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L’accordo Italia-Albania non è una questione italo-albanese
L’1 e il 2 Novembre 2025 si è tenuta in Albania la mobilitazione del Network Against Migrant Detention, una rete di realtà italiane e albanesi unite nell’obiettivo di contrastare l’accordo Rama-Meloni, che ha permesso la creazione di due centri detentivi per persone migranti in Albania sotto giurisdizione italiana. È la seconda protesta organizzata nel paese delle aquile, dopo quella dell’1 dicembre 2024, quando i centri erano ancora vuoti. Quest’anno il Network ha lanciato la manifestazione sotto lo slogan “From Albania to Europe: Abolish Migrant Detention Centers”, raccogliendo adesioni da una decina di paesi membri dell’Unione Europea e non solo. Rappresentanti di organizzazioni da Nantes, Bruxelles, Bilbao, Dresda, Berlino, Vienna, Pristina e Messico hanno raggiunto i gruppi albanesi e italiani per apprendere di più sull’accordo, sulle sue prospettive future e ragionare su possibili iniziative comuni.  “Ovunque, da Gjäder a Roma, da Bruxelles a Nantes, dagli USA al Messico, fino alla Libia, la Tunisia e oltre ancora, vogliamo la stessa cosa: libertà di movimento e dignità per tutti”. > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da STRIA (@spazio.stria) La mobilitazione si è svolta nella modalità ormai consolidata della due giorni: una dedicata alle azioni pubbliche, l’altra dedicata alla discussione politica attraverso panel e assemblee.  Sabato 1 novembre, più di 150 persone hanno sfilato per le vie di Tirana con interventi e denunce sotto l’ufficio del Primo ministro albanese, l’Ambasciata italiana e l’ufficio dell’Unione Europea in Albania. Un cartellone con le sagome di Meloni, Rama, Trump e Von Der Leyen vestiti da gerarchi e militari ha accompagnato i manifestanti lungo tutto il percorso, insieme a un cartellone con scritto “L’Europa predica democrazia ma abbraccia gli autocrati”.  Ph: Alessandro Muras «Rama mantiene il suo potere interno attraverso accordi stretti con queste figure, facendo un accordo illegale con la Meloni, che nel silenzio è stato approvato dall’Unione Europea. È proprio il silenzio dell’Unione Europea che non possiamo perdonare», ha dichiarato Edison Lika del collettivo Mesdhe, che ha organizzato e ospitato la mobilitazione.  Rama è fortemente contestato dalle realtà albanesi che si sentono in una democrazia solo su carta. I flussi di denaro e di affari pubblici sono opachi e la partecipazione politica è fortemente inibita dalla repressione, sia storica subita negli anni di Hoxha, ma anche per quella attuale spesso inflitta in forme subdole, come ad esempio i licenziamenti e le sospensioni delle già misere pensioni ai familiari di attivistə scomodə.  La manifestazione ha poi raggiunto le porte del CPR di Gjader, dove hanno commemorato le quarantasette vittime dei CPR italiani, portato solidarietà alle 24 persone attualmente trattenute nel centro al grido «You are not alone» ed esposto il grande striscione indirizzato ai leader ritratti in vesti militari: “You Remigration Prisons are Criminal. Stop funding wars and deporting people!”. Photo credit: Alessandro Murtas Domenica l’Università di Tirana ha ospitato l’assemblea transnazionale che ha visto attivistə di tutta Europa, e non solo, confrontarsi sul tema del razzismo, del colonialismo e sul significato che questo accordo ha all’interno delle politiche migratorie europee. L’evento, dal titolo “L’Europa è ancora il nostro sogno?”, ha messo in luce come di fatto l’adesione all’Unione Europea è stata sistematicamente condizionata allo spargimento di sangue ai suoi confini.  Questo è stato il caso anche dell’Italia, entrata a far parte dell’UE non prima di aver dimostrato il pugno duro sui confini proprio sulla pelle degli albanesi.  «Giorgio Napolitano nel ’98 ha detto che se non avessero istituito i CPT e non ci fosse stato il naufragio della Kater i Rades, non avrebbero saputo dimostrare all’UE di saper difendere i loro confini», ha affermato Clara Osma, attivista di Mesdhe e Italiani senza Cittadinanza, sotto l’imponente cancello di Gjäder. Oltre a una delegazione presente alla mobilitazione in Albania, i gruppi della rete Anti-CRA francese hanno organizzato un’azione comunicativa a Nantes in sostegno alla mobilitazione a Tirana.  Da segnalare che alcune attiviste che dovevano raggiungere la mobilitazione sono invece scese dal volo Bologna-Tirana per aver protestato alla vista di agenti delle forze dell’ordine impegnate in un’operazione di rimpatrio proprio di due cittadini albanesi presenti sul loro volo Ryanair. > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da Mediterranea Bologna (@mediterranea_bologna) UN PROGETTO FALLIMENTARE CHE PROSEGUE Che i centri in Albania non stiano funzionando come il governo Meloni aveva previsto è sotto gli occhi di tutti. L’hotspot di Shengjin è vuoto e il CPR di Gjader detiene in media una ventina di persone alla volta (a fronte di 880 posti disponibili in totale), ma le realtà del Network evidenziano che l’accordo ha già prodotto effetti inaccettabili, coinvolgendo più di 220 persone e portando alla morte del giovane Hamid Badoui, morto a soli 42 anni.  