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Bari, fuoco e repressione nel CPR: la protesta che nessuno vuole vedere
In Puglia sono attualmente attivi due Centri di Permanenza per il Rimpatrio: uno a Bari-Palese, l’altro a Restinco, frazione di Brindisi 1. Entrambe le strutture si trovano in aree periferiche, militarizzate e difficilmente accessibili da osservatori esterni. Quello di Bari 2 è attivo come CPR dal 2017; ad oggi, vi sono state trattenute circa 750 persone. Ed è proprio in questo centro che, nella notte tra il 22 e il 23 luglio, è esplosa una nuova protesta. Le persone recluse hanno appiccato incendi all’interno dei moduli detentivi, incendiando materassi e suppellettili. Alcuni si sono rifugiati sui tetti per sfuggire al fumo, lanciando slogan come “libertà” e “tutti liberi”. Le rivolte sono l’esito di condizioni di detenzione estreme: caldo insopportabile, scarsa igiene, cibo avariato, deterioramento della salute fisica e mentale. Gli attivisti della rete Mai più lager – No ai CPR documentano un clima di disperazione, con episodi di autolesionismo e tentativi di fuga, in un contesto in cui l’unico orizzonte possibile resta la detenzione stessa. Secondo quanto riferito dai collettivi locali – che denunciano le «condizioni disumane» del centro e si sono recati subito sul posto documentando con foto e video gli incendi – una delle persone trattenute ha riportato fratture agli arti durante un tentativo di fuga, restando intrappolata per ore senza ricevere soccorsi. La Prefettura ha dichiarato che l’assistenza medica è avvenuta tempestivamente, ma la discrepanza tra le dichiarazioni ufficiali e le testimonianze raccolte all’interno alimenta il sospetto che il sistema operi in una condizione di opacità. L’intervento delle forze dell’ordine per sedare le proteste è stato descritto come violento da attivisti e testimoni diretti, con punizioni collettive e isolamento forzato. PROTESTA DI INIZIO LUGLIO E PROCESSO LAMPO Anche all’inizio di luglio erano state denunciate proteste da parte dei detenuti. La segnalazione era stata lanciata dalla comunità Intifada Studentesca, che ha riferito di «tantissime persone salite sui tetti in segno di rivolta» durante il primo fine settimana del mese, per chiedere di parlare con la direttrice della struttura. Un episodio specifico, avvenuto nei primi giorni di luglio, ha visto tre persone recluse – tutti incensurate – protagoniste di una protesta interna più contenuta, che è però sfociata in arresti in flagranza. Nel processo per direttissima, davanti al giudice Mario Matromatteo, hanno spiegato di aver agito dopo settimane di condizioni igienico-sanitarie degradanti e totale mancanza di ascolto da parte delle autorità. Dopo tentativi pacifici, come lo sciopero della fame, hanno deciso di protestare in modo più eclatante. «Portateci in carcere, ma non di nuovo in quell’inferno», è una delle frasi che hanno detto. 3 Assistiti dalle avvocate Loredana Liso e Uliana Gazidede, i tre hanno patteggiato sei mesi di reclusione con pena sospesa (dequalificati da “organizzatori” a semplici partecipanti), mentre il giudice ha disposto il trasferimento degli atti e del verbale dell’udienza alla Procura, affinché siano verificate le condizioni del centro e accertate eventuali responsabilità legate alla sua cattiva gestione. ATTI DI AUTOLESIONISMO Il 1° maggio 2025 un giovane trattenuto all’interno del centro, dopo una settimana di sciopero della fame, è stato portato all’ospedale San Paolo di Bari in seguito all’ingestione di shampoo. Accanto alla denuncia dell’evento, sono emerse testimonianze su atti di autolesionismo compiuti da un secondo “ospite” del centro e sul tentato suicidio di un terzo. L’assemblea No CPR Puglia ha inoltre segnalato l’abuso di psicofarmaci, l’uso sistematico di isolamento dei detenuti, l’erogazione di pasti deteriorati