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Rimpatri, la nuova stretta dell’UE: «Un regolamento disumano che va respinto»
L’11 marzo 2025 la Commissione Europea ha presentato una nuova proposta di Regolamento sui Rimpatri che, dietro la veste burocratica e il linguaggio tecnico, punta a definire un’Europa più oppressiva e punitiva. Questo regolamento è destinato a sostituire l’attuale Direttiva Rimpatri e per impianto ideologico strizza l’occhio ai promotori del Remigration Summit e alle politiche trumpiane, rafforzando un modello che non ha nulla a che vedere con la tutela dei diritti, ma si allinea alla propaganda securitaria e la normalizzazione di pratiche autoritarie. La logica dichiarata è quella di aumentare i tassi di espulsione, la sostanza è un sistema che poggia i suoi pilastri su detenzione, deportazioni e sorveglianza. Non un testo amministrativo, bensì un manifesto politico che considera la mobilità umana una minaccia e la trasforma in un problema di ordine pubblico. Oltre duecento organizzazioni europee hanno deciso di denunciare il Regolamento con un documento congiunto che smaschera la natura reale della proposta: “Il regolamento sull’espulsione fa parte di un cambiamento nella politica migratoria dell’UE che caratterizza il movimento umano come una minaccia per giustificare deroghe alle garanzie dei diritti fondamentali”, si legge nell’introduzione. Lo statement entra nel dettaglio punto per punto, mostrando la portata devastante delle misure. La prima “novità” riguarda la possibilità di espellere persone considerate irregolari verso paesi terzi in cui non hanno mai vissuto e con cui non hanno alcun legame personale, una pratica che distruggerebbe famiglie e comunità e che aprirebbe la strada a veri e propri centri di rimpatrio offshore, luoghi di detenzione al di fuori dell’UE in cui la tutela dei diritti diventerebbe un miraggio. In pratica, un’estensione e normalizzazione del cosiddetto “modello Albania”. Un altro punto riguarda la sorveglianza generalizzata: gli Stati membri sarebbero obbligati a mettere in atto sistemi di individuazione delle persone irregolari, alimentando così profilazioni razziali, retate di polizia, paura nelle comunità migranti. Un ulteriore elemento è l’estensione della detenzione amministrativa fino a 24 mesi, che colpirebbe indiscriminatamente minori, soggetti vulnerabili e persone che non possono essere espulse: una gravissima violazione del diritto internazionale e della dignità umana.  Il testo denuncia poi l’introduzione di misure punitive e coercitive sproporzionate: multe, restrizioni, divieti di ingresso e accesso ai servizi, fino alla negazione di prestazioni essenziali, con il paradosso di penalizzare chi non può adempiere a obblighi materiali impossibili, come l’ottenimento di documenti in caso di apolidia. Si colpisce anche il diritto di ricorso, eliminando la sospensione automatica delle espulsioni: in questo modo diventa quasi impossibile difendersi da un rimpatrio forzato. Infine, critica l’uso massiccio della sorveglianza digitale, con tracciamenti GPS, raccolta e condivisione di dati sensibili – inclusi quelli sanitari – anche con paesi terzi privi di tutele adeguate, creando un mercato redditizio per le multinazionali della sicurezza e della tecnologia. Le organizzazioni rigettano l’intero regolamento in modo netto: “Non risolverà nulla, ma produrrà solo più irregolarità, più marginalità, più esclusione sociale”.  «Questo regolamento aprirà la strada a un regime distopico di detenzione e deportazione, con decine di migliaia di persone rinchiuse nei centri di detenzione per migranti in tutta Europa, famiglie separate e persone inviate in paesi che non conoscono nemmeno – denuncia Silvia Carta, Advocacy Officer del PICUM – i legislatori dell’UE devono respingerla e lavorare invece su misure che promuovano l’inclusione sociale e la regolarizzazione delle persone costrette a vivere in un limbo legale». Le realtà associative e i movimenti accusano le istituzioni europee di alimentare sentimenti razzisti e xenofobi, di favorire gli interessi economici di chi lucra sui centri di detenzione e sui sistemi di sorveglianza, di sacrificare i diritti sull’altare della propaganda securitaria. Lo statement sottolinea l’assenza di una valutazione di impatto sui diritti fondamentali, evidenziando che si tratta di una proposta costruita senza consultazioni, senza trasparenza, senza rispetto delle stesse regole procedurali che la Commissione dice di voler applicare. “È la conferma di una scelta politica precisa: continuare a investire nella paura e nella punizione invece che nella protezione e nell’inclusione”. Le alternative esistono. Le organizzazioni chiedono di rafforzare i canali regolari di ingresso, di ampliare i permessi di soggiorno basati sui diritti, di garantire accesso alla salute, alla casa, al lavoro dignitoso, di costruire comunità forti e inclusive. «In un momento in cui le politiche di esclusione avanzano, chiediamo un rinnovato impegno verso la solidarietà e i diritti umani la sicurezza non può fondarsi sulla paura e sulla discriminazione, ma solo sull’inclusione, il rispetto e pari opportunità”, afferma Giovanna Cavallo, coordinatrice del Forum per Cambiare l’ordine delle cose e della Road Map per il Diritto d’Asilo e la Libertà di Movimento.  