Questo è il quadro a fronte del quale il governo Meloni ha deciso di stanziare 670 milioni di euro dei contribuenti italiani per la realizzazione e mantenimento dei centri. Di questi, più di 127 milioni sarebbero ricavati da tagli a ministeri pubblici come quello dell’Economia e della Finanza, degli Affari Esteri e dell’Università e della Ricerca 1. Photo credit: Alessandro Murtas Milioni che al contempo non vanno a stimolare l’economia locale, ma principalmente a coprire i costi di costruzione, manutenzione e del personale, di cui gli albanesi sono circa una cinquantina in qualità di operatori e operatrici di Medihospes, ente gestore del CPR di Gjader e colosso del complesso industriale dell’accoglienza in Italia, che impiega con contratti precari e ridimensiona l’organico a fisarmonica in base alle evoluzioni discontinue dei centri. «Questi centri non sono solo incostituzionali: rappresentano un progetto coloniale che, con la complicità del governo albanese, segna un pericoloso precedente che l’Europa intende replicare attraverso il Nuovo Patto su Migrazione e Asilo”, ha denunciato il Network. Anche in questo senso l’accordo Italia-Albania non riguarda solo italiani e albanesi. Il timore è che il governo Meloni voglia preservarli in vista dell’implementazione del Nuovo Patto su Migrazione e Asilo prevista per giugno 2026 ed eventualmente trasformarli nei Return Hubs di cui si sta discutendo a livello europeo. “Dobbiamo rafforzare una prospettiva transnazionale ed europea che vada oltre le mobilitazioni locali e nazionali: una prospettiva capace di condividere pratiche, costruire reti, coordinare strategie per abolire il regime europeo e globale di apartheid e confinamento”. La mobilitazione si chiude con la speranza che questo appello venga raccolto dalle realtà coinvolte e con la volontà di organizzare dimostrazioni anche in altri paesi, europei e non, andando a rafforzare la transnazionalità di questa lotta e lo smantellamento del sistema detentivo di tutta Europa e altrove. 1. I centri per i migranti in Albania sono un flop: da dove arrivano i soldi per pagarli? Ecco il «conto», voce per voce, di Milena Gabanelli e Simona Ravizza – Dataroom, Corriere della Sera ↩︎
L’esternalizzazione delle frontiere e il concetto di paesi terzo sicuro: un’analisi del protocollo Italia-Albania
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Università di Bologna Dipartimento di scienze statistiche “Paolo Fortunati” – Stat Corso di laurea in sviluppo e cooperazione internazionale L’ESTERNALIZZAZIONE DELLE FRONTIERE E IL CONCETTO DI PAESI TERZO SICURO: UN’ANALISI DEL PROTOCOLLO ITALIA-ALBANIA Tesi di Giulia Ferrari (2024/2025) Scarica l’elaborato INTRODUZIONE I fenomeni migratori rappresentano una delle sfide più complesse e controverse che l’Unione europea sta affrontando ormai da tempo. Negli ultimi decenni, la gestione dei flussi di persone in cerca di protezione si è progressivamente unita alla necessità politica di controllo delle frontiere, generando politiche securitarie che hanno spesso portato a tensioni tra tutela dei diritti umani e le politiche di contenimento stesso. È in questo contesto che si è sviluppata la pratica, sempre più diffusa, dell’esternalizzazione delle frontiere, intesa come il trasferimento presso Paesi terzi di funzioni e responsabilità nella gestione del controllo migratorio e delle procedure di asilo. Questa strategia, ad oggi ampiamente diffusa tra gli Stati membri e parte integrante della governance europea, alimenta il dibattito tanto a livello politico quanto in dottrina. L’Italia, come conseguenza della sua posizione geografica, è spesso stata laboratorio di sperimentazioni in materia. La scelta di dedicare questo lavoro al tema delle migrazioni, e quindi anche dei diritti, non deriva soltanto dall’attualità dello stesso. Esso nasce soprattutto dall’esperienza di tirocinio svolta lo scorso anno a Corinto, in Grecia, presso un community center rivolto alle persone in movimento residenti presso il centro governativo di transito della città. Lì ho potuto osservare da vicino le difficoltà concrete che derivano dall’applicazione delle politiche migratorie e di asilo, e ho compreso quanto le decisioni giuridiche e politiche abbiano un impatto sulla vita delle persone. Da qui la crescita della mia consapevolezza: il diritto non è mai neutro, ma si misura quotidianamente con la dignità umana e le esperienze delle persone coinvolte. Questo è quello che mi ha orientata nella mia ricerca, svoltasi attraverso una prospettiva multilivello che ha combinato l’analisi normativa e giurisprudenziale ad un approccio comparato e critico. La tesi si propone dunque di indagare l’evoluzione delle politiche europee in materia di migrazione ed asilo, con focus particolare sul processo di esternalizzazione delle frontiere e sull’istituto dei Paesi terzi sicuri, elementi necessari per la successiva analisi del case study individuato: il Protocollo Italia-Albania firmato il 6 novembre 2023. Il lavoro si articola in tre capitoli. Nel primo capitolo si ripercorre l’evoluzione del diritto dell’Unione europea in materia di migrazioni e asilo, dalla nascita dello spazio Schengen nel 1985 fino alle riforme più recenti, come il Nuovo Patto su Migrazione e Asilo, approvato nel 2024 e i cui atti derivati entreranno in vigore nel 2026, passando per alcuni dei momenti più importanti come l’istituzione del sistema Dublino.  Il secondo capitolo affronta poi i concetti di esternalizzazione delle frontiere e di Paese terzo sicuro, entrambi strumenti fondamentali per comprendere la direzione presa dalle politiche europee degli ultimi decenni. All’interno del capitolo si dedica poi una sezione all’analisi di uno dei maggiori accordi di esternalizzazione siglati dall’Unione europea: l’accordo UE-Turchia del 2016. Infine, il terzo capitolo è dedicato all’analisi giuridica del Protocollo sottoscritto tra Italia e Albania, esaminandone la genesi, i contenuti e le criticità presentate, in accordo con i principi sanciti dal diritto nazionale, europeo ed internazionale. L’obiettivo della mia tesi non si limita ad una mera ricostruzione del complesso piano giuridico all’interno del quale queste politiche vengono promosse, ma invita piuttosto ad una riflessione critica sul significato e sulle conseguenze di tali scelte e cercando di restituire la reale portata del fenomeno migratorio, pur mantenendo come punto saldo la certezza del diritto.
