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Conflitti globali in corso, interviste de La Casa del Sole TV
Il mondo sta affrontando un numero di conflitti che è il più alto dalla Seconda Guerra Mondiale, con 56 conflitti attivi che coinvolgono 92 Paesi. Solo nel 2024 si contano più di 233mila vittime e oltre 100 milioni di persone costrette a fuggire dalle proprie case. A commentare in studio il tema caldo del momento Jeff Hoffman de “La Casa del Sole TV, la giornalista Margherita Furlan, Angelo d’Orsi, già ordinario di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Torino e Antonio Mazzeo, giornalista, docente e attivista dell’Osservatorio, reduce dall’espulsione ad opera del governo israeliano per avere cercato di portare aiuti umanitari a Gaza a bordo della nave Handala di Freedom Flotilla. Qui il video della trasmissione
Protesta a Verona: “Rompiamo il silenzio contro il genocidio a Gaza”
Domenica 27 luglio 2025 dalle 22,45 alle 23,00 molte persone, appartenenti ad associazioni, partiti, cittadine/i hanno aderito all’invito di “Verona per la Palestina” e, “pentole alla mano” hanno disertato il silenzio “assordante” contro il genocidio e la criminale catastrofe in Palestina. Il frastuono è arrivato in Arena dove si stava rappresentando l’Aida e dove è accaduto un fatto eccezionale. All’improvviso, tra il primo e il secondo atto,nello spazio dei sottotitoli che appaiono sull’ apposito schermo, è apparsa la bandiera palestinese e la scritta STOP GENOCIDE. Il pubblico ha iniziato ad applaudire, l’orchestra e il coro hanno cominciato a battere i piedi in segno di condivisione. La foto di quanto stava accadendo nell’anfiteatro è arrivata a qualche cellulare in P.zza Bra’, rafforzando così il frastuono di pentole, coperchi, fischietti e strumenti musicali quali i piatti e i tamburelli. L’autore del fatto è un giovane pianista, Francesco Orecchio, addetto ai sottotitoli, al suo ultimo giorno di lavoro in Arena, in partenza per l’Olanda dove lavorerà per il Teatro dell’Opera della capitale Olandese. Orecchio, intervistato, ha affermato che l’azione è stata una sua decisione personale per aderire alla giornata di protesta contro il silenzio sul genocidio di Gazza e che sarebbe “felice se anche la Fondazione Arena aderisse al messaggio e lo inserisse stabilmente”. All’iniziativa di “rompere il silenzio” ha aderito anche il Comune di Verona di cui, ricordo, il Sindaco è Presidente della Fondazione, che ha fatto suonare il Rengo, una delle due principali campane della Torre dei Lamberti, in P.zza delle Erbe. Il Rengo veniva suonato, in passato, per convocare il Consiglio Comunale e per chiamare i cittadini alle armi in caso di emergenza. Hanno suonato in città, anche le campane di alcune chiese, compresa quella della Chiesa di S.Nicolo’ adiacente all’Arena L’Osservatorio ha aderito al flash mob e alla lettera, sottoscritta da associazioni e partiti in cui  si chiede alla Fondazione, fra l’altro, di “esprimere chiaramente la propria posizione in merito, così da contribuire a sgretolare il muro di silenzio dei governi e della comunità internazionale”. “COME PUÒ L’UMANITÀ ASCOLTARE MUSICA COSÌ BELLA, MENTRE UNA PARTE GRIDA DISPERATA E FERITA A MORTE?”  Miria Pericolosi – Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Verona
#stopthewar Il mondo in #guerra Il mondo sta affrontando un numero di conflitti che è il più alto dalla Seconda Guerra Mondiale, con 56 conflitti attivi che coinvolgono 92 Paesi. https://www.youtube.com/live/zCy_sGd41FM
Riconvertire l’industria a fini militari per superare la crisi sistemica
ANCHE SE SI PARLA, TROPPO POCO, DELLA FINANZIARIA DI GUERRA, LA RICONVERSIONE DELL’INDUSTRIA CIVILE A SCOPO MILITARE È GIÀ UNA REALTÀ Quando si parla di economia di guerra dovremmo fare riferimento allo spacchettamento di aziende e alla loro riconversione (in toto o in parte) a produzioni militari Merita attenzione quanto sta avvenendo attorno a Iveco Group NV, ce ne hanno parlato in anteprima Bloomberger e Scenari Economici dando notizia dell’imminente cessione delle unità di difesa a Leonardo SpA, mentre la divisione specializzata nella produzione di veicoli commerciali è destinata alla multinazionale indiana Tata Motors Ltd. E l’arrivo