Il documento si chiude con una richiesta inequivocabile: il ritiro immediato della proposta e un’inversione di rotta radicale. Perché un’Europa che si definisce democratica e fondata sul rispetto dei diritti non può scegliere la strada della detenzione di massa e della deportazione. Perché la vera sicurezza non nasce dai muri, ma dalla giustizia sociale. Perché le vite delle persone non sono numeri da espellere, ma priorità da difendere. Lo scenario prossimo è quindi stretto tra questo Regolamento il nuovo e criminale Patto europeo su migrazione e asilo. Segnali inequivocabili di una trasformazione profonda: i governi europei, seppur in modo contradditorio, non parlano più di accoglienza, integrazione o protezione internazionale, ma di rimpatri di massa, detenzione e deportazioni. Un evidente spostamento a destra che occorre contrastare in tutti i modi possibili, attraverso l’attivazione sociale e politica, alleanze transnazionali tra movimenti e soprattutto momenti comuni di mobilitazione. Serve organizzarsi e lottare insieme, in Europa e oltre i suoi confini. Un primo appuntamento di rilievo è già stata lanciata dal Network Against Migrant Detention (NAMD) per l’1 e 2 novembre in Albania: “A due anni dalla firma del memorandum Rama-Meloni torneremo a Tirana, Gjadër e Shëngjin per contestare le deportazioni fasciste e per chiedere la chiusura definitiva dei CPR e le politiche di deportazione”. > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da Network Against Migrant Detention > (@networkagainstmigrantdetention)
12 e 13 settembre: «Da Tripoli a Ginevra 2»
“UNHCR = UNFAIR!”, “IOM = NASTY!”: con questi slogan Refugees in Libya annuncia due nuove giornate di mobilitazione a Ginevra, il 12 e 13 settembre 2025, contro le «violazioni dei diritti umani» da parte delle principali agenzie internazionali coinvolte nella gestione delle migrazioni. Venerdì 12 settembre, alle 11, davanti alla sede dell’UNHCR in Rue de Montbrillant 94, è prevista una conferenza stampa con la presentazione del “Book of Shame”, che raccoglie «dozzine di denunce e accuse da parte di rifugiati e migranti in Libia, Tunisia e Niger». Secondo gli organizzatori, «anziché adempiere al proprio mandato di protezione, l’UNHCR sta proteggendo le frontiere europee ed è diventato uno strumento delle politiche di esternalizzazione». Per il collettivo si tratta di un ritorno a Ginevra, dopo la due giorni del 9 e 10 dicembre 2022 – in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani – che era stata promossa per denunciare l’operato dell’Agenzia dell’ONU. In questo nuovo appuntamento nella città svizzera, il giorno successivo, sabato 13 settembre, la manifestazione partirà alle 14 dalla sede dell’IOM, in Route des Morillons 17. Al centro delle accuse verso l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni sono le pratiche di “ritorno volontario”, considerate una forma di pressione e ricatto: «In Libia conosciamo da molti anni il loro concetto di ricatto – affermano gli attivisti -. Persone detenute e tenute in condizioni insopportabili ricevono come unica proposta quella di tornare nel Paese di origine. In Tunisia abbiamo visto lo stesso sistema, accanto a sgomberi e attacchi contro insediamenti informali». La protesta attraverserà la città, passando anche davanti alla sede delle agenzie governative, con interventi e testimonianze di rifugiati che hanno raggiunto l’Europa. «Non sono disposti a dimenticare le proprie ferite, né i compagni che ancora soffrono in Libia, Tunisia o Niger», sottolineano. Nel comunicato di lancio della due giorni viene denunciata anche l’apertura di un nuovo grande campo per richiedenti asilo a Ginevra, descritto come «una semi-prigione tra la pista dell’aeroporto e un’autostrada, dove le persone sono trattenute per mesi». L’iniziativa fa parte della “chain of action 2025”, una catena di azioni transnazionali che ricorda il decennale dell’estate delle migrazioni del 2015 e rilancia la lotta per la libertà di movimento e i diritti per tutte e tutti.