Il “fallimento produttivo” del modello Albania, un anno dopo l’avvio
Il 16 ottobre del 2024 sedici uomini, intercettati nel Mediterraneo centrale, venivano condotti in Albania a bordo di una nave militare italiana. Quel giorno, nel porto di Shëngjin, prendeva forma un esperimento senza precedenti: l’estensione extraterritoriale del sistema di trattenimento italiano, costruito su suolo albanese, ma con la pretesa della giurisdizione di Roma. I centri realizzati in Albania hanno una capienza complessiva imponente: 880 posti nel centro di trattenimento per richiedenti asilo, 144 posti nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) e 20 posti nel penitenziario. A un anno di distanza, la struttura di Shëngjin è quasi sempre vuota e nel centro di Gjadër, nella sezione CPR, sono trattenute circa quindici persone. Le altre due sezioni sono inutilizzate. Due rinvii alla Corte di giustizia dell’Unione europea – uno dei quali si è concluso con una sentenza che ha ribaltato le tesi del governo italiano – hanno incrinato in profondità la legittimità del progetto. L’esecutivo si trova in un’impasse: non può far funzionare a pieno regime il modello – verrebbe travolto dai ricorsi – ma non vuole chiuderlo. Significherebbe ammettere che non funziona 1.  Il progetto era stato presentato come una misura per «aumentare i rimpatri». A fine luglio, quelli effettivamente eseguiti erano complessivamente trentasette 2; dopo quella data pochi o nessuno. Nonostante i numeri esigui, l’esperimento non può essere liquidato come un semplice insuccesso: fermarsi al dato aritmetico sarebbe autoconsolatorio. ll valore politico del modello non risiede nei numeri, ma nella violenza materiale e simbolica esercitata sulle persone migranti, nel modo in cui ha riscritto il linguaggio del confine e reso praticabile l’idea che la detenzione possa essere delocalizzata. A un anno di distanza, più che misurare il fallimento del progetto, occorre interrogarsi su ciò che ha prodotto: un nuovo modo di pensare, rappresentare e praticare la frontiera. TETRO DIRITTO La storia del “modello Albania” è un ottovolante. Nella sua prima configurazione, tra ottobre 2024 e gennaio 2025, il centro di Gjadër è stato destinato al trattenimento dei richiedenti asilo provenienti da Paesi di origine considerati sicuri, intercettati in mare e sottoposti a procedure accelerate di frontiera. Rapporti e dossier/CPR, Hotspot, CPA OLTRE LA FRONTIERA: IL PREZZO DEI DIRITTI NELL’ACCORDO ITALIA-ALBANIA Le principali criticità emerse dal rapporto del Tavolo Asilo e Immigrazione Benedetta Cerea 22 Maggio 2025 La complessa finzione giuridica alla base dell’impianto non ha retto. Nessuno dei trattenimenti è stato convalidato dalle e dai giudici, e il rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea, poi risolto con una decisione che ha accolto le tesi delle difese, ha paralizzato il meccanismo. Il governo, invece di abbandonare l’esperimento, ne cambiò direzione. Con il decreto-legge 37 del marzo 2025, il centro di Gjadër è stato utilizzato per il trattenimento delle persone già rinchiuse nei CPR italiani: non più richiedenti asilo appena sbarcati, ma uomini destinatari di provvedimenti di espulsione, prelevati sul territorio nazionale e deportati in uno spazio di confinamento extraterritoriale. L’immagine del primo trasferimento di questa seconda fase, nell’aprile 2025 – corpi legati dalle fascette, condotti lungo la passerella della nave verso la banchina – sintetizza la logica dell’intero progetto. L’esperimento albanese si è trasformato in una messa in scena della punizione, una pedagogia della forza priva di mediazioni.  FALLIMENTI PRODUTTIVI Definire il “modello Albania” un insuccesso, dunque, significa non comprenderne la logica. È stato piuttosto un fallimento produttivo, capace di generare effetti potenzialmente ben più duraturi degli effimeri – per quanto violenti – impatti pratici. Ha reso visibile una nuova geografia del confinamento che non si misura in cifre, ma si manifesta per strappi, agendo sul piano della rottura con il paesaggio giuridico consolidato. Approfondimenti/CPR, Hotspot, CPA IL CORPO E L’ANIMA. DIECI APPUNTI SUL «MODELLO ALBANIA» Un laboratorio feroce e fragile del potere di frontiera Francesco Ferri 9 Maggio 2025 È un messaggio ostile non solo nei confronti delle persone considerate “irregolari” – e dunque, tra le altre misure, esposte al rischio concreto della deportazione in Albania – ma verso l’insieme delle persone migranti, la cui permanenza in Italia è vincolata al rinnovo periodico del permesso di soggiorno e quindi strutturalmente ricattabile. Il modello operata come dispositivo di disciplinamento diffuso, i cui effetti si coglieranno nel medio periodo – nel salto di qualità della precarizzazione della condizione migrante. Ha ridefinito le gerarchie dell’esclusione, stabilendo chi può restare e a quali condizioni, e ha ribadito la funzione strutturale della paura come strumento di regolazione del lavoro vivo e, più in generale, dei rapporti sociali. Sul piano europeo, il modello ha sdoganato la possibilità del confinamento extraterritoriale, rendendo dicibile e praticabile ciò che fino a poco tempo prima apparteneva al registro dell’utopia punitiva. Il dibattito europeo sui return hubs – pur muovendosi entro logiche parzialmente differenti – si inscrive nella stessa grammatica politica del “modello Albania”. Le coordinate di quella discussione hanno preso forma proprio dopo l’avvio dell’esperimento albanese e ne portano il segno. I centri di Gjadër e Shëngjin hanno aperto uno spazio discorsivo e politico in cui l’idea di estendere il trattenimento oltre il territorio dell’Unione è divenuta pensabile, negoziabile e organizzabile. LA VIOLENZA NORMATIVA COME METODO La produttività del modello si misura anche sul piano giuridico. In dodici mesi il governo italiano ha mostrato una capacità inedita di piegare la legalità ai propri obiettivi di contenimento. Decretazione frenetica e contraddittoria, trasferimenti privi di provvedimenti individuali, norme riscritte per tenere