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Proposta bioregionale. Unico Stato come unica soluzione per la pace in Palestina/Israele
La soluzione di uno Stato unico, o soluzione bioregionale, è un approccio proposto per venire a capo del conflitto israelo-palestinese. I sostenitori di questa soluzione propongono la creazione di un unico Stato che comprenda l’intero territorio di Israele/Palestina, con il riconoscimento di cittadinanza e pari diritti per tutti gli abitanti, a prescindere da etnia o religione. Sebbene questa soluzione, basata su un dato di fatto, sia ragionevole e foriera di pacificazione, essa è stata sinora ignorata nelle trattative di pace. Tra i fautori ricordo Mustafa Barghouti, egli fu tra i primi a lanciare la proposta politica di “un unico Stato per due popoli, laico e tollerante, con diritti e doveri per tutti”. La commistione e l’integrazione sono sempre avvenuti nella storia ed in tutti i Paesi del mondo, a seguito delle continue migrazioni umane sulla terra. Un naturale aggiustamento nel riconoscimento di appartenenza alla stessa specie. Basterebbe guardare la storia d’Italia con tutti i mescolamenti avvenuti nei secoli. In Palestina, prima dell’immigrazione sionista dal 1947 in poi, esisteva una forma di equilibrio, convivevano arabi, ebrei, cristiani di varie fedi e persino laici ed atei. Il problema del mantenimento di questa convivenza pacifica è subentrato con la pretesa dei vertici sionisti di affermare un diritto ancestrale sulla terra palestinese ma questa è una assunzione non corroborata da fatti reali, questo diritto di proprietà univoca è un titolo indebitamente assunto e tale acquisizione è basata su una falsa “distinzione razziale” e sulla reiterata asserzione di un diritto definito “ereditario” sul territorio palestinese. Accettare il dato di fatto dei pari diritti e della comune appartenenza al luogo in cui si vive sarebbe il primo passo per una convivenza pacifica, sia per la componente allogena sionista che per quella autoctona palestinese. E questa soluzione sarebbe pienamente in linea con il dettato bioregionale. Paolo D’Arpini – Rete Bioregionale Italiana Paolo D'Arpini
Conflitti globali e guerre in corso, un video
Il mondo sta affrontando un numero di conflitti che è il più alto dalla Seconda Guerra Mondiale, con 56 conflitti attivi che coinvolgono 92 Paesi. Solo nel 2024 si contano più di 233mila vittime e oltre 100 milioni di persone costrette a fuggire dalle proprie case. A commentare in studio il tema caldo del momento Jeff Hoffman de “La Casa del Sole TV”, la giornalista Margherita Furlan, Angelo d’Orsi, già ordinario di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Torino e Antonio Mazzeo, giornalista, docente e attivista dell’Osservatorio, reduce dall’espulsione ad opera del governo israeliano per avere cercato di portare aiuti umanitari a Gaza a bordo della nave Handala di Freedom Flotilla. Qui il video della trasmissione  SCACCO MATTO 01.08.2025 – Il mondo in guerra –  Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
La ‘Dichiarazione di New York’ redatta alla Conferenza ONU del 28-30 luglio approvata dall’ANP
IL FAVORE È STATO UFFICIALMENTE ESPRESSO NELLE COMUNICAZIONI INVIATE DA MOHAMMAD MUSTAFA, PRIMO MINISTRO DELL’AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE, AI MINISTRI DEGLI ESTERI SAUDITA E FRANCESE – FAISAL BIN FARHAN E JEAN-NOËL BARROT – CHE HANNO COORDINATO E PRESIEDUTO LO SVOLGIMENTO DEL CONGRESSO INTERNAZIONALE ALLA SEDE ONU DI NEW YORK. Faisal bin Farhan Al Saud e Jean-Noël Barrot (28 luglio 2025  © UN / Loey Felipe) Il ministro degli esteri francese, Jean-Noel Barrot, ha commentato: “Per la prima volta i paesi arabi e del Medio Oriente hanno condannato Hamas, di cui chiedono il disarmo e l’esclusione dal governo palestinese, ed espresso chiaramente la loro intenzione di normalizzare le relazioni con Israele”. La Conferenza internazionale di alto livello per la soluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due stati convocata a maggio per svolgersi a giugno a causa della guerra che in quel periodo veniva condotta da Israele e USA contro l’Iran è stata procrastinata a luglio. Il giorno precedente all’incontro AMNESTY INTERNATIONAL aveva esortato i partecipanti a “dare priorità alla fine del genocidio, dell’occupazione illegale e dell’apartheid israeliano” e a considerare una serie di proposte, tra cui “interrompere ogni forma di commercio o trasferimento che contribuisca o sia collegato al genocidio, all’apartheid o all’occupazione illegale” e “impegnarsi nella ricostruzione della Striscia di Gaza e nel sostegno alla sua popolazione, contrastando ogni tentativo di trasferimento forzato all’interno o all’esterno del suo territorio”. Al raduno, cui sono convenute tutte le rappresentanze degli stati membri dell’ONU tranne quelle di USA (United States Rejects A Two-State Solution Conference – 28 luglio 2025) e Israele, sono intervenuti 125 delegati delle rispettive nazioni e il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, che ha affermato: > … per i palestinesi lo Stato è un diritto, non una concessione, e la negazione > del riconoscimento della loro nazione sarebbe un regalo per gli estremisti di > tutto il mondo. L’unica soluzione realistica, giusta e praticabile è quella di > due Stati, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco in pace e > sicurezza, all’interno di confini sicuri e riconosciuti, cioè quelli > precedenti al 1967, con Gerusalemme capitale di entrambi, tracciati applicando > il diritto internazionale, le risoluzioni delle Nazioni Unite e gli altri > accordi in materia. Due Stati riconosciuti da tutti e pienamente integrati > nella comunità internazionale. > > Ciò significa: porre immediatamente fine alla violenza; cessare immediatamente > le attività di annessione e di insediamento, come richiesto dalla Corte > internazionale di giustizia; rifiutare lo sfollamento forzato della > popolazione palestinese da qualsiasi parte del Territorio palestinese > occupato, che costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale > dei diritti umani e del diritto umanitario e rifiutare qualsiasi forma di > pulizia etnica; garantire che non sia elusa