo sviluppo di una rete logistica integrata comprenderà «l’ampliamento di gallerie ferroviarie, il rafforzamento di ponti stradali e ferroviari, l’ampliamento di terminal portuali e aeroportuali», senza però dimenticare di includere «un insieme completo di barriere fisiche»[14]. Per quanto nel documento in esame non se ne faccia esplicita menzione, sotto l’espressione “barriere fisiche” oggigiorno si intende, soprattutto sulla scorta dell’esperienza della guerra russo-ucraina, tutta una serie di infrastrutture militari di difesa particolarmente invasive per il territorio, e preoccupanti in sé, quali denti di drago, valli anti-carro, sistemi trincerati e bunker. Ma per la Commissione Europea non è un problema, anzi: si vuole «consentire il rapido rilascio di permessi di costruzione e ambientali per progetti industriali di difesa come questione prioritaria di interesse pubblico»[15]. La terza problematica che il Libro Bianco evidenzia è l’insufficiente spesa per la difesa, e questo aspetto viene volutamente drammatizzato per giustificare un esponenziale aumento degli investimenti a fini militari. Ciò, nonostante «La spesa per la difesa degli Stati membri è cresciuta di oltre il 31% dal 2021, raggiungendo l’1,9% del PIL complessivo dell’UE, ovvero 326 miliardi di euro, nel 2024. Nello specifico, gli investimenti nella difesa hanno raggiunto la cifra senza precedenti di 102 miliardi di euro nel 2024, quasi raddoppiando l’importo speso nel 2021». Il motivo è presto detto: un tale livello di spesa rimane «di gran lunga inferiore a quella degli Stati Uniti e, cosa ancora più preoccupante, inferiore a quella di Russia o Cina»[16]. Dunque, grazie alla flessibilità concessa allentando i vincoli di bilancio per le spese militari e grazie alle facilitazioni (come, ad esempio, il non pagamento dell’Iva sugli acquisti di armamenti realizzati tramite il programma Safe) costruite ad arte per rendere possibili e accelerare i processi in atto, nei prossimi anni gli Stati membri potrebbero «mobilitare spese aggiuntive per la difesa fino all’1,5% del PIL»[17]. Un ulteriore aspetto preoccupante, teso sempre ad aumentare la spesa militare, consiste infine nella rimozione «delle limitazioni nelle politiche di investimento delle istituzioni finanziarie pubbliche e private»[18]. IL QUADRO STRATEGICO Il Libro Bianco traccia delle coordinate per le relazioni politico-economiche dell’Unione Europea con gli altri Stati. Vi è detto piuttosto chiaramente che «La NATO rimane il pilastro della difesa collettiva dei suoi membri in Europa», e che i maggiori sforzi per la difesa europea si baseranno «sulla profonda ed estesa catena di approvvigionamento transatlantica»[19], nella quale sono inclusi a pieno titolo il Regno Unito, la Norvegia e il Canada, che non appartengono all’Unione. La cooperazione militare viene estesa agli Stati vicini all’Ue, compresi quelli “di confine” tra i cosiddetti oriente e occidente, rivendicando l’obiettivo di «promuovere la pace, la sicurezza e la stabilità nel nostro continente e oltre»[20]: la Moldavia e l’Ucraina, da un lato; la Macedonia del Nord e il Montenegro dall’altro. Sulle ambiguità delle posizioni turche la Commissione trova poco da dire, mentre i principali partner asiatici in materia di sicurezza vengono individuati in Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Non viene esclusa l’India, alla quale anzi viene dato particolare risalto in virtù dei proficui rapporti sul tema della sicurezza delle rotte marittimo-commerciali. Sulla questione taiwanese vi è un passaggio particolarmente chiaro: «Il cambiamento dello status quo di Taiwan aumenta il rischio di una grave perturbazione che avrebbe profonde conseguenze economiche e strategiche per l’Europa. (…) un’escalation delle tensioni nello Stretto di Taiwan potrebbe impedire all’UE di accedere a materiali chiave, tecnologie e componenti critici»[21]. Evidentemente – e ovviamente – da parte della classe dirigente europea c’è piena consapevolezza del ruolo-chiave dell’isola per l’economia internazionale. A nostro avviso uno dei motivi principali è l’importanza che essa riveste per la filiera dei