in vita un impianto già imploso: singole fratture che, sommate, disegnano un metodo. La violenza normativa del modello non si esprime più nella semplice violazione delle regole, ma nella produzione sistematica di un diritto incoerente, spesso posto fuori e contro la gerarchia delle fonti. La frase di Antonio Tajani sulla guerra a Gaza – «il diritto internazionale conta fino a un certo punto» – riassume perfettamente questa logica. Nel “modello Albania” la stessa razionalità prende corpo: la legalità vale finché non ostacola la volontà di confinare. SMONTARE IL PROGETTO Oggi i centri albanesi operano a capacità minima. Il governo non può farli funzionare a pieno regime – pena nuove censure giudiziarie – ma non intende chiuderli, per non ammettere la sconfitta. L’esperimento resta sospeso in un limbo che ne prolunga l’efficacia simbolica. A questo punto la questione non è più se il modello “funzioni”, ma come possa essere smontato. Non basta la critica, né la cronaca delle sue derive: serve un’azione collettiva che intrecci contenzioso strategico, monitoraggio indipendente e mobilitazione politica. In questa cornice, la mobilitazione indetta dal Network Against Migrant Detention – la rete transnazionale che promuove l’abolizione del trattenimento su scala europea – assume un significato decisivo. Interviste/CPR, Hotspot, CPA «IL “MODELLO ALBANIA” È UN DISPOSITIVO DI PUNIZIONE E DETERRENZA» Intervista a Francesco Ferri di ActionAid Redazione 24 Aprile 2025 Le giornate di azione previste tra Tirana, Shëngjin e Gjadër il 31 ottobre, l’1 e il 2 novembre per il secondo anniversario dell’accordo, sono un’occasione importante  per condensare energie collettive e per porre con forza la questione del superamento radicale del modello. Questa iniziativa si inserisce nel solco delle molte già in corso: dal monitoraggio promosso dal Tavolo Asilo e Immigrazione, all’attività istituzionale a diversi livelli, passando per le mobilitazioni della società civile albanese. Ognuno di questi ambiti, con i propri strumenti e linguaggi, può compiere un salto di scala decisivo: rafforzare la critica e la contestazione con l’obiettivo esplicito della chiusura. Il contesto politico in cui si muove questa azione è definito. In vista di giugno 2026, quando il Patto europeo sulle migrazioni sarà operativo, il “modello Albania” si trova di fronte a un bivio decisivo: rischia di essere integrato, in forme rinnovate, nel nuovo assetto europeo. Chiuderlo prima di quella data è una sfida decisiva: è indispensabile impedire che la sua logica si consolidi, si normalizzi e riemerga sotto altre vesti. È questo il compito politico dei prossimi mesi. Comunicati stampa e appelli/CPR, Hotspot, CPA DALL’ALBANIA ALL’EUROPA: ABOLIAMO I CENTRI DI DETENZIONE  L'1 e 2 novembre 2025 una nuova mobilitazione in Albania promossa dal Network Against Migrant Detention 27 Settembre 2025 1. Meloni sui centri in Albania:“Funzioneranno, dovessi passarci ogni notte fino alla fine del governo”, TgLa7 ↩︎ 2. Prima visita dei Garanti Anastasìa e Calderone al Cpr di Gjader (30 luglio 2025) ↩︎
Dall’Albania all’Europa: aboliamo i centri di detenzione
Il Network Against Migrant Detention rilancia la mobilitazione in Albania contro i CPR e la detenzione amministrativa. Dal 31 ottobre al 2 novembre, tra Tirana e Shëngjin, si terranno diverse iniziative pubbliche tra cui una marcia verso il CPR di Gjadër e un’assemblea transnazionale per rafforzare la lotta comune contro le politiche di confinamento e deportazione. “Per questo chiamiamo a mobilitarsi insieme, oltre i confini, per il suo completo smantellamento”, scrive nell’appello il Network. Martedì 30 settembre ad ore 18.30 si terrà un’assemblea transnazionale online per costruire la mobilitazione. Per informazioni e ricevere il link della call si può scrivere a: againstmigrantdetention@gmail.com o al profilo Instagram. > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da Network Against Migrant Detention > (@networkagainstmigrantdetention) L’APPELLO Il 1° e 2 novembre come Network Against Migrant Detention torneremo in Albania durante l’anniversario dell’accordo Rama–Meloni, che permette all’Italia di costruire e gestire CPR in territorio albanese. Questi centri non sono solo incostituzionali: rappresentano un progetto coloniale che, con la complicità del governo albanese, segna un pericoloso precedente che l’Europa intende replicare attraverso il Nuovo Patto su Migrazione e Asilo. L’Albania diventa così un laboratorio di esternalizzazione, in cui sperimentare pratiche carcerarie e politiche di deportazione che vediamo emergere un po’ ovunque.  In queste settimane, manifestazioni di massa e scioperi sociali stanno bloccando diverse città in Europa, in particolare in Italia, per opporsi al genocidio in Palestina. La lotta per la libertà della Palestina è infatti diventata un simbolo politico capace di esprimere un rifiuto più ampio di tutte quelle politiche fasciste e securitarie che legittimano l’uso sistematico della violenza contro alcuni soggetti e reprimono ogni forma di dissenso. Israele, infatti, è il regime coloniale che in maniera più sistematica ha fatto ricorso alla detenzione amministrativa per imporre un controllo sulla popolazione palestinese. Lo stesso tipo di violenza lo ritroviamo esercitato in molti altri contesti contro le persone in movimento attraverso i confini globali. Dagli Stati Uniti all’Europa, dal Nord Africa al Rwanda, le immagini di deportazioni, respingimenti e detenzioni illegali si moltiplicano, mentre governi di estrema destra in tutto il mondo alimentano la retorica securitaria basata su confini chiusi, rimpatri forzati e deportazioni di massa. La detenzione amministrativa si consolida così come pilastro centrale di questo modello repressivo, fondato sulla reclusione, l’espulsione e la negazione dei diritti. In tutta Europa, il regime delle frontiere sta subendo una profonda ristrutturazione. Spinto da agende politiche sempre più autoritarie, il sistema migratorio dell’UE si sta orientando verso una gestione rapida, esternalizzata