di Leonardo è conseguenza del vivo interesse manifestato dalla multinazionale spagnola Indra, una delle aziende leader nel settore militari europeo e capace di raggiungere risultati straordinari in borsa. Qual è il valore economico della cessione di Iveco? La cessione di Iveco Defence a Leonardo spa è avvenuta per 1,7 miliardi, quella di Iveco group (senza la sezione difesa) a Tata Motors per 3,8 miliardi. Iveco in Italia ha circa 14.000 dipendenti dei 36 mila totali, conta su alcuni stabilimenti dislocati in varie parti del paese, da Torino (sede principale) a Brescia, da Suzzara (Mantova) a Foggia senza dimenticare Bolzano. Oltre 1000 dipendenti lavorano per Defence. La sede principale rimarrà a Torino, Tata ha dichiarato che non ci saranno esuberi, delocalizzazioni o chiusure di fabbriche, evidentemente questa operazione è il trampolino di lancio per l’ingresso dell’India nei mercati europei attraverso l’acquisizione, dopo la Guzzi, di un marchio rinomato. La crisi di Iveco si risolve con uno spezzatino aziendale e l’intervento diretto del Governo italiano per conservare la produzione in campo militare nel nostro paese rafforzando il polo produttivo nazionale, si parla in termini tecnici di mantenere un asset strategico sotto il controllo nazionale. Stando a Scenari Economici, l’ offerta vincente è stata quella arrivata dalla joint venture con la tedesca Rheinmetall AG per 1,6 miliardi di euro, debito incluso. Eppure anche la multinazionale spagnola si presentava con ottime credenziali soprattutto per avere attuato la riconversione di alcuni stabilimenti civili in militari come il sito produttivo di Duro Felguera a Gijón (Asturie) dove produrranno veicoli militari e carri armati d’Europa. Indra rappresentava un competitor pericoloso essendo tra le aziende leader nello sviluppo di sistemi elettronici che digitalizzano e forniscono informazioni ai veicoli corazzati e carri armati di ultima generazione, l’arrivo in Iveco di Leonardo ha evitato che sul territorio nazionale, dopo i turchi, arrivassero anche gli spagnoli. Sullo sfondo di queste acquisizioni lo scontro intestino tra paesi e multinazionali del vecchio paese per accaparrarsi le aree più ambite della produzione di armi e del mercato. E’ormai risaputo che la holding degli Agnelli, proprietaria dell’Iveco, abbia da tempo svincolato le proprie strategie dal settore automobilistico a favore di altre aree di investimento. E la sola preoccupazione del Governo italiano era quella di conservare la produzione italiana in campo militare nel nostro paese. Urgeva quindi scongiurare quanto già accaduto con Piaggio Aerospace, azienda  produttrice di sistemi ampiamente utilizzati dalle Forze armate italiane e acquistata nei mesi scorsi dal gruppo turco Baykar.  Piaggio Aerospace produce velivoli come il P.180 Avanti e sistemi aerei a pilotaggio remoto come il P.1HH HammerHead ma è uno dei punti di riferimento europei per la manutenzione degli strumenti bellici. L’aumento delle spese militari al 5% del Pil offre una occasione unica alle imprese attive nella produzione di armi, di pochi giorni fa la notizia che Fincantieri vorrebbe riconvertire due impianti produttivi civili tra i quali il cantiere di Castellammare di Stabia. E la stessa Piaggio Aeronautica annuncia la produzione di droni visto che la multinazionale turca oggi proprietaria del marchio è tra i principali esportatori degli aerei senza pilota. Chi pensava che l’Italia fosse ancora ferma dovrà ricredersi, non siamo ai livelli tedeschi con alcune aziende dell’indotto meccanico già riconvertite alla produzione dei sistemi di arma, ma decisamente avanti rispetto all’immaginario comune. E proprio dalla Germania arriva una notizia interessante ossia che in campo militare verranno reiterate le politiche di delocalizzazione già ampiamente attuate in campo civile e nel settore meccanico Rheinmetall ha lanciato una nuova rete di produzione in Romania per rafforzare il settore della difesa del Paese, per costruire nuove alleanze con aziende operanti nel settore della difesa ma in paesi nei quali il costo della forza lavoro è decisamente più basso. Le armi saranno quindi prodotte in un paese dell’est europeo che presto potrebbe diventare un distretto industriale