Grecia, sospensione dell’asilo e nuova riforma razzista del governo Mitsotakis
Con il pretesto dell’aumento degli arrivi sulle isole meridionali, il governo di Kyriakos Mitsotakis ha sospeso per tre mesi l’accesso all’asilo per le persone che arrivano via mare da paesi del Nord Africa, ordinandone l’espulsione immediata senza registrazione. Parallelamente, prosegue in Parlamento l’iter della “Riforma del quadro e delle procedure per i rimpatri di cittadini di Paesi terzi”, che amplia la detenzione, introduce pene detentive per chi resta senza documenti e limita le possibilità di regolarizzazione. La norma radicalizza le linee guida del nuovo Patto UE su migrazione e asilo, anticipandone la traduzione più repressiva. ONG e movimenti denunciano gravi violazioni del diritto internazionale, mentre cresce il coordinamento per una risposta sociale e politica. UNO STATO DI EMERGENZA COSTRUITO AD ARTE L’aumento degli arrivi di persone in movimento sulle isole meridionali greche è diventato il nuovo pretesto del governo di centro-destra guidato da Kyriakos Mitsotakis per giustificare l’ennesima offensiva contro il diritto di asilo. Dall’inizio dell’estate, in particolare, Creta e Gavdos hanno registrato un incremento 1 di approdi di persone in fuga da Libia, Tunisia e Algeria. Una dinamica nota da tempo, trasformata oggi in “minaccia nazionale” per invocare misure straordinarie. SOSPENSIONE DELL’ASILO E DEPORTAZIONI IMMEDIATE L’11 luglio con l’emendamento n. 71 della legge 5218, il Parlamento ha imposto un divieto di tre mesi alla presentazione di domande di asilo per le persone che arrivano via mare, prevedendo la loro immediata espulsione verso il Paese di transito o di origine, senza alcuna registrazione. La misura colpirà soprattutto i nuovi arrivi provenienti da Libia, Tunisia e Algeria. «Una situazione tanto grave quanto prevedibile», osserva l’avvocato Minos Mouzourakis di Refugee Support Aegean 2. «L’aumento degli arrivi dalla Libia è una realtà da almeno due anni, come dimostra anche il recente procedimento penale 3 contro alti funzionari della guardia costiera greca per il naufragio di Pylos del 14 giugno 2023, che ha causato oltre 600 morti. Né Creta né Gavdos dispongono di strutture di accoglienza o registrazione, e i piani per crearle sono stati respinti solo tre mesi fa dal Ministero della Migrazione». Il nuovo ministro della Migrazione e dell’Asilo, Thanos Plevris – subentrato il 28 giugno a Makis Voridis, dimessosi in seguito allo scandalo sui fondi agricoli dell’UE – ha già dichiarato che la sospensione dell’asilo potrebbe essere estesa in caso di una “nuova crisi” 4. Chi è Makis Voridis La nomina a marzo di Makis Voridis 5 a ministro della Migrazione ha visto un’intensificazione della retorica e delle politiche anti-migranti. Voridis, con una lunga storia di affiliazioni di estrema destra, tra cui la leadership nell’ala giovanile del partito greco neofascista Epen (Unione Politica Nazionale), ha confermato le aspettative di un programma aggressivamente razzista, illegale e xenofobo. Fonte: Legal Centre Lesvos ONG E SOCIETÀ CIVILE: “PROVVEDIMENTO ILLEGALE” La risposta delle organizzazioni è stata immediata. Più di 100 ONG e associazioni hanno firmato una dichiarazione congiunta per chiederne l’annullamento. «Il diritto di chiedere asilo e la protezione dal respingimento sono principi fondamentali che non possono mai essere limitati. Entrambi sono sanciti da strumenti di diritto internazionale e dell’UE che prevalgono su qualsiasi disposizione legislativa nazionale, come già sottolineato da autorevoli istituzioni a livello greco e internazionale. Questa sospensione è illegale – scrivono le organizzazioni – e deve essere revocata». 