e fortemente militarizzata. Il quadro giuridico che rende possibile questa trasformazione è il Nuovo Patto su Migrazione e Asilo, che accelera pericolosamente le procedure di frontiera e normalizza la detenzione come strumento ordinario di gestione della mobilità. Accanto a questo, l’UE e i singoli stati membri stanno sperimentando le cosiddette “soluzioni innovative”. La proposta di modifica da parte della Commissione Europea della Direttiva Rimpatri, che introdurrebbe i Return Hubs e le liste dei Paesi Sicuri, segue e amplifica in termini concreti la logica introdotta dal Patto: rendere le persone sempre più deportabili, invisibili e detenibili. Insieme, questi strumenti contribuiscono a smantellare un diritto d’asilo già fragile, costringendo le persone migranti a una precarietà ancora più profonda, escluse dal welfare e dai servizi pubblici, ed esposte a uno sfruttamento più feroce da parte di mercati che continuano a richiedere manodopera a basso costo. Questa tendenza è riaffermata dal progressivo rafforzamento di Frontex, simboleggiato dall’apertura della nuova Frontex Academy a Varsavia, che mira ad aumentare il controllo securitario dei confini esterni, senza creare canali legali di accesso, costringendo così le persone migranti a intraprendere viaggi sempre più pericolosi. Eppure, nonostante la repressione, ogni giorno emergono forme di resistenza nei centri di detenzione in tutta Europa: scioperi della fame, rifiuto delle identificazioni, solidarietà reciproca, denunce pubbliche della violenza sistemica. Queste lotte dimostrano che i CPR non sono spazi di controllo totale, ma luoghi di conflitto. La lotta per la libertà di movimento e per l’autodeterminazione delle persone migranti rappresenta un’importante barriera contro la crescente militarizzazione di un regime di guerra globale che si manifesta oggi in genocidi, bombardamenti aerei indiscriminati, frontiere militarizzate, retate di massa e deportazioni su larga scala.  In questo contesto, segnato dal tramonto della democrazia liberale, abbiamo bisogno di connettere le lotte territoriali contro la detenzione amministrativa e dare vita a forme di resistenza conflittuale capaci di produrre una nuova idea di democrazia. Dobbiamo rafforzare una prospettiva transnazionale ed europea che vada oltre le mobilitazioni locali e nazionali: una prospettiva capace di condividere pratiche, costruire reti, coordinare strategie per abolire il regime europeo e globale di apartheid e confinamento. Abbiamo quindi scelto di unirci, insieme a compagnx albanesi,  italianx, europex  e transnazionalx, in una lotta decoloniale e solidale: per dire al popolo albanese che non è solo, che resistere è possibile, che la protesta deve crescere anche dove la cultura della resistenza è stata sistematicamente repressa. In gioco non c’è solo l’Albania o l’Italia, ma il futuro dell’Europa tutta. Da qui deve partire un processo di radicale democratizzazione dello spazio europeo e mediterraneo in cui viviamo.
Grecia. Il Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria
In Grecia, nel corso del 2025, le politiche per “combattere l’immigrazione” si sono intensificate, soprattutto in seguito alla direzione data da Makis Voridis come Ministro per la Migrazione. Quest’ultimo, già noto per le sue affiliazioni con l’estrema destra e per aver sempre descritto gli immigrati come una minaccia per l’Europa 1, ha proposto al Parlamento greco nuove legislazioni sul tema: l’estensione del periodo in cui i migranti possono essere trattenuti in detenzione amministrativa, la criminalizzazione di coloro che restano dopo che la richiesta di asilo è stata rifiutata e la proibizione della residenza per le persone senza documenti, che prima potevano chiederla una volta ottenuto un lavoro 2. Approfondimenti/CPR, Hotspot, CPA GRECIA, SOSPENSIONE DELL’ASILO E NUOVA RIFORMA RAZZISTA DEL GOVERNO MITSOTAKIS Atene anticipa la linea più dura del Patto UE Redazione 14 Agosto 2025 Nonostante l’incarico si sia concluso già a giugno, a causa del coinvolgimento dello stesso ministro in un’inchiesta, il suo successore, Thanos Plevris, sta portando avanti la stessa linea politica, sottolineando anzi come “la sicurezza dei confini non può esistere se non ci sono perdite e, per essere chiari, se non ci sono morti” e affermando che le condizioni di vita per i migranti dovrebbero apparire loro peggiori di quelle dei paesi d’origine 3 . Come illustrato da diversi osservatori 4, il cambio di ministri non ha comportato un cambiamento di approccio, ma piuttosto una continuazione e un rafforzamento del regime migratorio razzista e violento dello Stato greco. Le politiche di frontiera a Lesbo continuano a violare diversi diritti fondamentali: i migranti subiscono violenze, vivono in condizioni degradanti nei campi, sono soggetti a sorveglianza, sfratti, negazione dell’assistenza finanziata dall’UE e ritardi arbitrari nelle domande di asilo. Inoltre, nuove leggi e tattiche amministrative, come il ripristino della Turchia come “paese terzo sicuro” nonostante le sentenze dei tribunali, perpetuano l’incertezza giuridica.  Il Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria a Lesbo esemplifica questa tendenza, rafforzando la detenzione e l’espulsione come pilastri centrali della politica migratoria greca, e della generale assimilazione di approccio in tutta Europa. A differenza dei centri di detenzione già esistenti (come quello tristemente noto di Moria 5), Vastria costituisce un modello per un nuovo tipo di struttura: isolata geograficamente, sorvegliata attentamente tramite controlli biometrici, difficilmente accessibile dall’esterno. Il nuovo centro, infatti, si troverà in un bosco a 30 km da Mitilene, luogo strategico per isolare i migranti dallo spazio pubblico e limitare il coinvolgimento e la supervisione della società civile.  