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Perche Trump non fermerà mai Netanyahu
Se ancora qualcuno ingenuamente spera che Trump possa contribuire alla fine del genocidio a Gaza o all’occupazione illegale in Cisgiordania coltiva una fatua illusione. Un coacervo di ragioni economiche, politiche e familiari, avvalorate da esternazioni di Trump o figure a lui referenti, rendono ad oggi assolutamente impossibile l’avverarsi di tale auspicio di pacificazione. Ecco le  ragioni e dichiarazioni che dimostrano quanto Trump sia un ferreo sostenitore di Netanyahu: 1. 1. Trump ha dichiarato a fine 2024: «… se volete che Israele sopravviva dovete votare Donald Trump. Siete sotto attacco come mai prima. Io sono il presidente più pro-Israele, Kamala Harris è anti-Israele….» 2. L’ultima campagna elettorale di Trump è stata finanziata dalla miliardaria israeliana Miriam Adelson, la quinta donna più ricca degli USA, per 100 milioni $ mentre  nella campagna del 2016 i coniugi Adelson finanziarono Trump per 25 milioni $. 3. Uno dei primi atti firmati dal neoeletto presidente USA a fine gennaio 2025 è stato quello di revocare il blocco imposto alcuni mesi prima da Biden sulla fornitura a Israele delle super-bombe da 2.000 libbre (900 kg). 4. Il 5.02.2025 Netanyahu è stato il primo leader straniero a visitare la Casa Bianca dall’inizio del secondo mandato di Trump e lo ha così ringraziato:  “Sei il nostro più grande amico” . 5. Il padre del genero di Trump, Charles Kushner, ospitava a casa propria l’amico di famiglia Netanyahu in occasione dei suoi viaggi negli USA, ancor prima che divenisse primo ministro. 6. A gennaio 2025 il neo nominato ambasciatore degli USA in Israele, Mike Huckabee, ha dichiarato alla radio dell’esercito israeliano che “Trump appoggerà il governo israeliano nell‘annessione degli insediamenti in Cisgiordania.” 7. A gennaio 2025 la neo nominata ambasciatrice degli USA all’ONU, Elise Stefanik ha affermato che Tel Aviv ha un “diritto biblico sull’intera Cisgiordania e che  “gli Stati Uniti devono stare incondizionatamente con Israele all’Onu”. 8. A febbraio 2025 Trump ha dichiarato “Mi impegno ad acquistare e controllare Gaza” precisando che la vorrebbe trasformare nella “riviera del medio oriente” e che “I palestinesi non avranno diritto a ritornare perché avranno alloggi molto migliori.” Il Jerusalem Post il 3.05.2024 rivelava on line la visione di Netanyahu di Gaza al 2035, che poi si rivelerà condivisa con Trump, così immaginata: Gaza pullula di lussuosi grattacieli, ferrovie, corsi d’acqua, campi solari e stazioni di estrazione del gas dal giacimento marino “Gaza Marine” ubicato nella porzione di mare che gli accordi di Oslo hanno assegnato alla Palestina. E’ impossibile poi non citare l’osceno video creato da Trump con l’IA che lo raffigura a Gaza flirtare con una ballerina del ventre seminuda e quindi sorseggiare un cocktail con Benjamin distesi in costume su due sdraio con lo sfondo dei nuovi, lussuosi grattacieli di Gaza. Infine a fine agosto anche la ministra della scienza israeliana realizza un nuovo video con l’AI, dove si vedono Trump e Netanyahu passeggiare con le mogli sul lungomare di Gaza, privo di palestinesi, e con lo sfondo una scintillante Trump Tower. 9. A gennaio 2025 il genero di Trump Gerard Kuschner, ebreo di famiglia, viene ricevuto a  Tel Aviv da Netanyahu e diventa primo azionista  del colosso israeliano Phoenix Financial Ltd, attivo nei finanziamenti immobiliari nei territori occupati. 10. L’inviato speciale USA per il Medio Oriente, Witkoff, prima della seconda elezione di Trump si è recato in Cisgiordania per inaugurare una colonia illegale israeliana sui territori occupati. Profeticamente sulla facciata di una casa della nuova colonia illegale campeggiava la scritta “We’ll make Israel great again.” 11. Trump ha sanzionato a febbraio 2025 tutti i componenti della Corte Penale Internazionale dell’Aia in quanto avevano osato emettere il 21.11.2024 un mandato di cattura internazionale per l’amico Netaniahu per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza. 12. A maggio 2025 per volere di Trump e Netanyahu è stata creata la Gaza Humanitarian Foundation imposta da Israele come unica distributrice degli aiuti nella striscia di Gaza. Dopo poche settimane, e centinaia di gazawi assassinati in fila per ricevere cibo, l’ONU e decine di ONG hanno accusato la GHF di essere un’arma di pressione politica e militare. 13. A marzo 2025 Marco Rubio ha annunciato l’espulsione dagli USA di 300 studenti nell’ambito del programma “Catch and Revoke” finalizzato ad espellere studenti stranieri che hanno semplicemente partecipato a manifestazioni a favore della Palestina. 14. Il genero di Trump Gerard Kuschner e l’ex premier inglese Tony Blair il 28.08.2025 hanno presentato in un incontro riservato con Trump alla Casa Bianca, presenti anche l’inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff e Marco Rubio, le loro idee sul dopoguerra a Gaza, ovvero i dettagli del piano “Aurora”, che prevede la ricostruzione della striscia in una lussuosa Gaza-riviera previa deportazione di tutti i gazawi. 