e una scarsa assistenza medica. STRETTA DEL GOVERNO SULLE VISITE ISPETTIVE NEI CPR Non sarà semplice, ora, poter appurare i fatti e verificare le condizioni dei detenuti: il diritto di ispezione sulle strutture è stato progressivamente compromesso. Una circolare del Ministero dell’Interno, datata 18 aprile 2025, ha introdotto nuove restrizioni formali all’accesso di parlamentari, consiglieri regionali ed eurodeputati nei CPR. Le visite “ispettive” sono state ridimensionate – nella pratica, ostacolate – imponendo che gli accompagnatori siano “soggetti funzionalmente incardinati”, una condizione non prevista dalla normativa primaria, che di fatto limita l’accesso indipendente a queste strutture di detenzione amministrativa. Approfondimenti/Circolari del Ministero dell'Interno/CPR, Hotspot, CPA CPR: VIETATO ENTRARE Il Ministero dell’Interno limita e depotenzia le visite ispettive ai Centri di Permanenza per i Rimpatri Avv. Arturo Raffaele Covella 18 Luglio 2025 Intanto in provincia di Gorizia, al CPR di Gradisca d’Isonzo, attivisti della rete No CPR e trattenuti denunciano da settimane la diffusione di un’epidemia di scabbia tra i reclusi, in un contesto di sovraffollamento, scarsa igiene e cibo di bassa qualità. Le tensioni, legate anche alla diffusione della malattia, hanno generato proteste ripetute. Non c’è più tempo da perdere. I CPR vanno chiusi. 1. Alla fine del 2024, la capienza effettiva della struttura era tornata a 48 posti. Fonte Action Aid. ↩︎ 2. La scheda di questo CPR su Action Aid ↩︎ 3. Bari, protesta dei migranti nel Cpr di Palese: atti ai Pm sulle condizioni del centro, La Gazzetta del Mezzogiorno (10 luglio 2025) ↩︎
Naufragio di Cutro: quattro finanzieri e due militari della guardia costiera rinviati a giudizio
A due anni e mezzo dal naufragio di Steccato di Cutro, che costò la vita ad almeno 94 persone – tra cui 35 minori – arriva un primo passo concreto per la ricerca di verità e giustizia: sei militari, quattro appartenenti alla Guardia di Finanza e due alla Guardia Costiera, sono stati rinviati a giudizio con le accuse di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. Lo ha deciso la giudice per l’udienza preliminare di Crotone, Elisa Marchetto, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Pasquale Festa. Secondo quanto riporta l’ANSA, tra gli imputati figurano Giuseppe Grillo, capo turno della sala operativa del Reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia; Alberto Lippolis, comandante del Roan; Antonino Lopresti, ufficiale in comando tattico; Nicolino Vardaro, comandante del Gruppo aeronavale di Taranto. Con loro, a processo andranno anche Francesca Perfido, ufficiale in servizio a Roma, e Nicola Nania, che era di turno nel Comando regionale della Capitaneria di porto di Reggio Calabria la notte della strage. L’avvio del processo è previsto per il 14 gennaio 2026 davanti al Tribunale di Crotone. Il procedimento giudiziario ruota attorno alla mancata attivazione del Piano Sar (Search and Rescue) nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, quando il caicco Summer Love si spezzò a pochi metri dalla costa calabrese con a bordo persone provenienti perlopiù da Afghanistan, Iran, Siria e Pakistan. Le trasmissioni di Radio Melting Pot (Non) È Stato il mare. A un anno dalla strage di Cutro Play Episode Pause Episode Mute/Unmute Episode Rewind 10 Seconds 1x Fast Forward 10 seconds 00:00 / 29:00 Subscribe Share RSS Feed Share Link Embed Scarica file | Ascolta in una nuova finestra | Durata: 29:00 | Registrato il 26 Febbraio 2024 A salutare con favore il rinvio a giudizio sono le sei Ong Emergency, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS Mediterranee, tutte ammesse parte civile nel processo. In una dichiarazione congiunta affermano: «Con il rinvio a giudizio si avvicina la possibilità di ottenere verità e giustizia». Le