
“L’opportunità da 1000 miliardi di dollari”. Il Venezuela Working Group e l’apertura ai capitali USA
Pressenza - Sunday, October 19, 2025Il Venezuela detiene le più vaste riserve di petrolio del pianeta. È impossibile prescindere da questo dato per comprendere i fatti e gli eventi che gravitano intorno al suo oro nero. La Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA), la compagnia petrolifera statale del Venezuela fondata nel 1976, dopo la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, nacque come risposta a decenni di sfruttamento straniero da parte delle multinazionali angloamericane come Shell, Exxon, Mobil, Chevron, Gulf.
Dal 2017 le sanzioni statunitensi hanno tagliato fuori PDVSA dal sistema finanziario internazionale rendendo impossibile vendere liberamente il petrolio, sbloccare fondi, acquistare ricambi o tecnologia. Un assedio economico che ha fatto crollare la produzione: da oltre 3 milioni di barili al giorno negli anni ’90 a meno di 700.000 nei periodi più duri.
Le lobby filo-occidentali chiedono da anni di privatizzare PDVSA e aprire il mercato agli investitori stranieri. Tradotto: “solo il capitale privato può rilanciare la produzione”.
In questo scenario, il Nobel assegnato a María Corina Machado appare non tanto come un premio alla pace, quanto come un investimento simbolico. Si tratta di un riconoscimento concepito per costruire un volto presentabile, spendibile, in vista di un futuro change-regime. Da questo punto di vista Maria Corina Machado risulta la persona perfetta, soprattutto per chi non conosce il suo passato.
Machado ha modellato la sua ideologia politica su figure come Margaret Thatcher e Ronald Reagan e ha apertamente abbracciato una presunta dottrina economica un tempo chiamata “capitalismo popolare”, originariamente attuata dalla dittatura fascista di Augusto Pinochet in Cile, il primo esperimento formale di neoliberismo selvaggio in Sud America. Si tratta di un programma politico che promuove la privatizzazione totale dei settori statali strategici, tra cui l’industria petrolifera e mineraria, che in Venezuela sono stati storicamente controllati dallo Stato attraverso aziende come PDVSA.
La macelleria sociale che sta portando avanti l’anarcocapitalista Milei in Argentina – che Machado tanto ammira – non è nient’altro che il “modello Thatcher” che l’Occidente vorrebbe estendere al Venezuela dove c’è un’abbondanza di risorse primarie nel sottosuolo da potersi accaparrare mediante privatizzazioni.
Machado ha ripetutamente promesso che, in un “Venezuela libero”, le compagnie petrolifere, del gas e minerarie statunitensi avrebbero avuto la priorità assoluta nello sfruttamento di queste risorse. Ciò costituisce un’offerta diretta di cessione della ricchezza nazionale in cambio del sostegno politico internazionale e, in particolare, del sostegno di Washington alla sua ascesa personale al potere.
Attualmente, María Corina Machado e l’ex candidato alla presidenza Edmundo González Urrutia – insieme ad alcuni loro familiari, consiglieri e altri membri della destra venezuelana che componevano il governo golpista “ad interim” di Juan Guaidò – costituiscono il Venezuela Working Group, un gruppo di “esperti” tecnocrati costituitosi presso Americas Society/Council of the Americas (AS/COA) che nel giugno 2025 ha proposto di aprire le porte agli imprenditori americani.
L’AS/COA è un’organizzazione non governativa con sede a New York, fondata nel 1965 dal miliardario David Rockefeller e composta da due organismi: l’Americas Society, un forum di discussione sulle politiche all’interno del sistema interamericano; e il Consiglio delle Americhe, un organismo che riunisce gruppi imprenditoriali internazionali che promuovono politiche neoliberiste nell’emisfero occidentale. AS/COA si è affermato come un think tank per la discussione di questioni politiche ed economiche ed ha pubblicato diversi rapporti sul Venezuela.
Machado ha dichiarato esplicitamente che, in un possibile governo guidato dall’attuale opposizione della destra radicale, il Venezuela potrebbe aprire agli “investimenti esteri” con il potenziale di generare “un trilione di dollari” di ricchezza in soli 15 anni. A tal fine, Machado ha fatto riferimento alla privatizzazione delle compagnie nazionali di idrocarburi, nonché alla transnazionalizzazione delle riserve di petrolio e gas del Paese, definendo le vaste riserve petrolifere del Venezuela come “le più grandi al mondo” e ha affermato che il loro controllo da parte di interessi stranieri rappresenterà un'”opportunità” per la creazione di ricchezza a vantaggio delle aziende statunitensi e occidentali. Questa opportunità, secondo Machado, “copre l’intero emisfero e gli investitori che trarranno vantaggio da condizioni senza precedenti fin dal primo giorno”.