Nonostante numerosi problemi legali, dovuti anche al fatto che la struttura viola gli standard ambientali (dovrebbero essere abbattuti 35.000 alberi solo per costruire la strada di accesso, in una zona già ad alto rischio di desertificazione e incendi 6), la costruzione prosegue e il Ministero della Migrazione, citando gli obblighi di finanziamento dell’UE, ha sostenuto la continuazione dei lavori e la deforestazione. Cos’è il CCAC di Vastria? Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria, Lesbo Capacità prevista: fino a 5.000 persone, fra cui famiglie, minori non accompagnati e persone vulnerabili Funzione prevista: non un centro di accoglienza temporaneo, ma una struttura di detenzione prolungata: tutte le procedure di asilo ed espulsione saranno centralizzate in sito L’opposizione si è concentrata sul mancato rispetto da parte del governo delle decisioni giudiziarie e delle leggi ambientali, ha messo in guardia dai danni irreversibili alla più grande pineta di Lesbo e ha sollecitato la sospensione immediata dei lavori, che però non è mai stata disposta.  A marzo, invece, è stato firmato un contratto da 1 milione di euro per l’installazione di un sistema di rilevamento incendi entro settembre 2025. Nel giugno 2025, infatti, un incendio boschivo sull’isola di Chios ha costretto all’evacuazione del CCAC locale e, nonostante la costruzione di un sistema di rilevamento incendi presso il CCAC di Vastria a Lesbo, il campo di Vastria è ancora privo di vie di fuga antincendio, il che significa che l’evacuazione in caso di incendio a Lesbo sarà ancora più difficile.  Nel frattempo, il governo continua ad affittare il sito per 748.800 euro all’anno e, dato il sostegno politico e finanziario della Commissione europea, il progetto rimane una priorità politica per la Grecia e l’Unione Europea. Se completato, il centro di Vastria, pur non essendo classificato come una prigione, istituzionalizzerebbe un sistema detentivo carcerario: la struttura è infatti creata per imporre limitazioni molto strette alla libertà di movimento, creando di fatto una zona grigia in cui migliaia di persone verranno private dei propri diritti, senza alcun processo legale.  PH: Legal Centre Lesvos In quest’ottica, il CCAC di Vastria prevede anche l’implementazione di due sistemi di intelligenza artificiale avanzata, Centaur e Hyperion, che combinano riconoscimento biometrico, sistemi di videosorveglianza, sorveglianza con droni e analisi comportamentale. Nel 2024, l’Autorità ellenica per la protezione dei dati ha già inflitto una multa significativa al Ministero della Migrazione per gravi violazioni del GDPR (Regolamento UE 2016/679 sulla Protezione Generale dei Dati, entrato in vigore nel 2018 7). Nel frattempo, in altre strutture, in particolare a Samo e Lesbo, sono stati segnalati casi di confisca sistematica dei telefoni dei residenti, limitando l’accesso all’assistenza legale e la supervisione esterna attraverso comunicazioni limitate 8.  Rapporti e dossier/CPR, Hotspot, CPA VITE MONITORATE: COME LA TECNOLOGIA RIDEFINISCE LA LIBERTÀ NEL CCAC DI SAMOS IN GRECIA Le organizzazioni denunciano monitoraggio oppressivo e abusi Rossella Ferrara 25 Agosto 2025 Lungi dall’essere uno spazio di accoglienza transitorio, il CCAC è concepito come un luogo di detenzione prolungata, con una capacità massima di 5.000 persone, tra cui famiglie, minori non accompagnati e richiedenti particolarmente vulnerabili, che vengono trattenuti per mesi in attesa di decisioni amministrative o di espulsione.  Le ONG, tra cui Amnesty International 9, denunciano già da tempo le diverse violazioni dei diritti di coloro che verranno rinchiusi in questo tipo di struttura. Oltre alla violazione dei diritti umani alla vita (nel caso specifico di Vastria si aggiunge il rischio di morire in un incendio, data la vicinanza ai boschi e la mancanza di vie di fuga), alla libertà e alla sicurezza, le persone migranti non vedranno garantiti nemmeno i propri diritti alla protezione dei dati personali e all’educazione: a causa dei problemi strutturali presenti nei programmi di integrazione e nell’accesso a strutture educative, infatti, molti giovani non avranno la possibilità di frequentare la scuola, né dentro né tanto meno fuori dal Centro, e saranno, al contrario, attivamente guidati verso l’esclusione e la criminalizzazione.  L’isolamento non è quindi un effetto collaterale, ma l’obiettivo di una chiara politica migratoria. Come sottolinea il report di Community Peacemaker Teams, Vastria rappresenta “l’incarnazione materiale di un cambiamento nella politica europea verso l’invisibilizzazione, il controllo tecnologico e l’esclusione burocratica. Secondo il progetto attuale, il centro rimane una potenziale trappola mortale – e un monumento a una politica migratoria fallimentare basata sulla reclusione piuttosto che sulla protezione” 10. Questo modello non si sviluppa in un vuoto istituzionale, ma è strettamente legato al nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo. Adottato nel 2024, dovrebbe essere “orientato ai risultati ma ben ancorato ai nostri valori europei” 11, come riporta il sito ufficiale della Commissione europea. La logica del Patto, che entrerà in vigore dal 2026, è messa in pratica in strutture come Vastria e comporta l’accelerazione delle decisioni in materia di asilo, la centralizzazione delle funzioni burocratiche, la riduzione al minimo delle garanzie procedurali e la rapida espulsione dei richiedenti respinti.  1. Greek PM seeks ‘reset’ with former far-right activist as migration minister, The Guardian (14 marzo 2025) ↩︎ 2. Migration minister scraps residence permit extension, Kathimerini (marzo 2025) ↩︎ 3. Greece names new ministers after high-level resignations over farm scandal. Thanos Plevris was appointed migration minister – Politico (28 giugno 2025); Θάνος Πλεύρης / Όταν ζητούσε νεκρούς μετανάστες και πρόσφυγες στα σύνορα (βίντεο) – AVGI (27 giugno 2025) ↩︎ 4. Lesvos Situation Report January – June 2025 – Legal Centre Lesvos ↩︎ 5. Quel che resta di Moria. A Lesbo per i rifugiati inizia un’altra detenzione di Valerio Nicolosi – Altreconomia (20 Settembre 2020) ↩︎ 6. Εικόνες σοκ από νέες υλοτομήσεις στη Βάστρια αποκαλύπτουν το έγκλημα κατά της φύσης – StoNisi (2 Maggio 2025) ↩︎ 7. Regulation (EU) 2016/679 of the European Parliament and of the Council ↩︎ 8. Report on the Situation in the Samos Closed Controlled Access Centre (CCAC), I Have Rights and Homo Digitalis – (Maggio 2025) ↩︎ 9. One year since Greece opened new “prison-like” refugee camps, NGOs call for a more humane approach (settembre 2022) ↩︎ 10. New report unpacks the construction of a migrant detention centre, a report by CPT Aegean Migrant Solidarity (16 luglio 2025) ↩︎ 11. Patto sulla migrazione e l’asilo ↩︎