organizzazioni fin dal primo momento avevano denunciato una catena di gravi omissioni nelle operazioni di salvataggio: «I tempi sono fondamentali per la buona riuscita delle operazioni di soccorso, per questo i ritardi nell’attivare interventi di salvataggio non sono un incidente ma una negligenza, che non può restare impunita. In questo caso specifico le autorità italiane hanno ignorato il loro dovere di soccorso e l’omissione ha avuto conseguenze drammatiche». Soprattutto, oggi, chiamano in causa anche i livelli superiori della catena di comando e rilanciano un appello: «Non è accettabile e non si deve più consentire che i responsabili di questo come di altri naufragi restino impuniti mentre le persone continuano ad annegare. Il diritto internazionale, la tutela della vita e il dovere di soccorrere chi è in difficoltà in mare devono essere rispettati sempre, anche nel Mediterraneo». Infine, chiedono «di porre immediatamente fine alla criminalizzazione delle persone in movimento e di ripristinare efficaci operazioni di ricerca e soccorso in mare, auspicabilmente anche con una missione europea dedicata». Le prossime udienze rappresentano quindi un momento cruciale non solo per accertare le responsabilità individuali, ma anche per far luce sulle responsabilità politiche e sulle pressioni esercitate dall’alto su un sistema generale di soccorso ormai da anni ostaggio di scelte politiche che ne hanno progressivamente limitato capacità e volontà di intervento.
Eritrea: la diaspora accusa Rai3 di aver riscritto la realtà
Martedì 15 luglio 2025, Rai3 ha trasmesso La Grande Bugia – Eritrea andata e ritorno, un documentario a cura di Francesca Ronchin e Salomon Mebrahtu. Il programma ha sollevato forti critiche da parte della diaspora eritrea, per il modo in cui mette in discussione la narrazione consolidata sull’esilio politico degli eritrei, mostrando migranti che tornano nel proprio paese d’origine durante l’estate, “senza ripercussioni” e “riaccolti dal paese”. LA VOCE CRITICA DELLA DIASPORA L’associazione Eritrea Democratica ha risposto con una lettera aperta indirizzata alla Direzione di Rai3, in cui esprime “profonda preoccupazione e indignazione” per i contenuti del documentario. «La trasmissione, a nostro avviso – sottolinea l’associazione – diffonde una narrazione distorta e pericolosa sulla realtà eritrea e sulla diaspora, legittimando di fatto la propaganda del regime di Asmara e delegittimando l’esperienza di migliaia di veri rifugiati politici». La lettera contesta anche la selezione delle testimonianze incluse nel documentario: «Molti degli intervistati – benché presentati come eritrei incontrati o contattati casualmente – si mostrano apertamente favorevoli, se non collaborativi, nei confronti del regime. Alcuni di loro, pur avendo ottenuto protezione internazionale in Italia dichiarando di essere fuggiti da persecuzioni e violenze, ripropongono oggi esattamente l’immagine della diaspora diffusa dalla dittatura, contraddicendo quanto affermato nel proprio percorso d’asilo». L’associazione denuncia il rischio che simili rappresentazioni alimentino sospetti e ostilità nei confronti della comunità eritrea rifugiata, e invita la società civile a una presa di posizione collettiva: «Ogni firma è per noi importante: è un gesto di solidarietà e un contributo alla tutela della verità, della dignità dei rifugiati, della libertà di informazione e del dovere di responsabilità che spetta al servizio pubblico radiotelevisivo». Un messaggio forte, rivolto a studiosi, attivisti, associazioni e cittadine e cittadini, affinché si uniscano per difendere la verità storica e politica sull’Eritrea e sull’esilio forzato di tanti suoi abitanti. Per sottoscrivere la petizione clicca qui LE REAZIONI NEL MONDO DELL’INFORMAZIONE Anche l’associazione Carta di Roma è intervenuta sul documentario con un