Tag - Notizie

Lo sfollamento forzato degli abitanti di Gaza, in immagini, mappe e video
di Cate Brown, Amaya Verde e Júlia Ledur ,  The Washington Post, 19 settembre 2025.    I palestinesi sfollati si spostano con i loro averi verso sud su una strada nella zona del campo profughi di Nuseirat, in seguito ai nuovi ordini di evacuazione di Gaza City da parte di Israele. Eyad Baba/AFP/Getty Images Tre giorni dopo che Israele ha lanciato la sua offensiva terrestre per conquistare la città di Gaza, decine di migliaia di palestinesi si stanno spostando verso sud in cerca di una relativa sicurezza. All’inizio dell’operazione, gli aerei militari israeliani hanno lanciato volantini invitando quasi un milione di residenti della città a evacuare lungo la strada al-Rashid, una stretta autostrada a due corsie che costeggia l’enclave. Migliaia di volantini di carta cadono su Gaza City il 17 settembre, intimando a quasi un milione di persone di andarsene. Reuters Un uomo legge uno dei volantini lanciati dall’esercito israeliano, che esorta la popolazione a evacuare verso sud. Omar Al-Qattaa/AFP/Getty Images Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, da metà marzo più di un milione di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case, dopo che Israele ha rotto la fragile tregua con Hamas riprendendo gli attacchi su Gaza. Secondo una dichiarazione rilasciata giovedì dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), quasi un quarto di queste persone si è spostato dal nord al sud di Gaza nell’ultimo mese. Il fumo sale da un bombardamento dell’esercito israeliano nella città di Gaza, visto dalla Striscia di Gaza centrale. Jehad Alshrafi/AP I palestinesi ispezionano il luogo di un attacco israeliano notturno contro un’abitazione nella città di Gaza. Ebrahim Hajjaj/Reuters Le famiglie raccontano di aver trascorso ore nel traffico per raggiungere al-Mawasi. Abdel Kareem Hana/AP Una donna trasporta un fagotto di coperte mentre cammina verso sud. Le partenze di massa dalla città di Gaza hanno causato ingorghi lungo il percorso. Mahmoud Issa/Reuters Un gruppo di abitanti di Gaza seduti su un carro improvvisato, con un sacco di farina bianca e oggetti domestici legati per il viaggio. Eyad Baba/AFP/Getty Images Il 17 settembre si sono alzate nuvole di fumo mentre Israele continuava l’assalto via terra alla città di Gaza in quello che i palestinesi hanno descritto come il bombardamento più intenso degli ultimi due anni. Reuters Detriti di cemento costellano la strada dell’evacuazione. L’ONU stima che oltre il 90% degli edifici residenziali di Gaza siano stati danneggiati o distrutti dai bombardamenti israeliani. Abdel Kareem Hana/AP Un bambino trasporta i suoi averi lungo la strada che attraversa il centro di Gaza. I bambini rappresentano la metà degli sfollati a Gaza. Eyad Baba/AFP/Getty Images La strada costiera per al-Mawasi presenta dei rischi. L’accesso all’acqua e al cibo è limitato. La gente ha dovuto scegliere quali scorte portare con sé verso sud, dove la competizione per le risorse dopo mesi di blocco potrebbe diventare una questione di vita o di morte. Secondo le Nazioni Unite, da domenica più di 56.000 persone hanno lasciato la città di Gaza. Mahmoud Issa/Reuters La gente cammina trasportando fagotti di cibo e vestiti. Eyad Baba/AFP/Getty Images Le partenze sono continuate anche dopo il calar della notte, sotto i bombardamenti israeliani. Più di 20 agenzie umanitarie hanno chiesto ai leader mondiali di intervenire e fermare l’assalto di Israele. Centinaia di migliaia di palestinesi hanno camminato o guidato verso sud per sfuggire all’offensiva israeliana sulla città di Gaza. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che era necessario prendere il controllo della città per sconfiggere Hamas. Jehad Alshrafi/AP Una famiglia palestinese si ammassa su un camion in fuga dalla città di Gaza. Dawoud Abu Alkas/Reuters Le famiglie che arrivano ad al-Mawasi scoprono che lo spazio è limitato e le malattie dilagano. Gli operatori umanitari riferiscono che le persone pagano 80 dollari solo per un posto dove piantare una tenda. La gente cerca uno spazio dove scaricare i propri averi ad al-Mawasi. Jehad Alshrafi/AP Teloni improvvisati e tende fornite dall’ONU ricoprono l’area. Israele ha bloccato un recente carico di tende in entrata a Gaza perché i pali di metallo erano considerati articoli “a doppio uso”. Jehad Alshrafi/AP Cate Brown è giornalista e ricercatrice investigativa per la redazione internazionale del Post.  Amaya Verde è una giornalista grafica del Washington Post, con sede a Madrid. Júlia Ledur è una giornalista grafica che si occupa di notizie estere per il Washington Post. Prima di entrare a far parte del Post nel 2021, ha lavorato come editor grafico presso il COVID Tracking Project dell’Atlantic. In precedenza, ha fatto parte del team grafico di Reuters, occupandosi di politica latinoamericana, ambiente e questioni sociali con dati e immagini.  https://www.washingtonpost.com/world/interactive/2025/gaza-city-evacuation-photos-maps/?utm_campaign=wp_the7&utm_medium=email&utm_source=newsletter&carta-url=https%3A%2F%2Fs2.washingtonpost.com%2Fcar-ln-tr%2F44de55e%2F68cd3570ade2b538187cf313%2F60c8843bae7e8a415def588a%2F51%2F108%2F68cd3570ade2b538187cf313 Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Il veto degli Stati Uniti blocca per la sesta volta una risoluzione dell’ONU sul cessate il fuoco a Gaza