semiconduttori – che da sola, nel 2022, regalava alla Germania l’equivalente di un terzo del Pil italiano di allora[22]. Taiwan è uno dei pochi Paesi ad avere la capacità di produrre semiconduttori al di sotto dei 2 nanometri, e questo già da qualche anno, e mentre sia in Asia che in Usa si arriva a chip della dimensione di 2 nanometri, in Ue non esistono fonderie che vadano al di sotto dei 22, per quanto nella tedesca Dresda sia in costruzione uno stabilimento – costato ben 10 miliardi di €, di cui 5 gentilmente offerti dallo Stato[23] – che a partire dal 2027 potrà destinare parte della produzione a chip tra i 16 e i 12 nanometri. Ma del resto «una fabbrica di semiconduttori in Europa costa il 33% in più di una fabbrica in Corea del Sud, 43 % in più che in Taiwan e 63% in più che in Cina»[24]. Inoltre, al 2019 «Corea del Sud e Taiwan detengono il 50% del mercato della produzione di semiconduttori all’avanguardia»[25]. La rottura delle catene di approvvigionamento di semiconduttori per causa di un’invasione cinese di Taiwan, dunque, comporterebbe danni economici incalcolabili, che si rifletterebbero a catena su tutte le principali filiere tecnologiche, da quella dei robot industriali all’automotive. Infine, la questione Ucraina. È previsto un aumento corposo delle forniture militari e del sostegno all’industria bellica di questo Paese, in particolare attraverso l’emissione di ordini di fornitura da parte degli Stati membri, ossia facendosi vendere armi dall’Ucraina. Cosa ancor più preoccupante, però, è l’integrazione di un Paese – lo ricordiamo, attualmente in guerra – nel sistema di difesa militare europeo. Questa avverrà concedendo all’Ucraina di partecipare ai programmi spaziali europei (è ancora da valutare in quale misura), relazionando a livello produttivo e commerciale le rispettive industrie della difesa e creando partnership con le start-up europee del settore. Soprattutto, però, nel Libro Bianco è detto che «I corridoi di mobilità militare dell’UE dovrebbero estendersi fino all’Ucraina, il che migliorerebbe l’interoperabilità e costituirebbe un’ulteriore garanzia di sicurezza per scoraggiare future aggressioni»[26]. CONCLUSIONI Il Libro Bianco della Difesa, insomma, in una titanica lotta contro il tempo vuole gettare le basi per costruire una industria europea capace di espandersi in altri continenti e ampliare così le proprie aree di mercato, in accordo con la Nato ma anche in competizione con i prodotti Usa. La Ue pensa di sfidare l’economia statunitense anche sul suo terreno preferito, quello della produzione di armi e dei processi tecnologici innovativi in campo duale – validi sia per il civile che per il militare –, e un singolo paese del resto non avrebbe le risorse necessarie per compiere un tale salto di qualità. Proprio da qui parte quel ragionamento complesso che mette insieme i principali Paesi membri, ridisegna le regole comunitarie in materia di spesa e di bilancio, deroga alle norme che limitavano le spese, prefigura un nuovo indebitamento funzionale al lancio della nuova industria militare e ipotizza un futuro radioso per le imprese comunitarie con alleanze rinnovate, joint venture e percorsi comuni di ricerca su processi innovativi in ambito duale. Una linea per cui il Libro Bianco è fortemente debitore del famigerato Rapporto Draghi pubblicato nell’autunno scorso. È possibile che il riarmo porterà con sé ulteriori difformità fra uno Stato membro e l’altro, ampliando i divari interni all’Ue: molti Paesi non sono pronti alla riconversione bellica della propria industria, e le joint ventures più incisive, svolgendosi tra i paesi più forti, porteranno a una ulteriore divaricazione con i più deboli. L’Italia, di per sé, ha una economia claudicante e – da ex grande potenza industriale – è risultata in ritardo rispetto a diversi ambiti della competizione economica. Nel caso della difesa, però, parte da una posizione agevolata: il suo settore armiero non è mai entrato in crisi… anzi! Ha una notevole articolazione interna, spaziando dalle armi leggere a quelle pesanti e a maggiore connotazione tecnologia. Perciò, l’insistenza dei nostri giornali