L’accordo Italia-Albania non è una questione italo-albanese

Progetto Melting Pot Europa - Wednesday, November 5, 2025

L’1 e il 2 Novembre 2025 si è tenuta in Albania la mobilitazione del Network Against Migrant Detention, una rete di realtà italiane e albanesi unite nell’obiettivo di contrastare l’accordo Rama-Meloni, che ha permesso la creazione di due centri detentivi per persone migranti in Albania sotto giurisdizione italiana. È la seconda protesta organizzata nel paese delle aquile, dopo quella dell’1 dicembre 2024, quando i centri erano ancora vuoti.

Quest’anno il Network ha lanciato la manifestazione sotto lo slogan “From Albania to Europe: Abolish Migrant Detention Centers”, raccogliendo adesioni da una decina di paesi membri dell’Unione Europea e non solo. Rappresentanti di organizzazioni da Nantes, Bruxelles, Bilbao, Dresda, Berlino, Vienna, Pristina e Messico hanno raggiunto i gruppi albanesi e italiani per apprendere di più sull’accordo, sulle sue prospettive future e ragionare su possibili iniziative comuni. 

“Ovunque, da Gjäder a Roma, da Bruxelles a Nantes, dagli USA al Messico, fino alla Libia, la Tunisia e oltre ancora, vogliamo la stessa cosa: libertà di movimento e dignità per tutti”.

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La mobilitazione si è svolta nella modalità ormai consolidata della due giorni: una dedicata alle azioni pubbliche, l’altra dedicata alla discussione politica attraverso panel e assemblee. 

Sabato 1 novembre, più di 150 persone hanno sfilato per le vie di Tirana con interventi e denunce sotto l’ufficio del Primo ministro albanese, l’Ambasciata italiana e l’ufficio dell’Unione Europea in Albania. Un cartellone con le sagome di Meloni, Rama, Trump e Von Der Leyen vestiti da gerarchi e militari ha accompagnato i manifestanti lungo tutto il percorso, insieme a un cartellone con scritto “L’Europa predica democrazia ma abbraccia gli autocrati”. 

Ph: Alessandro Muras

«Rama mantiene il suo potere interno attraverso accordi stretti con queste figure, facendo un accordo illegale con la Meloni, che nel silenzio è stato approvato dall’Unione Europea. È proprio il silenzio dell’Unione Europea che non possiamo perdonare», ha dichiarato Edison Lika del collettivo Mesdhe, che ha organizzato e ospitato la mobilitazione. 

Rama è fortemente contestato dalle realtà albanesi che si sentono in una democrazia solo su carta. I flussi di denaro e di affari pubblici sono opachi e la partecipazione politica è fortemente inibita dalla repressione, sia storica subita negli anni di Hoxha, ma anche per quella attuale spesso inflitta in forme subdole, come ad esempio i licenziamenti e le sospensioni delle già misere pensioni ai familiari di attivistə scomodə. 

La manifestazione ha poi raggiunto le porte del CPR di Gjader, dove hanno commemorato le quarantasette vittime dei CPR italiani, portato solidarietà alle 24 persone attualmente trattenute nel centro al grido «You are not alone» ed esposto il grande striscione indirizzato ai leader ritratti in vesti militari: “You Remigration Prisons are Criminal. Stop funding wars and deporting people!”.

Photo credit: Alessandro Murtas

Domenica l’Università di Tirana ha ospitato l’assemblea transnazionale che ha visto attivistə di tutta Europa, e non solo, confrontarsi sul tema del razzismo, del colonialismo e sul significato che questo accordo ha all’interno delle politiche migratorie europee. L’evento, dal titolo “L’Europa è ancora il nostro sogno?”, ha messo in luce come di fatto l’adesione all’Unione Europea è stata sistematicamente condizionata allo spargimento di sangue ai suoi confini. 

Questo è stato il caso anche dell’Italia, entrata a far parte dell’UE non prima di aver dimostrato il pugno duro sui confini proprio sulla pelle degli albanesi. 

«Giorgio Napolitano nel ’98 ha detto che se non avessero istituito i CPT e non ci fosse stato il naufragio della Kater i Rades, non avrebbero saputo dimostrare all’UE di saper difendere i loro confini», ha affermato Clara Osma, attivista di Mesdhe e Italiani senza Cittadinanza, sotto l’imponente cancello di Gjäder.

Oltre a una delegazione presente alla mobilitazione in Albania, i gruppi della rete Anti-CRA francese hanno organizzato un’azione comunicativa a Nantes in sostegno alla mobilitazione a Tirana. 

Da segnalare che alcune attiviste che dovevano raggiungere la mobilitazione sono invece scese dal volo Bologna-Tirana per aver protestato alla vista di agenti delle forze dell’ordine impegnate in un’operazione di rimpatrio proprio di due cittadini albanesi presenti sul loro volo Ryanair.

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Un progetto fallimentare che prosegue

Che i centri in Albania non stiano funzionando come il governo Meloni aveva previsto è sotto gli occhi di tutti. L’hotspot di Shengjin è vuoto e il CPR di Gjader detiene in media una ventina di persone alla volta (a fronte di 880 posti disponibili in totale), ma le realtà del Network evidenziano che l’accordo ha già prodotto effetti inaccettabili, coinvolgendo più di 220 persone e portando alla morte del giovane Hamid Badoui, morto a soli 42 anni. 

Questo è il quadro a fronte del quale il governo Meloni ha deciso di stanziare 670 milioni di euro dei contribuenti italiani per la realizzazione e mantenimento dei centri. Di questi, più di 127 milioni sarebbero ricavati da tagli a ministeri pubblici come quello dell’Economia e della Finanza, degli Affari Esteri e dell’Università e della Ricerca 1.

Photo credit: Alessandro Murtas

Milioni che al contempo non vanno a stimolare l’economia locale, ma principalmente a coprire i costi di costruzione, manutenzione e del personale, di cui gli albanesi sono circa una cinquantina in qualità di operatori e operatrici di Medihospes, ente gestore del CPR di Gjader e colosso del complesso industriale dell’accoglienza in Italia, che impiega con contratti precari e ridimensiona l’organico a fisarmonica in base alle evoluzioni discontinue dei centri.

«Questi centri non sono solo incostituzionali: rappresentano un progetto coloniale che, con la complicità del governo albanese, segna un pericoloso precedente che l’Europa intende replicare attraverso il Nuovo Patto su Migrazione e Asilo”, ha denunciato il Network.

Anche in questo senso l’accordo Italia-Albania non riguarda solo italiani e albanesi. Il timore è che il governo Meloni voglia preservarli in vista dell’implementazione del Nuovo Patto su Migrazione e Asilo prevista per giugno 2026 ed eventualmente trasformarli nei Return Hubs di cui si sta discutendo a livello europeo.

Dobbiamo rafforzare una prospettiva transnazionale ed europea che vada oltre le mobilitazioni locali e nazionali: una prospettiva capace di condividere pratiche, costruire reti, coordinare strategie per abolire il regime europeo e globale di apartheid e confinamento”.

La mobilitazione si chiude con la speranza che questo appello venga raccolto dalle realtà coinvolte e con la volontà di organizzare dimostrazioni anche in altri paesi, europei e non, andando a rafforzare la transnazionalità di questa lotta e lo smantellamento del sistema detentivo di tutta Europa e altrove.

  1. I centri per i migranti in Albania sono un flop: da dove arrivano i soldi per pagarli? Ecco il «conto», voce per voce, di Milena Gabanelli e Simona Ravizza – Dataroom, Corriere della Sera ↩︎