15. Trump ha sanzionato, alla stregua dei peggiori terroristi, anche la nostra Francesca Albanese, rea di aver scritto il rapporto intitolato Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, evidenziando il ruolo complice che 44 grandi “entità aziendali” mondiali hanno nel sostenere il progetto coloniale israeliano di sfollamento e occupazione. 16. A fine agosto Trump ha revocato ai membri dell’OLP e dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) i visti per partecipare all’assemblea dell’ONU di settembre, come ritorsione agli annunci del riconoscimento della Palestina in quell’occasione da parte di alcuni Stati europei. 17. Da ricordare infine che nel 2020 Trump ha promosso la stipula degli Accordi di Abramo per “aprire” i rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi, tra cui gli Emirati Arabi Uniti. Redazione Italia
PNRR in dirittura d’arrivo, ma per la Sanità speso solo il 34% dei fondi
A nove mesi dalla scadenza del PNRR la Missione Salute rischia di rimanere inattuata poiché è stato speso solo il 34,4% dei fondi disponibili, 6,6 miliardi di euro, e solo un terzo dei progetti è stato completato. Una situazione che potrebbe portare al non raggiungimento degli obiettivi e ad una perdita delle risorse del PNRR, traducendosi in una mancata risposta per le persone e in un ennesimo incentivo per il mercato privato della salute. È quanto emerge dai risultati del monitoraggio sull’attuazione degli investimenti della Missione 6 del PNRR effettuato dall’Area Stato sociale e Diritti della CGIL elaborando i dati del sistema ReGiS del Mef, aggiornati al 30 giugno 2025. Per le Case della Comunità sono stati finanziati progetti per 1.415 strutture per un valore complessivo di 2,8 miliardi di euro. A giugno 2025 risultano effettuati pagamenti per 486,1 milioni di euro, dunque, a pochi mesi dalla scadenza, è stato speso solo il 17,1% dei fondi disponibili. “Osservando l’andamento delle spese effettuate, si legge nel Report, si evidenzia come i lavori procedano troppo a rilento. A dicembre 2024 i pagamenti erano pari al 9,2% dei finanziamenti, poi passati al 12,4% a marzo 2025: con questo andamento, ci vorranno almeno 5 anni per terminare le opere. Dei progetti finanziati, ne risultano completati 50, pari al 3,5% del totale. Sono ancora numerosi i progetti che presentano ritardi nell’esecuzione dei lavori o fermi alla fase di progettazione, poche le opere completate e collaudate ed è basso il livello delle spese effettuate in rapporto ai finanziamenti. Uno scenario allarmante che conferma il rischio di non conseguire gli obiettivi strategici entro le scadenze previste. A distanza di 3 mesi dalla precedente rilevazione, effettuata a marzo, non c’è stato lo scatto necessario a recuperare i ritardi accumulati finora”. Stando ai dati ReGis, le situazioni più allarmanti si fotografano in Molise (dove i pagamenti In nessuna regione i pagamenti effettuati hanno superato la metà dei finanziamenti. effettuati sono fermi all’1,6% dei finanziamenti complessivi), in Sardegna (7,2%), Campania (7,8%) e Calabria (9,4). Per quanto riguarda gli Ospedali di Comunità, sono stati finanziati progetti per 428 strutture, per un valore complessivo di 1,3 miliardi di euro, dei quali solo 4 risultano completati e collaudati. Così come per le Case della Comunità, preoccupano i ritardi accumulati: a giugno 2025 risultavano pagamenti effettuati per soli 190,1 milioni di euro, pari al 15,1% dei fondi. A dicembre 2024 i pagamenti erano pari al 7,9% dei finanziamenti, poi passati al 11,0% a marzo 2025. Dei progetti finanziati, ne risultano completati solo 14, pari al 3,3% del totale. “Con questo ritmo, sottolinea la CGIL, ci vorranno almeno 6 anni per terminare tutto.” Le regioni con i maggiori ritardi sono: il Molise (dove i pagamenti effettuati sono fermi all’1,7% dei finanziamenti complessivi), la Provincia Autonoma di Bolzano (3,9%), la Sardegna (6,2%), la Basilicata (6,4%). A parte la Valle d’Aosta (dove i pagamenti effettuati rappresentano l’80,9% dei finanziamenti) in nessuna regione le spese superano il 30% dei fondi disponibili. Resta poi il nodo del personale. Il DM 77/2022 ha stabilito specifici standard di personale per queste strutture, prevedendo la presenza di medici, infermieri, operatori sociosanitari, assistenti sociali e altre figure professionali indispensabili per rendere operative tutte le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità. Per rispettare tali standard sarebbe necessario assumere almeno 35 mila unità di personale, senza contare i medici. Con 1.450 Case della Comunità e 428 Ospedali di Comunità finanziati, si stima la necessità di un numero compreso tra 12.901 e 19.417 infermieri, 1.414 assistenti sociali e un numero di operatori sociosanitari variabile tra 