del Palestine Cronicle Staff, The Palestine Chronicle, 19 settembre 2025.   La Russia e diversi altri stati hanno condannato il veto degli Stati Uniti, sottolineando che la risoluzione avrebbe potuto porre fine allo spargimento di sangue in corso. Gli Stati Uniti pongono il veto su una bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per un cessate il fuoco a Gaza. (Fotogramma tratto da un video, via UN News) Giovedì sera gli Stati Uniti hanno posto il veto su una bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiedeva un cessate il fuoco immediato a Gaza. La risoluzione, sostenuta da 14 dei 15 membri del Consiglio, compresi tutti e dieci i membri eletti, è stata bloccata dopo che Washington ha posto il veto. Il testo, presentato dai membri non permanenti, chiedeva un cessate il fuoco incondizionato a Gaza, il rilascio dei prigionieri e la revoca di tutte le restrizioni israeliane alla consegna degli aiuti umanitari. Esprimeva inoltre allarme per l’aggravarsi delle sofferenze dei civili, la carestia e l’intensificarsi dell’offensiva israeliana su Gaza City. L’ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, Morgan Artagus, ha difeso il veto, sostenendo che la risoluzione poneva Israele e Hamas sullo stesso piano e “ignorava la realtà sul campo”. Ha affermato che Israele aveva accettato di porre fine alla guerra a determinate condizioni, mentre Hamas le aveva respinte, insistendo sul fatto che Hamas doveva rilasciare i detenuti e “arrendersi immediatamente”. Ha anche accusato Hamas di ostacolare la consegna degli aiuti e di usare i civili come “strumenti” per raggiungere i propri obiettivi. La Russia e diversi altri stati hanno condannato il veto degli Stati Uniti, sottolineando che la risoluzione avrebbe potuto porre fine allo spargimento di sangue in corso. La rappresentante della Danimarca, Christina Markus Lassen, parlando a nome di un gruppo di paesi, ha sottolineato che la carestia a Gaza è una realtà cruda e ha chiesto un accesso immediato agli aiuti umanitari. La presidenza palestinese ha espresso “rammarico e stupore” per l’ostruzionismo di Washington, affermando che il veto non fa altro che incoraggiare Israele a continuare i suoi crimini. Hamas ha denunciato la mossa degli Stati Uniti come “palese complicità nel crimine di genocidio”, elogiando la posizione dei dieci paesi che hanno presentato la bozza. Ha inoltre esortato a esercitare pressioni sul primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che deve rispondere davanti alla Corte Penale Internazionale di accuse che includono crimini di guerra e genocidio, affinché ponga fine all’aggressione. Anche il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha condannato il veto, descrivendolo come un “via libera” al proseguimento dei massacri e della distruzione. Questa è la sesta volta, dall’inizio della guerra di Gaza quasi due anni fa, che gli Stati Uniti hanno usato il loro potere di veto per bloccare le risoluzioni relative al cessate il fuoco. https://www.palestinechronicle.com/us-veto-blocks-un-ceasefire-resolution-on-gaza-for-sixth-time Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Nessuna privacy, igiene o sicurezza: le donne palestinesi a Gaza devono sfollare ancora una volta
di Rawan Suleiman,  Haaretz, 18 settembre 2025.   Mentre tutti i palestinesi di Gaza City affrontano gravi difficoltà, le donne portano un peso aggiuntivo, che si intensifica con il diffondersi della distruzione e l’avanzata dell’IDF. “La parola ‘sfollati’ non descrive ciò che stiamo vivendo”, dice una residente. “Non augurerei questo agli ebrei”. Una famiglia palestinese in fuga da Gaza City, mercoledì. Crediti: Hani Alshaer/Anadolu via Reuters “La parola sfollamento non descrive ciò che stiamo vivendo”, ha detto Maisa Odeh, una residente di Gaza sulla cinquantina, al canale televisivo saudita Asharq TV. “Non augurerei questo agli ebrei che ci uccidono”, ha detto. “In nome di Dio, non augurerei loro una cosa del genere, anche se sono nostri nemici. Lo sfollamento è una cosa molto difficile, difficile e amara”. Da quando, all’inizio di questo mese, è cominciata l’operazione di Gaza City centinaia di migliaia di abitanti di Gaza sono stati ripresi fotograficamente nel loro viaggio di sopravvivenza verso sud, sia verso il centro della Striscia che verso l’area designata come zona umanitaria a Muwasi. Molte delle persone sfollate che si vedono in queste foto sono donne. Le foto dalla Striscia di Gaza documentano il viaggio a piedi delle donne palestinesi verso sud. Sono costrette a camminare per almeno 13 km fino alla prima area di sosta vicino a Nuseirat, e poi per altri 20 km per raggiungere Muwasi, un’area di 35 km quadrati, pari al 13% dell’intera Striscia, in cui Israele vuole stipare circa due milioni di uomini, donne e bambini. Una donna osserva le persone in fuga da Gaza City, mercoledì. Crediti: Mahmoud Issa/Reuters In molte foto si vedono donne che trasportano tutto il contenuto dei loro armadi, taniche d’acqua vuote e zaini, sia sulle spalle che, a volte, sulla testa. Si vedono donne aggrappate per ore alle strutture dei mezzi che trasportano i loro familiari e il contenuto delle loro case, perché non hanno più un posto dove sedersi. Una donna di 80 anni costretta a compiere il viaggio a piedi, donne che baciano le porte delle case in cui hanno vissuto per molti anni, donne che dormono con i loro familiari sui marciapiedi delle strade perché non riescono a trovare un riparo, senza accesso a servizi igienici, acqua o un luogo sicuro. Attualmente nella Striscia di Gaza ci sono 1,06 milioni di donne, 14.000 delle quali sono diventate le uniche fonti di reddito delle loro famiglie a causa della guerra. Il Ministero della Salute di Gaza ha riferito che il 19% degli oltre 60.000 