editoriale firmato da Vittorio Longhi, che richiama l’attenzione sul contesto di censura e repressione in Eritrea. PH: Gianluca Costantini (In occasione del 19º anniversario della scomparsa dei prigionieri di coscienza eritrei, nel 2019 si è tenuta a Washington “Let Them Shine”, una performance commemorativa) «Ricordiamo – scrive Longhi – che l’Eritrea vanta il triste primato della più lunga detenzione al mondo di giornalisti. Dal 2001 almeno undici uomini sono in carcere per aver tentato di fondare organi di informazione libera e chiedere il rispetto del diritto di espressione, presupposto di qualsiasi democrazia. Oggi nel paese non esiste stampa indipendente: l’unica emittente è la televisione di Stato, EriTV, sotto il pieno controllo del regime». Non a caso, sottolinea l’editoriale, l’Eritrea si colloca all’ultimo posto (180°) nell’Indice della Libertà di Stampa pubblicato da Reporters Without Borders. «Questo documentario – conclude l’associazione Eritrea Democratica – è una macchia sulla credibilità di chi accoglie. È un’offesa per chi ha sofferto e continua a vivere con traumi profondi. Ma può diventare anche un’occasione, se ben gestita, per fare chiarezza e porre fine a un’ambiguità che da troppo tempo viene tollerata». Anche la conclusione dell’editoriale di Carta di Roma è netta: «Il documentario ci appare un pessimo esempio di giornalismo libero e indipendente, come invece ci si aspetterebbe dal servizio pubblico. Sembra piuttosto un allineamento acritico e ossequioso ai progetti di cooperazione e investimento promossi dall’attuale governo italiano in collaborazione con il regime eritreo. Oltre ai limiti giornalistici, inquietano le possibili conseguenze sul piano della protezione internazionale per gli eritrei in fuga dalla dittatura».
Detenzione amministrativa: sistemi carcerari e apartheid in Palestina e Grecia
Nel nuovo episodio del programma radiofonico di Against Detention Centers Athens, attivistə palestinesi e grecə riflettono sulle pratiche di detenzione amministrativa e sui regimi carcerari nei rispettivi contesti 1. Attraverso testimonianze dirette, un quadro giuridico della detenzione amministrativa in Grecia e in Palestina, il podcast mette in luce le connessioni tra l’apartheid israeliana e le politiche migratorie repressive dell’Europa, con particolare attenzione alla Grecia 2. Un dialogo transnazionale che rompe il silenzio sulle violenze istituzionali, evidenziando la continuità tra detenzione senza processo, razzismo sistemico e controllo coloniale delle popolazioni indesiderate. 🎧 Ascolta il podcast: Radio Program – Administrative detention, apartheid, prison systems in Palestine and Greece 1. Questo programma radiofonico è una registrazione dell’evento organizzato dall’Assemblea contro i centri di detenzione il 6 marzo 2025 ad Atene ↩︎ 2. Un database fa luce sulla violenza nelle strutture di detenzione greche: Detention Landscapes, una collaborazione tra Border Criminologies, Mobile Info Team e Border Violence Monitoring Network, mette insieme testimonianze, resoconti di incidenti, ricerche open-source e prove visive per creare una risorsa unica nel suo genere che documenta le forme attive e insidiose di violenza che le persone in movimento subiscono all’interno dei diversi spazi di contenimento in Grecia ↩︎
Rispondiamo a Libero