sulla necessità del riarmo ha una sua, certo canagliesca, razionalità. Non è che il riarmo porterà con sé ulteriori difformità in seno all’Ue? Molti paesi non sono pronti alla riconversione bellica della propria industria. E le joint ventures più incisive, svolgendosi tra i paesi più forti, porteranno a una ulteriore divaricazione con i più deboli. Per l’immediato futuro, l’Italia non potrà eludere una questione dirimente come fare i conti con la sua economia claudicante – da ex grande potenza industriale – in ritardo rispetto a diversi ambiti propri della competizione economica. Al contrario di altri paesi tuttavia l’industria bellica italiana non è mai entrata in crisi e presenta una notevole articolazione interna, spaziando dalle armi leggere a quelle pesanti con maggiore connotazione tecnologia. Perciò, l’insistenza dei nostri giornali sulla necessità del riarmo ha una sua, certo canagliesca, razionalità E. Gentili, F. Giusti, S. Macera, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università -------------------------------------------------------------------------------- [1] E. Gentili, F. Giusti, Analisi Bilancio UE: guerra, difesa e (poca) crescita, 26 Agosto 2025, https://diogenenotizie.com/analisi-bilancio-ue-guerra-difesa-e-poca-crescita/. [2] Commissione Europea, Libro Bianco per la Difesa Europea – Readiness 2030, p. 6. [3] Ivi, p. 2. [4] Parimenti, nel documento denominato “Bussola Europea” si individuavano tre obiettivi strategici per il rilancio della Ue, riprendendo i contenuti del Piano Draghi: colmare il deficit di innovazione, decarbonizzare l’economia e ridurre le dipendenze dagli ordini di fornitura. [5] https://commission.europa.eu/topics/eu-competitiveness/competitiveness-compass_it. [6] Ivi, p. 3. [7] Ivi, p. 4. [8] Ivi, p. 5. [9] Ivi, p. 8. [10] Ivi. P. 10. [11] Ivi, p. 13. [12] Cfr. ivi, p. 15. [13] Ivi, p. 8. [14] Ivi, pp. 8 e 9. [15] Ivi, p. 9. [16] Ivi, p. 16. [17] Ibidem. [18] Ivi, p. 17. [19] Ivi, pp. 18 e 19. [20] Ibidem. [21] Ivi, p. 5. [22] Darp (Deutscher aufbau und resilienzplan), p. 367. [23] Commissione Europea, Commission approves €5 billion German State aid measure to support ESMC in setting up a new semiconductor manufacturing facility, Comunicato stampa, 20 Agosto 2024. [24] L. Alessandrini, L’industria dei semiconduttori, LUISS 2022, p. 48. [25] E. Gentili, F. Giusti, S. Macera, Attraversando il Pnrr, «Machina». I semiconduttori all’avanguardia sono quelli stampati su wafer in silicio inferiori ai 300 mm. [26] Commissione Europea, Libro Bianco …, p. 11.
L’Unione Europea palesa divisioni sulle strade da intraprendere per il Riarmo
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato: “Accolgo con favore l’accordo sul programma per l’industria europea della difesa. 1,5 miliardi di euro per rafforzare l’industria europea della difesa, sostenere l’Ucraina e garantire che la difesa sia pronta entro il 2030, in linea con la nostra tabella di marcia “Preservare la pace”. Perché quando investiamo nella prontezza, investiamo nella pace. Congratulazioni alla presidenza danese per aver portato a termine questo programma cruciale”. Con un bilancio di 1,5 miliardi di euro per il periodo 2025-2027, l’EDIP introduce misure mirate per affrontare le principali sfide che l’industria europea della difesa deve affrontare, tra cui l’industrializzazione dei prodotti per la difesa, l’espansione industriale, il sostegno alle catene di approvvigionamento e alle PMI europee e lo sviluppo della base industriale e tecnologica della difesa dell’Ucraina (clicca qui). L’UE vuole armarsi e farlo in fretta da qui ai prossimi cinque anni, prova ne sia che stanno ragionando su come arrivare a questo risultato utilizzando il riarmo per rilanciare una industria bellica comunitaria con aziende alleate e tra loro in sinergia evitando quei conflitti interni che hanno portato solo acqua al mulino delle multinazionali USA. Tra i motivi di preoccupazione e divisione la questione del debito tanto che il commissario europeo per la difesa Andrius Kubilius prende le distanze dagli Eurobond pensando che una economia in serie difficoltà abbia già problemi