8.787 e 13.888. A oggi non risulta nessuna interlocuzione tra Ministro della salute e Ministro dell’economia a garanzia delle coperture economiche necessarie. “Continua ad essere preoccupante e incerta la situazione della realizzazione delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità, strutture, sottolinea la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi, strategiche per l’attuazione della riforma dell’assistenza territoriale. Nella propaganda del Governo e di alcune Regioni l’attuazione del PNRR andrebbe a gonfie vele, ma i numeri lo smentiscono clamorosamente. È forte il rischio che gli investimenti previsti nella Missione 6 vengano restituiti al mittente o riorientati verso altri obiettivi, magari a favore dell’industria bellica. Dalla riforma dell’assistenza territoriale con l’apertura di una rete di strutture pubbliche, passa la capacità del sistema di dare risposte alle persone, implementare la prevenzione, aggredire anche l’odioso problema delle liste d’attesa, evitare i ricoveri inappropriati e le lunghe attese nei pronto soccorso, garantire la presa in carico. Chi rassicura ma nella pratica boicotta la riforma dimostra la volontà di privatizzare la risposta ai bisogni di salute, impoverendo stipendi e pensioni“. Qui il Focus della CGIL sullo stato di attuazione dei progetti di edilizia sanitaria aggiornamento al 30.6.2025 Giovanni Caprio
Il fisco spione
L’Italia ha un debito pubblico di oltre 3.000 miliardi di euro. Però nella casse del fisco italiano c’è un “buco” di 1.272 miliardi di euro: sono tasse non riscosse negli ultimi 25 anni. Per verificare le possibilità di recuperarle – e di conseguenza ridurre il debito – è stata istituita la “Commissione tecnica sul magazzino della riscossione”, che ha elaborato una relazione che contiene alcune proposte. Anzitutto sarebbe utile “pulire il magazzino”, stralciando 408 miliardi di euro di crediti non più esigibili per varie ragioni: persone decedute, società cessate, crediti prescritti, ecc. Sugli importi rimanenti la Commissione sostiene che il fisco debba sapere quanti soldi ci sono nei conti correnti dei contribuenti che non hanno versato il dovuto all’erario. In questo modo si potrebbe individuare chi non ha pagato perché non ha effettivamente i soldi per saldare il debito e invece chi sta facendo il “furbo”, non versando le imposte dovute pur avendo la disponibilità finanziaria per assolvere il dovere tributario. Infatti, nella relazione della Commissione, si legge che l’agente nazionale della riscossione dovrebbe poter disporre di tutti i dati di interesse «per la riscossione coattiva contenuti nell’anagrafe tributaria». Attualmente al fisco non è concesso l’accesso completo ai conti correnti, ma soltanto ad alcune informazioni parziali. Pertanto, per la Commissione «sarebbe opportuno prevedere, con le necessarie cautele e a tutela della privacy», che si possa sapere non solo il numero dei conti correnti del contribuente in debito, ma anche i suoi estratti conto. Inoltre, si suggerisce di utilizzare i dati della fatturazione elettronica per avviare procedure mirate di pignoramento dei crediti tra l’impresa debitrice e altri soggetti commerciali. Si tratta evidentemente di indicazioni sensate, per contrastare l’evasione fiscale, ripristinare un senso di equità nei confronti dei contribuenti onesti e migliorare i conti pubblici. Tutto bene dunque? Apriti cielo! Il ministro leghista dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti è intervenuto immediatamente in modo drastico: «È una vecchia proposta che rimarrà una proposta». Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha rincarato la dose, accusando il governo di provare a «infilare il fisco dentro i conti correnti. Ci avevano provato due anni fa e li avevamo fermati. Ora ritentano». È insolito che le voci dentro e fuori la maggioranza siano così in sintonia per tutelare la riservatezza dei contribuenti di dubbia fedeltà alla Repubblica. Peccato che nella Costituzione stia scritto che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (art. 53). Se si impedisce al fisco di accertare la reale capacità contributiva dei contribuenti debitori, si impedisce l’attuazione del principio costituzionale di uguaglianza davanti alla legge e del dovere inderogabile di solidarietà. Ogni volta che si tratta di soldi, spunta sempre la questione della privacy come una muraglia cinese. Il fisco non deve fare lo spione, si dice, anche se i dati non fossero resi pubblici. Guardare nell’intimità dei conti correnti è considerato un comportamento pornografico. Evidentemente, non versare le imposte e di conseguenza rubare alla cassa comune è invece un esempio morale da tutelare. Rocco Artifoni
Francia 18 settembre sciopero generale oltre un milione di manifestanti