Grecia, sospensione dell’asilo e nuova riforma razzista del governo Mitsotakis
Con il pretesto dell’aumento degli arrivi sulle isole meridionali, il governo di Kyriakos Mitsotakis ha sospeso per tre mesi l’accesso all’asilo per le persone che arrivano via mare da paesi del Nord Africa, ordinandone l’espulsione immediata senza registrazione. Parallelamente, prosegue in Parlamento l’iter della “Riforma del quadro e delle procedure per i rimpatri di cittadini di Paesi terzi”, che amplia la detenzione, introduce pene detentive per chi resta senza documenti e limita le possibilità di regolarizzazione. La norma radicalizza le linee guida del nuovo Patto UE su migrazione e asilo, anticipandone la traduzione più repressiva. ONG e movimenti denunciano gravi violazioni del diritto internazionale, mentre cresce il coordinamento per una risposta sociale e politica. UNO STATO DI EMERGENZA COSTRUITO AD ARTE L’aumento degli arrivi di persone in movimento sulle isole meridionali greche è diventato il nuovo pretesto del governo di centro-destra guidato da Kyriakos Mitsotakis per giustificare l’ennesima offensiva contro il diritto di asilo. Dall’inizio dell’estate, in particolare, Creta e Gavdos hanno registrato un incremento 1 di approdi di persone in fuga da Libia, Tunisia e Algeria. Una dinamica nota da tempo, trasformata oggi in “minaccia nazionale” per invocare misure straordinarie. SOSPENSIONE DELL’ASILO E DEPORTAZIONI IMMEDIATE L’11 luglio con l’emendamento n. 71 della legge 5218, il Parlamento ha imposto un divieto di tre mesi alla presentazione di domande di asilo per le persone che arrivano via mare, prevedendo la loro immediata espulsione verso il Paese di transito o di origine, senza alcuna registrazione. La misura colpirà soprattutto i nuovi arrivi provenienti da Libia, Tunisia e Algeria. «Una situazione tanto grave quanto prevedibile», osserva l’avvocato Minos Mouzourakis di Refugee Support Aegean 2. «L’aumento degli arrivi dalla Libia è una realtà da almeno due anni, come dimostra anche il recente procedimento penale 3 contro alti funzionari della guardia costiera greca per il naufragio di Pylos del 14 giugno 2023, che ha causato oltre 600 morti. Né Creta né Gavdos dispongono di strutture di accoglienza o registrazione, e i piani per crearle sono stati respinti solo tre mesi fa dal Ministero della Migrazione». Il nuovo ministro della Migrazione e dell’Asilo, Thanos Plevris – subentrato il 28 giugno a Makis Voridis, dimessosi in seguito allo scandalo sui fondi agricoli dell’UE – ha già dichiarato che la sospensione dell’asilo potrebbe essere estesa in caso di una “nuova crisi” 4. Chi è Makis Voridis La nomina a marzo di Makis Voridis 5 a ministro della Migrazione ha visto un’intensificazione della retorica e delle politiche anti-migranti. Voridis, con una lunga storia di affiliazioni di estrema destra, tra cui la leadership nell’ala giovanile del partito greco neofascista Epen (Unione Politica Nazionale), ha confermato le aspettative di un programma aggressivamente razzista, illegale e xenofobo. Fonte: Legal Centre Lesvos ONG E SOCIETÀ CIVILE: “PROVVEDIMENTO ILLEGALE” La risposta delle organizzazioni è stata immediata. Più di 100 ONG e associazioni hanno firmato una dichiarazione congiunta per chiederne l’annullamento. «Il diritto di chiedere asilo e la protezione dal respingimento sono principi fondamentali che non possono mai essere limitati. Entrambi sono sanciti da strumenti di diritto internazionale e dell’UE che prevalgono su qualsiasi disposizione legislativa nazionale, come già sottolineato da autorevoli istituzioni a livello greco e internazionale. Questa sospensione è illegale – scrivono le organizzazioni – e deve essere revocata». 🔗 JOINT STATEMENT: THE UNLAWFUL SUSPENSION OF ACCESS TO ASYLUM IN GREECE MUST BE IMMEDIATELY WITHDRAWN Adriana Tidona, ricercatrice di Amnesty International per le migrazioni, aggiunge: «Le autorità greche hanno inoltre annunciato l’intenzione di istituire un centro di detenzione a Creta, per trattenere le persone che arrivano in modo irregolare. Se attuata, questa proposta rischia di generare situazioni di detenzione automatica e quindi arbitraria delle persone migranti, in violazione del diritto dell’Unione europea e del diritto internazionale». LA NUOVA RIFORMA SUI RIMPATRI: CONTINUITÀ E RADICALIZZAZIONE «Chiunque sia illegale in Grecia non sarà mai legalizzato», dichiarava a fine maggio l’ex ministro dell’Immigrazione e dell’Asilo Makis Voridis, riferendosi alle modifiche legislative che stava promuovendo per rafforzare il sistema di rimpatrio. Il disegno di legge preparato da Voridis e, messo in consultazione il 17 luglio dal nuovo ministro dell’Immigrazione Thanos Plevris 6, nei primi giorni di agosto, è stato presentato in Parlamento l’8 agosto scorso 7. Chi è Thanos Plevris Ministro della Migrazione dal 28 giugno 2025, è noto per posizioni estremiste e dichiarazioni apertamente razziste. Celebre, e inquietante, la frase: «La sicurezza delle frontiere non può esistere senza vittime, per essere chiari, se non ci sono morti». La sua nomina segna la continuità e, per certi versi, la radicalizzazione della linea di Voridis La “Riforma del quadro e delle procedure per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi” aggiorna il quadro normativo per espulsioni e rimpatri. L’obiettivo dichiarato dal governo è rafforzare la gestione delle espulsioni, prevenire abusi delle procedure d’asilo e ridurre le falle amministrative. In realtà, la norma amplia la detenzione, inasprisce pene e restrizioni, limitando drasticamente