🔗 JOINT STATEMENT: THE UNLAWFUL SUSPENSION OF ACCESS TO ASYLUM IN GREECE MUST BE IMMEDIATELY WITHDRAWN Adriana Tidona, ricercatrice di Amnesty International per le migrazioni, aggiunge: «Le autorità greche hanno inoltre annunciato l’intenzione di istituire un centro di detenzione a Creta, per trattenere le persone che arrivano in modo irregolare. Se attuata, questa proposta rischia di generare situazioni di detenzione automatica e quindi arbitraria delle persone migranti, in violazione del diritto dell’Unione europea e del diritto internazionale». LA NUOVA RIFORMA SUI RIMPATRI: CONTINUITÀ E RADICALIZZAZIONE «Chiunque sia illegale in Grecia non sarà mai legalizzato», dichiarava a fine maggio l’ex ministro dell’Immigrazione e dell’Asilo Makis Voridis, riferendosi alle modifiche legislative che stava promuovendo per rafforzare il sistema di rimpatrio. Il disegno di legge preparato da Voridis e, messo in consultazione il 17 luglio dal nuovo ministro dell’Immigrazione Thanos Plevris 6, nei primi giorni di agosto, è stato presentato in Parlamento l’8 agosto scorso 7. Chi è Thanos Plevris Ministro della Migrazione dal 28 giugno 2025, è noto per posizioni estremiste e dichiarazioni apertamente razziste. Celebre, e inquietante, la frase: «La sicurezza delle frontiere non può esistere senza vittime, per essere chiari, se non ci sono morti». La sua nomina segna la continuità e, per certi versi, la radicalizzazione della linea di Voridis La “Riforma del quadro e delle procedure per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi” aggiorna il quadro normativo per espulsioni e rimpatri. L’obiettivo dichiarato dal governo è rafforzare la gestione delle espulsioni, prevenire abusi delle procedure d’asilo e ridurre le falle amministrative. In realtà, la norma amplia la detenzione, inasprisce pene e restrizioni, limitando drasticamente le possibilità di regolarizzazione. I punti principali sono:Paesi di rimpatrio ampliati: inclusi residenza abituale, “paese terzo sicuro” e primo paese di asilo.Pene per soggiorno illegale: carcere (minimo 2 anni) o multa fino a 10.000€, senza possibilità di sospensione salvo rimpatrio volontarioMulte e pene aumentate per chi entra o rientra illegalmenteDefinizioni più severe di “rischio di fuga”, come mancanza di residenza fissa o rifiuto di identificazionePartenza volontaria ridotta: da 25 a 14 giorni, con controlli elettroniciDivieti di ingresso più duri: fino a 10 anni, estendibiliPene per soggiorno illegale: carcere (minimo 2 anni) o multa fino a 10.000€, senza possibilità di sospensione salvo rimpatrio volontarioMeno possibilità di richiedere asilo più volte e abolizione del permesso di soggiorno dopo 7 anni di presenza irregolare Un disegno di legge marcatamente razzista, i cui punti salienti Plevris ha illustrato in una recente intervista 8. «Il piano, che sarà votato all’inizio di settembre, prevede che chiunque arrivi in Grecia e veda respinta la propria domanda di asilo sarà condannato a una pena detentiva da due a cinque anni. L’unica possibilità di evitare il carcere sarà quella di collaborare al proprio rimpatrio. Nel frattempo, durante l’esame della richiesta di asilo, la persona potrà essere posta in detenzione amministrativa. Stiamo investendo nella detenzione e nel rimpatrio – ha dichiarato Plevris – e questo può essere ottenuto solo con una politica di disincentivi: chi entra illegalmente nel Paese deve sapere che, se il suo asilo viene respinto, le conseguenze saranno tali da non avere alcun motivo per rimanere». La propaganda governativa Il 7 agosto, Plevris ha visitato 5 strutture. In una foto osserva sorridente il segretario generale per l’accoglienza mangiare il cibo distribuito. “Il nostro ministero non è un hotel”, ha commentato, chiedendo di rivedere il menù “in stile alberghiero” fornito nei campi. Fonte: Efsyn SUL CAMPO: VIOLENZE E NUOVE INFRASTRUTTURE Il Legal Centre Lesvos (LCL) ha pubblicato un rapporto che copre i primi sei mesi del 2025 sull’isola di Lesvos 9, offrendo un quadro complessivo della stretta repressiva in atto. Il LCL denuncia la persistenza di pratiche illegali: perdurare di violenze di frontiera, respingimenti violenti, condizioni degradanti nei campi, espulsioni collettive e ritardi arbitrari. Nuove infrastrutture, come il Centro di Accesso Controllato di Vastria (finanziato dall’UE), sono progettate per aumentare detenzione ed espulsioni. 