L’intersindicale (CFDT, CGT, FO, CFE-CGC, CFTC, Unsa, FSU e Solidaires) si felicita per il successo della mobilitazione. Un avvertimento molto chiaro al governo che ancora non c’è e innanzitutto a Macron. E’ dagli scioperi generale del 2023 contro la riforma delle pensioni che non si aveva una tale mobilitazione in tutte le città francesi. 588 azioni di blocchi sono stati recensiti dalla polizia insieme a 140 fermi e 75 arresti a metà giornata. Scioperi in tutti i settori e nelle scuole. > Qui immagini della mobilitazione: youtube.com Enorme dispositivo poliziesco che provoca e carica a Parigi, Lyon e Nantes nel corteo parigino sarebbero stati visti 200 black blocks. Pioggia di lacrimogeni dappertutto. Stanchi? Mai. Pessimisti? Assolutamente no! A Montpellier, come altrove, di prima mattina, gli assistenti sociali, che da mesi lottano contro i tagli al bilancio, hanno organizzato un picchetto. Avevano partecipato alla giornata del 10 scorso. Questa intensa stagione di ritorno a scuola prosegue la sua corsa a lunga distanza, iniziata all’inizio del 2025 dopo le minacce di licenziamenti nelle organizzazioni non profit. Offre anche l’occasione perfetta per chiedere una convergenza delle lotte con altri settori. Il picchetto, organizzato di fronte alla Direzione Dipartimentale dell’Occupazione, del Lavoro e della Solidarietà (DDETS), voleva essere “interprofessionale”, invitando i ferrovieri, i lavoratori dei settori sanitario ed energetico e gli studenti a unirsi alle truppe del nuovo “coordinamento sociale”.  Fondato nel 2025, questo coordinamento continua a crescere e riunisce assistenti sociali e medico-sociali che si impegnano per coinvolgere altri, nelle varie strutture del dipartimento. “Il coordinamento dà energia”, descrive Max, assistente sociale del quartiere Mosson, un quartiere prioritario a nord di Montpellier. “Abbiamo organizzato assemblee generali, abbiamo visitato le organizzazioni che hanno iniziato a organizzare lo sciopero. È concreto, la gente sente che stiamo davvero facendo qualcosa”, continua. Max crede fermamente nella convergenza delle lotte. “Lo abbiamo fatto sostenendo i ferrovieri. E oggi sono loro ad unirsi a noi. La prossima settimana dovremmo fare lo stesso con il sistema scolastico nazionale”. E tutto questo dovrebbe essere fatto su scala nazionale! Ci sono molte cose da immaginare, ma per questo dobbiamo strutturare e coordinare il movimento.” Antoine, anche lui assistente sociale, concorda: “Ci si può sentire senza speranza quando si rimane isolati nella mentalità del ‘ognuno per sé’.” “Grazie al coordinamento, negli ultimi sei mesi, abbiamo dimostrato di poterci unire, parlare tra di noi e darci forza a vicenda”, aggiunge questo dipendente dell’associazione Area, che sostiene le persone che vivono nelle baraccopoli di Montpellier.  Appelli a continuare a cascata  Antoine lavora nel settore sociale da vent’anni e non ha mai visto così tanti avvisi di sciopero piovere sul settore. “Prima, c’era un avviso ogni dieci anni. “Ora, ogni due o tre mesi!”, racconta all’assemblea, riunita davanti al DDETS (Dipartimento dei Servizi Sociali). Osserva anche un profondo cambiamento nelle rivendicazioni: “In passato, ci si concentrava sulle condizioni di sostegno alle persone”. “Oggi, interi dipartimenti decidono di discutere le proprie condizioni di lavoro. È una novità assoluta. È un momento estremamente critico e la rabbia sta montando.” Antoine, membro del sindacato Sud Santé, nota anche un’accoglienza molto diversa dei suoi discorsi da parte dei dipendenti. “Prima, quando arrivavo per parlare dello sciopero, mi dicevano: ‘Calmati, Karl Marx, e fatti da parte’. Oggi mi dicono: ‘Vieni a parlare con me, sono interessato’. È qualcosa di molto forte.”  È ancora più forte quando la lotta dà i suoi frutti. L’Associazione Specializzata di Prevenzione dell’Hérault (APS 34), che avrebbe dovuto affrontare licenziamenti a partire da settembre, è riuscita a costringere il dipartimento a fare marcia indietro dopo una lunga lotta. “Organizzavamo raduni ogni settimana, volantinaggio, scioperi e serate di supporto”, racconta Max, dipendente dell’APS e membro del sindacato CGT Azione Sociale. Secondo lui, è stato un raduno davanti al consiglio dipartimentale l’11 luglio a cambiare tutto: “Eravamo diverse centinaia di persone, abbiamo quasi invaso i locali, hanno mandato la polizia antisommossa. Sono andati nel panico, è stata una svolta”. Max ne è convinto: anche i primi appelli a “bloccare tutto” del 10 settembre, emersi subito dopo gli annunci di austerità di François Bayrou a metà luglio, hanno influenzato la decisione del consiglio dipartimentale. “C’era quella data per l’inizio dell’anno scolastico e sempre più organizzazioni in sciopero. Devono essersi resi conto di non potersi permettere un ritorno al lavoro così acceso”. Tuttavia, nulla è certo. “Le chiusure dei servizi annunciate per inizio settembre non sono avvenute, ma sappiamo che le minacce torneranno con il bilancio 2026”, sospira l’assistente sociale. “È insopportabile… Ogni sei mesi, dobbiamo lottare e lottare ancora.” Queste parole