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A Trento sabato 13 dicembre una manifestazione contro la costruzione del CPR
Sabato 13 dicembre il Coordinamento Trentino-Alto Adige/Südtirol No CPR chiama la cittadinanza a scendere in piazza alle ore 14.30 contro la costruzione del Centro di Permanenza per il Rimpatrio previsto in Destra Adige, vicino al quartiere di Piedicastello. La manifestazione arriva dopo una partecipata assemblea che si è svolta il 12 novembre al Centro sociale Bruno, che ha segnato una nuova tappa di un percorso condiviso tra oltre quaranta realtà sociali e politiche del territorio, la maggior parte delle quali sono impegnate quotidianamente nella solidarietà e nel sostegno alle persone migranti 1. Il progetto del CPR nasce dall’accordo firmato il 24 ottobre 2025 2 tra il presidente della Provincia Maurizio Fugatti e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e potrebbe essere il primo realizzato dal governo Meloni su suolo italiano, perché la Provincia di Trento si è impegnata a finanziare l’opera e ad andare in deroga a qualsiasi criterio urbanistico, economico e di trasparenza pur di accelerarne la costruzione. Per il Coordinamento si tratta di «una gigantesca gabbia stretta tra l’autostrada e la tangenziale di tremila metri quadrati, con container, filo spinato, barriere e telecamere, destinata a rinchiudere decine di persone che non hanno commesso alcun reato» e il risultato «di anni di retorica razzista che parla di “sicurezza” mentre crea esclusione sociale e paura del migrante». Nell’appello, le realtà promotrici ricordano che i CPR sono strutture detentive dove vengono trattenute persone che non hanno ottenuto «il documento giusto», cioè «uomini e donne colpevoli soltanto di un’irregolarità amministrativa, puniti con la privazione della libertà personale». È un sistema che da «ben ventisette anni […] produce solo violenza, soprusi e morte» e che continua a esistere grazie a politiche che creano irregolarità «discriminando in base al paese di origine, allo status giuridico e alla classe di appartenenza». I CPR, si legge, sono lo strumento di deterrenza per eccellenza: «perché se sei senza documenti, sei ricattabile e disposto ad accettare qualunque sopruso pur di evitare di finire inghiottito nel gorgo dei CPR». Oggi in Italia sono dieci i CPR attivi, a cui si aggiunge la struttura aperta in Albania, frutto di un accordo definito «neocoloniale» nell’appello, perché esternalizza la detenzione fuori dai confini mantenendone la gestione italiana. Il Coordinamento definisce i CPR «il simbolo di una violenza sistemica normalizzata, luoghi di tortura legalizzata», come vengono descritti dalle persone che vi sono rinchiuse e dalle organizzazioni che da anni ne documentano le condizioni. Sono anche definiti «i manicomi del presente», spazi che nascondono alla vista pubblica chi viene ritenuto indesiderato o non produttivo. Non esiste, sostengono, una forma “mite” di detenzione amministrativa: «Non c’è modo di renderli “più umani”, come non è possibile riformare questo sistema: i CPR sono lager di Stato, perché non esiste un modo giusto per fare una cosa ingiusta». Questo dispositivo, aggiunge l’appello, è incompatibile con i principi fondamentali dello Stato di diritto poiché «legittima la privazione della libertà senza reato e introduce un doppio binario razziale, di vera e propria apartheid, tra cittadini e cittadine appartenenti alla stessa comunità». La costruzione del CPR si colloca inoltre dentro un quadro più ampio che ricadute ben visibile anche a livello locale: «Lo smantellamento del sistema di accoglienza, l’aumento dell’esclusione e della povertà, la cancellazione di qualsiasi ipotesi di regolarizzazione e il progressivo restringimento dei diritti di chi vive e lavora in Italia». A Trento tra le 1.200 e le 1.500 persone richiedenti asilo che avrebbero diritto a un’accoglienza dignitosa sono già oggi «escluse da qualsiasi forma di assistenza, lasciate in strada, a serio rischio di irregolarità». L’accordo del 24 ottobre prevede inoltre un dimezzamento dei posti nel sistema di accoglienza per richiedenti asilo che passerebbero dagli attuali 700 a 350. Per queste ragioni le realtà del Coordinamento parlano di «un salto di crudeltà della giunta Fugatti