tedesco fuori confine e sotto l’egida Nato. Poco sappiamo delle aziende militari presenti nei paesi ex Patto di Varsavia, parliamo di imprese che da anni operano a stretto contatto con multinazionali Usa e europee, in Romania produrranno veicoli da combattimento per le forze armate rumene ma anche munizioni destinate al mercato europeo. E anche in questo caso arriva il plauso del Governo locale che esulta davanti all’investimento di Rheinmetall per creare posti di lavoro e offrire il supporto tecnologico avanzato a paesi più arretrati che presto saranno interamente dipendenti dai grandi marchi smantellando magari produzioni civili a vantaggio di quelle militari
Contro guerre, genocidio e riarmo: manifestazione No Muos a Niscemi
L’appuntamento estivo di mobilitazione contro la guerra e le grandi opere militari, nello specifico contro il Muos, nei territori della Sughereta di Niscemi, che si tiene ormai da oltre dieci anni, assume oggi un significato e un’importanza ancora maggiori nel contesto di guerra dispiegata su più fronti e dell’avanzata del genocidio in Palestina durante gli ultimi mesi. Decine di organizzazioni politiche e sociali, collettivi e assemblee contro la guerra, circoli Anpi e associazioni, ma anche figure istituzionali, sostengono l’appello di convocazione della manifestazione che questo sabato sfilerà nella Sughereta di Niscemi, il parco naturale occupato dalla base militare e dal Muos. A fine giugno, i comitati No Muos hanno chiesto una sessione straordinaria e urgente del consiglio comunale, aperto al territorio, da tenersi in una piazza pubblica, per chiedere alle istituzioni quali misure intendano attuare per garantire la sicurezza in un territorio di fronte al rischio di diventare un obiettivo militare, per la presenza della base Muos e della stazione NRTF, ricordiamo, ad uso esclusivo delle forze armate statunitensi nel territorio. Non ci sono state risposte alla cittadinanza da parte dell’amministrazione, che ha preferito ricevere il comandante della base militare di Sigonella in visita ufficiale. Pochi giorni fa, lo scorso 24 luglio, all’interno del parco naturale della Sughereta, una delle zone più controllate del territorio, un incendio di enormi proporzioni ha devastato parte della riserva con colonne di fumo altissime visibili fin da Licata o Ragusa, come denunciato dagli attivisti e dalle attiviste del movimento No Muos. * * Sul sito i comitati No Muos scrivono: «Non sono bastati i canadair, gli elicotteri e le squadre di terra, il bosco ha continuato ad ardere per tutta la notte e ancora oggi [il 25 luglio, ndr] sono in corso le operazioni di spegnimento. L’incendio si è sviluppato il 24 luglio, non ad aprile o maggio per cui non si erano ancora prese le dovute misure precauzionali. Quali sono gli interventi di cura e difesa del territorio e dei boschi attuati dalla Forestale e dal Comune? Perché non hanno funzionato? Chi sta tacendo la verità? La magistratura interverrà questa volta per accertare tutte le responsabilità?». Proprio nelle strade della Sughereta il movimento contro la guerra e in difesa dei territori tornerà a manifestare questo sabato 2 agosto. «Se prima nei nostri appelli e documenti denunciavamo la tendenza alla guerra, oggi, purtroppo, siamo costretti a registrare che la tendenza è diventata realtà e ha assunto i caratteri della guerra guerreggiata», scrivono i comitati organizzatori del corteo. Oltre alla preoccupazione per l’avanzata di scenari di guerra nei diversi territori, dalla continuità della guerra tra Russia e Ucraina al genocidio che si sta compiendo in Palestina, fino all’intensificazione di scenari di conflitti bellici come la precipitazione della situazione tra Israele e Iran nelle scorse settimane, e all’opposizione alle operazioni di guerra che partono dalle basi militari statunitensi in Sicilia, la manifestazione si pone l’obiettivo di contrastare altri scenari del regime di guerra, quelli relativi all’economia di guerra. Scrivono infatti nel comunicato: «si tratta di una guerra che, oltre all’enorme numero di vittime, ha creato sconquassi nelle nostre vite con ulteriori e pesanti tagli alle spese sociali a favore di quelle militari. Dopo il piano di riarmo dell’Unione Europea