riecheggiano il contesto nazionale. Le massicce manifestazioni contro la riforma delle pensioni, poi lo scioglimento e la mobilitazione elettorale contro l’estrema destra danno ad alcuni l’impressione di lottare, invano, contro un potere completamente sordo. “È chiaro che siamo stati manipolati per molto tempo!” commenta Antoine di Sud Santé. “Ma per me, questa opposizione alle nostre lotte mi convince che siamo qui”, conclude, invocando “l’auto-organizzazione e l’autodeterminazione a livello di base”. Anche Max rimane ottimista, anche se percepisce “molta rassegnazione tra la gente”. Prosegue: “Non mi sorprende perché non c’è un piano di battaglia. Siamo qui, ci siamo presi un mese per prepararci al 10 settembre, poi è arrivato il 18… e poi? A livello locale, abbiamo un piano di battaglia, questo è il segreto; ci siamo organizzati quest’anno”. Ma a livello nazionale, è l’intersindacale che può premere il pulsante. È il sindacato che manda in piazza un milione di persone.”  Una scena al picchetto davanti alla direzione del lavoro di Montpellier riassumeva la difficoltà del dialogo tra “la base” e le istituzioni. Sceso a parlare con gli scioperanti, il direttore del DDETS (Dipartimento dell’Occupazione, dell’Occupazione e dei Servizi Sociali) ha ripetutamente ammesso, di fronte alle loro domande concrete e pressanti, la sua impotenza di fronte a decisioni di bilancio che non spettavano a lui. “Siamo d’accordo! Allora potete venire a manifestare con noi!”, ha replicato il pubblico in tono beffardo. “Sono felice di partecipare oggi per denunciare Macron, le sue politiche, il fatto che non ascolti mai la gente”, ha confidato Philippe, un dipendente dell’amministrazione locale, questo pomeriggio a Parigi, marciando sotto lo striscione della CFDT (Confederazione Francese dei Sindacati). In tutta la Francia, la mobilitazione – lanciata per la prima volta dal 2023 su appello dell’intero sindacato – rifletteva la rabbia nel vedere i servizi pubblici smantellati uno a uno, in nome del risparmio sui costi. Sono state registrate quasi 600 azioni e manifestazioni.  “Stop all’austerità, uniti per la giustizia sociale, fiscale e ambientale”, proclamava lo striscione in testa alla manifestazione parigina, partita da Place de la Bastille intorno alle 14:00.  “Oggi inviamo un avvertimento molto chiaro al governo e al Primo Ministro Sébastien Lecornu, che ci ha detto di essere aperto al dialogo”, ha dichiarato la Segretaria Generale della CFDT, Marylise Léon. “È ora che il governo ci dica: ‘OK, abbiamo ricevuto il messaggio, prenderemo decisioni di conseguenza’”, ha insistito.  Sophie Binet, Segretaria Generale della CGT, ha lanciato un elenco eloquente: “Vogliamo sapere se il raddoppio delle franchigie mediche verrà accantonato. Vogliamo sapere se la riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione verrà accantonata. Se i tagli alle pensioni e alle prestazioni di previdenza sociale verranno accantonati. Vogliamo sapere se i tagli ai posti di lavoro nella pubblica amministrazione verranno accantonati.”  “Non ho mai visto un tale livello di repressione”, ha affermato Julien, membro del collettivo L’Offensive, subito dopo essere stato espulso dal deposito degli autobus Ilevia a Villeneuve-d’Ascq (Nord), che stava bloccando con un pugno di compagni. “Durante le proteste contro la riforma delle pensioni, abbiamo bloccato l’area per un’ora e mezza presso il consiglio regionale. Le forze dell’ordine hanno seguito un modello tradizionale. Ora arrivano e la bonificano con avvertimenti e gas lacrimogeni.”  Il Ministro dell’Interno uscente Bruno Retailleau a mezzogiorno minimizza “Le azioni sono state meno intense del previsto”. Ma ci sono stati anche alcuni episodi spettacolari, come l’ingresso di un centinaio di membri del sindacato Sud Rail nel cortile del Ministero dell’Economia nel XII arrondissement di Parigi, giunti come vicini della Gare de Lyon, armati di fumogeni.  Un altro elemento comune è l’onnipresenza nella mente delle persone della tassa Zucman, il nuovo totem della sinistra, che mira a tassare i super-ricchi al 2% del loro patrimonio. “Sono morbosamente contrario”, ha detto a Mediapart un caro amico di Emmanuel Macron. “Tassare i ricchi non li danneggerà”, ha ribattuto Sylvain, un imbianchino di 52 anni, durante la parata parigina. “Siamo affamati, finiamo il mese quasi senza niente. Anche se l’idea di togliere due giorni festivi è stata abbandonata, non si fa nulla per aiutarci.” Salvatore Turi Palidda
Varsavia chiude le frontiere e si strangola da sola
Un vecchio proverbio popolare descrive in modo crudo l’idiozia di un marito che vuole fare un grosso dispetto alla moglie. Torna inevitabilmente alla mente guardando quel che sta facendo una certa “Europa”, quella collocata ad est. Non paghi della figuraccia internazionale fatta con la storia dell’”assalto russo” con droni – […] L'articolo Varsavia chiude le frontiere e si strangola da sola su Contropiano.