e dell’ennesima falsa soluzione a problemi complessi». E invitano la popolazione a mobilitarsi: «È il momento di opporsi alla costruzione del CPR nel nostro territorio». E invitano alla partecipazione collettiva: «Scendiamo in piazza unit* per dire che la vera sicurezza non nasce dalla sofferenza, né dall’esclusione: nasce dal pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza e dalla giustizia sociale. È ora che le istituzioni smettano di eludere i propri doveri». Il documento si chiude con una piattaforma politica articolata, che non viene proposta come una lista di richieste ma come un orizzonte comune: «Per la chiusura di tutti i centri di detenzione amministrativa: questo sistema non è riformabile; per il ripristino e potenziamento del sistema di accoglienza diffusa come alternativa strutturale alla realizzazione dei CPR in Trentino-Alto Adige/Südtirol; per l’abolizione della legge Bossi-Fini e dei cosiddetti decreti “sicurezza”; vogliamo percorsi di regolarizzazione, diritti e inclusione, vogliamo allargare il diritto fondamentale alla libera circolazione anche ai cittadini e alle cittadine non comunitarie». Notizie/CPR, Hotspot, CPA TRENTO DICE NO AL CPR: UN’INTERA CITTÀ CONTRO L’ACCORDO FUGATTI-PIANTEDOSI Cresce la mobilitazione: “Né qui né altrove” Redazione 30 Ottobre 2025 1. Aderiscono al Coordinamento regionale: Assemblea Antirazzista Trento; Bozen Solidale, Centro Sociale Bruno; Spazio autogestito 77; Scuola di italiano Libera La parola Trento; Coordinamento Studentesco Trento; Collettivo Mamadou; Gruppo Trentino con Mimmo Lucano; CucinaCultura; SOS Bozen; Scioglilingua Bolzano; Alleanza Verdi e Sinistra del Trentino; Sinistra die Linke; Ambiente e Salute – Umwelt und Gesundheit; Unione Popolare Alto Adige; LINX; Rifondazione Comunista (Trentino e Alto Adige); Pace Terra Dignità Alto Adige; OMAS GEGEN RECHTS – Bozen; ANPI (Trentino e Alto Adige); Rete dei diritti dei senza voce; Mediterranea Trento; Centro Pace ecologia e diritti – Rovereto; Il Gioco degli Specchi APS; Associazione Oratorio S. Antonio; Comunità di S. Francesco Saverio; Donne per la Pace Trento; Arcigay del Trentino; GrIS Trentino; Associazione A scuola di Solidarietà; ATAS Onlus; Donne in nero di Rovereto; Arci del Trentino; Cortili di Pace di Pergine; Yaku onlus; Extinction Rebellion Trento; Associazione 46° Parallelo ETS / Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo; Onda Trentino (in aggiornamento…) ↩︎ 2. Scarica l’accordo di collaborazione ↩︎
Presentazioni della rivista ControFuoco: “Alle frontiere della detenzione. Genealogie, politiche, lotte”
«Controfuoco è un processo aperto e collettivo che vuole coinvolgere saperi e conoscenze composite e crescere a partire dalle diverse esperienze e biografie che intreccerà». «La rivista si pone come spazio di inchiesta e confronto, un cantiere collettivo per leggere criticamente l’ordine delle cose, a partire dalle lotte e dalle contraddizioni che lo attraversano». (dall’editoriale di ControFuoco N. 2, giugno 2025) Il secondo numero della rivista ControFuoco, intitolato “Alle frontiere della detenzione. Genealogie, politiche, lotte”, uscito a fine giugno, prosegue il percorso di ricerca collettiva e militante avviato con il primo numero, dedicato alle “figure della migrazione”. Il focus è sul sistema della detenzione amministrativa e sulle nuove frontiere del confinamento: dall’accordo Italia-Albania ai CPR in Italia ed Europa, dalle pratiche di resistenza ai saperi critici che ne smontano la legittimità. Approfondimenti/Il progetto/CPR, Hotspot, CPA CONTROFUOCO. PER UNA CRITICA ALL’ORDINE DELLE COSE (N° 2, GIUGNO 2025) «Alle frontiere della detenzione. Genealogie, politiche, lotte»: il nuovo numero della rivista di Melting Pot 22 Luglio 2025 Il numero è già stato presentato in diversi territori nel corso di approfondimenti dedicati al tema e per intrecciarlo alle mobilitazioni locali. A novembre sono previsti due nuovi appuntamenti, a Padova e a Trento, città dove è in corso una mobilitazione contro la costruzione di un nuovo CPR. PADOVA. VENERDÌ 14 NOVEMBRE, ORE 18:30 Spazio Stria – Piazza Gasparotto n. 4 “I centri di trattenimento costruiti in Albania sono l’emblema di un sistema di gestione delle migrazioni fondato sulla normalizzazione dello stato