da 800 miliardi di euro da investire in armi, le ultime decisioni del nostro governo sono in linea ai diktat degli USA e della NATO e parlano di portare la spesa militare al 5% del PIL; ciò significa arrivare a più di 70 miliardi di euro l’anno a fronte dei 30 circa spesi oggi. Lo scenario è chiaro: addio sanità e istruzione pubblica, pensioni e tutto quello che ancora resta dello stato sociale». Assediare la base militare Usa, dopo le mobilitazioni a Sigonella di alcune settimane fa, rappresenta l’obiettivo della manifestazione: «come Movimento No Muos dobbiamo sfruttare ogni spazio di lotta e per questo ci diamo un doppio compito. Lottare per fermare la guerra che devasta le nostre vite consegnandoci un futuro di miseria e opporsi alle installazioni militari nel nostro territorio, dalle parabole di Niscemi alla superbase di Sigonella che ha un ruolo centrale in tutti i conflitti aperti e che è stata determinante nell’attacco Usa all’Iran (come lo è stata in diversi momenti a supporto delle operazioni belliche ucraine e anche di quelle israeliane). Non vogliamo essere complici e bersaglio delle guerre dei padroni». Dopo le mobilitazioni a Sigonella dello scorso 6 luglio, l’estate di lotta in Sicilia continua con la giornata contro la guerra e il genocidio in Palestina, a cui seguirà la manifestazione contro il Ponte sullo Stretto convocata per il successivo sabato 9 agosto a Messina con lo slogan “Vogliamo l’acqua, non la guerra”, per mettere al centro la necessità di interventi e politiche di tutela dell’ambiente e dei diritti contro speculazioni, grandi opere e logiche di guerra nei territori. Immagine di copertina di Giordano Pennisi – Scattomancino. Le foto dell’incendio sono tratte da nomuos.info SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Contro guerre, genocidio e riarmo: manifestazione No Muos a Niscemi proviene da DINAMOpress.
Visite scolastiche alla NATO: propaganda o educazione?
Il fenomeno della militarizzazione delle scuole sta assumendo dimensioni così ampie da rendere sempre più difficoltosa la sua “mappatura”. Apprendiamo in questi giorni di attività svolte nei mesi di febbraio/marzo presso la base N.A.T.O di Lago Patria – Giugliano in Campania, che ha coinvolto le studentesse e gli studenti delle scuole superiori di primo grado dei plessi “Don Salvatore Vitale” Giugliano (Napoli) E “M. Beneventano” di Ottaviano (Napoli) e studentesse e studenti delle scuole superiori di secondo grado delle scuole Don Lorenzo Milani, (Gragnano) e Antonio Serra (Napoli).  Troviamo su internet anche una circolare del liceo Matilde Serao, con in oggetto la stessa visita guidata (con pagamento a carico delle famiglie del bus) fatta rientrare nelle ore di didattica orientativa e di educazione civica, qui). Apprezziamo che non sia stata definita dalla D.S. visita di istruzione, ma visita guidata, cosa che auspichiamo dovuta alla consapevolezza che tale uscita non abbia proprio nulla di istruttivo. Mentre nutriamo forti dubbi che una tale uscita possa rientrare nell’educazione civica, non ne abbiamo alcuno sul suo carattere orientativo, essendo tale uscita finalizzata ad orientare i ragazzi verso nuove “culture” (della difesa, della sicurezza, militare) anche con il fine di un possibile loro arruolamento nelle forze armate. Per quanto riguarda le scuole medie, organizzata in occasione del 70° della N.A.T.O ai ragazzi e alle ragazze è stato ricordato come questa alleanza sia nata per “contrastare quel blocco di Stati che si riunirà qualche anno dopo nel Patto di Varsavia” mostrando già da questo breve incipit dell’articolo pubblicato sul sito della scuola il carattere propagandistico dell’iniziativa. Se storicamente si dovesse rispettare l’ordine cronologico degli eventi si sarebbe dovuto spiegare ai ragazzi esattamente l’inverso come il patto di Varsavia sia nato, 6 anni dopo la N.A.T.O, con il fine di contrastare l’alleanza militare North Atlantic Treaty Organization. In ogni modo, caduto nel 1991 il Patto di Varsavia, perché la  N.A.T.O ha continuato ad esistere? Quale ratio dietro la scelta del suo non scioglimento? Sono state elencate ai ragazzi le innumerevoli guerre che dal 1991 in poi hanno coinvolto o sono state causate dalla N.A.T.O? E’ stato