Riguardo agli assets congelati, Mosca è pronta a ripagare l’Occidente con la stessa moneta
La questione è stata sempre presente in ogni dibattito intorno a una possibile composizione del conflitto ucraino, anche se sui giornali ha attirato molto di più l’attenzione il possesso di qualche chilometro quadrato. Ma proprio in questi giorni il nodo degli assets russi congelati dai paesi occidentali è tornato all’attenzione […] L'articolo Riguardo agli assets congelati, Mosca è pronta a ripagare l’Occidente con la stessa moneta su Contropiano.
Il flop del bonus sociale per l’energia
La narrazione della maggioranza di Governo sulla crescita del Paese e l’entusiasmo con cui vengono accolti gli ultimi dati ISTAT sull’aumento dell’occupazione (comunque dimezzata rispetto al trimestre precedente e aumentata solo in settori a basso valore aggiunto dove si determina non di rado “lavoro povero”), stridono alquanto con la realtà dei fatti e con la dura vita d’ogni giorno. Rispetto al 2019 i prodotti alimentari costano oggi, in Italia, quasi un terzo in più. A dircelo è quella stessa ISTAT che certifica l’aumento dell’occupazione, che nella Nota sull’andamento dell’economia pubblicata in questi giorni, scrive: “In conseguenza della forte impennata registrata tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2023 e al successivo perdurare di una significativa, seppure più moderata, tendenza alla crescita (fenomeni che hanno riguardato l’intera Europa), i prezzi al consumo (indice armonizzato) dei beni alimentari (cibo e bevande non alcoliche), risultano in Italia avere raggiunto a luglio 2025 (ultimo dato disponibile) un livello più elevato del 30,1% rispetto a quello medio del 2019. Nel confronto europeo, tuttavia, tale dinamica appare sensibilmente più contenuta sia rispetto alla media UE27 (+39,2%) sia, tra gli altri principali paesi, rispetto a Germania (+40,3%) e Spagna (+38,2%); nello stesso periodo l’aumento in Francia è stato invece relativamente minore (+27,5%)”. E non può affatto consolare il fatto che la crescita dei prezzi al consumo dei beni alimentari risulti in Italia inferiore alla media della Ue27, soprattutto perché nel nostro Paese c’è un’aggravante: mentre i prezzi salivano, gli stipendi e le pensioni rimanevano fermi, aumentando le disuguaglianze – anche in campo alimentare – e alimentando sempre più il fenomeno del lavoro povero (come ha rilevato la Caritas, il 23,5% degli italiani si trova in condizioni di povertà pur lavorando). Mentre uno “strabico” Governo spande ottimismo a reti unificate, gli italiani restano pessimisti. Scrive sempre quell’ISTAT che certifica l’aumento dell’occupazione: “Tra i consumatori aumentano le attese di rialzo dell’inflazione… Ad agosto tra i consumatori aumenta, per il secondo mese consecutivo, la quota di coloro che si attendono un rialzo dell’inflazione nei successivi 12 mesi rispetto ai 12 mesi passati (45,6% rispetto al 42,6% in luglio) e diminuisce il numero di coloro che si attendono una stabilità (14,5% rispetto al 17% di luglio), a fronte di una quota invariata di coloro che si aspettano una riduzione (39,1% in entrambi i mesi)”. In un apposito focus l’ISTAT si occupa poi della cosiddetta povertà energetica, evidenziando come l’agevolazione (il bonus energia) raggiunga meno della metà dei nuclei che ne avrebbero davvero bisogno. Come si ricorderà, già a partire dal 2008 era stato introdotto dal Governo italiano un sistema di sussidi (c.d. bonus sociali), in forma di sconto in bolletta, rivolti alle famiglie a basso reddito per sostenere le spese di elettricità e gas. A partire dal 2021 tali misure sono state poi rafforzate. Si sono succeduti infatti numerosi interventi di aggiornamento legislativo (ad esempio, per l’accesso al bonus non è più necessario presentare domanda ma è sufficiente aver ottenuto una attestazione ISEE) e sono state stanziate ulteriori risorse finanziarie che hanno permesso di elevare, in alcuni periodi, l’offerta di sussidi in termini di soglie di accesso e importi. I risultati della simulazione fatta dall’ISTAT mostrano che nel 2021 quasi 1 famiglia su 10 (circa 2,5 milioni) ha beneficiato del bonus per l’elettricità e, per una parte delle famiglie, anche del bonus gas, nella forma di uno sconto sulla bolletta energetica. Le famiglie appartengono tutte al I e al II quinto della