a pagare il debito esistente e per questo si dovrà limitare al piano di Readiness 2030. La bassa crescita, o la decrescita, dell’economia comunitaria, l’arrivo dei dazi USA si aggiungono ai debiti contratti negli anni pandemici con le sovvenzioni concesse ai paesi membri e che pesano per quasi il 30 per cento delle spese annuali, per questo viene suggerita maggiore cautela almeno fino a quando non saranno recuperati i debiti per i prestiti post covid. Ma fatti due conti si capisce che l’Europa sta già spendendo tanto per la difesa, decisamente più di quanto potrebbe permettersi ossia 2.400 miliardi di euro come da decisione assunta, a inizio primavera, quando era stato annunciato l’investimento 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni. Per raggiungere questi obiettivi la UE ha permesso che la spesa militare andasse in deroga ai tetti di spesa previsti dalle norme comunitarie, ma le difficoltà incontrate sono forse legate al capitale privato il cui impegno è decisamente inferiore alle aspettative. E investimenti per la difesa nel bilancio comune si vanno a scontrare anche con i progetti specifici di nuove armi con aziende nazionali contrapposte e impegnate nella produzione di sistemi tra loro concorrenziali facendo la fortuna alla fine degli Usa che si sono assicurati importanti forniture per la realizzazione di tutti questi sistemi bellici. I 150 miliardi di euro del prestito finanziario chiamato “Safe” sono giudicati una manna dal cielo ma insufficienti, sarà un problema produrre armi sufficienti perché il 65% dei prodotti sia acquistato all’interno della UE, non è quello delle armi un settore in sovrapproduzione ma piuttosto vive problemi opposti. L’attenzione si sposta allora sui possibili accordi di partenariato per l’UE e qui entrano in gioco alcuni paesi con i quali costruire un accordo privilegiato pur sapendo che 650 miliardi di euro del piano da 800 miliardi di euro potranno essere a beneficio di importazioni da altri Stati e scelti liberamente senza alcuna pianificazione. La UE vuole poi definire una volta per tutte le spese per la difesa che per alcune nazioni includono anche altre voci, una preliminare intesa dovrà definire gli ambiti di spesa e la stessa nozione di spesa visto che alcuni paesi, ad esempio l’Italia, vorrebbe includere anche gli investimenti per l’antiterrorismo e genericamente per la sicurezza. Se dovesse prevalere questa ipotesi ci troveremmo davanti a un ampliamento della nozione di difesa a mero discapito della ricerca e produzione di sistemi tecnologici e di armi vere e proprie. E nel caso di investimenti nella informatica e nella AI Israele e Usa potrebbero trarre importanti vantaggi economici Per giustificare lo straordinario aumento delle spese militari a sinistra si suggerisce di includere anche la lotta al cambiamento climatico giusto per alzare una cortina di fumo rispetto al grande riarmo, una via di uscita che rappresenterebbe una sorta di alternativa alle fobie delle destre contro gli attacchi informatici e terroristi e per prevenire i quali alcuni paesi propongono ulteriori investimenti utilizzando parte dei fondi già stanziati.  E per accelerare la spesa militare Ue si dice che la Russia spenda molto più della Europa, al contrario invece, nel 2024, la spesa militare europea è stata superiore del 58% rispetto a quella di Mosca: 730 miliardi di dollari internazionali contro 462 miliardi. A fornire questi dati non siamo noi ma l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (CPI) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. In ogni caso la via verso il Riarmo UE è già tracciata dal corposo libro bianco scaricabile anche dalla rete: Fai clic per accedere a e6d5db69-e0ab-4bec-9dc0-3867b4373019_en Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Anticipazioni sulla prossima manovra finanziaria: flat tax, difesa e fittizia occupazione