Sulla stessa linea, ha fatto riferimento alle altre risorse strategiche del Paese: “Abbiamo anche abbondanti risorse di ferro, oro e minerali”.
Il riferimento alle riserve minerarie del Paese è importante, considerando che la Machado è l’erede dell’impero metallurgico di Sivensa (Siderúrgica Venezolana, SA), costruito da suo padre, Henrique Machado Zuloaga. Interessante sapere che fu proprio durante la Quarta Repubblica che in Venezuela, governato da governi neoliberisti, il magnate della siderurgia – insieme agli altri magnati filo-USA – si arricchì a dismisura, mentre nello stesso periodo la povertà assoluta del paese passò dall’8% al 36%, il tasso di povertà salì dal 18% al 65% e si verificarono circa 100mila morti per indigenza.
È in questo contesto che i chavisti unendo popolo ed esercito, spirito patriottico e socialismo, presero il potere e lo tennero respingendo diversi tentativi di colpi di Stato. Maduro, succeduto a Chavez nel 2013, ha proseguito nel disegno politico antimperialista volto a garantire la difesa dell’interesse nazionale e delle sue sterminate ricchezze, ma questo non piace all’opposizione della destra venezuelana che vuole privatizzare ogni cosa si muova.
Nel suo intervento al Venezuela Working Group, Machado ha parlato della strategia di nearshoring, ovvero la costruzione di una catena del valore in Venezuela vicina ai mercati chiave, facendo esplicito riferimento agli Stati Uniti per ragioni di posizionamento geografico.
Come ha scritto Mision Verdad: “Dal suo punto di vista di erede di Sivensa, deduce che la sua azienda, insieme a multinazionali straniere, potrebbe sviluppare processi per sfruttare le risorse minerarie nazionali con l’obiettivo di proiettarle sul suolo statunitense, il che implicherebbe l’uso della base mineraria, che fa parte del patrimonio nazionale, per soddisfare gli interessi della sua famiglia.”
In seguito – da buon neo-Premio Nobel – ha fatto riferimento alle riserve di acqua dolce del Paese, ai 30 milioni di ettari di “terra fertile non sviluppata” e ai 2.800 chilometri di costa caraibica, pronti per essere piovrizzati dal capitale straniero.
L’offerta di Machado di milioni di ettari del Paese a beneficio di aziende straniere suggerisce un’altra strada di privatizzazione, poiché un territorio così vasto comprende terreni agricoli nelle mani dello Stato, ma anche vaste quantità di terra di proprietà privata e circa 14 milioni di ettari ceduti a famiglie e organizzazioni contadine in più di 20 anni, secondo i modelli di allocazione delle terre esistenti nel Paese.
Afferma Mision Verdad: “La cifra di 30 milioni di ettari “non sviluppati” è estremamente impressionante perché dichiara inutilizzato il territorio fertile del Paese, proprio quando il Venezuela ha raggiunto il 97% del suo fabbisogno alimentare grazie alla produzione interna.In questo modo, Machado distorce la realtà facendo un’offerta ingannevole al capitale americano e mettendo in vendita i terreni agricoli del Paese, che hanno già proprietari e affittuari.”
Machado ha parlato di un processo di transizione democratica “in soli 100 giorni” per realizzare “cambiamenti strutturali” e quindi attuare quella strategia, ma tuttavia, privatizzare la Petróleos de Venezuela SA (PDVSA), implementare un sistema di concessioni di idrocarburi con capitale straniero in maggioranza e concedere riserve nazionali a società straniere a condizioni fraudolente, come propone Machado, sarebbe impossibile secondo l’attuale Costituzione Bolivariana del Venezuela.
Allo stesso modo, perseguire investimenti minerari a condizioni svantaggiose per il Paese, come propone Machado, implica lo smantellamento delle leggi che definiscono l’attuale sistema di concessioni nazionali.
Per attuare questa massiccia espropriazione di terreni sarebbe necessario abrogare l’attuale legge sullo sviluppo fondiario e agricolo; ciò comporterebbe anche misure energiche per esercitare il controllo territoriale e attuare una politica di sfratti senza precedenti nella storia.
L’attuazione di queste vaste strategie politicamente regressive in soli 100 giorni sarebbe possibile solo attraverso l’ascesa di un governo a matrice autoritaria e neoliberista nel Paese, cosa ben diversa da ciò che è il governo di Maduro. Una manovra autoritaria comporterebbe l’abrogazione dell’attuale Costituzione, la soppressione dei controlli naturali al potere parlamentare e il degrado del quadro giuridico esistente, oltre al diffuso uso della forza contro la popolazione, senza distinzione tra proprietari e lavoratori.