morti sono donne. Il luogo dell’impatto di un attacco aereo israeliano nella città di Gaza, questa settimana. Crediti: Ebrahim Hajjaj/Reuters Mentre tutti i palestinesi di Gaza City affrontano difficoltà, le donne portano un peso aggiuntivo: difficoltà con l’igiene e la gestione del ciclo mestruale, mancanza di nutrimento durante la gravidanza e l’allattamento, mancanza di privacy ed esposizione a violenze fisiche. Le donne devono affrontare queste sfide ogni volta che vengono sfollate. Una vedova, madre di cinque figli, la cui famiglia è stata sfollata dalla propria casa, ora vive in una tenda a Gaza City. Ha raccontato ad Al Jazeera che sono fuggiti a piedi dal quartiere di Tel al-Hawa dopo 30 giorni di bombardamenti sempre più intensi nella zona. “Non siamo riusciti a trovare un’auto o un carro e non avevamo nemmeno i soldi per pagare il trasporto”, racconta. Ha intrapreso il viaggio con sua cugina, una vedova con sette figli, e altre due donne malate. “Non abbiamo nemmeno una tenda. Solo i vestiti che indossiamo”. Racconta che sono fuggite mentre i droni dell’IDF sparavano nella loro zona e i bambini non smettevano di piangere per la paura. Hanno lasciato la zona alle 6 del mattino, arrivando a Nuseirat quando era notte. Residenti che fuggono da Gaza City verso sud, martedì. Crediti: Abdel Kareem Hana/AP Nel tentativo di contenere la violenza contro le donne, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, noto anche come OCHA, ha annunciato domenica che fornirà dieci tende alle donne e ai bambini sfollati ad alto rischio. Ha anche annunciato che sono stati distribuiti 921 kit igienici in collaborazione con il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione. Tuttavia, le organizzazioni hanno aggiunto che c’era una grave carenza di kit igienici per le donne e che avrebbero istituito un help desk su al-Rashid Road. Mentre le donne sfollate si dirigono verso sud da Gaza City, il punto di accoglienza fornisce sostegno psicologico e identifica e cura i feriti. Nel suo personale viaggio di sfollamento da Gaza City verso il centro della Striscia, Wissam Yassin, una corrispondente della rete televisiva qatariota Al Araby, ha raccontato di aver trovato rifugio presso la sua famiglia e di non avere altro posto dove andare. Ha cercato un alloggio disponibile, ma l’affitto è molto alto, così come i costi di trasporto. Shuruq al-Bahri, sfollata a Gaza City dalla sua casa a Beit Lahia, ha detto ad Asharq Al-Awsat di essere fuggita, anche se era particolarmente difficile per una persona con sei figli. Bambini sul luogo del crollo della Torre Sussi di Gaza City, all’inizio di questo mese. Crediti: AFP/OMAR AL-QATTAA “Devi prenderti cura di te stessa, ma anche delle esigenze dei bambini”, dice. “Stiamo abbandonando tutto per i bambini”. Ora devono fuggire di nuovo verso sud, ma non hanno soldi per pagare il trasferimento. Ahmed Abu Amsha, un musicista che è fuggito da Gaza City con la sua famiglia alcuni giorni fa, ha pubblicato su Instagram che i bambini si stanno perdendo nel caos dello sfollamento. “Le madri cercano istericamente i loro figli smarriti, e i bambini piangono e chiedono l’abbraccio della loro famiglia. Mi si spezza il cuore”, dice. “Ho trascorso la giornata con un bambino che si era perso. Ora sta dormendo accanto a me. Posso solo immaginare il dolore e la stanchezza dei suoi genitori, che lo hanno cercato a lungo”. Amsha ha pubblicato i dettagli del ragazzo in diversi gruppi WhatsApp e 14 ore dopo ha annunciato con gioia di averlo ricongiunto alla sua famiglia. Dice che la famiglia si trovava a 5 chilometri dal campo dove era sfollato e che avevano cercato il ragazzo per tutta la notte. L’OCHA ha annunciato domenica che, a seguito dello sfollamento, sono stati istituiti dei punti di assistenza per “fornire sostegno immediato ai bambini più vulnerabili” nella Striscia di Gaza meridionale. Ha riferito che 15 bambini con “urgenti necessità di protezione” – ovvero feriti, orfani o separati dalle loro famiglie – sono stati assistiti dai centri di assistenza. https://www.haaretz.com/israel-news/ 2025-09-18/ty-article/.premium/no-privacy-hygiene-or-security-palestinian-women-in-gaza-are-displaced-once-again/00000199-5bfe-de72-a7fd-7bfffcb10000? utm_source=mailchimp&utm_medium=Content&utm_campaign=israel-at-war&utm_content=261e9b6dd2 Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
ASSEMBLEA PUBBLICA SULL’ESPLOSIONE DI VIA DEI GORDIANI – 19 settembre 2025
Ci vediamo domani venerdì 19 settembre alle ore 17.30 a piazza San Gerardo Maiella (Villa de Sanctis/Casilino 23) per ASSEMBLEA PUBBLICA SULL’ESPLOSIONE DI VIA DEI GORDIANI: BONIFICA E SPOSTAMENTO DEGLI IMPIANTI SUBITO! A due mesi dalla tragedia annunciata di via dei Gordiani, dopo i primi risultati ottenuti e l’incontro in Campidoglio, la RETE TERRITORIALE 4 LUGLIO lancia un’assemblea pubblica per discutere alla presenza delle istituzioni di: tempi, modi e obiettivi della bonifica dell’area e risultati del monitoraggio del suolo e dell’aria delocalizzazione dei siti industriali e del distributore GPL tempistiche riguardanti i lavori di ristrutturazione della scuola Balzani risarcimenti per i danni alle case e alle strutture pubbliche mappatura delle ulteriori criticità presenti sul territorio CdG IC Simonetta SalaconeLSA 100celleAnpi CentocelleCdQ Villa De SanctisBorgata GordianiQuarticciolo RibelleCEMEA del MezzogiornoA SudNonna RomaLegambiente Si Può FareCLAP – Camere del Lavoro Autonomo e Precario L'articolo ASSEMBLEA PUBBLICA SULL’ESPLOSIONE DI VIA DEI GORDIANI – 19 settembre 2025 proviene da Casale Garibaldi.