di emergenza e sulla negazione dei diritti e della dignità delle persone”. A partire da questa riflessione, Open Gates, in collaborazione con Mediterranea Padova, il Master in Criminologia critica e sicurezza sociale e Melting Pot Europa, promuove un incontro pubblico per discutere di politiche di frontiera, accoglienza, protezione internazionale e criminalizzazione della solidarietà. “Aprire spazi di confronto, inchiesta e discussione sulle nuove forme di governance dei movimenti migratori è oggi un’istanza sempre più urgente”. Insieme a Francesca Esposito (Università di Bologna) e Omid Firouzi Tabar (Università di Padova), autori di un approfondimento pubblicato nella rivista, sono stati invitati al confronto Rachele Scarpa, deputata del Partito Democratico, e Stefano Bleggi, della redazione di Melting Pot Europa e Controfuoco. Evento su FB e IG TRENTO. GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE, ORE 17:30 Facoltà di Sociologia, Aula Kessler – via Verdi La presentazione della rivista si inserisce in un percorso di opposizione alla costruzione di un CPR a Trento, dopo il 24 ottobre la Provincia di Trento ha firmato un accordo con il ministro dell’Interno per iniziare i lavori nel 2026. Una scelta in continuità con le politiche territoriali di compressione dei diritti fondamentali e invisibilizzazione di chi è già quotidianamente marginalizzato. Attiviste dialogheranno con Omid Firouzi Tabar e Francesca Esposito. Evento su FB e IG Queste nuove presentazioni sono occasioni per mettere in relazione la ricerca con le lotte sui territori, per alimentare un sapere situato e condiviso. ControFuoco non vuole essere solo una rivista, ma uno strumento collettivo: una cassetta degli attrezzi per decostruire le narrazioni dominanti e rafforzare i movimenti che si oppongono alla violenza istituzionale delle frontiere e della detenzione. Acquista una copia cartacea nel nostro shop:
Trento dice no al CPR: un’intera città contro l’accordo Fugatti-Piantedosi
Quando il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha definito l’accordo appena firmato con la Provincia autonoma di Trento «un modello da esportare in altre realtà», forse non immaginava che, nel giro di qualche giorno, ci sarebbe stata una risposta altrettanto compatta, ma nel segno opposto. Dal vescovo Lauro Tisi al sindaco di Trento Franco Ianeselli, dagli enti del terzo settore ai movimenti sociali, fino alle associazioni e alle parrocchie: la prima reazione riportata dai media locali è stata quella di un no corale al progetto di un Centro di permanenza per i rimpatri (CPR), previsto nella zona di Maso Visintainer, a pochi passi dal quartiere di Piedicastello. Il 24 ottobre 2025, nel palazzo della Provincia in piazza Dante, Piantedosi e Fugatti hanno sottoscritto l’“Accordo di collaborazione per la realizzazione di un CPR a Trento”. Il documento1 stabilisce che la Provincia “realizzi e finanzi con proprie risorse il CPR senza alcun onere a carico del bilancio dello Stato“, occupandosi di tutte le procedure amministrative ed edilizie. L’area individuata è di circa 3.000 metri quadrati, lungo la Statale 12, in una fetta di terreno stretta tra la tangenziale e l’A22 dove sorge un edificio abitato. I costi preventivati per la costruzione della struttura detentiva ammontano a oltre 1,5 milioni di euro. Il Ministero, invece, si legge sempre nell’accordo, si impegna ad “assumere, all’attivazione del Centro, gli oneri per la manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché per la gestione» e a “riservare due terzi dei posti disponibili per i migranti destinatari di un provvedimento di espulsione rintracciati sul territorio trentino“. Fugatti, fino alla firma del contratto, ha sempre indicato una capienza di 25 posti, ma nell’accordo non vi è traccia di numeri. In cambio, Roma promette di “ridurre gradualmente il numero dei migranti ospitati nella provincia di Trento fino alla metà di quelli presenti attualmente” 2, mantenendo solo i nuclei con minori o con “concrete prospettive di inserimento nel mercato del lavoro“. Come spesso accade, si mercanteggia sulla pelle delle persone migranti il consenso e la propaganda politica. In altre parole, la realizzazione del CPR coincide con l’ulteriore diminuzione del sistema di accoglienza, che