> Il nostro caporedattore Matteo Mariani, risponde a un (pessimo) articolo > apparso su Libero quotidiano Spett. Le Redazione, Ho letto l’articolo del direttore Pietro Senaldi “Caos treni, ora scioperano contro l’aumento degli stipendi“, da voi pubblicato il 9 luglio scorso, trovandolo interessante ma nel contempo riscontrandovi diversi passaggi che necessitano, a mio avviso, alcune precisazioni. Intanto segnalo che le “quattro sigle minoritarie” citate dall’autore sono in realtà tre: CUB, USB e Assemblea Nazionale PdM/PdB (senza virgola, è l’Assemblea Nazionale del Personale di Macchina e di Bordo). L’autore, poi, contestando le dichiarazioni dei sindacati, afferma che “La realtà è che l’adesione allo sciopero del personale di bordo è stata di circa il 20%“. A questo punto due sono le ipotesi: se questo dato è vero, allora si dovrebbero attaccare non i sindacati ma le imprese ferroviarie, che nonostante una così bassa percentuale di scioperanti hanno soppresso una così elevata quantità di treni, provocando i disagi descritti. Se invece non è “colpa” delle imprese, allora il dato del 20% è falso, in tal caso mi domando come mai si pubblichino cifre inesatte senza preventivamente verificarne l’attendibilità. Posso invece affermare io stesso, con certezza, che il fantomatico “personale ferroviario… che si è messo in ferie o in riposo per non vivere una giornata di stress lavorativo e rabbia del pubblico” in realtà non esiste, in quanto le ferie del periodo estivo del personale dei treni sono turnificate e non ne vengono concesse più di quanto già previsto, inoltre in occasione degli scioperi non vengono né concesse ferie né spostati i riposi. Se invece Senaldi è in possesso di prove certe che questo sia avvenuto, allora anche in questo caso sarebbe opportuno che si denunciassero le imprese ferroviarie che hanno concesso ferie e spostato riposi in occasione dello sciopero, incrementando i disagi descritti nell’articolo. Veniamo ora alla domanda di fondo, senz’altro legittima, che l’articolo pone (sebbene in modo implicito): perché i ferrovieri prima votano “sì” al referendum sul contratto e poi, pochi giorni dopo, scioperano contro quel contratto? La risposta non ha nulla a che vedere con Landini, le politiche della sinistra o il governo Meloni. È molto più semplice. In verità, tutti i ferrovieri “beneficeranno” dell’aumento contrattuale che è stato firmato (ho messo le virgolette perché il beneficio è tutto da stabilire, tenendo conto del fatto che la cifra pattuita non è nemmeno la metà dell’importo richiesto dai sindacati che poi hanno firmato, il quale avrebbe dovuto giusto coprire la perdita del potere d’acquisto causata dell’inflazione). Ma solo una parte dei ferrovieri subirà gli ulteriori peggioramenti dell’orario di lavoro che sono stati introdotti e che si sommano ai disagi già presenti e che i sindacati (sempre quelli che hanno firmato) si erano impegnati a mitigare. Ad esempio il personale della manutenzione sta da tempo protestando contro un accordo del gennaio 2024, che ne ha notevolmente peggiorato le condizioni di lavoro. Altro esempio, solo il personale dei treni deve lavorare fino a 10/11 ore al giorno, fare fino a 3 notti a settimana, fare obbligatoriamente fino a tre ore in più al giorno in caso di ritardo del treno. Col nuovo contratto, in più, i capitreno saranno da soli anche su treni notturni, e i macchinisti dovranno operare in solitaria persino di notte. Vale la pena ricordare che, solo negli ultimi dieci anni, tra infarti e tumori, abbiamo perso più di 160 colleghi macchinisti deceduti prematuramente. Scusate se è poco. Cordiali saluti, Matteo Mariani Redazione di Ancora In Marcia! L'articolo Rispondiamo a Libero proviene da Ancora in Marcia!.
Ancora in Marcia n° 5-2025
> EDIZIONE STRAORDINARIA! Vista l’importanza del momento a pochi giorni dal referendum, condividiamo online per tutti, un numero speciale dedicato al contratto, che non piace a tanti ferrovieri ma su cui tutti dobbiamo esprimerci. Un numero di In Marcia per aiutare a capire e a votare informati. In questo numero 1000 buoni motivi per votare un deciso NO! all’ipotesi di rinnovo del CCNL delle attività ferroviarie.  SCARICA LA RIVISTA E ricorda: SOSTIENICI! E se credi nei valori che portiamo avanti COLLABORA CON NOI Il tuo giornale ha bisogno di te! L'articolo Ancora in Marcia n° 5-2025 proviene da Ancora in Marcia!.