COME IL GOVERNO UTILIZZA L’AUMENTO (FITTIZIO) DELL’OCCUPAZIONE Tanto ottimismo da parte del Governo non sarebbe giustificato alla luce dei recenti dati statistici: la crescita economica in termini reali del 2024 è stata più o meno la stessa dell’anno precedente; ha fatto eccezione qualche timido segnale di miglioramento sul deficit che ha subito fatto sperare all’Italia di potere superare le criticità e il regime di controllo a cui si viene sottoposti da parte di Bruxelles per il superamento della fatidica soglia del 3%. Ma i dati non significano nulla senza il contesto a cui fanno riferimento. Un Paese che non cresce e che, allo stesso tempo, vede collocato l’85% della base imponibile Irpef tra i redditi da lavoro dipendente non può essere un Paese “sano”. Non per niente, infatti, quando ultimamente si parla di ridurre ulteriormente la pressione fiscale per le aziende si fa riferimento a quell’esigua crescita del numero degli occupati (una “crescita” basata sull’aumento dei contratti precari e del numero degli occupati più anziani) che ha portato un leggero incremento del gettito contributivo. Come a dire: la ricchezza la genera il lavoro dipendente ma a beneficiarne sono le imprese, e al contempo si ignorano gli effetti positivi che un reale e significativo aumento dell’occupazione potrebbe comportare per l’economia, in primis per le cosiddette “spese improduttive” (pensioni, welfare state, servizi…). Sicuramente sarebbe utile introdurre un maggior numero di aliquote fiscali, per bilanciare la situazione, ma il Governo ha voluto la “flat tax” che è l’esatto opposto. Una scelta veramente coraggiosa, all’opposto, sarebbe stata quella di aumentare le tasse per le imprese e i redditi elevati, destinando i maggiori introiti a investimenti reali, dal welfare all’aumento dei salari. Si tratterebbe di una manovra che allontanerebbe il contenimento del debito ma con effetti benefici sulla classe lavoratrice; una scelta siffatta romperebbe la gabbia di Bruxelles, quella stessa in cui la Meloni, al pari di chi l’ha preceduta, ci ha rinchiuso. ANTICIPAZIONI SULLA PROSSIMA MANOVRA FINANZIARIA Il Ministro Giorgetti ha anticipato i principali contenuti del Disegno di Legge di Bilancio per il triennio 2026-2028, da cui, dopo il passaggio in Consiglio dei Ministri, nascerà la Legge di Bilancio vera e propria. Questa dovrebbe prevedere interventi pari a circa 18 miliardi annui di media. Al centro della manovra si troverà l’approfondimento della flat tax, l’imposta non progressiva basata sulla logica della riduzione fiscale complessiva, anche per i redditi bassi, in ragione della diminuzione del peso fiscale su quelli più alti e del supposto, conseguente effetto benefico su tutte le fasce di reddito. Per cui prosegue la riduzione della tassazione sui redditi da lavoro, con la seconda aliquota IRPEF che dall’attuale 35% passerà al 33%. La riduzione del numero delle aliquote è cosa vecchia: Nel 1998 l’aliquota minima aumentò al 18,5 per cento e la massima scese al 45, mentre gli scaglioni diminuirono da sette a cinque. Nello stesso anno, poi, i redditi da capitale iniziarono ad essere tassati in maniera proporzionale, non più progressiva (vennero, cioè, eliminate le variazioni di aliquota all’interno dello scaglione, indipendentemente dalle dimensioni dei redditi da capitale da tassare). Complessivamente si può affermare che dal 1974 al 2022 le aliquote per i redditi bassi siano aumentate, mentre sono invece diminuite quelle per quelli alti. Così come il numero di scaglioni: nel 1974 ce ne erano 32, col 10% come aliquota minima e il 72% come massima; nel 2022 abbiamo 4 scaglioni, 23% di aliquota minima, 43% di massima[1]. Secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, inoltre, «per il complesso dei lavoratori dipendenti le modifiche normative hanno comportato una riduzione del prelievo di circa 3 punti percentuali, che viene tuttavia più che compensata dall’effetto del drenaggio fiscale, pari a circa 3,6 punti percentuali, con un saldo sul reddito disponibile negativo per circa 0,6 punti»[2]. Il drenaggio fiscale è proprio quell’effetto per cui, a causa dell’inflazione, cresce il proprio reddito nominale mentre si contrae quello reale e pertanto si viene tassati di più anche se in realtà si possiede di meno. In breve, si tratta dell’effetto dell’inflazione sulle imposte, proprio ciò da cui la flat tax dovrebbe difendere i lavoratori dipendenti, diminuendo il numero di aliquote. Eppure, i dati parlano chiaro: senza indicizzazione all’inflazione l’unico effetto conclamato è la riduzione del peso fiscale sui redditi alti (senza contare il fatto che diverse tipologie di reddito, ad esempio quelli da capitale o da attività finanziarie, non fanno più parte della base imponibile dell’imposta).  