spiegata la richiesta (a febbraio Marzo non ancora certa, non se ne conosceva con certezza la percentuale del 5%, ma si discuteva sull’alzamento del PIL che il vertice N.A.T.O avrebbe richiesto) dell’aumento delle spese per gli armamenti e dei relativi tagli che queste avrebbero comportato? Tagli a istruzione, ricerca, sanità, welfare. Nulla di tutto questo è stato detto alle ragazze e ai ragazzi già vittime della implicita manipolazione che una gita scolastica sottende: in quanto scolastica essa ha fare con la scuola, con la formazione, con l’educazione al pari di una vista ad un museo, ad una città d’arte o ad un convegno disciplinare per fare alcuni esempi. Leggendo tutti i report delle giornate, si scopre come gli incontri siano serviti a promuovere un’immagine della N.A.T.O dual use, con due “rami”: quello militare e quello civile e come tutto l’incontro abbia nei fatti promosso l’importante ruolo della N.A.T.O sul piano civile: giornalismo, salute e ambiente, trasporti, ingegneria civile, con particolare attenzione alla Cyber Security. Il fine degli incontri era proprio quello di riuscire a “mutare” negli studenti l’immagine della NATO che non può continuare a essere percepita come composta di soli “mezzi corazzati” e quindi solo nella sua veste militare, ma va promossa con la costruzione di un aspetto “buono”, il suo essere formata da civili (si fatica a lanciare il ruolo del militare senza armi né guerre evidentemente!) istruiti e preparati pronti a intervenire sul piano civile. La solita operazione di brand washing più volta denunciata dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università adottata dalle forze armate e dalle forze dell’ordine. Ovviamente come confermano anche le studentesse e gli studenti degli istituti superiori di secondo grado i temi affrontati sono quelli che, fino alla visita alla struttura di Lago Patria, credevano “di competenza dei libri di testo o dei telegiornali: tutela della pace, difesa dei Paesi membri, sostegno nelle attività umanitarie, cyber security, conflitto russo ucraino. La parola pace fa riflettere se usata da un’alleanza sulle cui guerre illegali esiste una consistente bibliografia (fra tutti vd. Daniel Ganser) e i cui membri, rivolgendosi ai ragazzi e alle ragazze,   ammettono il solito ossimoro guerrafondaio: Per mantenere la pace, interveniamo in qualsiasi modo possibile, fino al più drastico, cioè con le armi. Dubitiamo che sia stato ricordato alle scuole, come si legge on line, che nel 2015, la base NATO di Lago Patria è stata il centro di coordinamento della più grande esercitazione militare dopo la caduta del Muro di Berlino, chiamata “Trident Juncture“, con la partecipazione di 36.000 militari. Tendiamo più a pensare che tale visite guidate abbiano anche un altro fine orientativo per le/i giovani e l’intera società civile: l’accettazione incondizionata di questa presenza sul proprio territorio in vista di possibili future esercitazioni che acquistano, con questo manipolativo avvicinamento, il carattere di necessità al fine del mantenimento della pace. Ovviamente come sempre non poteva mancare anche qui l’inclusione di genere: Particolare interesse è stato mostrato dalle studentesse sul ruolo delle donne all’interno dell’Alleanza, sia come civili che come militari. Per essere più accattivante la N.A.T.O strumentalizza anche il tema dell’inclusione di genere e della parità. Si legge sul report dell’istituto San Vitale: Tali visite sono molto importanti perché i ragazzi hanno potuto capire che per mantenere alta la sicurezza, mantenere ed attuare cambiamenti radicali di pace nel Mondo ci sono delle persone che lavorano in silenzio tutti giorni in strutture internazionali. La conclusione è agghiacciante. Un’alleanza militare che assicura la sicurezza e cambiamenti radicali di pace è la cosa più lontana da quanto i libri di storia ci insegnano e la nostra contemporaneità ci mostra. Quale docente realmente impegnato sull’educazione alla pace potrebbe fare sua questa conclusione? Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
La guerra cercata