I TRENI FISCHIANO ANCORA
STRAGE DI VIAREGGIO: DOPO 16 ANNI E TANTE CONDANNE, L’AFFETTO DEI FERROVIERI AD UNA CITTA’ CHE NON DIMENTICA Viareggio 24 giugno 2025 – Come sempre da quella tragica notte, la nostra rivista inviti macchinisti di tutti i treni in arrivo, in partenza e in transito nella stazione di Viareggio, ad emettere lunghi e ripetuti fischi durante tutta la giornata del 29 giugno 2025. Un modo per “far sentire” a tutti che i ferrovieri – anche dopo 16 anni dalla tragedia e le condanne inflitte ai responsabili – non hanno dimenticato quel che è successo a Viareggio nel 2009 e sono ancora impegnati, assieme ai familiari delle vittime, alle associazioni, a moltissimi lavoratori e cittadini, per migliorare la sicurezza del trasporto su rotaia. Questa ricorrenza cade a poche settimane dalla sentenza ‘ter’ della corte d’Appello di Firenze che ha confermato la misura delle condanne inflitte agli amministratori e dirigenti delle società coinvolte, sia quelle italiane del gruppo Fs che quelle tedesche, Gatx e Jughental. Sentenza di cui ancora non conosciamo le motivazioni ma che ha certamente segnato un punto fermo, sia politico che giudiziario, nella vicenda. Per questo facciamo appello a tutti i macchinisti alla guida nella stazione di Viareggio il 29 giugno prossimo, ad emettere per l’intera giornata lunghi e ripetiuti fischi, sia in arrivo che in transito o in partenza. Il fischio dei nostri treni segnerà l’intera giornata, per richiamare alla riflessione e alla consapevolezza su quanto è purtroppo accaduto e sull’impegno necessario per impedire che fatti analoghi accadano in futuro. Pur se se convinti che ci sono poche possibilità di equivoco, sulla natura e sul significato dei fischi del 29 giugno a Viareggio, le Autorità locali sono tuttavia comunque ufficialmente informate dell’iniziativa, ad evitare che i lunghi e numerosi fischi dei treni possano essere indebitamente interpretati come segnali di allarme. Il fischio del treno… Un saluto da brividi “…brividi è dire poco, altro che il Suono del Silenzio altro che Campane a Lutto… Lacrime”. L'articolo I TRENI FISCHIANO ANCORA proviene da Ancora in Marcia!.
Un altro macchinista non è più tra noi, ancora
> Ancora un macchinista morto di infarto – Mentre ai tavoli del rinnovo > contrattuale non si parla di miglioramenti normativi, anzi si richiedono > peggioramenti, siamo arrivati a 164 macchinisti prematuramente deceduti negli > ultimi 10 anni. In questi giorni di trattative ai tavoli per il rinnovo contrattuale, dai quali giungono continue notizie frammentarie, intervallate anche da notizie di dubbia autenticità, non si ferma purtroppo la tragica scia di macchinisti prematuramente deceduti. Mentre le parti ai tavoli non hanno messo in seria discussione l’attuale normativa di lavoro del personale dei treni, anzi da quanto appreso il datore di lavoro richiede ulteriori peggioramenti, in particolare per quanto riguarda Mercitalia, è giunta in redazione la notizia di un altro macchinista, da poco in pensione, deceduto a causa di un infarto. Solo nell’ultimo mese, sono 4 i macchinisti scomparsi prima dei 67 anni, di cui abbiamo notizia. Sono quindi 164 i macchinisti prematuramente deceduti negli ultimi dieci anni. Auspichiamo che le persone ai tavoli del rinnovo interroghino ciascuno la propria coscienza, consapevoli che ciò che loro firmeranno altri lo dovranno lavorare, e magari ne dovranno morire. Dal canto nostro valuteremo di denunciare ciò che sta accadendo nelle opportune sedi. La redazione L'articolo Un altro macchinista non è più tra noi, ancora proviene da Ancora in Marcia!.