la responsabilità per eventuali > crimini atroci e altre violazioni del diritto internazionale; ripristinare un > dialogo politico credibile e riaffermre la parità dei diritti e della dignità > di entrambi i popoli. Tutto ciò richiede coraggio da parte dei leader sul > campo e determinazione da parte della comunità internazionale nell’agire con > principi e perseveranza. > > Sappiamo che il conflitto israelo-palestinese dura da generazioni, sfidando > speranze, sfidando la diplomazia, sfidando innumerevoli risoluzioni, sfidando > il diritto internazionale. Sappiamo che il conflitto continua a mietere > vittime, a distruggere speranze e a destabilizzare la regione e il nostro > mondo. Ma sappiamo anche che la sua persistenza non è inevitabile e che una > soluzione pacifica è possibile. > > Ciò richiede volontà politica e una leadership coraggiosa. > > E richiede verità. La verità è: siamo a una svolta decisiva. > > Nulla può giustificare i terribili attacchi terroristici del 7 ottobre [2023] > da parte di Hamas e la cattura di ostaggi. E nulla può giustificare la > distruzione di Gaza, affamare la popolazione, l’uccisione di decine di > migliaia di civili, l’ulteriore frammentazione del territorio palestinese > occupato, l’incessante espansione degli insediamenti, l’aumento della violenza > dei coloni contro i palestinesi, la demolizione delle case e lo sfollamento > forzato degli abitanti,… > > … l’annessione della Cisgiordania occupata è illegale, e deve cessare; la > devastazione di Gaza è intollerabile, e deve cessare; le azioni unilaterali > che compromettono la ‘soluzione dei due Stati’ sono inaccettabili, e devono > cessare. Questi non sono eventi isolati: fanno parte di una realtà sistemica > che sta smantellando i mattoni della pace in Medio Oriente e proprio per > questo dobbiamo insistere e agire per realizzare la ‘soluzione dei due Stati’… > l’unica prospettiva coerente con il diritto internazionale, approvata da > questa Assemblea e sostenuta dalla comunità internazionale … è la condizione > sine qua non per la pace in tutto il Medio Oriente. Il documento elaborato dai delegati delle nazioni dopo tre giorni di confronto, la Declaration on the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution detta Dichiazione di New York, esplicita i fatti esaminati, le valutazioni considerate e le decisioni deliberate. Per la promulgazione del proclama sono attese le ratifiche degli stati, dai referenti delle missioni permanenti all’ONU di Francia e Arabia Saudita attese entro il 5 settembre prossimo, così in tempo utile per la 80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA 80 / New York, 9-23 settembre 2025). DICHIARAZIONE DI NEW YORK Il testo, redatto a cura delle rappresentanze di Francia ed Emirati Arabi e di Brasile, Canada, Egitto, Indonesia, Irlanda, Italia, Giappone, Giordania, Messico, Norvegia, Qatar, Regno Unito, Senegal, Spagna e Turchia e delle Lega Araba e Unione Europea, è suddiviso in due parti. Nella prima parte, composta da 42 paragrafi e sezioni, sono riferite le valutazioni e le decisioni espresse dalle rappresentanze delle nazioni riunite alla sede dell’ONU di New York nelle giornate dal 28 al 30 luglio scorsi. Nella seconda, premettendo il riferimento alle proposte presentate dalle delelegazioni nazionali nell’occasione e alla Risoluzione 79/81 che l’UNGA (Assemblea Generale delle Nazioni Unite) ha deliberato il 3 dicembre 2024, sono elencate le azioni concrete che ciascun stato si impegna a realizzare e le indicazioni e raccomandazioni sugli interventi che i loro governi dovranno realizzare allo scopo. > NEW YORK DECLARATION ON THE PEACEFUL SETTLEMENT OF THE QUESTION > OF PALESTINE AND THE IMPLEMENTATION OF THE TWO-STATE SOLUTION > > § 1-7 / “We, Leaders and Representatives, gathered at the United Nations in > New York on 28–30 July 2025, at a historically critical moment for peace, > security, and stability in the Middle East … agreed to take collective action > to end the war in Gaza, to achieve a just, peaceful and lasting settlement of > the Israeli-Palestinian conflict based on the effective implementation of the > two-State solution … reiterated our condemnation of all attacks by any party > against civilians … We condemn the attacks committed by Hamas against > civilians on the 7th of October. We also condemn the attacks by Israel against > civilians in Gaza and civilian infrastructure, siege and starvation, which > have resulted in a devastating humanitarian catastrophe and protection crisis > … have thus committed to taking tangible, timebound, and irreversible steps > for the peaceful settlement of the question of Palestine and the > implementation of the Two-State solution … > > § 8-18 /  Ending the War in Gaza and securing the day after for Palestinians > and Israelis – The war in Gaza must end now …  We demanded the immediate, > safe, unconditional and unhindered delivery of humanitarian assistance at > scale through all crossings and throughout the Gaza Strip, in coordination > with the UN and ICRC and in line with humanitarian principles … Gaza is an > integral part of a Palestinian State and must be unified with the West Bank. > There must be no occupation, siege, territorial reduction, or forced > displacement … Governance, law enforcement and security across all Palestinian > territory must lie solely with the Palestinian Authority, with appropriate > international support … ensuring that Palestinians remain in their land … > Following the ceasefire, a transitional administrative committee must be > immediately established to operate in Gaza under the umbrella of the > Palestinian Authority … > > § 19-27 / Empowering a sovereign and economically viable State of Palestine, > living side by side, in peace and security with Israel – We stressed that > compliance with and respect for the Charter of the United Nations and > international law is a cornerstone of peace and security in the region … We > reaffirmed the need for the Palestinian Authority to continue implementing its > credible reform agenda—with international support, particularly from the EU > and the League of Arab States, focusing on good governance, transparency, > fiscal