le possibilità di regolarizzazione. I punti principali sono:Paesi di rimpatrio ampliati: inclusi residenza abituale, “paese terzo sicuro” e primo paese di asilo.Pene per soggiorno illegale: carcere (minimo 2 anni) o multa fino a 10.000€, senza possibilità di sospensione salvo rimpatrio volontarioMulte e pene aumentate per chi entra o rientra illegalmenteDefinizioni più severe di “rischio di fuga”, come mancanza di residenza fissa o rifiuto di identificazionePartenza volontaria ridotta: da 25 a 14 giorni, con controlli elettroniciDivieti di ingresso più duri: fino a 10 anni, estendibiliPene per soggiorno illegale: carcere (minimo 2 anni) o multa fino a 10.000€, senza possibilità di sospensione salvo rimpatrio volontarioMeno possibilità di richiedere asilo più volte e abolizione del permesso di soggiorno dopo 7 anni di presenza irregolare Un disegno di legge marcatamente razzista, i cui punti salienti Plevris ha illustrato in una recente intervista 8. «Il piano, che sarà votato all’inizio di settembre, prevede che chiunque arrivi in Grecia e veda respinta la propria domanda di asilo sarà condannato a una pena detentiva da due a cinque anni. L’unica possibilità di evitare il carcere sarà quella di collaborare al proprio rimpatrio. Nel frattempo, durante l’esame della richiesta di asilo, la persona potrà essere posta in detenzione amministrativa. Stiamo investendo nella detenzione e nel rimpatrio – ha dichiarato Plevris – e questo può essere ottenuto solo con una politica di disincentivi: chi entra illegalmente nel Paese deve sapere che, se il suo asilo viene respinto, le conseguenze saranno tali da non avere alcun motivo per rimanere». La propaganda governativa Il 7 agosto, Plevris ha visitato 5 strutture. In una foto osserva sorridente il segretario generale per l’accoglienza mangiare il cibo distribuito. “Il nostro ministero non è un hotel”, ha commentato, chiedendo di rivedere il menù “in stile alberghiero” fornito nei campi. Fonte: Efsyn SUL CAMPO: VIOLENZE E NUOVE INFRASTRUTTURE Il Legal Centre Lesvos (LCL) ha pubblicato un rapporto che copre i primi sei mesi del 2025 sull’isola di Lesvos 9, offrendo un quadro complessivo della stretta repressiva in atto. Il LCL denuncia la persistenza di pratiche illegali: perdurare di violenze di frontiera, respingimenti violenti, condizioni degradanti nei campi, espulsioni collettive e ritardi arbitrari. Nuove infrastrutture, come il Centro di Accesso Controllato di Vastria (finanziato dall’UE), sono progettate per aumentare detenzione ed espulsioni. 🔗 NEW REPORT UNPACKS THE CONSTRUCTION OF A MIGRANT DETENTION CENTRE. A REPORT BY CPT AEGEAN MIGRANT SOLIDARITY Eppure la risposta legale non si ferma: assoluzioni in processi per “traffico di migranti“, liberazione di imputati nel caso “Moria 6” 10, incriminazione di 17 ufficiali della Guardia Costiera per il naufragio di Pylos 11. A Creta cresce la solidarietà verso uomini e ragazzi sudanesi criminalizzati, migliorando l’accesso alla difesa legale. Il naufragio di Pylos Il 14 giugno 2023, un peschereccio partito dalla Libia con centinaia di persone si è capovolto e affondato al largo di Pylos, causando oltre 600 morti. L’inchiesta ha portato all’incriminazione di 17 ufficiali della Guardia Costiera greca. È il naufragio più letale della storia recente I MOVIMENTI: «DOBBIAMO RESISTERE» Il 27 luglio, il Coordinamento Antirazzista di Atene – formato da Open Assembly Against Pushbacks and Border Violence, Solidarity with migrants, Mataris Sudan Solidarity Committee e Assembly Against Detention Centers 12 – ha convocato un incontro nel quartiere di Exarchia 13. > «Dobbiamo affrontare tutto questo come un attacco e organizzare la nostra > resistenza, le nostre alleanze e le nostre azioni», hanno affermato. Tra repressione e resistenza, la Grecia si conferma uno dei laboratori più estremi della politica migratoria europea: norme e pratiche securitarie si sperimentano sulle vite delle persone. Ma la mobilitazione, dentro e fuori i tribunali, dimostra che l’opposizione sociale è viva – e pronta a rilanciare. 1. Leggi: Crete – Gavdos: 7,336 refugee arrivals in the first half of 2025, lack of management plan, Refugee Support Aegean (RSA) (9 luglio 2025) ↩︎ 2. Leggi l’editoriale pubblicato su ECRE il 17 luglio 2025 ↩︎ 3. Pylos Shipwreck: Criminal prosecution for felonies against 17 members of the Coast Guard, RSA (23 maggio 2025) ↩︎ 4. Greece may extend North Africa asylum ban if migrant flow resurges, Reuters (7 agosto 2025) ↩︎ 5. Greek PM seeks ‘reset’ with former far-right activist as migration minister, The Guardian (Marzo 2025) ↩︎ 6. Nel suo discorso inaugurale come ministro, Plevris ha dichiarato apertamente che le persone che entrano in Grecia senza autorizzazione avranno solo due opzioni: tornare indietro o essere mandate in prigione, e ha dichiarato – in violazione del diritto greco e internazionale – che a nessuno che entri irregolarmente sarà permesso di richiedere asilo Fonte: Legal centre Lesvos ↩︎ 7. Leggi il comunicato stampa governativo ↩︎ 8. L’intervista a Plevris su MonoNews (10 agosto 2025) ↩︎ 9. Lesvos Situation Report January – June 2025, LCL (24 luglio 2025) ↩︎ 10. Il 4 aprile 2025, 3 dei “6 di Moria” sono stati assolti! Erano stati condannati per incendio doloso insieme ad altri 3 adolescenti. Questi 6 adolescenti afghani sono stati assurdamente accusati degli incendi che hanno distrutto il catastrofico campo di Moria a Lesbo nel settembre 2020. Fonte: Solidarity Campaign FreetheMoria6 ↩︎ 11. Leggi anche l’articolo su Efsyn (7 agosto 2025) ↩︎ 12. Detenzione amministrativa: sistemi carcerari e apartheid in Palestina e Grecia. Un podcast di Against Detention Centers Athens ↩︎ 13. La notizia e il testo di convocazione su Efsyn (23 luglio 2025) Efsyn (Εφημερίδα των Συντακτών, Efimerida ton Syntakton) è un quotidiano cooperativo greco. Il suo nome significa “Il giornale dei redattori”. È stato fondato nel 2012 da ex dipendenti del quotidiano Eleftherotypia, che aveva cessato le pubblicazioni. È una cooperativa gestita interamente dai suoi dipendenti ↩︎