🔗 NEW REPORT UNPACKS THE CONSTRUCTION OF A MIGRANT DETENTION CENTRE. A REPORT BY CPT AEGEAN MIGRANT SOLIDARITY Eppure la risposta legale non si ferma: assoluzioni in processi per “traffico di migranti“, liberazione di imputati nel caso “Moria 6” 10, incriminazione di 17 ufficiali della Guardia Costiera per il naufragio di Pylos 11. A Creta cresce la solidarietà verso uomini e ragazzi sudanesi criminalizzati, migliorando l’accesso alla difesa legale. Il naufragio di Pylos Il 14 giugno 2023, un peschereccio partito dalla Libia con centinaia di persone si è capovolto e affondato al largo di Pylos, causando oltre 600 morti. L’inchiesta ha portato all’incriminazione di 17 ufficiali della Guardia Costiera greca. È il naufragio più letale della storia recente I MOVIMENTI: «DOBBIAMO RESISTERE» Il 27 luglio, il Coordinamento Antirazzista di Atene – formato da Open Assembly Against Pushbacks and Border Violence, Solidarity with migrants, Mataris Sudan Solidarity Committee e Assembly Against Detention Centers 12 – ha convocato un incontro nel quartiere di Exarchia 13. > «Dobbiamo affrontare tutto questo come un attacco e organizzare la nostra > resistenza, le nostre alleanze e le nostre azioni», hanno affermato. Tra repressione e resistenza, la Grecia si conferma uno dei laboratori più estremi della politica migratoria europea: norme e pratiche securitarie si sperimentano sulle vite delle persone. Ma la mobilitazione, dentro e fuori i tribunali, dimostra che l’opposizione sociale è viva – e pronta a rilanciare. 1. Leggi: Crete – Gavdos: 7,336 refugee arrivals in the first half of 2025, lack of management plan, Refugee Support Aegean (RSA) (9 luglio 2025) ↩︎ 2. Leggi l’editoriale pubblicato su ECRE il 17 luglio 2025 ↩︎ 3. Pylos Shipwreck: Criminal prosecution for felonies against 17 members of the Coast Guard, RSA (23 maggio 2025) ↩︎ 4. Greece may extend North Africa asylum ban if migrant flow resurges, Reuters (7 agosto 2025) ↩︎ 5. Greek PM seeks ‘reset’ with former far-right activist as migration minister, The Guardian (Marzo 2025) ↩︎ 6. Nel suo discorso inaugurale come ministro, Plevris ha dichiarato apertamente che le persone che entrano in Grecia senza autorizzazione avranno solo due opzioni: tornare indietro o essere mandate in prigione, e ha dichiarato – in violazione del diritto greco e internazionale – che a nessuno che entri irregolarmente sarà permesso di richiedere asilo Fonte: Legal centre Lesvos ↩︎ 7. Leggi il comunicato stampa governativo ↩︎ 8. L’intervista a Plevris su MonoNews (10 agosto 2025) ↩︎ 9. Lesvos Situation Report January – June 2025, LCL (24 luglio 2025) ↩︎ 10. Il 4 aprile 2025, 3 dei “6 di Moria” sono stati assolti! Erano stati condannati per incendio doloso insieme ad altri 3 adolescenti. Questi 6 adolescenti afghani sono stati assurdamente accusati degli incendi che hanno distrutto il catastrofico campo di Moria a Lesbo nel settembre 2020. Fonte: Solidarity Campaign FreetheMoria6 ↩︎ 11. Leggi anche l’articolo su Efsyn (7 agosto 2025) ↩︎ 12. Detenzione amministrativa: sistemi carcerari e apartheid in Palestina e Grecia. Un podcast di Against Detention Centers Athens ↩︎ 13. La notizia e il testo di convocazione su Efsyn (23 luglio 2025) Efsyn (Εφημερίδα των Συντακτών, Efimerida ton Syntakton) è un quotidiano cooperativo greco. Il suo nome significa “Il giornale dei redattori”. È stato fondato nel 2012 da ex dipendenti del quotidiano Eleftherotypia, che aveva cessato le pubblicazioni. È una cooperativa gestita interamente dai suoi dipendenti ↩︎
Controfuoco. Per una critica all’ordine delle cose (N° 2, giugno 2025)
> con·tro·fuò·co/ > Incendio, appiccato volontariamente, > per eliminare il materiale > combustibile e quindi contrastare > l’avanzata di un incendio di grandi > proporzioni, spec. nei boschi. ARCHITETTURE DEL CONFINAMENTO: IL TRATTENIMENTO COME INFRASTRUTTURA L’editoriale di Francesco Ferri e Omid Firouzi Tabar Sono passati oramai dieci anni dalla cosiddetta “crisi dei rifugiati” e appare sempre più chiaro come il regime complessivo di regolamentazione, filtraggio e selezione della mobilità delle persone migranti sia vivendo una preoccupante virata autoritaria e repressiva, una recrudescenza che vede nella privazione della libertà un fattore sempre più diffuso, strutturale e normalizzato. Questa “sicuritarizzazione” dell’apparato sicuritario-umanitario, che vediamo da alcuni anni intrecciare e ibridare dinamiche di controllo e segregazione con quelle dell’assistenzialismo compassionevole e infantilizzante, si sta progressivamente infiltrando gran parte dei contesti legati alle migrazioni. Lo vediamo nelle narrazioni mediatiche sempre più stigmatizzanti, nel piano normativo che restringe progressivamente diritti e garanzie e nelle prassi istituzionali sempre più segnate da dinamiche di abbandono socio-economico e dalla moltiplicazione degli ostacoli amministrativi e