“L’opportunità da mille miliardi di dollari” si riferisce tacitamente al trasferimento del potere politico alla stessa Machado. Ma quel potere avrebbe condizioni e caratteristiche assolutistiche.
Per questa proposta, Andrés Gluski, presidente del consiglio di amministrazione dell’AS/COA, ha consegnato la medaglia d’oro dell’Americas Society a María Corina Machado. Il premio è stato ritirato dalla figlia sul suolo statunitense, poche ore prima dell’incontro “da un trilione di dollari”.
Durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) tenutasi a fine settembre 2025, l’opposizione venezuelana, guidata da María Corina Machado, ha intensificato i suoi sforzi diplomatici e mediatici per promuovere un cambio di regime in Venezuela, con l’obiettivo esplicito di rovesciare il presidente Nicolás Maduro. Queste azioni vengono presentate come una campagna di lobbying internazionale coordinata con settori dell’amministrazione di Donald Trump e con chiari interessi aziendali legati alle vaste risorse naturali del Venezuela, in particolare alle sue riserve di petrolio, gas e minerali, tra le più grandi al mondo.
María Corina Machado prosegue lo stesso percorso di Juan Guaidó, visitando gli stessi luoghi e rivolgendosi alle stesse persone. In sostanza, l’intera manovra con l’AS/COA consiste nel fare lobbying e cercare sostegno per un violento cambio di regime in Venezuela, offrendo il Venezuela come vetrina per il capitale statunitense. La “transizione democratica” della Machado propone una restaurazione, dove il mercato – ovvero le corporation americane – tornano a controllare le fonti di energia.
María Corina Machado è tutto tranne che una figura “popolare” e democratica. Proviene da una delle famiglie più ricche di Caracas, legata storicamente agli ambienti imprenditoriali filo-statunitensi. La sua idea di “libertà economica” coincide con una privatizzazione selvaggia dell’economia venezuelana: banche, infrastrutture, compagnie minerarie e, soprattutto, PDVSA, il cuore pulsante della sovranità economica nazionale.
Machado ha sostenuto apertamente le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, anche nei momenti più duri, quando mancavano medicine, cibo e carburante. È arrivata a chiedere un intervento militare straniero per “liberare il paese dalla dittatura di Maduro”. Il Venezuela detiene infatti le maggiori riserve di petrolio al mondo e nonostante sanzioni unilaterali e bloqueo economico decise da USA e suoi scagnozzi riesce a garantire scolarizzazione e sanità a tutta la sua popolazione.
Di fronte a tutto questo ci si chiede come mai Machado, che ha solo il 3% di voti presi alle ultime elezioni, continui ad avere un impatto internazionale di queste dimensioni. Se è così paladina dei diritti democratici, perchè non ammette di avere il 3% dei consensi ed inizia a rispettare la democrazia, continuando ad esercitare la propria opposizione democraticamente?
La sua “pace”, dunque, corrisponde a quella formula usata decine di volte per giustificare invasioni, golpe e cambi di regime, dall’Iraq alla Libia. Donald Trump ha già dichiarato più volte che il Venezuela è un “obiettivo strategico”: non per la democrazia, ma per riprendersi il petrolio che oggi gestiscono Cina e Russia.
Il Nobel si presenta come l’ennesima carta per tentare di sostenere un colpo di Stato che per essere completato dovrà necessariamente passare per una guerra civile come recentemente avvenuto in tante Nazioni negli ultimi anni (Siria, Libia, Ucraina ecc.). Le si da il Nobel per ripulirle l’immagine e fornire autorevolezza internazionale alla richiesta d’invasione militare del suo Paese per “combattere il comunismo”.
È il vecchio schema: elevare un’oppositrice neoliberale a paladina dei diritti, creare il consenso mediatico internazionale, giustificare l’ingerenza o addirittura il colpo di Stato.
Da anni del resto il Comitato Norvegese per il Premio Nobel di Oslo è diventato un specchio dell’ideologia dominante: raramente premia chi mette davvero in discussione i poteri globali, e quando l’ha fatto ha capito di aver generato miti incrollabili nonché esempi etici, morali, spirituali e politici per l’umanità (Mandela, Rigoberta Menchu Tum, Adolfo Perz Esquivel etc…) che è meglio non enfatizzare.
Premiare Machado oggi equivale a legittimare un eventuale cambio di regime, un’eventuale “rivoluzione colorata” funzionale all’ordine occidentale. È un messaggio chiaro: la “pace” è accettabile solo se coincide con l’obbedienza a Washington e con l’apertura dei pozzi.
Come può definirsi una “pacifista” chi invoca le sanzioni e la forza armata contro il proprio paese? È il paradosso perfetto di un mondo in cui la guerra viene venduta come salvezza.
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