sustainability, fight against incitement and hate speeches, service > provision, business climate and development … We called on the Israeli > leadership to issue a clear public commitment to the Two-State Solution, > including a sovereign, and viable Palestinian State, to immediately end > violence and incitement against Palestinians, to immediately halt all > settlement, land grabs and annexation activities in the Occupied Palestinian > Territory, including East Jerusalem, publicly renounce to any annexation > project or settlement policy, and put an end to settlers’ violence, including > by implementing UNSC resolution 904 and enacting a legislation to punish and > deter violent settlers and their illegal actions … We reaffirmed our support > for the right of the Palestinian people to self-determination … We agreed to > promote Palestinian economic development, facilitating trade, and enhancing > Palestinian private sector competitiveness. We called for the removal of > movement and access restrictions and the immediate release of withheld > Palestinian tax revenues and committed to the revision of the Paris Protocol > on Economic Relations (1994), the establishment of a new framework for > clearance revenue transfers leading to Palestinian ownership over taxation, as > well as the full integration of Palestine into the International Monetary and > Financial System and ensuring sustainable corresponding banking relations for > the long-term. > > § 28-33 / Preserving the two-State solution and achieving regional integration > – … We committed to protecting peace efforts against potential spoilers who > seek to derail the implementation of the two-State solution through illegal > unilateral measures and violent actions … > > § 34-42 /Achieving regional integration through ending the Israeli-Palestinian > conflict  – … by ending the war in Gaza, releasing all hostages, ending > occupation, rejecting violence and terror, realizing an independent, sovereign > and democratic Palestinian State, ending the occupation of all Arab > territories and providing solid security guarantees for Israel and Palestine … > We agreed to support, in parallel to the conclusion of a peace agreement > between Palestine and Israel, renewed effort on the Syria-Israel and > Lebanon-Israel tracks with the aim of achieving a comprehensive, just, and > lasting peace in the Middle East, in accordance with international law and the > relevant UN resolutions, putting an end to all claims … We are determined to > ensure that the decisions made at this Conference constitute a turning point > where the international community as a whole is mobilized, at the political, > economic, financial and security levels, to set in motion a long overdue > bright future for the benefit of all States and all peoples … We agreed to > mobilize the international community at leaders’ level around these > commitments on the sidelines of the 80th United Nations General Assembly in > September 2025 … This Declaration and its annex reflect the outcome of the > eight working groups convened as part of the Conference, outlining a > comprehensive and actionable framework for the peaceful settlement of the > question of Palestine and the implementation of the two-State solution. These > outcomes reflect proposals across the political, security, humanitarian, > economic, legal, and strategic narrative dimensions, and constitute a concrete > time-bound action plan to guide international engagement and implementation, > operational coordination, and follow-up efforts towards the implementation of > the Two-State solution and full regional integration. > > ALLEGATO: > > Ceasfire – Security – Humanitarian response – Gaza recovery and recostruction > plan – Humanitarian situation in the West Bank – Realization of a sovreign, > unified and indipendent Palestinian State – Support implementation of the > Palestinian Authority’s reform agenda towards an economically viable State of > Palestine – Unholding international law – Peaceful Coexistence – Achieving > regional integration through ending the Isreali-Palestinian conflict   FONTI : * programma della High-level International Conference for the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution / programma * Conferenza Onu per il processo di pace in Palestina. Le raccomandazioni di Amnesty / PRESSENZA – 27.07.2025 * Secretary-General’s remarks at the Opening Segment of the High-level International Conference for the Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution / ONU – July 28, 2025 * With Gaza smouldering, ministers renew push for two-State solution at UN / ONU – July 30, 2025 * High-Level Conference on Two-State Solution Concludes General Debate, Will Reconvene to Consider Outcome Document / ONU –  July 30, 2025 * French Mission to the United Nations / July 30, 2025 *  UN Declaration on the “Peaceful Settlement of the Question of Palestine and the Implementation of the Two-State Solution” / Jewish Virtual Library – July 30, 2025 * Prime Minister Mustafa affirms support and endorsement for New York Declaration in letters to Saudi and French FMs / State of Palestine, Prime Minister’s Office – July 31, 2025 * Reviving the Two-State Solution: The UN Conference and The Recognition of Palestine / ISPI – July 31, 2025 Maddalena Brunasti
E’ su PeerTube il video della Local march for Gaza
E’ on line il video realizzato da Alberto Conte sulla Local March for Gaza Un’esperienza di lotta nonviolenta per il cessate il fuoco a Gaza, per la libertà per i palestinesi e, quindi, per il genere umano. Partiti da Oropa (BI) per il primo cammino che ha portato almeno 160 persone dai monti a valle per dire che dobbiamo “restare umani”, passo dopo passo disporsi all’ascolto dell’altro e rigettare la violenza in ogni sua forma. Cosa c’è di più non violento del camminare? Scrivo su Pressenza, tra i promotori della Marcia mondiale per la pace e la nonviolenza, ma si può citare la Perugia – Assisi , o, addirittura, le marce da Selma a Montgomery Le Local march prendono ispirazione da tutto ciò e dalla Global March to Gaza, declinandola sui territori e usando come mezzo il cammino. A proposito di mezzi… si sa che per i nonviolenti il fine non giustifica affatto i mezzi, come sostiene ogni buon manuale di politica da Macchiavelli in poi. E allora il video è caricato su una piattaforma libera. Si chiama PeerTube PeerTube non profila, non ruba i tuoi dati, non è governata da algoritmi opachi e moderazioni oscure. E, soprattutto, non veicola camapgne di disinformazione a favore del governo d’Israele e del genocidio dei palestinesi. Quindi : Viva PeerTube, Viva le marce, Viva la nonviolenza, Viva la libertà e buona visione di Ettore Macchieraldo     Ettore Macchieraldo