burocratici. Stiamo assistendo in primo luogo a un vero e proprio attacco frontale al diritto di asilo per come lo abbiamo conosciuto, che si materializza attraverso la progressiva centralità di concetti come “paesi sicuro” e alle conseguenti procedure “accelerate” o di “frontiera”. In questo senso la richiesta di protezione internazionale non è più soltanto preludio a una vera e propria trappola sociale, ma è sempre più un’opzione che viene semplicemente negata, soprattutto per sottrarre le persone al pacchetto di diritti che tutt’ora implicherebbe. In tale direzione vanno legislazioni nazionali e il nuovo Patto europeo su migrazioni e asilo, punto di svolta decisivo delle politiche migratorie continentali. A questa erosione del diritto di asilo si accompagna una sorta di “Hotspotizzazione” della regolamentazione delle persone anche oltre alle fasi successive all’approdo. Al netto della resistenza, talvolta anche ostinata, di alcuni tribunali, la prospettiva politica sembra essere quella di dare una progressiva centralità (non soltanto simbolica) a strutture classicamente detentive come i Cpr, ma anche a strutture ibride di trattenimento come i centri albanesi (e altri che fioriranno sul perimetro europeo per le “procedure di frontiera”), e quelli di Pozzallo e Porto Empedocle adibiti per le “procedure veloci”. In parallelo, la costante minaccia di “deportabilità” in questi luoghi, ben agevolata dalla diffusione di misure di militarizzazione urbana come le “Zone Rosse”, diventa ingrediente ricattatorio di estrema violenza. Senza scordarci, per completare questo cupo quadro, di una certa intensificazione della criminalizzazione delle pratiche solidali, soprattutto in mare, e di quella, statisticamente preoccupante, dello smuggling e dei cosiddetti “capitani”, che sta allargando la stretta penale su un numero sempre più vasto di migranti. Tutto ciò non sembra proiettarsi nella direzione di un rafforzamento di forme di mera esclusione ed estromissione delle persone dalla cosiddetta “Fortezza Europa”, concetto che ci appare oggi anche poco funzionale, talvolta del tutto fuorviante, per leggere in profondità i processi in corso e le razionalità che li sottendono. In campo sembra invece persistere un’economia politica del modello confinario imperniata su dinamiche di selettività e di violenta (im)mobilizzazione, orientate a garantire nuove linee di inclusione subalterna e di produzione di soggettività, più che a materializzare una rigida (e improduttiva) impermeabilizzazione del perimetro europeo. Più che alla tensione tra rigide linee che separano estromissione da e inclusione nello spazio europeo, dobbiamo in sintesi sforzarci a cogliere tensioni e conflittualità sempre più molecolari e interstiziali tra espressione di mobilità indisciplinata e tentativo di produzione di soggettività esposte a forme sempre più intensive di sfruttamento lavorativo e di stigmatizzazione utile a nutrire le retoriche sicuritarie. Questi nuovi sviluppi si materializzano dentro una congiuntura di guerra che, oltre alle uccisioni, ai massacri, ai genocidi e alle devastazioni che produce nelle zone di conflitto dove è materialmente in atto, si espande in quanto regime complessivo di produzione di linee di comando, ispirando drammaticamente molte politiche europee tra cui quelle che riguardano migrazioni e confini. In questo scenario bellico la costruzione dei blocchi e delle polarizzazioni, strutturati intorno a un ritorno di costruzioni identitarie come popolo, stato e nazione, produce inevitabili e considerevoli ripercussioni nei regimi di  “bordering” e di “othering”, ponendosi come frame perfettamente coerente con la stretta sicuritaria vissuta in questa fase storica in molti territori europei. Scendendo su un piano più concreto, l’analisi del “modello Albania” fornisce indicazioni utili per cogliere le tendenze che attraversano il regime confinario. Il funzionamento del centro di Gjader ha evidentemente caratteristiche peculiari ma non è, dal punto di vista della logica che lo informa, un’eccezione. Questo progetto, infatti, rende visibile e leggibile una delle traiettorie più rilevanti del governo della mobilità: l’estensione selettiva del trattenimento come pratica ordinaria. In Italia, la detenzione amministrativa si presenta come diffusa ma non generalizzata: uno scarto