Nel momento in cui l’Unione Europea annuncia ai quattro venti un piano di riarmo epocale e la NATO incassa la promessa di un aumento delle spese militari al 5% del PIL per gli stati membri, sta mostrando l’arma ai suoi avversari ma soprattutto al suo pubblico, quello che la dovrà pagare. Il copione prevede che queste armi dovranno essere usate, se non altro a scopo deterrente, in futuri conflitti con nemici sempre più potenti. L’antagonista è fondamentale nello sviluppo di una narrazione, non se ne può fare a meno. L’antagonista è essenziale anche nella costruzione dell’identità, le guerre rinsaldano la comunità nazionale attorno ai leader, anche ai peggiori. Continua a leggere→
A Leopoli suona la sirena, poi la vita riprende nella sua apparente normalità
Ieri mattina mi sono svegliato presto e mentre stavo andando in bagno ha iniziato a suonare la sirena. Non era la mia prima volta: l’ho sentita anche negli altri miei due viaggi a Kiev, Odessa e Mykolaïv. Nessuno sembrava curarsene, neppure a Mykolaïv che pure è abbastanza vicino al fronte, anche se non è tra le città devastate, abbandonate da quasi tutti, in pratica delle città fantasma. Non ho avuto né paura né fretta, anche perché dubito che nei rifugi ci siano i bagni. Intanto da potenti trombe poste sulla torre del municipio una voce stentorea sembra dare ordini che io ho immaginato di tradurre più o meno così: “Sbrigatevi ad andare nei rifugi, teste di cavolo, sono dieci minuti che suona la sirena: cosa aspettate? Che vi cada in testa un missile russo?”. Finalmente esco dall’albergo, pensando che potrei scrivere un articolo sulla vita nei rifugi. Appena fuori vedo un uomo che sta sistemando un vaso di fiori. “Dov’è il rifugio dell’albergo?” chiedo. Alza le spalle: non c’è. “Il rifugio più vicino?” chiedo ancora. Mi indica un percorso a zig zag che subito dimentico. Tra il suono della sirena e la voce stentorea che ordina di andare nei rifugi c’è un silenzio irreale. Inizio a preoccuparmi. Vedo una barista fuori dal locale che parla concitata al telefono e con il traduttore automatico le chiedo dov’è il rifugio. Sul cellulare scrive e cancella febbrilmente, poi me lo riconsegna. Sono in ansia, non so dove andare. Chiedo a una giovane donna che beve un caffè seduta. Alza le spalle. A questo punto la cosa più saggia mi sembra entrare in uno dei pochi bar aperti per fare colazione. Evito il primo, che espone una bandiera con un mitra e un serpente attorcigliato e finalmente ne trovo uno normale. La barista non ha l’aria spavalda: tiene aperto perché non sa dove andare. Prendo il cappuccino maxi, servito in una tazza che sembra una scodella e una fetta di torta deliziosa. Mi pare davvero improbabile che un missile russo possa interrompere la mia colazione. Una ragazza entra e si siede con aria serena. Ho un’idea e le porgo il cellulare, ovviamente con la traduzione in ucraino: “Sono un reporter italiano di un’agenzia stampa internazionale che si chiama Pressenza. Vorrebbe scrivere una frase su come vede la situazione attuale in Ucraina –  guerra, crisi economica, corruzione… ?” Con mia grande sorpresa si mette a scrivere: si chiama Sofia e ha circa vent’anni. Sembrerebbe ancora convinta della necessità di difendere in armi il suo Paese, ma non sono sicuro di questo, perché non  esplicita il tipo di aiuto che si aspetta dal mondo. Da notare che non parla di vincere la guerra o di riconquistare i territori del Donbass e la Crimea. Parla di difendere il suo Paese senza esternare sentimenti di odio verso gli aggressori. Sofia scrive dunque: “Questo è il periodo più difficile per l’Ucraina. Mio fratello è in prima linea. Vorrei avere più opportunità per difendere il nostro mondo, affinché il mondo non pensi che questo sia solo un altro conflitto facilmente risolvibile. Spero che la gente in Ucraina dimentichi finalmente cosa siano i bombardamenti e che le famiglie possano riunirsi.  Gli uomini sono molto grati per l’aiuto del mondo e saremo grati per un ulteriore supporto“. Non si sono sentite esplosioni, neppure in lontananza e la vita a Leopoli riprende nella sua apparente normalità. E’ l’unico modo per resistere al quotidiano orrore della guerra, combattuta soprattutto lungo il confine a centinaia di chilometri da qui, ma da fratelli, figli, padri, fidanzati, mariti, amanti: una ferita aperta, che a volte sprofonda nel dolore più grande, la perdita di un proprio caro.   Mauro Carlo Zanella