Quando parliamo la tassazione, inoltre, dovremmo anche considerare la diminuzione dei redditi reali – per dirla in breve, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie – e, nello specifico, la caduta del potere di acquisto dei salari. Siamo dunque convinti che non sarebbe stato preferibile un intervento strutturale a proposito di progressività delle aliquote, salari e democrazia nei luoghi di lavoro, invece che il prosieguo della flat tax e del percorso di regolamentazione normativa in favore della contrattazione di secondo livello e del cosiddetto “coinvolgimento dei lavoratori nella gestione dell’impresa”[3]? Per concludere, fra i contenuti della Manovra anticipati dal Ministro ci sono i circa 3,5 miliardi per la famiglia e contrasto alla povertà previsti per il prossimo triennio (assolutamente insufficienti se rapportati all’effettivo aumento della popolazione in povertà occorso negli ultimi anni[4]). Notizie dell’ultima ora dal pianeta previdenziale con la esclusione dei lavori usuranti dall’aumento di 3 mesi dell’età necessaria per andare in pensione in base all’aspettativa di vita. Per una maggioranza andata al Governo promettendo la cancellazione della Fornero un magro risultato e l’ennesima beffa ai danni di un elettorato ora smemorato e prima credulone. LA DIFESA Le spese per la difesa sono favorite attraverso il ricorso alla clausola di salvaguardia pensata appositamente per andare in deroga alla regola aurea del contenimento del rapporto debito/PIL. La UE non poteva rinunciare a uno dei suoi capisaldi, pur se risalente agli anni delle politiche economiche di austerità, ma al contempo doveva favorire la spesa per le armi: da qui il ricorso al sistema delle deroghe. Secondo le proiezioni, nel 2028 – ultimo anno previsto per applicare la clausola di salvaguardia – l’indebitamento risulterebbe più elevato rispetto ad oggi, ma la scommessa del Governo sembra essere quella di tenere a bada il rapporto debito/Pil nonostante l’aumento della spesa militare. L’idea è che «il 60 per cento della maggiore spesa venga soddisfatta attraverso l’importazione di beni militari»[5], il che farebbe aumentare il Pil, rendendo però la nostra economia sempre più dipendente dall’industria bellica e il nostro Paese via via più legato alle dinamiche pre-belliche che si svolgono negli ultimi anni, sotto i nostri occhi, tra le principali potenze globali. Tutta l’analisi del Governo e dei suoi centri studi parte dal presupposto che l’aumento delle spese militari produrrà effetti benefici sulla economia e che fondamentalmente il Pil sia destinato a crescere, assieme a un progressivo abbattimento del debito e all’aumento della produttività del lavoro. A pagare queste scelte sarà senza dubbio la classe lavoratrice mentre gli effetti benefici paventati dal Governo sono ancora da dimostrare e in ogni caso avrebbero come merce di scambio guerre e devastazioni in vaste aree del Globo. Federico Giusti ed Emilio Gentili, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università -------------------------------------------------------------------------------- [1] E. Gentili, L’attacco degli imprenditori. Roma: Sensibili alle foglie, 2025, p. 475. [2] Ufficio Parlamentare di Bilancio, Rapporto sulla politica di bilancio, Giugno 2024, p. 17. [3] E. Gentili, F. Giusti, S. Macera, Legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese, https://cub.it/legge-sulla-partecipazione-dei-lavoratori-alla-gestione-al-capitale-e-agli-utili-delle-imprese/. [4] https://www.openpolis.it/parole/che-cose-la-poverta-assoluta/. [5] Audizione della Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio nell’ambito delle audizioni preliminari all’esame del Documento programmatico di finanza pubblica 2025 (Doc. CCXLIV, n. 1), p. 84.