dal 2018 in poi è stato progressivamente smantellato, sia per effetto del decreto sicurezza di Salvini e del cosiddetto decreto Cutro, sia per la politica provinciale di Fugatti. Un sistema che nel 2024 ha lasciato in strada almeno un migliaio di persone che avevano fatto richiesta di asilo presso la Questura. Piantedosi, nel comunicato ministeriale, ha poi presentato il progetto come “un passo avanti nella sicurezza territoriale“, ricordando che nel 2025 in Trentino “si sono registrate 61 espulsioni, e ogni trasferimento in un CPR fuori regione richiede tre agenti per almeno tre giorni“. Ovviamente il ministro si è ben guardato dal ricordare le ignobili condizioni in cui versano i CPR, denunciate a più riprese anche dal Garante nazionale, prima che questa figura fosse declassata e allineata all’ideologia del governo. La sicurezza territoriale, ha replicato il Coordinamento regionale No CPR, non passa di sicuro per la detenzione: «I CPR non hanno nulla a che vedere con la sicurezza dei cittadini e delle cittadine: sono buchi neri dove il diritto muore, e con esso la libertà e la dignità di tutte e tutti». Per il Coordinamento, questi centri «rappresentano da oltre ventisette anni lo stesso dispositivo di criminalizzazione e disumanizzazione delle persone prive di permesso di soggiorno». E, riprendendo le parole del Forum di Salute Mentale, sono «i manicomi del presente». «Luoghi di sofferenza, isolamento e violenza. Luoghi che nessun governo è mai riuscito a rendere trasparenti, dove la libertà può essere sospesa fino a 18 mesi senza processo e senza una tutela legale, per il semplice fatto di essere stranieri, in attesa di un rimpatrio che il più delle volte non avviene». Anche la Chiesa trentina ha scelto di esporsi. Il Vescovo Lauro Tisi ha dichiarato di guardare «con preoccupazione a un progetto che rischia di compromettere il senso stesso dell’accoglienza». Per la Diocesi, i CPR «non sono soluzioni, ma luoghi di sofferenza, che riducono l’essere umano a un problema amministrativo». A questa posizione di contrarietà si sono aggiunte poi le critiche di altre associazioni del territorio, tra cui Caritas e Centro Astalli, impegnate nell’accoglienza dei richiedenti asilo. «Si investono soldi pubblici per costruire gabbie, mentre mancano risorse per l’inclusione e per i servizi sociali», ha scritto quest’ultima. «Questo accordo è stato calato dall’alto, senza alcun coinvolgimento del Comune», ha commentato il sindaco di Trento Franco Ianeselli, che non nasconde la sua irritazione. La decisione di dimezzare i posti di accoglienza straordinaria «porterà solo a un aumento della marginalità». «In questo modo raddoppieranno i senzatetto in città», ha detto. «Le persone non spariscono perché si riducono i posti: resteranno qui, ma senza un letto, senza un servizio, senza una prospettiva. È un modo miope di affrontare una questione che richiede politiche di integrazione, non di esclusione». NÉ QUI, NÉ ALTROVE! La prima iniziativa informativa, organizzata da AVS, si è svolta ieri sera a Palazzo Geremia, in una sala Falconetto gremita. Un momento di riflessione collettiva sul filo che unisce la memoria della chiusura dei manicomi alla denuncia dei CPR, mettendo in luce il parallelo tra le logiche di contenzione e medicalizzazione del passato e quelle tuttora presenti nei centri detentivi, luoghi in cui la privazione della libertà viene accompagnata da un uso abnorme di psicofarmaci e da condizioni lesive della salute mentale. Per mercoledì 12 novembre alle ore 20 è prevista un’assemblea pubblica al Centro Sociale Bruno, promossa dal Coordinamento regionale, per «costruire una mobilitazione concreta contro la detenzione amministrativa». Il Coordinamento, nato nel 2023 e sostenuto da oltre 35 realtà, punta a contrastare la realizzazione del CPR e rilanciare un modello di accoglienza diffusa, in totale discontinuità a quello esistente. «Non vogliamo solo dire no al CPR di Trento», si legge nell’appello, «ma chiedere la chiusura di tutti i CPR italiani e l’abolizione delle leggi che li rendono possibili, a partire dalla Bossi-Fini e dai decreti sicurezza». 1. Scarica l’accordo di collaborazione ↩︎ 2. Attualmente i posti disponibili nel sistema di accoglienza sono 730; l’accordo prevede di ridurli a 350 ↩︎