importante, da cogliere per darne preciso rilievo politico. Infatti, la gran parte delle persone rimpatriate non passa dai Cpr. Ma questo dato non ridimensiona il ruolo politico di quei centri. Al contrario, lo chiarisce: i Cpr non funzionano per volumi, ma per effetto. Producono una pedagogia della minaccia, inscrivono nella vita migrante una moltiforme precarietà costitutiva, alimentano una condizione permanente di esponibilità alla violenza e al rimpatrio. Il modello Albania riproduce questa stessa logica: poche persone effettivamente trattenute bastano a produrre un salto, simbolico e materiale, nell’architettura del confinamento. È per questo che l’analisi non può fermarsi ai numeri. Serve uno sguardo qualitativo e politico sulla detenzione, che è poi quello che questo numero di Controfuoco tenta di portare. Le molteplici forme del trattenimento non vanno valutate unicamente sulla base della capienza o del tasso di rimpatri che producono, ma interrogati come dispositivi: macchine selettive di produzione della soggettività e della forza-lavoro migrante. Le loro funzioni travalicano i corpi che rinchiudono. La violenza concreta che esercitano non va dunque ridimensionata, ma compresa nella sua estensione. La lista dei diritti violati – libertà personale, difesa, salute, unità familiare – è solo la soglia di un impatto più ampio: una violenza sistemica, che agisce al di là delle griglie giuridiche. È una violenza strutturale, fatta di trattamento differenziale, segregazione materiale e simbolica, disciplinamento sociale. Il trattenimento va allora letto come infrastruttura, non come eccezione. Non è una parentesi nella vita migrante, ma una condizione che incide sui tempi, gli spazi, le possibilità di movimento e di relazione. La deportabilità – più che la deportazione effettiva – è oggi la condizione generalizzata che definisce la collocazione sociale di ampi settori di soggettività migrante. Il rischio permanente della detenzione orienta le traiettorie, comprime le aspettative, spezza le reti, contribuisce alla collocazione nel mercato del lavoro, nei modelli dell’abitare. È in questo scenario che si colloca il presente numero di Controfuoco, dedicato alle molteplici forme del trattenimento. Le attraversa, le connette, le storicizza. Non per restituirne un’immagine unitaria, ma per mapparne le articolazioni, le ricadute, le resistenze. Il trattenimento non è ai margini: è un asse portante delle politiche migratorie. È dentro la società, ne riflette le gerarchie, ne rafforza i confini. L’ambizione di questo numero è chiara: contribuire, con strumenti agili e accessibili, alla politicizzazione del dibattito sul trattenimento. Passando in rassegna i vari contributi, Chiara Denaro presenta delle riflessioni che riguardano i nuovi piani di sperimentazione della detenzione migrante. Si parla dei centri di Pozzallo e Porto Empedocle, pensati per trattenere migranti giunti dai “paesi sicuri”, mentre viene esaminata la loro richiesta di protezione internazionale. L’autrice si sofferma in particolare sulla privazione della libertà vista come ingrediente sempre più diffuso del controllo delle migrazioni e sul ruolo svolto dai giudici e dal diritto in questo campo di tensioni. Francesco Ferri presenta una riflessione critica rispetto a un tema che ha avuto recentemente molta amplificazione mediatica, quello dei centri di detenzione in Albania. Ferri si sofferma nello specifico sulla funzione latente di questi luoghi, interpretati come strumenti punitivi che incarnano, anche in prospettiva delle nuove politiche europee, uno specifico modello di controllo della mobilità indisciplinata. In particolare emerge l’idea che tali luoghi rappresentino un confine interno esternalizzato, dove la dislocazione della detenzione pone, tra i vari, seri problemi dal punto di vista del controllo giurisdizionale e della tutela legale. Il tema della detenzione amministrativa è stato approfondito da Rocco Sapienza, in relazione alla struttura collocata a Palazzo San Gervasio, in Provincia di Potenza. Le riflessioni intorno a questo Cpr si soffermano non soltanto sulla violenza istituzionale agita con le forme del trattenimento all’interno di questo luogo, ma si sviluppano anche in riferimento alla sua collocazione nel territorio e in particolar modo nelle reti e infrastrutture dello