
Trento dice no al CPR: un’intera città contro l’accordo Fugatti-Piantedosi
Progetto Melting Pot Europa - Thursday, October 30, 2025Quando il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha definito l’accordo appena firmato con la Provincia autonoma di Trento «un modello da esportare in altre realtà», forse non immaginava che, nel giro di qualche giorno, ci sarebbe stata una risposta altrettanto compatta, ma nel segno opposto.
Dal vescovo Lauro Tisi al sindaco di Trento Franco Ianeselli, dagli enti del terzo settore ai movimenti sociali, fino alle associazioni e alle parrocchie: la prima reazione riportata dai media locali è stata quella di un no corale al progetto di un Centro di permanenza per i rimpatri (CPR), previsto nella zona di Maso Visintainer, a pochi passi dal quartiere di Piedicastello.
Il 24 ottobre 2025, nel palazzo della Provincia in piazza Dante, Piantedosi e Fugatti hanno sottoscritto l’“Accordo di collaborazione per la realizzazione di un CPR a Trento”. Il documento1 stabilisce che la Provincia “realizzi e finanzi con proprie risorse il CPR senza alcun onere a carico del bilancio dello Stato“, occupandosi di tutte le procedure amministrative ed edilizie. L’area individuata è di circa 3.000 metri quadrati, lungo la Statale 12, in una fetta di terreno stretta tra la tangenziale e l’A22 dove sorge un edificio abitato.
I costi preventivati per la costruzione della struttura detentiva ammontano a oltre 1,5 milioni di euro. Il Ministero, invece, si legge sempre nell’accordo, si impegna ad “assumere, all’attivazione del Centro, gli oneri per la manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché per la gestione» e a “riservare due terzi dei posti disponibili per i migranti destinatari di un provvedimento di espulsione rintracciati sul territorio trentino“. Fugatti, fino alla firma del contratto, ha sempre indicato una capienza di 25 posti, ma nell’accordo non vi è traccia di numeri. In cambio, Roma promette di “ridurre gradualmente il numero dei migranti ospitati nella provincia di Trento fino alla metà di quelli presenti attualmente” 2, mantenendo solo i nuclei con minori o con “concrete prospettive di inserimento nel mercato del lavoro“.
Come spesso accade, si mercanteggia sulla pelle delle persone migranti il consenso e la propaganda politica. In altre parole, la realizzazione del CPR coincide con l’ulteriore diminuzione del sistema di accoglienza, che dal 2018 in poi è stato progressivamente smantellato, sia per effetto del decreto sicurezza di Salvini e del cosiddetto decreto Cutro, sia per la politica provinciale di Fugatti. Un sistema che nel 2024 ha lasciato in strada almeno un migliaio di persone che avevano fatto richiesta di asilo presso la Questura.
Piantedosi, nel comunicato ministeriale, ha poi presentato il progetto come “un passo avanti nella sicurezza territoriale“, ricordando che nel 2025 in Trentino “si sono registrate 61 espulsioni, e ogni trasferimento in un CPR fuori regione richiede tre agenti per almeno tre giorni“.
Ovviamente il ministro si è ben guardato dal ricordare le ignobili condizioni in cui versano i CPR, denunciate a più riprese anche dal Garante nazionale, prima che questa figura fosse declassata e allineata all’ideologia del governo.
La sicurezza territoriale, ha replicato il Coordinamento regionale No CPR, non passa di sicuro per la detenzione: «I CPR non hanno nulla a che vedere con la sicurezza dei cittadini e delle cittadine: sono buchi neri dove il diritto muore, e con esso la libertà e la dignità di tutte e tutti».
Per il Coordinamento, questi centri «rappresentano da oltre ventisette anni lo stesso dispositivo di criminalizzazione e disumanizzazione delle persone prive di permesso di soggiorno». E, riprendendo le parole del Forum di Salute Mentale, sono «i manicomi del presente».
«Luoghi di sofferenza, isolamento e violenza. Luoghi che nessun governo è mai riuscito a rendere trasparenti, dove la libertà può essere sospesa fino a 18 mesi senza processo e senza una tutela legale, per il semplice fatto di essere stranieri, in attesa di un rimpatrio che il più delle volte non avviene».
Anche la Chiesa trentina ha scelto di esporsi. Il Vescovo Lauro Tisi ha dichiarato di guardare «con preoccupazione a un progetto che rischia di compromettere il senso stesso dell’accoglienza».
Per la Diocesi, i CPR «non sono soluzioni, ma luoghi di sofferenza, che riducono l’essere umano a un problema amministrativo».
A questa posizione di contrarietà si sono aggiunte poi le critiche di altre associazioni del territorio, tra cui Caritas e Centro Astalli, impegnate nell’accoglienza dei richiedenti asilo. «Si investono soldi pubblici per costruire gabbie, mentre mancano risorse per l’inclusione e per i servizi sociali», ha scritto quest’ultima.
«Questo accordo è stato calato dall’alto, senza alcun coinvolgimento del Comune», ha commentato il sindaco di Trento Franco Ianeselli, che non nasconde la sua irritazione. La decisione di dimezzare i posti di accoglienza straordinaria «porterà solo a un aumento della marginalità».
«In questo modo raddoppieranno i senzatetto in città», ha detto. «Le persone non spariscono perché si riducono i posti: resteranno qui, ma senza un letto, senza un servizio, senza una prospettiva. È un modo miope di affrontare una questione che richiede politiche di integrazione, non di esclusione».
Né qui, né altrove!
La prima iniziativa informativa, organizzata da AVS, si è svolta ieri sera a Palazzo Geremia, in una sala Falconetto gremita. Un momento di riflessione collettiva sul filo che unisce la memoria della chiusura dei manicomi alla denuncia dei CPR, mettendo in luce il parallelo tra le logiche di contenzione e medicalizzazione del passato e quelle tuttora presenti nei centri detentivi, luoghi in cui la privazione della libertà viene accompagnata da un uso abnorme di psicofarmaci e da condizioni lesive della salute mentale.
Per mercoledì 12 novembre alle ore 20 è prevista un’assemblea pubblica al Centro Sociale Bruno, promossa dal Coordinamento regionale, per «costruire una mobilitazione concreta contro la detenzione amministrativa».
Il Coordinamento, nato nel 2023 e sostenuto da oltre 35 realtà, punta a contrastare la realizzazione del CPR e rilanciare un modello di accoglienza diffusa, in totale discontinuità a quello esistente.
«Non vogliamo solo dire no al CPR di Trento», si legge nell’appello, «ma chiedere la chiusura di tutti i CPR italiani e l’abolizione delle leggi che li rendono possibili, a partire dalla Bossi-Fini e dai decreti sicurezza».

- Scarica l’accordo di collaborazione ↩︎
- Attualmente i posti disponibili nel sistema di accoglienza sono 730; l’accordo prevede di ridurli a 350 ↩︎