Per una strategia mondiale dell’acqua al servizio  dell’umanità e della comunità  globale della vita della Terra
 Il 28 luglio si celebra il  15° anniversario della storica Dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 28 luglio 2010 che riconosce il diritto umano universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari. In questa occasione, ed anche in vista della nuova conferenza internazionale sull’acqua delle Nazioni Unite nel dicembre 2026, l’Agorà degli Abitanti della Terra ha trasmesso all’attenzione di Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU, una lettera-memorandum (24 pagine) sul  tema Resilienza mondiale e l’acqua per la vita.   L’obiettivo è di presentare un  pacchetto di  cinque iniziative da prendere con forza e immediatamente allo  scopo di intervenire  sulle cause strutturali ,alle radici, della crisi mondiale della vita. Il cambiamento disastroso del clima e, conseguentemente, la crisi dell’acqua, in concomitanza con l’esplosione del sistema internazionale stravolto dalle proprie logiche di guerra,  di dominio e di esclusione (più di 4 miliardi di persone  prive di ogni protezione sanitaria),più Gaza, Sud Sudan, Congo, Trump… testimoniano   della gravità della crisi  n cui versa oggi la vita dell’Umanità e del Pianeta. Il  bloccaggio: i gruppi sociali forti che hanno il potere ed il controllo delle priorità, soprattutto quelli  USA (ed europei in sudditanza) non  vogliono e sono incapaci di realizzare i necessari cambiamenti strutturali del loro sistema. La convinzione alla base delle proposte contenute nella lettera-memorandum è che non solo è doveroso ma, soprattutto, è possibile arrestare il disastro climatico, come anche le guerre e le ineguaglianze, malgrado il  bloccaggio dei  dominanti. La convinzione è nutrita da tre evidenze su cui purtroppo  bisogna insistere per l’ennesima volta.  Primo. la stretta relazione esistente tra l’ aumento della temperatura media dell’atmosfera terrestre di più di 1,3°C  (dati del 2023) rispetto all’inizio dell’era industriale e  lo scombussolamento completo del clima.  Secondo, la principale causa (ma non la sola) del riscaldamento della Terra è costituito dall’immensa quantità di emissioni di gas a effetto serra superiore alla capacità di assorbimento da parte della Terra.  Terzo, il fattore principale di dette emissioni  specie negli ultimi  cento anni, è stato e resta la produzione e l’uso  di  energie fossili su cui  si è fondato lo “sviluppo” del sistema tecnologico ed economico  dominante occidentale, all’insegna della crescita  economica predatrice di tutte le risorse del pianeta. Un  insieme di  fattori e di interrelazioni di natura antropica. La natura non  c’entra un granché. Solo le società  umane potranno risolvere il problema  del cambio del sistema. Esse sono bloccate al livello degli obiettivi della  mitigazione degli effetti e dell’adattamento alle situazioni di crisi destinate  ad accentuarsi. Non sono  capaci, non vogliono, andare oltre, verso il cambio strutturale. Ciò  spiega il fallimento delle iniziative prese negli ultimi quarant’anni dette “contro” il cambiamento climatico: le due Agende dell’ONU  2000-2015  e 2015-2030 e le 30 COP-Clima,  le 16 COP-Biodiversità e le 15 COP-Deforestazione.   Tocca ai cittadini (di tutti i paesi)  ed ai popoli  della maggioranza degli Stati membri dell’ONU, che sono le vittime  della crisi globale del sistema, di battersi e creare  le condizioni per l’adozione di misure che mettono in movimento i processi d’inversione delle tendenze attuali e di liberazione della comunità globale di vita della Terra dalla predazione da parte dei gruppi  sociali dominanti.    Le cinque  iniziative proposte  Prima iniziativa. Anzitutto la sicurezza globale della vita: l’arresto immediato delle emissioni di gas serra senza alcuna eccezione, e dichiarare fuorilegge qualsiasi attività che vada nella direzione opposta. La maggioranza degli Stati dell’ONU deve proclamare che, di fronte all’imperativo della sicurezza collettiva planetaria, non esiste la sovranità della libertà delle imprese, dei mercati azionari, delle tecnologie, degli Stati. Seconda Iniziativa  Porre fine al diritto di appropriazione privata e commerciale della vita. È necessario abolire i brevetti sugli organismi viventi a titolo privato e a scopo di lucro.  La brevettabilità è stata una delle decisioni unilaterali della Corte Suprema degli Stati Uniti, diventata poi collettiva, più malsane degli ultimi 100 anni delle società occidentali. La brevettabilità del vivente ha contribuito ad accelerare la mercificazione e la privatizzazione generalizzata di ogni forma di vita. I brevetti sono alla base delle logiche di guerra e di dominio tecnologico ed economico-militare. È illusorio pensare di poter risolvere nell’interesse generale delle popolazioni i  problemi come il disastro climatico mondiale e la scarsità di acqua per la vita, senza liberare la vita del pianeta dal potere di appropriazione,  decisione e uso privato delle risorse materiali e immateriali . Terza iniziativa. “Liberare l’acqua del Pianeta dall’avvelenamento chimico. Ridare vita all’acqua”. I fiumi, i laghi, le zone umide, le falde acquifere – le “arterie della Terra” – si stanno prosciugando, morendo o la loro acqua non è più utilizzabile per uso umano perché avvelenata. La contaminazione chimica tossica  non risparmia nessun corpo idrico. E   I PFAS i TFA sono dappertutto. Nuociono gravemente  alla salute degli umani  e della natura. Generano paura e sfiducia. La contaminazione chimica costituisce un vero e proprio ecocidio del pianeta. L’eliminazione totale degli inquinanti eterni non può essere procrastinata per difendere gli interessi del mondo industriale, e  sacrificata sull’altare della competitività all’era della ri-industrializzazione dell’economia mondiale. La maggioranza degli Stati dell’ONU deve intervenire proclamando lo stato di emergenza delle acque del Pianeta e convocare un’Assemblea mondiale straordinaria degli abitanti della Terra per l’attuazione di un piano mondiale di disintossicazione del pianeta.  