distribuzione del reddito (i quinti più poveri). Nei due anni successivi le modifiche ai requisiti hanno consentito di ampliare la platea dei beneficiari. In particolare, l’innalzamento della soglia ISEE a 12.000 euro entrato in vigore nel II trimestre del 2022, ha permesso ai bonus energetici di raggiungere 3,7 milioni di famiglie, il 5,8% delle quali nel III quinto di reddito; mentre nel 2023 il numero di famiglie raggiunte dal bonus supera i 4,5 milioni, grazie all’estensione della soglia ISEE a 15.000 euro. In quest’anno è massima anche la quota di famiglie beneficiarie appartenenti al III quinto (11,1%). Nel 2024 però la soglia ISEE è stata riportata a 9.530 euro, con una conseguente riduzione significativa della percentuale di famiglie beneficiarie (da quasi 4,5 milioni a 2,7). Scrive l’ISTAT: “Nel 2024, più della metà delle famiglie in condizioni di povertà energetica non sono state raggiunte dai sussidi e si osserva la percentuale più alta di famiglie che ricevono il bonus ma rimangono in condizioni di povertà (52,6%). In sintesi, i risultati mostrano che i sussidi energetici sono stati efficaci nel compensare l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia per le famiglie in condizioni di povertà energetica in particolare nel 2022, anno di picco dei prezzi energetici. L’analisi, tuttavia, evidenzia anche la presenza di una percentuale significativa di famiglie in condizioni di povertà energetica che non rientra tra quelle beneficiarie della misura di welfare o perché non hanno presentato un’attestazione ISEE o perché prive dei requisiti ISEE necessari per l’accesso ai bonus”. Sarebbe forse il caso di leggere e commentare tutti i dati dell’ISTAT, prima di lasciarsi andare a facili ottimismi. Per Federconsumatori sono necessari alcuni provvedimenti urgenti per arginare i rincari e sostenere il potere di acquisto delle famiglie, dando nuova spinta anche al mercato interno: la rimodulazione dell’Iva sui generi di largo consumo (che consentirebbe un risparmio di oltre 516 euro annui a famiglia); la creazione di un Fondo di contrasto alla povertà energetica e una determinata azione di contrasto alla povertà alimentare; lo stanziamento di risorse adeguate per la sanità pubblica e per il diritto allo studio; una riforma fiscale equa, davvero tesa a sostenere i bassi redditi e i redditi medi, e non a incrementare le disuguaglianze. Qui la Nota dell’ISTAT: https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/09/Nota-congiunturale-settembre-2025_rev-2.pdf.  Giovanni Caprio
MILANO: SETTIMANA DECISIVA PER LA (S)VENDITA DELLO STADIO DI SAN SIRO
A Milano si apre una settimana decisiva in merito alla (s)svendita dello storico stadio di San Siro. La delibera sulla vendita a Inter e Milan, infatti, andrà in Giunta questa settimana, probabilmente giovedì, dopo che la vicesindaca Anna Scavuzzo avrà incontrato i rappresentanti delle due squadre meneghine per definire un possibile accordo sulla cessione. “L’importante è che la vicesindaca Scavuzzo completi gli incontri con tutte le forze politiche, ma per il resto siamo pronti”, ha detto il grande sponsor politico della svendita, il sindaco Sala, che tiene per sè i contatti con le società calcistiche, entrambe nelle mani di grandi fondi speculativi internazionali, ben più interessati alle speculazioni immobiliari collegate allo stadio che al piano sportivo. La (s)vendita, infatti, riguarda non solo lo stadio, ma anche le aree circostanti. Intanto, i comitati che si oppongono all’operazione continuano a chiedere al comune di effettuare il referendum (per il quale hanno raccolto le firme necessarie) per permettere alla popolazione milanese di esprimersi sul futuro di San Siro. Ne parliamo con Carlo Monguzzi, consigliere comunale milanese del gruppo Europa Verde. Ascolta o scarica.
Le famiglie italiane tirano la cinghia, continuano gli allarmi sul carrello della spesa
Su questo giornale abbiamo seguito assiduamente i rapporti Istat riguardanti l’inflazione e l’andamento dei prezzi, sottolineando il nodo preoccupante per cui, a dispetto di una riduzione nel costo di tanti beni, quelli su cui le classi popolari spendono la maggior parte dei propri redditi hanno sempre continuato a tenersi sopra […] L'articolo Le famiglie italiane tirano la cinghia, continuano gli allarmi sul carrello della spesa su Contropiano.