Lotte Baye Fall – Solidarietà contro il colonialismo, le frontiere e le prigioni
DEANNA DADUSC, MADIEYE DIEYE, BARABARA GRISANTI, CHEIKH SENE “Capitani, scafisti, detenuti, migranti, rifugiati. Veniamo chiamati tanti nomi, e tante persone ci vedono solo attraverso queste etichette, nel bene e nel male. Questa serie podcast è il risultato di un 

percorso di formazione su lotte, solidarietà e filosofia Baye Fall, in cui tentiamo di proporre nuovi linguaggi e immaginari che mettono al centro il nostro sguardo e la nostra esperienza, e far capire che la nostra esistenza, le nostre lotte e le nostre pratiche di solidarietà hanno una storia che precede il momento in cui cominciamo ad esistere agli occhi europei. Prima di diventare migranti, capitani, detenuti siamo stati e continuiamo a essere movimenti di solidarietà e resistenza, con una filosofia, religione e spiritualità profonde, nonostante tutti i tentativi, correnti e storici, di disumanizzarci, reprimerci e incasellarci in etichette o prigioni”. L’associazione “Ragazzi Baye Fall a Palermo” è un’associazione basata sui principi della solidarietà e del mutuo supporto ed è composta da difensori dei diritti umani provenienti dal Senegal e dal Gambia, molti dei quali lavoravano come pescatori e, vista la loro conoscenza del mare, sono diventati conducenti delle imbarcazioni che li hanno portati in Europa. Per questo sono stati criminalizzati come capitani/scafisti. In un contesto politico in cui le leggi e le politiche di frontiera vengono spesso messe in discussione dalla società civile, le persone migranti nel mirino di queste leggi continuano a essere de-umanizzate e la loro voce politica è spesso silenziata o filtrata. A parte alcune eccezioni i saperi e le memorie delle persone che migrano e di quelle criminalizzate sono messe a tacere da narrazioni neo-coloniali e euro-centriche che tendono a essenzializzare come vittime o criminali piuttosto che come attori politici. Diventa quindi necessario riportare al centro delle lotte la voce e le narrazioni di chi questa violenza la ha vissuta sulla propria pelle, per formulare analisi che de-centrino i punti di vista nati da prospettive Europee ed eurocentriche.  Per questo, in collaborazione altre realtà 1, i Ragazzi Baye Fall hanno organizzando un percorso di formazione che ha seguito le storie e le memorie delle persone Baye Fall a partire dalle pratiche di espropriazione coloniale e di resistenza in Senegal e Gambia fino alle lotte contro la criminalizzazione in Europa. Il percorso è stato pensato come strumento per evidenziare e valorizzare la capacità di analisi, le forme di solidarietà e il potere politico delle persone che sono direttamente colpite da leggi, pratiche e discorsi che le confinano, le discriminano e le incarcerano. Il tentativo è quello di smettere di essenzializzare le persone migranti assecondando etichette e categorie prodotte dal regime di frontiera europeo, e dalle forme di apartheid razzista che esso sostiene, al fine di produrre immaginari e linguaggi che possano situare la criminalizzazione delle migrazioni all’interno di più ampi percorsi geografici, storici e (anti)coloniali delle persone che migrano, a partire dalla decostruzione di categorizzazioni binarie tra criminale/vittima, così come l’antitesi migrante/salvatore, che dominano il linguaggio non solo degli attori politici che criminalizzano, ma anche di coloro che difendono le persone migranti. Nel primo episodio parliamo della storia e della filosofia Baye Fall, nata da pratiche di resistenza anti-coloniali in Senegal, e centrata su modi di vita solidali, e di mutuo-aiuto. Parliamo di come Cheikh Amadou Bamba è stato criminalizzato, esiliato e incarcerato per essersi opposto alle leggi dei coloni francesi che volevano proibire le pratiche spirituali e religiose senegalesi. Una repressione che però non ha piegato ma al contrario ha amplificato le sue lotte, trasformandole in un movimento di lotta anti-coloniale e spirituale che ad oggi è uno dei più grandi del Senegal e diffuso in tutta la diaspora.  Ci siamo poi spostati a Lampedusa per condividere, insieme alle persone che si occupano di pesca sull’isola, un’analisi delle pratiche di vita e di sussistenza legate al mare, e dei processi neocoloniali di sea-grabbing/saccheggio del mare da parte di enti Europei che hanno portato alla necessità di intraprendere un percorso migratorio.  Siamo tornati a Palermo per un approfondimento sulla solidarietà Baye Fall innescata durante il processo migratorio, forme di solidarietà e auto-organizzazione che spesso vengono criminalizzate con l’etichetta di “facilitazione dell’immigrazione clandestina”. Da qui, abbiamo dato spazio a riflessioni sulla criminalizzazione delle persone che hanno guidato le imbarcazioni verso l’Europa, situando tale analisi all’interno di un percorso storico e politico di cui abbiamo precedentemente evidenziato le matrici (neo)coloniali. Le forme di solidarietà migrante e Baye Fall però, non si sono fatte fermare dal carcere.  Il percorso si è tenuto in presenza presso Maldusa Palermo (con l’eccezione di una sessione a Lampedusa – il 14 aprile). Ogni sessione è stata registrata per produrre una serie podcast. Le musiche e i canti Baye Fall sono state registrate a Lampedusa, durante l’evento sulla pesca e sul furto del mare. Di seguito potete trovare gli episodi o sul canale Spotify di radio alqantara, o scaricando il file MP3 dal sito di Maldusa. Sito Maldusa per Scaricare MP3 Spotify radio alqantara  Sito Ragazzi Baye Fall 1. Il progetto è stato realizzato con il supporto di un fondo di UK Art and Humanities Research Council (AHRC), gestito da Dr. Deanna Dadusc, School of Humanities and Social Science, University of Brighton. Il percorso è stato ideato e sviluppato in una collaborazione tra i Ragazzi Baye Fall, FAC research, Maldusa e radio alqantara. Un ringraziamento speciali ai membri dei Ragazzi Baye Fall che hanno sia partecipato al percorso, sia contribuito alla sua ideazione e sviluppo: Amadou Niang, Assane Seck, Bacary Sagna, Cheikh Sene, Djibril Badji, Lamine Diop, Madieye Dieye, Mor Diop e Sini Ndiaye. Un ringraziamento speciale anche all3 attivist3 di Maldusa e radio aqantara che hanno collaborato alla creazione del percorso e alla realizzazione della serie podcast: Barbara Grisanti, Beatrice Tagliabue, Chadli Aloui, Claudia Spagnulo, Giuliana Spera and Sara Biasci ↩︎