Quarta iniziativa. Rigenerare le acque della Terra. Smettere di soffocarle, La caratteristica vitale delle acque è  di scorrere.  Attualmente esistono più di 50.000 grandi dighe in tutto il mondo, di cui 19.000 di vecchia costruzione. I grandi fiumi sono tutti “tagliati” da decine di dighe. Uno degli effetti principali delle dighe e delle altre barriere di inquadramento dei fiumi è rappresentato dal loro “soffocamento”. Le dighe riducono la normale circolazione dell’acqua nel corpo della Terra. La crescente artificializzazione delle interruzioni dei flussi provoca numerose crisi di circolazione, embolie delle “arterie” della Terra. Nel corso degli anni, la portata si riduce, i fiumi si prosciugano, non portano più le loro acque al mare, la salinità dei loro delta aumenta pericolosamente, i pesci scompaiono. Inoltre, l’acqua “prelevata” è sempre più  fonte di forti tensioni tra popolazioni urbane e rurali, tra usi a fini lucrativi privati e usi di utilità collettiva e sociale per le popolazioni più deboli,  tra Stati a monte e  quelli a valle attraversati dallo stesso fiume. E’ in gioco l’esistenza, l’economia, la sicurezza delle popolazioni  aventi  tutte l’eguale diritto all’acqua per la vita.  I muri d’Israele costruiti nei territori occupati secondo  i bacini delle  falde sono un  esempio sconvolgente dell’uso micidiale del “soffocamento politico” delle acque. È necessario ampliare e rafforzare i processi di demolizione, ridimensionamento e riqualificazione delle grandi dighe con l’obiettivo di eliminare le 19.000 dighe obsolete e pericolose. E impedire la costruzione  di nuove   dighe sempre più gigantesche. Infine, quinta iniziativa.  Rifiutare  la trasformazione dell’acqua per la vita in una categoria dell’economia di mercato, ovvero in un «capitale naturale/avere finanziario». Occorre   una nuova risoluzione dell’ONU /al fine di aggiungere al  diritto universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari,  il riconoscimento dei diritti dell’acqua e della natura ad un buono stato ecologico. La Conferenza delle Nazioni Unite del 2026 dovrebbe essere l’occasione per la proposta della nuova risoluzione. Dovrebbe anche essere l’occasione propizia per una seconda importante aggiunta. Cioè,  conferire la personalità giuridica ai corpi idrici, ai fiumi, ai laghi e alle zone umide, in conformità con i nuovi sviluppi del diritto internazionale in materia di diritti della natura da proteggere sul piano della sua integrità ecosistemica. Alcuni paesi hanno già riconosciuto la personalità giuridica ai corpi idrici: la Nuova Zelanda  (Whanganui) il Québec (Magpie) la Spagna ((Mar intérior), l’India (Gange, Yamuna), gli Stati Uniti (fiume),  il Perù (Maranon). L’Ecuador, dal canto suo, ha persino inserito i diritti della natura nella sua Costituzione, primo paese a farlo.  PS Per consultare il testo integrale della lettera  memorandum, vedi agora-humanite.org Riccardo Petrella
Cipro, nuove speranze di ricomposizione?
La storica e non ancora risolta controversia cipriota torna, se mai vi fosse uscita, nell’agenda internazionale. Si è tenuta infatti giovedì 17 luglio 2025 la sessione plenaria della conferenza su Cipro, convocata dal Segretario Generale, António Guterres, presso la sede delle Nazioni Unite, alla presenza del Presidente della Repubblica di Cipro Nikos Christodoulides, del leader turco-cipriota Ersin Tatar, dei Ministri degli Esteri di Grecia e Turchia, Giorgos Gerapetritis e Hakan Fidan, e del Ministro per l’Europa del Regno Unito, Stephen Doughty. Scopo della conferenza – rilanciare i colloqui di pace, mettendo così alla prova la speranza di una possibile riconciliazione e riunificazione dell’isola, vera e propria – non è solo uno slogan – “perla del Mediterraneo”. Il tutto sotto l’egida delle Nazioni Unite, nel cui contesto si svolgono i colloqui diplomatici e che mantiene una propria storica missione di interposizione (peacekeeping di prima generazione) a Cipro, la Unficyp (United Nations Peacekeeping Force in Cyprus), sin dal 1964, quando fu dislocata sull’isola, all’indomani degli scontri intercomunitari tra greco-ciprioti e turco-ciprioti degli anni precedenti, allo scopo di impedire il ripetersi delle violenze intercomunitarie, interporsi tra le parti in conflitto e contribuire al mantenimento della sicurezza. Sebbene le Nazioni Unite abbiano definito i colloqui “costruttivi”, non molti sono stati gli sviluppi effettivamente rilevanti e difficile resta il clima di dialogo tra le parti. Il Presidente cipriota Christodoulides ha ribadito la disponibilità a riprendere i negoziati, sospesi sin dal 2017, sottolineando la necessità di rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e il quadro giuridico delle Nazioni Unite come fondamento per la risoluzione della questione cipriota che è infatti, al tempo stesso, prodotto di conflitto etnopolitico e questione complessa di diritto internazionale. D’altra parte, secondo la posizione espressa dal portavoce del Ministero degli Esteri turco, Öncü Keçeli, è necessario rilanciare il quadro negoziale a partire dalla c.d. “soluzione a due stati”, quanto mai problematica, tuttavia, dal momento che l’articolazione istituzionale turco-cipriota, la cosiddetta Repubblica Turca di Cipro del Nord, istituita nel 1983, non ha, a parte quello della Turchia, alcun riconoscimento internazionale, e mantiene sul proprio territorio un contingente militare turco di ben 40 mila soldati.  Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha sottolineato che sono stati compiuti progressi su quattro delle sei iniziative concordate nella precedente riunione allargata sulla questione di Cipro, tenutasi a Ginevra a marzo. I quattro ambiti in cui si è registrato un progresso sono stati la creazione di un nuovo comitato tecnico bi-comunitario per i giovani, una serie di iniziative da intraprendere in materia ambientale, il restauro dei cimiteri e la definizione degli accordi sullo sminamento, che saranno finalizzati “una volta definiti i dettagli tecnici definitivi”. Tuttavia, le due principali iniziative concordate a marzo, l’apertura di quattro nuovi punti di attraversamento tra le due parti dell’isola (la parte sud, a maggioranza greco-cipriota, su cui esercita effettivo controllo la Repubblica di Cipro, e la parte nord, amministrata de facto dalla Repubblica Turca di Cipro del Nord e a maggioranza turco-cipriota), nonché la creazione di un impianto di energia solare presso la zona cuscinetto sotto controllo della missione delle Nazioni Unite, non hanno registrato progressi rilevanti.  Come hanno confermato alla stampa fonti diplomatiche turco-cipriote, “non ci sono ancora progressi sulla questione dei valichi di frontiera perché il leader greco-cipriota [il presidente Nikos Christodoulides] insiste su un corridoio di transito, invece di un vero e proprio valico di frontiera”. Si tratta dei punti di attraversamento che si estenderebbero da una parte all’altra dell’isola, in particolare quello attraverso Kokkina, piccolo centro a maggioranza turco-cipriota solo in parte ricadente nel territorio della cosiddetta Repubblica Turca di Cipro del Nord (luogo sensibile, peraltro, perché luogo della battaglia di Tillyria, un violento scontro armato tra forze greco-cipriote, turco-cipriote e turche dell’agosto 1964), e quello tra Aglantzia e Athienou (uno dei quattro villaggi all’interno della zona cuscinetto delle Nazioni Unite, gli altri tre essendo Pyla, Troulloi e Deneia). Come si intuisce, anche questa questione ha a che fare con l’integrità del diritto internazionale: i punti di transito che attraversano la zona cuscinetto (la buffer zone delle Nazioni Unite) e permettono il passaggio tra le due parti non sono infatti un “confine” ma una linea di separazione e al contempo, nei punti concordati, una linea di transito.  A parte la questione dei punti di attraversamento, il Segretario Generale ha poi affermato che le parti hanno raggiunto una “intesa comune” in ordine alla creazione di un “organismo consultivo per il coinvolgimento della società civile”, sulla questione dei beni culturali, su un’iniziativa per il monitoraggio della qualità dell’aria e sulla lotta all’inquinamento. “È fondamentale attuare queste iniziative, tutte, il prima possibile a beneficio di tutti i ciprioti”. Ha poi confermato l’intenzione di incontrare nuovamente entrambi i leader durante la settimana di alto livello dell’Assemblea Generale in programma a settembre. “C’è una lunga strada da percorrere”, ha affermato, “ma questi passi mostrano l’impegno a proseguire il dialogo e a lavorare su iniziative a beneficio di tutti i ciprioti”. Una soluzione da ricercare, appunto, all’insegna del “win-win”, del comune beneficio.   La controversia cipriota resta infatti una questione cruciale in un’area strategica: Cipro (e il suo conflitto ancora irrisolto) è all’interno dell’Unione Europea e occupa una regione strategica (dal punto di vista militare e dal punto di vista economico) nel Mediterraneo orientale. Quest’area, a cavallo tra Grecia, Turchia, Israele, Egitto, e, appunto, Cipro, ospita infatti, secondo alcuni studi del 2010 della USGS, l’Istituto Geologico Nazionale degli Stati Uniti, circa 10 trilioni di metri cubi di gas. Un’area di tensioni, che da tempo le forze di pace cercano di trasformare in una zona di speranza: non mancano situazioni e contesti (Pyla e Potamia, ad esempio) di convivenza, e l’imponente ricchezza storica, artistica e culturale dell’isola può costituire, insieme con i fondamentali progetti a gestione bi-comunale e bi-comunitaria, uno straordinario potenziale di pace.  Riferimenti: Vibhu Mishra, UN chief reports progress in Cyprus talks, 17.07.2025: https://news.un.org/en/story/2025/07/1165427 Elias Hazou, UN bid to break Cyprus deadlock, 17.07.2025: https://cyprus-mail.com/2025/07/17/un-hosts-informal-cyprus-talks Laura Ponte, Il gas del Mediterraneo Orientale come risorsa strategica, 24.05.2022: https://aspeniaonline.it/il-gas-del-mediterraneo-orientale-come-risorsa-strategica Progetto “Dialogues of Peace in Cyprus” (2005-2008):  https://www.pacedifesa.org/home-2/progetti-sul-campo/dialoghi-di-pace-a-cipro Nicosia This Week, An unofficial guide to the biennial that never was, Werkplaats Typografie, 2006: https://www.mottodistribution.com/shop/publishers/werkplaats-typografie/nicosia-this-week-an-unofficial-guide-to-the-biennial-that-never-was.html  Gianmarco Pisa
Cristo si è fermato a Gaza
SERATA CON GAZA – Occhieppo Superiore (BI) accoglie i camminatori della Local March for Gaza con invitati palestinesi d’eccezione. Ad ogni passo che abbiamo fatto insieme, Ad ogni emozione condivisa, Ad ogni abbraccio che ci siamo dati, Alla voglia condivisa di dire no alle ingiustizie, al dolore, alla guerra. Alla speranza, che ci continua a guidare e a farci urlare, che qualcosa può ancora cambiare. Sono partita per una firma, sono tornata con la convinzione che la pace, può ancora camminare. Queste le parole di Aurora, insegnante barese che vive e lavora a Rivarolo Canavese, condivise nella chat del gruppetto che, partito da Oropa, ha percorso i 63 km di cammino e poi in treno fino a Milano, per consegnare in Prefettura le 509 firme raccolte durante le soste nei 14 comuni attraversati. E’ venuta a Villa Mossa, a Occhieppo superiore, per ritrovare i compagni e le compagne di viaggio, ascoltare le testimonianze di due illustri palestinesi, condividere le emozioni e il dolore per quanto accade sotto gli occhi del mondo a Gaza, ma anche farsi forza e continuare a camminare. La “Serata con Gaza” a Villa Mossa è stata densa di emozioni. Gratitudine è la parola che meglio la descrive per noi che abbiamo potuto prendervi parte. Muin Masri, autore del bellissimo libro “Vendesi croce” e di parole di amore nonostante “non possa più sognare”, scriveva oggi sulla sua pagina facebook: > “Cristo ripartito da Occhieppo Ieri sera ad Occhieppo c’era l’umanità con > tutta la sua fragilità, il peso della testimonianza, l’amore, i dubbi e