22 settembre, sciopero generale Cobas per Gaza e la GSF
Stop Genocide in Gaza Costruiamo ovunque iniziative di disobbedienza civile a sostegno della Palestina e della Global Sumud Flotilla 22 settembre giornata di mobilitazione e lotta In un clima di guerra globale, con focolai di conflitto sull’orlo di nuovi e pericolosi allargamenti – dal Medio Oriente all’Asia, dall’Ucraina al Sahel fino all’America Latina – l’Europa guidata da Von der Leyen ricorre alla propaganda militarista, all’invocazione di un’economia di guerra e di un nuovo ordine mondiale, trasformando queste narrative in strumenti per giustificare spese militari senza precedenti e misure straordinarie che rischiano di trascinarci in un conflitto su scala planetaria. Tutto ciò accade mentre nelle ultime ore, l’escalation militare sulla frontiera orientale dell’Europa si intensifica e la Polonia annuncia il dispiegamento di circa 40 mila soldati al confine. In questo scenario, una flotta di circa cinquanta imbarcazioni, con un equipaggio formato da attivisti, parlamentari e giornalisti provenienti da 44 paesi diversi, si dirige verso le coste di Gaza. Lo scopo è consegnare migliaia di tonnellate di aiuti umanitari, ma ancor più importante, è rompere il criminale assedio militare in cui viene costretta la popolazione palestinese. La Global Sumud Flotilla rappresenta ad oggi la più grande missione civile internazionale mai organizzata per rompere per portare soccorso a una popolazione civile stremata da due anni di massacri, bombardamenti e dall’uso della carestia come armi di guerra. Tutto questo avviene nella totale complicità dei governi occidentali, incluso quello italiano. Ci si limita a dichiarazioni di indignazione di facciata. Si riconosce tutt’al più che Israele abbia superato ogni limite, ma nessun governo ha finora adottato misure concrete per isolarlo: non sono stati realmente toccati gli interessi economici israeliani, bloccati i rifornimenti di armi né sospese le relazioni diplomatiche con un governo che sta perpetrando, oramai senza dubbi, un genocidio, come riconosciuto dalla Corte Internazionale di Giustizia e, ormai, dalla maggioranza dell’opinione pubblica mondiale. I provvedimenti annunciati dalla Commissione Europea contro Israele non hanno nessuna possibilità di contribuire a fermare il massacro: arrivano tardi di fronte a violazioni sistematiche del diritto internazionale e, per di più, sono del tutto insufficienti e inadeguati a lenire seppur relativamente le sofferenze impresse a questo popolo. Il governo Netanyahu ha già annunciato che non si limiterà solo a fermare le imbarcazioni impedendo la consegna degli aiuti, ma arresterà tutti i membri dell’equipaggio trasferendoli nelle carceri israeliane, senza che abbiano commesso alcun reato. Intanto, come dimostrano i gravissimi attacchi del 9 e del 10 settembre, due navi della Flotilla sono state colpite da droni nelle acque tunisine allo scopo di spaventare e fermare la missione umanitaria. Tutto ciò accade mentre prosegue il progetto di espulsione della popolazione da Gaza e si intensifica l’occupazione coloniale in Cisgiordania con l’approvazione di un piano esplicitamente finalizzato a un’ulteriore espansione delle colonie, operazione anche questa dichiarata illegittima dall’ONU. Di fronte alla totale assenza di efficaci iniziative sanzionatorie da parte dei governi europei nei confronti di Israele, è evidente che la mobilitazione deve proseguire dal basso. In questi giorni, in Italia stiamo assistendo a imponenti manifestazioni di sostegno alle partenze della Global Sumud Flotilla. Le iniziative solidali si moltiplicano in tutto il Paese, segno di una crescente e determinata partecipazione che chiede di fermare immediatamente il massacro in corso e di contrastare il progetto coloniale. La Global Sumud Flotilla con il suo equipaggio di mare e le migliaia di solidali che compongono l’“equipaggio di terra” è oramai evidentemente uno straordinario segnale di capacità internazionale dei movimenti sociali di opporsi alla corsa al riarmo e di rilanciare politiche di pace. Per fare pressione sui governi europei e garantire che la missione della Flotilla raggiunga il suo obiettivo è necessario attivare subito ogni forma di azione diretta. Sappiamo che la guerra in Medio Oriente è solo un tassello di un conflitto più ampio, per giunta sempre sull’orlo di un ulteriore allargamento. Accanto ai diversi teatri militari, la guerra è oramai entrata pienamente anche nella nostra quotidianità. Le politiche di riarmo, il riorientamento di capitoli della spesa pubblica e del welfare a favore della difesa, la ristrutturazione di interi comparti produttivi, la derubricazione di politiche concrete ed efficaci a sostegno dell’aumento dei salari e contro l’aumento della povertà, sono solo una parte degli effetti di un regime di guerra che concretamente si sta imponendo nelle nostre vite, anche attraverso nuove forme di restrizione delle libertà, dei diritti e delle tutele. Per questo accogliamo la proposta dei lavoratori del porto di Genova di convergere nella giornata di sciopero del 22 settembre, in modalità diverse nei territori, con picchetti, blocchi e occupazioni capaci di intrecciarsi con i movimenti sociali che si mobiliteranno, mettendo in campo al tempo stesso iniziative di disobbedienza civile in tutto il Paese qualora la flottiglia venga bloccata nei prossimi giorni. Nello spirito di costruire scioperi reali, capaci di superare realmente la frammentazione sindacale, la giornata del 22 settembre segna per noi l’avvio di un processo da estendere il più possibile tra lavoratori e lavoratrici, rafforzando le convergenze e alimentando la mobilitazione dal basso, con l’obiettivo di costruire una risposta collettiva ampia e generalizzata contro il Genocidio a Gaza e l’economia di guerra. ADL Cobas  – CLAP Camere del Lavoro Autonomo e Precario – Cobas Lavoro Privato –  SIAL Cobas Redazione Italia