Visti negati, diritti calpestati: l’inerzia del Governo nei confronti dei palestinesi di Gaza
Dal 6 agosto al 10 settembre 2025, il Tribunale di Roma ha emesso una serie di provvedimenti 1 che obbligavano lo Stato italiano a rilasciare visti d’ingresso a famiglie palestinesi intrappolate nella Striscia di Gaza 2. Si tratta, in gran parte, di nuclei con bambini e bambine, riconosciuti come titolari di un diritto all’ingresso in Italia. Nonostante ordini espliciti che imponevano al Ministero degli Affari Esteri e al Consolato italiano a Gerusalemme di agire “entro e non oltre sette giorni”, ad oggi nessun visto è stato materialmente rilasciato. Non sono valsi a nulla i numerosi solleciti inviati dalle avvocate e dagli avvocati ASGI: lo Stato italiano resta inerte 3. L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), che ha seguito i ricorsi, denuncia una «grave e colpevole mancata esecuzione dei provvedimenti giudiziari». Con un nuovo comunicato, ASGI sottolinea come «il silenzio dello Stato italiano non trovi alcuna giustificazione ed è evidente la responsabilità che si assume per l’inerzia sin qui dimostrata». L’associazione evidenzia che tale inadempienza «appare tanto più grave alla luce della drammatica situazione in corso nella Striscia di Gaza, documentata e resa evidente all’intera comunità internazionale». «Sappiamo che la situazione è estremamente complessa e che tutto deve passare anche dalle autorità israeliane. Al momento, però» – spiega l’avvocato Dario Belluccio di ASGI – «non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione sulle eventuali attività svolte dall’Italia per dare seguito alla decisione del Tribunale. I nostri assistiti non ce la fanno più, sono allo stremo. E qualsiasi ritardo può costare loro la vita». Un’ordinanza del Tribunale sostiene: «Lo Stato italiano non solo non può legittimamente ostacolare l’ingresso sul territorio dei ricorrenti in fuga da Gaza, ma anzi ha un obbligo rafforzato a consentirne l’accesso, quale misura di protezione minima e necessaria per prevenire la violazione irreparabile del diritto alla vita, all’incolumità personale e alla dignità umana». Le ordinanze riguardano cinque nuclei familiari, per un totale di circa una quarantina di persone, molte delle quali sono minori, anziani, persone malate, oppure familiari di cittadini italiani. Il tribunale ha fatto espresso riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio, sottolineando che l’Italia ha obblighi giuridici non solo di cooperazione ma di prevenzione. Le autorità italiane, secondo ASGI, non hanno fornito risposte concrete: nessuna motivazione ufficiale per il ritardo, nessuna conferma che siano stati compiuti atti per ottenere le autorizzazioni necessarie dalle autorità israeliane. La situazione nella Striscia di Gaza è documentata come genocidaria: bombardamenti indiscriminati, fame e difficoltà nell’accesso a beni di prima necessità, rischio costante per i civili, specie per i più vulnerabili. ASGI ribadisce: «Lo Stato italiano deve agire immediatamente, nessun ulteriore ritardo è giustificabile. Tutti i palestinesi devono avere gli stessi diritti. Riterremo responsabile lo Stato italiano della colpevole inerzia se qualcuno dei nostri assistiti dovesse morire o subire ulteriori gravissimi danni». Quanto emerso mostra che non è più possibile considerare questo un difetto amministrativo: è una questione politica, giuridica e morale. Lo Stato italiano è chiamato non solo a rispettare la legge nazionale, ma anche gli obblighi internazionali – inclusi quelli derivanti da trattati che ha sottoscritto. ASGI chiede: il rilascio immediato dei visti ordinati, l’avvio concreto delle operazioni di fuoriuscita dalla Striscia, la trasparenza sulle richieste e i contatti con le autorità israeliane, e che ogni ritardo venga riconosciuto come aggravante. «Ogni ulteriore ritardo – conclude l’associazione – costituirà un’aggravante della già grave responsabilità politica, giuridica e morale assunta dal Governo. Ogni limite è superato ed è chiara la colpevole responsabilità dello Stato italiano, di cui si chiederà soddisfazione in ogni sede». 1. La sintesi delle pronunce del Tribunale di Roma emesse tra il 6 e il 13 agosto, ASGI (26 agosto 2025) ↩︎ 2. Gaza, il tribunale di Roma ordina l’ingresso di famiglie palestinesi. Asgi: “Ma il governo ancora non agisce”, Il Fatto Quotidiano (23 agosto 2025) ↩︎ 3. Il comunicato di ASGI del 23 agosto 2025 ↩︎
Festival delle Migrazioni, un bilancio della settima edizione
Cinque giorni intensi, oltre trenta eventi, cento ospiti e più di cinquemila presenze. Con un sold out emozionante al Palestinian Circus, che ha portato in scena le storie quotidiane sotto occupazione con danza, musica, teatro e acrobatica, si è chiusa a Torino la settima edizione del Festival delle Migrazioni (10-14 settembre), dedicata al tema Il cuore oltre l’ostacolo. Notizie/Arti e cultura IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL DELLE MIGRAZIONI 2025: «IL CUORE OLTRE L’OSTACOLO» A Torino dal 10 settembre cinque giorni di incontri, arte, teatro, cinema e letteratura 9 Settembre 2025 Un gesto politico e poetico che ha attraversato incontri, spettacoli, laboratori e momenti conviviali, e che ha confermato ancora una volta il Festival come spazio di confronto vivo, capace di unire linguaggi artistici e riflessione critica. La rassegna ha dato spazio a conflitti e resistenze che attraversano il presente: Monica Perosino