sfruttamento lavorativo. La progressiva recrudescenza delle politiche di controllo delle migrazioni e la crescente centralità di strumenti necropolitici e repressivi è la cornice di riferimento del contributo di Francesca Esposito. L’autrice, focalizzandosi sul tema della detenzione amministrativa in Italia e in Europa, propone una riflessione critica di orientamento transfemminista e abolizionista indicando la necessità di guardare alle molteplici interconnessioni tra la violenza confinaria e violenza di genere, con particolare riferimento allo sguardo portato nel dibattito attuale dal femminismo anticarcerario. Anche il contributo di Luca Ceraolo affronta il tema della detenzione delle persone migranti all’interno del Cpr. Tenendo la salute mentale come cornice generale di riferimento, in questo contributo viene messa a fuoco la relazione tra diversi campi del sapere – con particolare attenzione a quello medico – nelle pratiche detentive e la materializzazione di un “continuum coloniale” nei processi di stigmatizzazione che riguardano le soggettività migranti. Luca Daminelli e Andrea Contenta si focalizzano sulla Grecia e sul borderscape rappresentato da quella particolare porta d’ingresso verso l’Europa, segnata fortemente dagli accordi con la Turchia che continuano ad avere molteplici conseguenze. In questo contributo l’attenzione è rivolta ai dispositivi di privazione della libertà, che fungono in modo sempre più diffuso e normalizzato come strategie di regolamentazione, esclusione ed inclusione subalterna dei migranti irregolarizzati, ma anche dei richiedenti asilo. Infine troviamo le riflessioni presentate da Giovanni Marenda, che volge lo sguardo verso la Bulgaria, di nuovo imperniate sull’analisi della centralità assunta dalla pratica della detenzione nel governo delle migrazioni indisciplinate. Secondo l’autore le prassi osservabili in quel territorio, segnate da diffusi soprusi e violenze discrezionali degli attori istituzionali, possono essere interpretate come una sorta di anticipazione del recente Patto europeo sulle migrazioni che tende ad incorporarle, legalizzandole. Quest’ultimo infatti viene immaginato non tanto come cambio di paradigma, ma come normalizzazione di un sistema che prevede lo strapotere di polizia e la generalizzazione della detenzione come fulcri operativi. CONTROFUOCO N° 2 GIUGNO 2025 SOMMARIO I nuovi centri di detenzione per i richiedenti asilo. Genealogia di un fallimento governativo Chiara Denaro Da dove viene la singolare pretesa di trasportare i migranti in Albania per aumentare i rimpatri? Francesco Ferri Geografia del controllo: note da Palazzo San Gervasio Rocco Sapienza Per una critica transfemminista abolizionista della detenzione amministrativa in Italia Francesca Esposito Politiche della diagnosi e continuum della colonia. Riflessioni sulla salute nella detenzione amministrativa Luca Ceraolo La Grecia scudo d’Europa. Di razzismo istituzionale, condizioni di vita inumane e politiche di morte Andrea Contenta e Luca Daminelli Reclusi alla periferia d’Europa. Uno sguardo sulla detenzione dei migranti in Bulgaria Giovanni Marenda Clicca sull’immagine di copertina per scaricare gratuitamente la rivista o qui sotto Download in pdf Acquista una copia cartacea Fotografie: Silvia Di Meo, Rami Sole, Luca Greco, Marios Lolos, Francesco Cibati, Rocco Sapienza, Stop CPR Roma e Mel Progetto grafico: Giacomo Bertorelle Gruppo redazionale: Jacopo Anderlini, Emilio Caja, Francesco Della Puppa, Francesco Ferri, Enrico Gargiulo, Barbara Barbieri, Stefano Bleggi, Giovanni Marenda, Omid Firouzi Tabar, Martina Lo Cascio La foto di copertina è stata scattata durante la mobilitazione del Network Against Migrant Detention in Albania l’1 e 2 dicembre 2024. NAMD è una rete di attivist* transnazionale che chiede l’abolizione della detenzione amministrativa. Cooperativa editrice Tele Radio City s.c.s., Vicolo Pontecorvo, 1/A – 35121 Padova, Italy, Iscr. Albo Soc. Coop. n. A121522 Melting Pot è una testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Padova in data 15/06/2015 n. 2359 del Registro Stampa. Controfuoco è un processo aperto e collettivo che vuole coinvolgere saperi e conoscenze composite e crescere a partire dalle diverse esperienze e biografie che intreccerà. Per contribuire scrivi a collaborazioni@meltingpot.org.