Sullo sciopero del 6 maggio
Cari colleghi, come saprete il 6 maggio è stato proclamato uno sciopero di 8 ore dai sindacati CGIL, CISL, UIL, FAST, UGL e ORSA, sulla materia del rinnovo del contratto. In più occasioni il nostro giornale ha espresso il proprio dissenso nei confronti delle decisioni prese da questi sindacati, responsabili tra l’altro di aver sottoscritto l’attuale, pesantissima, normativa di lavoro del personale dei treni. Anche oggi le rivendicazioni portate avanti da queste OOSS (come il superamento di IVU e il ritorno alle 36 ore settimanali sostenuti da ORSA, FAST e UGL) ci sembrano insufficienti, rispetto a una normativa di lavoro che prevede, ad esempio, le 10/11 ore di prestazione giornaliera, gli RFR di 28 ore e le 3 notti settimanali al servizio merci. Ci sembra inoltre non abbastanza decisa la loro opposizione alle folli richieste aziendali per Mercitalia, come il MEC 3 notturno, l’agente solissimo, l’ulteriore aumento del numero degli RFR e i servizi con la negazione del pasto. Rimaniamo però fedeli al motto del nostro “nonno” Ezio Gallori il quale ha sempre affermato che “È meglio uno sciopero in più che uno sciopero in meno”. Riteniamo importante che il personale partecipi a questo sciopero (se non sarà revocato a seguito della convocazione del 5 maggio da parte del Ministero). In un contesto in cui la parte datoriale appare non ricettiva ad alcuna richiesta, mentre appare preoccupata solo di reprimere le proteste del personale, riteniamo che “uno sciopero in più” possa essere utile, in tal senso. Auspichiamo inoltre che anche le Organizzazioni Sindacali allarghino la propria disponibilità ad ascoltare le problematiche che il personale dei treni si trova a vivere ogni giorno, avanzando quindi alla controparte precise e significative richieste di riduzione dei carichi di lavoro. Le precise e significative richieste sono già contenute in una piattaforma “vera” e costruita proprio dal personale dei treni che sulla base di questa ha già scioperato autonomamente già 8 volte nell’ultimo anno e mezzo. L'articolo Sullo sciopero del 6 maggio proviene da Ancora in Marcia!.
Cronache Picene
> La nostra redazione ha risposto via mail a un surreale articolo apparso sul > quotidiano locale online cronachepicene.it dal titolo “Quando scappa, scappa: > fermano il treno per fare pipì”. Pubblichiamo di seguito la nostra lettera. Spett. Le redazione, ho letto l’articolo da voi pubblicato lo scorso 25 aprile relativo ai due macchinisti di un treno merci scesi per fare pipì. Premettendo che trovo singolare il comportamento della vostra lettrice che, “incuriosita”, forse in maniera un po’ morbosa, ha ritenuto utile e interessante scattare una foto ai due nostri colleghi ed inviarvela, volevo approfittare dell’accaduto per segnalarvi che, per quanto incredibile ciò possa apparire ai non addetti ai lavori, i macchinisti dei treni merci lavorano quotidianamente in condizioni che definire disagiate è un eufemismo, a causa dell’eccessiva lunghezza della prestazione lavorativa giornaliera (fino a 11 ore), all’organizzazione dei turni e alla trascuratezza degli aspetti logistici. Ci tengo a precisare che non sto parlando “per sentito dire” o per difendere questi colleghi per partito preso, ma per esperienza personale. Anche io sono un macchinista di treni merci e posso affermare senza vergogna (o forse con un po’ di vergogna) che anche a me è capitato e capita spesso di dovermi “arrangiare”, in quanto è esperienza quotidiana quella di essere “abbandonato” con il proprio treno in qualche stazione o scalo ferroviario anche per ore, con la località di ristoro o i servizi igienici più prossimi distanti anni luce. Se foste interessati ad affrontare queste tematiche e anzi voleste aiutarci, contribuendo a diffondere le denunce che stiamo cercando di portare avanti da parecchi anni, sarò ben lieto di inviarvi del materiale, a conferma della fondatezza di quanto sto affermando. Ringraziandovi per l’interessamento, vi porgo i miei più cordiali saluti Matteo Mariani Redazione Ancora In Marcia L'articolo Cronache Picene proviene da Ancora in Marcia!.