e Anna Zafesova hanno discusso dello stato della guerra in Ucraina; Moni Ovadia ha dialogato con Noor Abo Alrob (direttore artistico del Palestinian Circus) e con Miriam Ambrosini di Terre des Hommes sulle lotte in Palestina; Antonella Sinopoli ha raccontato con Black Sisters e AfroWomenPoetry le voci delle donne dell’Africa sub-sahariana; Boban Pesov ha riportato, attraverso il graphic novel C’era una volta l’Est, il tema delle radici e delle memorie divise. Un’attenzione particolare è stata dedicata alle esperienze delle donne: dalle opere di Parnian Javanmard, artista iraniana che interroga i concetti di casa e identità, alla poesia di Samira Fall, fino alle storie delle vincitrici del Concorso Lingua Madre, che raccontano la complessità delle appartenenze multiple. Il Festival non è stato solo parola e riflessione. Teatro, musica, cinema e linguaggi ibridi hanno attirato un pubblico curioso e partecipe. Tra le novità, la performance Stupefacenti, l’anteprima assoluta di Ceci n’est pas Omar di Omar Giorgio Makhloufi e l’esperienza multimediale Audiowalk Borgodora. Grande successo anche per i workshop, dai laboratori sull’attivismo intersezionale e sulla costruzione artigianale di tamburi, fino al Migrantour a Porta Palazzo. Il momento più corale è stata la Cena delle Cittadinanze, che ha visto 700 persone condividere piatti e storie, seguita dal concerto dei The Brothers’ Keepers. Parallelamente, diverse mostre hanno accompagnato l’intera durata del Festival, dando spazio a fotografi, collettivi e artisti rifugiati. L’appuntamento con l’ottava edizione del Festival delle Migrazioni è fissato a settembre 2026. Un tempo che servirà a consolidare il percorso costruito in questi anni e a rafforzare la rete di realtà artistiche, sociali e associative che hanno reso possibile questa esperienza. Il Festival è ideato e organizzato da Almateatro e A.M.A. Factory, con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, del Ministero della Cultura – Direzione Generale Spettacolo, della Città di Torino, di Legacoop Piemonte e Iren, oltre a un’ampia rete di partner e collaborazioni che include associazioni, media indipendenti, fondazioni e collettivi. In un contesto politico e sociale in cui le migrazioni sono spesso ridotte a slogan e paure, il Festival delle Migrazioni ribadisce la necessità di creare spazi di ascolto, racconto e incontro. Un luogo dove le persone in movimento non sono oggetti di narrazione, ma soggetti che prendono parola attraverso l’arte, la memoria e la testimonianza. Un laboratorio di cittadinanza e di diritti che guarda già al 2026 per continuare a mettere il cuore oltre gli ostacoli.
Il piano “Gaza Riviera”: gentrificare il genocidio israeliano
di Muhammad Shehada,  The New Arab, 16 settembre 2025.   Il piano “Gaza Riviera” usa il linguaggio degli investimenti e della riqualificazione per far passare come innovazione il genocidio dei palestinesi da parte di Israele. Il cosiddetto piano “Gaza Riviera” non è tanto una visione del futuro quanto un necrologio scritto nel linguaggio del lusso. Avvolto in presentazioni patinate e commercializzato come un balzo in avanti verso il progresso, è in realtà il culmine di anni di deliberata devastazione: un piano per cancellare i palestinesi da Gaza e rinominare la loro assenza come innovazione. Ciò che viene presentato come investimento e rigenerazione è, in realtà, il riciclaggio del genocidio in uno spettacolo, una copertura estetica per un progetto politico le cui fondamenta sono le macerie di Gaza e il silenzio dei suoi abitanti espulsi. Perché Israele non ha mai sviluppato un piano postbellico a Gaza Il piano “Gaza Riviera”, pur ampiamente condannato, viene presentato come la trasformazione di un’enclave completamente distrutta in una serie di megalopoli balneari futuristiche e high-tech, ed arriva vestito con il linguaggio degli investimenti e della modernità. Ma guardando oltre i rendering e le presentazioni per gli investitori, emerge una verità più cruda: non si tratta di una strategia diplomatica, ma di un’estetica della scomparsa. Questo spiega perché, per due anni, non ci sia stato alcun piano politico israeliano coerente per Gaza al di là della distruzione di massa, dello sterminio di massa e della fame di massa; la cancellazione di Gaza è stata fin dall’inizio il vero piano. La coreografia politica delle ultime settimane tradisce le priorità di questo piano. Mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, suo genero Jared Kushner, Tony Blair e gli inviati israeliani si riunivano per immaginare il futuro di Gaza senza un solo palestinese nella stanza, il genocidio continuava, spogliando la Striscia di ciò che resta della sua densità urbana e del suo tessuto sociale. La conclusione è che la cancellazione di Gaza non è un ostacolo al piano, ma la sua condizione preliminare. Il piano di Netanyahu fin dall’inizio I contorni fondamentali del piano Riviera sono venuti alla luce in documenti trapelati di recente che descrivono le proposte di porre Gaza sotto l’amministrazione fiduciaria degli Stati Uniti per circa un decennio, spopolare completamente l’enclave dei suoi abitanti palestinesi e commercializzare la costa come un futuristico polo turistico-tecnologico: “la Riviera del Medio Oriente”. Nulla di tutto questo, tuttavia, è nuovo. Il progetto originale di questo promesso centro fantascientifico, costruito su fosse comuni e città rase al suolo, è stato creato dallo stesso Benjamin Netanyahu diversi mesi prima che Trump fosse eletto. La “Visione Gaza 2035” del primo ministro israeliano, rivelata nel maggio 2024, immaginava l’enclave, da tempo sotto assedio, come una zona industriale e di libero scambio simile a Dubai e utilizzava le stesse immagini generate dall’intelligenza artificiale che vengono ora utilizzate nel piano Riviera. Non è una coincidenza che entrambi i piani abbiano un’introduzione quasi identica. “Da una [Gaza] distrutta a