la > paura. Gente semplice, gente impegnata socialmente, gente che sente il peso > del dramma delle guerre, gente piena di fede, di speranza e di cicatrici, > gente che crede in quello che fa e allo stesso tempo pensa che non sia > abbastanza per poter fermare i crimini di guerra. Ieri sera a Villa Mossa > Cristo non poteva esserci, si è fermato a Gaza, ma qualcuno per lui sta > continuando il suo cammino.” Dopo di lui Safwat Kahlout, giornalista di Gaza, racconta scorci di quotidianità a Gaza, dove ha famiglia, amici e colleghi giornalisti, continuamente uccisi da cecchini, missili e dalla fame. “I nazisti davano da mangiare agli ebrei prima di ucciderli. Perché i palestinesi non possono almeno ricevere del cibo, prima di morire?” Parole che non si possono sentire, ma che devono essere ascoltate perché non c’è giustificazione possibile a questo orrore. “Gaza è distrutta, ora pensate alla Cisgiordania”. Parole come un pugno nello stomaco. Ma l’obiettivo non è annichilire la speranza, è anzi necessario continuare a parlare, a camminare, a pretendere che i nostri governi e l’Europa smettano di essere complici di questo genocidio, coltivare l’umanità e in questo modo salvare anche noi stessi. Ettore Macchieraldo, tra gli organizzatori della marcia cita dall’ultimo numero di Animazione Sociale l’intervista a Miguel Benasayag: > “Non si tratta di sperare, ma neanche di disperare. Si tratta di impegnarci > con uno sforzo senza garanzie di successo per aprire nuove possibilità di > esistenza. La speranza, diceva Spinoza, è una passione triste perché ci lascia > in attesa, perché diminuisce la nostra potenza di agire. Noi invece dobbiamo > ritrovare la nostra potenza di agire, per proteggere la vita, la cultura, il > pensiero, l’amore”. Leggiamo la petizione, come a turno abbiamo fatto in ogni sosta del cammino. Questa volta legge Sofia, studentessa dell’artistico che per la Trappa ha realizzato un grande manoscritto della petizione da appendere nella sala capitolare, perché la gente continui a leggere e a lasciare la propria firma. Le Proloco di Occhieppo Superiore e Inferiore hanno avuto un ruolo centrale nell’organizzazione della Local March for Gaza e questa sera a Villa Mossa, ancora insieme, ci hanno accolto e preparato da mangiare. Bruschette con zaatar, il mix di spezie – timo, sesamo e summacco – tradizionale palestinese, fatto da Doha, contadina di un villaggio palestinese della Cisgiordania – Burin – circondato da colonie israeliane che le hanno bruciato gli ulivi e ucciso il padre, quando ancora era bambina. Doha, donna forte e meravigliosa, era venuta a Biella a settembre scorso, approfittando del viaggio a Torino per Terra Madre 2024. Il duo Terra Santa, padre palestinese, moglie italiana più la loro bambina con un violino, suona musiche tradizionali palestinesi, tra applausi e stupore generali. Poi la proiezione del film realizzato da Alberto Conte sulla Local march for Gaza sul Cammino di Oropa, molto attesa da tutti ma soprattutto dal più giovane camminatore, Enea di 7 anni, che resiste al sonno. L’emozione è palpabile. Alberto ha saputo mettere insieme i momenti e sentimenti più intensi di questi 5 giorni di manifestazione, di processione laica, di riconnessione con se stessi, con gli altri e con i paesi attraversati, per un popolo neanche così lontano. Perché “siamo uno”, come diceva la poesia letta dalla ragazza durante la sosta a Viverone. Perché quando Muin ci chiede perché ci occupiamo della lontana Palestina, Ettore risponde che tempo fa un vecchio saggio gli disse che non è vero che “la mia libertà esiste dove finisce la tua, bensì la mia libertà esiste esattamente dove inizia la tua”. Nessuno sarà libero fino a quando tutti non saremo liberi di Nazarena Lanza Le local march for Gaza si stanno moltiplicando in tutta Italia, cosi come gli eventi di sensibilizzazione e raccolta firme autografe per la petizione, che saranno portate a Roma in autunno. Sul sito localmarchforgaza.it è possibile trovare i resoconti della Local March for Gaza nel Biellese e le informazioni sulle altre in partenza. Sempre nel sito è disponibile il kit per organizzarne una. Redazione Piemonte Orientale
Tre giovani di Gaza – due donne e un uomo – vincono la sezione giornalisti del Premio Internazionale Archivio Disarmo – Colombe d’oro per la pace
Archivio Disarmo, il centro studi sulla pace di Roma, ha reso noti i nomi dei vincitori della 41a edizione del Premio giornalistico Colombe d’oro per la pace 2025 che si terrà a Roma il prossimo 18 ottobre. Con una scelta presa all’unanimità, la Giuria formata da Fabrizio Battistelli, Giovanna Botteri, Dora Iacobelli Riccardo Iacona, Andrea Riccardi e Tana de Zulueta ha inteso riconoscere il coraggioso lavoro di informazione che, spesso a rischio della vita, i giornalisti palestinesi stanno realizzando oggi a Gaza. I tre giornalisti premiati sono Aya Ashour, Fatena Mohanna, Alhassan Selmi. Aya Ashour è una giovane giornalista originaria di Gaza, rivelatasi una delle voci più autentiche e coraggiose del conflitto in corso. Dall’inizio della guerra ha iniziato una collaborazione con Il Fatto Quotidiano, documentando le drammatiche condizioni di vita nella Striscia con particolare riferimento alla sofferenza delle donne. Grazie all’intervento del Ministero degli Affari Esteri italiano, quattro settimane fa Aya ha potuto raggiungere l’Università per Stranieri di Siena allo scopo di partecipare all’attività di studio e di ricerca dell’Università per stranieri. La Colomba d’oro per la pace riconosce il valore di una giovane donna in difesa del diritto all’informazione e del diritto all’istruzione. Fatena Mohanna. Vincitrice anche lei della Colomba d’oro per la pace, Fatena è una giovane fotografa che vive e lavora nella Striscia di Gaza. Dal suo obiettivo scaturiscono istantanee che sono insieme forti e sensibili. Documentando la paradossale “quotidianità” di una popolazione sotto assedio, esse offrono una testimonianza della tragedia di Gaza più convincente di qualsiasi analisi. Insieme al giornalista Alhassan Selmi, Fatena ha fornito immagini e idee per il reportage trasmesso recentemente da Presa Diretta (Rai 3). Alhassan Selmi è giornalista, fotoreporter e