Sardegna in ostaggio: normalizzare la guerra e la militarizzazione del territorio
La reazione delle realtà sarde contro la militarizzazione dei territori è sempre fonte di insegnamento, mai assuefatti alla normalità della guerra ma, tuttavia, non manifestano stupore (demenziale) davanti a fatti di cronaca che per loro costituiscono la tragica normalità. Parliamo delle armi fatti brillare in mare o altrove, di grandi aree chiuse per disinnescare qualche arma inesplosa, la terra sarda è soggetta ad un doppio colonialismo ossia la presenza di multinazionali e interessi economici e finanziari che hanno trasformato le bellezze locale in business e vecchi accordi che hanno collocato nell’isola distaccamenti e presidi militari più che in ogni altra Regione d’Italia La Sardegna ospita il 65% del territorio militare del Paese pari a 374 km quadrati, cause decennali intraprese da cittadini con sentenze talvolta contrastanti, una parte importante della isola non bonificabile, operazione di recupero di missili caduti in mare affidati in appalto a qualche grande impresa produttrice “di morte”, il calendario delle esercitazioni militari pensato ad arte per non inficiare la stagione balneare, in silenziosa sintonia con quanti dovrebbero in teoria esigere le bonifiche. Rompere la gabbia di silenzio attorno alle esercitazioni che poi rappresentano la fattiva sperimentazione della guerra sui territori senza dimenticare che in altre aree del globo le esercitazioni rappresentano una palese minaccia ad alcuni paesi. Il recupero di armi inesplose non è una novità, i cittadini, e noi con loro, rivendicano da sempre trasparenza sui fatti, sulle procedure e sulle operazioni, se poi i recuperi avvengono in piena stagione balneare vuol dire che la escalation militarista ha raggiunto un livello tale da imporci una riflessione e delle azioni conseguenti. Negli anni scorsi era stato chiesto di interrompere per i mesi estivi le operazioni che invece sono state intensificate, aumentando il numero e la quantità dei soggetti coinvolti nelle esercitazioni militari anche i rischi collaterali crescono come per altro le minacce di inquinamento. Esigere poi chiarimenti e il dettaglio generico sui recuperi si scontra con i cosiddetti obblighi di segretezza che ormai avvolgono ogni aspetto della presenza militarista, certo che i test Nato nel Mediterraneo avvengono prevalentemente in terra sarda e la esplosione di missili e armi varie ha un impatto sull’ambiente e sulla salute della popolazione Ma rinunciare a priori ad una costante opera di denuncia ci sembrerebbe una sconfitta della ragione e per questo come Osservatorio continuiamo quotidianamente a documentare la presenza asfissiante del militare nelle nostre esistenze. A tal riguardo preme portare alla luce alcuni fatti di cronaca scomparsi dai radar (è il caso di utilizzare questa terminologia bellica) come il ferimento di militari durante le esercitazioni (una segnalazione arriva perfino dal Canton Vallese in Svizzera) svolte in vari paesi europei, tra questi l’Ungheria. E oltre al ferimento di militari ci sono incidenti che coinvolgono anche civili nello svolgimento di attività della Nato che da mesi sperimentano sui nostri territori nuove armi e tecniche di vario genere E qualche volta la dea bendata aiuta come nel caso dell’incidente durante l’addestramento acrobatico delle Frecce Tricolori impegnate a Pantelleria ove due aerei si sarebbero toccate evitando un grave incidente con un terzo velivolo finito fuori posta nell’atterraggio L’aumento esponenziale delle esercitazioni militari rappresenta un pericolo oggettivo per la sicurezza e incolumità dei cittadini. Per i nostri territori visto che l’esplosione di missili e proiettili costituisce fonte di inquinamento come anche la massiccia presenza di dispositivi militari in zone spesso protette Assuefarsi alla idea della guerra significa ignorare questi pericoli oggettivi e non avere la necessaria attenzione a fatti di cronaca che pur relegati in spazi angusti dei giornali ci raccontano di un paese sempre più ostaggio della propaganda di guerra e delle esercitazioni militari. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università