un prospero alleato di Abramo”, recita il piano Riviera, mentre Netanyahu ha sottolineato la “ricostruzione dal nulla”. Sono implicite le stesse due condizioni preliminari: Gaza deve essere completamente rasa al suolo senza lasciare nulla e deve essere svuotata della sua popolazione per trasformarla in una tela bianca da sviluppare partendo da zero. Il piano “Gaza Riviera”, ampiamente condannato, reinterpreta il genocidio come rigenerazione. [Getty] Questo era il piano di Netanyahu fin dall’inizio, quando il primo giorno di guerra ha ordinato alla popolazione civile di Gaza di “andarsene subito” prima che una distruzione senza precedenti colpisse “ogni luogo”. Netanyahu ha poi raddoppiato la posta in gioco quando il suo ministero dell’intelligence ha prodotto un piano dettagliato per l’espulsione di massa e il trasferimento forzato della popolazione di Gaza. Gli israeliani hanno persino convinto l’allora Segretario di Stato americano Anthony Blinken a visitare paesi arabi come l’Egitto e l’Arabia Saudita per promuovere l’idea del “trasferimento temporaneo” della popolazione di Gaza nel Sinai. All’epoca questa impresa fallì e Israele non riuscì a trovare un pubblico disposto ad accettare il futuristico complotto su Gaza. Netanyahu ha continuato ad aspettare il momento opportuno fino all’insediamento di Trump, quando si è precipitato a Washington per convincere il presidente americano a presentare l’idea della pulizia etnica e della conquista di Gaza come se fosse una sua idea. Da allora, Netanyahu ha continuato a riferirsi alla sistematica espulsione di massa da Gaza da parte di Israele come “attuazione del piano Trump” per scaricare sull’alleato la colpa di questa politica genocida. La copertura di Netanyahu – e il pubblico a cui è destinata Gli esperti hanno ripetutamente criticato il Piano Riviera di Gaza definendolo “folle”, irrealistico, impraticabile e pieno di ostacoli legali e morali che renderebbero chiunque lo promuovesse complice di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ecco perché il Boston Consulting Group si è affrettato a sconfessare i propri consulenti senior quando questi hanno elaborato un piano dettagliato per rendere operativo il trasferimento di massa della popolazione di Gaza, includendo scenari modellizzati e fogli di calcolo che quantificavano il costo della pulizia etnica. Chiunque voglia contribuire a questo abominio sarà esposto a cause legali e procedimenti penali per decenni a venire. Ma la fantasia futuristica di Trump sul Mediterraneo potrebbe non essere intesa come un piano serio fin dall’inizio. È semplicemente una storia con un “lieto fine” artificiale al genocidio e alla pulizia etnica che Israele racconta ai suoi complici. La vera utilità per Netanyahu di questa idea stravagante è la gestione della narrativa. Mentre il governo israeliano porta avanti una campagna che riorganizza la geografia e la topografia di Gaza e la rende inabitabile – radendo al suolo quartieri, espellendo in massa centinaia di migliaia di persone nei campi di concentramento, bruciando case e facendo morire di fame i bambini – le diapositive della Riviera forniscono un alibi al futuro. Alla destra di Netanyahu, sussurrano il vecchio sogno di insediamenti esclusivamente ebraici che tornano a Gaza; ai suoi alleati all’estero, offrono un ottimismo su cui si può investire. Alla base di Trump, vendono la favola definitiva del MAGA: “Faremo fiorire il deserto e lo renderemo nostro”. Lo sfarzo è il punto; il piano che circola alla Casa Bianca è persino chiamato formalmente GREAT (abbreviazione di Gaza Reconstitution, Economic Acceleration, and Transformation, ovvero Ricostruzione, Accelerazione Economica e Trasformazione di Gaza). Per il marchio politico di Trump, la promessa di trasformare le rovine in resort è un classico espediente teatrale. La “Riviera di Gaza” non è una deviazione dalle politiche di assedio e massacri degli ultimi due decenni di Israele a Gaza, ma piuttosto il loro culmine. [Getty] I paesaggi urbani patinati aiutano a vendere al mondo MAGA e ai venture capitalist l’immagine di Gaza come una tela bianca in attesa di geni esterni che la dipingano, mentre, sul campo, il genocidio procede ininterrottamente e senza restrizioni verso la sua fase finale. In questo senso, la fantasia della Riviera non è una deviazione dagli ultimi due decenni di politiche draconiane di assedio e massacri a Gaza da parte di Israele, ma piuttosto il loro culmine. È un gioco di parole per camuffare l’indifendibile; la distruzione diventa “preparazione del sito”, lo sfollamento diventa “pianificazione urbana”, lo sterminio diventa un trampolino di lancio verso profitti e opportunità commerciali inesplorate. Questo è ciò che rende le rappresentazioni della Riviera di Gaza un potente strumento di propaganda, perché invertono la realtà. Propongono spiagge senza persone, torri senza inquilini, porti senza politica. Fanno sembrare l’assenza dei palestinesi un progresso. Israele sta promettendo Gaza ai coloni, non a futuristici investitori È illogico che Israele faccia di tutto per compiere un genocidio a Gaza, spenda quasi 90 miliardi di dollari in questa guerra, perda oltre 900 soldati, diventi uno stato paria, solo per poi consegnare Gaza su un piatto d’argento al governo statunitense e ai magnati americani della tecnologia e del settore immobiliare. Yehuda Shaul, cofondatore di Breaking the Silence, ha dichiarato a The New Arab che secondo lui il piano della Riviera di Gaza “non è collegato allo sforzo principale del movimento dei coloni [israeliani]”, che sta spingendo per un ritorno a Gaza. “Il piano originale delle organizzazioni dei coloni, che si adatta anche alla geografia di base di Gaza, è quello di tornare a quello che un tempo era chiamato ‘il recinto settentrionale’, ovvero i tre insediamenti nel nord di Gaza: Elei Sinai, Nisanit e Dugit”, ha aggiunto Yehuda. “Questi sono gli insediamenti che un tempo si trovavano a nord di Beit Lahia. Questo è ciò a cui mirano i coloni”. Shaul ha spiegato che i commentatori israeliani della destra come Amit Segal hanno spinto questa idea sui media mainstream. “Viene venduta come una ‘semplice’ espansione dei confini [di Israele] invece che come un’annessione di parti significative della Striscia di Gaza”. La promessa di grattacieli e porti turistici su una costa spopolata non è un piano di pace, ma un teatro di espropriazione, una storia scritta per gli investitori stranieri, i comizi di MAGA e le fantasie dei coloni. La “Riviera di Gaza” non indica un domani di convivenza o prosperità; rimanda alla più antica logica coloniale di trasformare le vite altrui in ostacoli e la loro cancellazione in opportunità. Muhammad Shehada è uno scrittore e analista palestinese di Gaza e responsabile degli affari europei presso Euro-Med Human Rights Monitor https://www.newarab.com/analysis/gaza-riviera-plan-gentrifying-israels-genocide Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
“Il cielo è il nostro tetto”: decine di migliaia di palestinesi fuggono dalle loro case di Gaza City durante l’offensiva terrestre dell’IDF
di Jack Khoury,  Haaretz, 16 settembre 2025.   “Non c’è nessun posto sicuro a Gaza”, ha detto un residente palestinese, aggiungendo: “Non c’è più via di fuga”. Un altro residente ha detto di essere abituato al fatto che i palestinesi siano abbandonati: “Gaza sta cadendo e, al di là delle parole di solidarietà, non riceviamo nulla”. I palestinesi sfollati, in fuga dal nord di Gaza a causa dell’operazione militare israeliana, si spostano verso sud dopo che le forze israeliane hanno ordinato ai residenti di Gaza City di evacuare verso il sud, nella Striscia di Gaza centrale, martedì 16 settembre. Crediti: Mahmoud Issa/Reuters Gaza City oggi non è più una città, ma un teatro di uccisioni di massa e di sopravvivenza quotidiana. I residenti rimasti testimoniano che gli intensi attacchi israeliani e l’invasione terrestre non hanno fatto altro che aggravare il disastro. “Non c’è nessun posto sicuro a Gaza”, dice il portavoce della città Hosni Mahna a Radio Ashams. “Ogni quartiere è un bersaglio. Ogni edificio residenziale, anche quello in cui vivo io. Non c’è più via di fuga. La situazione è catastrofica in tutti i sensi. La gente scende in strada senza niente… Abbiamo perso tutto”. Da quando l’IDF ha intensificato i suoi attacchi sulla città di Gaza nella notte di martedì 16, decine di migliaia di persone hanno cercato di fuggire dalle loro case e trovare riparo. Tuttavia, intere famiglie, che non avevano un posto dove evacuare, sono semplicemente uscite dalle loro case e hanno iniziato a camminare, senza sapere dove fossero dirette. Alcuni hanno trovato un muro dietro cui nascondersi, vicino all’ospedale Shifa, altri si sono semplicemente sdraiati sulla sabbia fredda sotto il cielo aperto. “Siamo partiti senza nulla, se non i vestiti che indossavamo. Non abbiamo avuto il tempo di prendere nulla”, ha raccontato ad Haaretz Umm Muhannad, madre di cinque figli fuggita dal campo profughi di Shati, nella parte occidentale di Gaza City. “I bambini piangono per la fame e la paura e dormono all’aperto. Il cielo è il nostro unico tetto”. Palestinesi che camminano tra le macerie di una casa bombardata dall’IDF a Gaza City martedì 16. Crediti: Ebrahim Hajjaj/Reuters Alcune famiglie sono fuggite dalle loro case senza nulla, mentre altre hanno gettato vestiti e coperte dalle finestre prima che le loro case fossero bombardate. “In pochi minuti, la nostra casa è stata ridotta in polvere”, ha detto Abu Ahmed del quartiere di Tuffah. “Non è rimasto nemmeno un ricordo, né un muro né una stanza. Ora siamo 20 persone in una tenda lacerata, non c’è acqua da bere né elettricità per illuminare le notti”. Umm Yusuf, del quartiere di Zeitoun, ha detto di essere sotto shock. “Ci è stato ordinato di evacuare immediatamente la casa. Siamo scappati senza portare nulla con noi. Ci siamo ritrovati in una scuola piena zeppa di gente. Non c’è nessun posto sicuro, né a Gaza né fuori”. Martedì l’IDF ha confermato che il 60% dei residenti di Gaza City, circa 600.000 persone, è rimasto in città. Sebbene l’esercito continui a esortarli ad andarsene, molti non hanno un posto dove andare a causa dei costi elevati che ciò comporterebbe. Palestinesi in partenza da Gaza City, martedì 16. Crediti: Abdel Kareem Hana/AP “Il costo per percorrere sei chilometri [3,7 miglia] è di 1.500 dollari per chiunque voglia portare con sé qualche oggetto”, dice Samah Hasounah, un noto commerciante che vive nel quartiere di Tel al-Hawah. “La gente non ha alternative. È così, il dado è tratto. Gaza sta cadendo e non c’è più nulla da discutere”. A Gaza City, alcuni avevano sperato che, all’ultimo momento, l’operazione di occupazione della città potesse essere evitata, non per clemenza da parte del governo israeliano, ma nella speranza che il mondo reagisse con qualcosa di più dei soliti slogan. Palestinese che trasporta i suoi ultimi averi dopo che martedì l’IDF ha colpito la sua casa a Gaza City. Crediti: Ebrahim Hajjaj/Reuters “Come palestinesi, siamo abituati ad essere abbandonati”, ha detto Abu Walid, un residente di Gaza City, al quotidiano Haaretz dopo che il vertice dei leader arabi a Doha non è riuscito a produrre una risposta forte contro l’offensiva israeliana. “È già successo in passato, ma non ci aspettavamo che nessuno intervenisse per fermare questa distruzione quotidiana, nemmeno una sola nazione araba o musulmana. Gaza sta cadendo e, al di là della solidarietà, non stiamo ricevendo nulla”. https://www.haaretz.com/israel-news/ 2025-09-16/ty-article/.premium/tens-of-thousands-of-palestinians-flee-their-gaza-city-homes-amid-idf-ground-offensive/00000199-527d-d3d1-a19d-fbfd79a60000? utm_source=mailchimp&utm_medium=Content&utm_campaign=israel-at-war&utm_content=985adfe6d2 Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.