videomaker palestinese, originario di Gaza, ed è anch’egli vincitore della Colomba per la pace 2025. Lavora per una media company palestinese che rifornisce contenuti –video, foto, reportage – a emittenti internazionali. Da molti mesi vive sotto assedio a Gaza, documentando bombardamenti, crisi umanitarie, blackout e l’aumento dei prezzi prima, e la scomparsa poi, dei beni di prima necessità. Dà voce a chi vive sotto assedio, raccontando senza sconti la realtà del conflitto. “Con quaranta edizioni alle spalle – commenta il presidente di Archivio Disarmo Fabrizio Battistelli – le Colombe d’oro per la pace non sono mai state un premio contro qualcuno ma sempre a favore di qualcosa: qualsiasi cosa che possa contribuire a una soluzione pacifica dei conflitti. Questo è vero in tutti i casi, ma la violenza in atto a Gaza sta superando ogni precedente: la guerra deve finire immediatamente, la popolazione deve tornare a vivere”. Il Premio Archivio Disarmo – Colombe d’oro per la pace è organizzato con il sostegno delle Cooperative aderenti a Legacoop. Ufficio Stampa Stefano Testini stefanotestini@gmail.com – 335.6138145 Segreteria organizzativa Claudia Lamonaca: claudia.lamonaca@archiviodisarmo.it – 347.0832353 Redazione Italia
Gaza, Ministero della Salute Palestinese – Rapporto 23 luglio 2025
Riportiamo il rapporto statistico quotidiano del 23 luglio 2025 del Ministero della Salute Palestinese di Gaza sul numero di martiri e feriti a causa dell’aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza: Nelle ultime 24 ore, sono arrivati negli ospedali della Striscia di Gaza 113 martiri (di cui 13 recuperati da sotto le macerie) e 534 feriti. Diversi corpi delle vittime sono ancora sotto le macerie o per le strade, dove le squadre di soccorso e della protezione civile non riescono a raggiungerli a causa delle difficili condizioni sul campo. Il bilancio complessivo dell’aggressione israeliana, iniziata il 7 ottobre 2023, è salito a 59.219 martiri e 143.045 feriti. Dal 18 marzo 2025 ad oggi, si registrano 8.363 martiri e 31.004 feriti. Tra i “martiri del pane”: nelle ultime 24 ore sono arrivati negli ospedali 34 martiri e oltre 644 feriti a seguito degli attacchi ai punti di distribuzione degli aiuti umanitari, portando il totale a 1.060 martiri e oltre 7.207 feriti in questo contesto. Gli ospedali della Striscia di Gaza hanno registrato 10 nuovi decessi a causa della carestia e della malnutrizione nelle ultime 24 ore. Il numero totale dei decessi dovuti a carestia e malnutrizione sale così a 111. Il 17 luglio il Patriarcato Latino di Gerusalemme ha dichiarato: “L’attacco israeliano alla nostra chiesa nella città di Gaza ha causato un totale di 3 martiri, e altre persone sono rimaste ferite – tra cui il parroco della Chiesa del Patriarcato Latino nella Striscia di Gaza, Padre Gabriel Romanelli – in un bombardamento israeliano che ha colpito oggi, giovedì, la chiesa cattolica nella città di Gaza. Gli attacchi contro moschee, chiese, ospedali, panifici, pozzi d’acqua e tutte le infrastrutture civili costituiscono crimini di guerra descritti e riconosciuti.” Il 22 luglio il Ministero della Salute Palestinese di Gaza ha dichiarato: • Riteniamo l’occupazione pienamente responsabile per l’incolumità di Marwan Al-Hams e chiediamo il suo rilascio immediato. • L’arresto di Marwan Al-Hams è un attacco diretto alla voce dei malati, degli affamati e dei sofferenti nella Striscia di Gaza. • L’arresto di Al-Hams è un atto vile contro una delle voci mediche più rilevanti che ha trasmesso al mondo le sofferenze dei bambini. • L’arresto di Al-Hams riflette un’intenzione premeditata di mettere a tacere la verità e nascondere le sofferenze di un intero popolo che vive una catastrofe sanitaria. Per ulteriori statistiche, dati interattivi su martiri, feriti e violazioni, si invita a visitare la piattaforma ufficiale al link: www.sehatty.ps/public Ministero della Salute Palestinese – Gaza – 23 luglio 2025 Redazione Italia
UE–Israele: Manifestazione europea per la sospensione dell’Accordo di associazione
Martedì 15 luglio alle ore 12:30, manifestanti provenienti da tutta Europa si riuniranno davanti al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), al numero 234 della Petite Rue de la Loi, per chiedere la sospensione immediata dell’Accordo di associazione UE–Israele. Alla vigilia di un importante vertice dei Ministri degli Affari esteri dei 27 Stati membri dell’UE, la pressione civica si intensifica in Belgio, in tutta Europa e a livello globale: scioperi della fame, veglie, azioni legali e appelli politici si susseguono ora dopo ora, denunciando la complicità dei governi europei nel massacro in corso a Gaza e chiedendo misure concrete, a partire dalla sospensione delle relazioni commerciali. Firmato a Bruxelles il 20 novembre 1995 ed entrato in vigore nel 2000, l’Accordo di associazione UE–Israele costituisce la base giuridica delle relazioni bilaterali e del dialogo politico tra le due parti. Si tratta, in ogni caso, di un vero e proprio “patto di intesa” che va ben oltre il semplice accordo di libero scambio, abbracciando la cooperazione politica, economica, agricola, industriale, scientifica (compresi i settori farmaceutico e della difesa) e accademica. In sostituzione dell’accordo del 1975 tra lo Stato di Israele e di quella che all’epoca era la Comunità Economica Europea (predecessora dell’UE), l’Accordo di associazione UE–Israele in vigore da 25 anni è, infatti, lungi dall’essere soltanto un testo commerciale con finalità economiche anche per quanto riguarda il fatto che sia fondato su una clausola fondamentale che impone il rispetto dei diritti umani. L’articolo 2 stabilisce che «le relazioni tra le Parti, nonché tutte le disposizioni dell’Accordo stesso, si basano sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, che guidano la loro politica interna e internazionale e costituiscono un elemento essenziale» dell’accordo, come sancito anche dallo stesso Articolo 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Non solo la società civile, ma anche diversi Stati membri dell’UE e Parlamentari europei denunciano il fatto che Israele stia sistematicamente violando gravemente questa clausola, in particolare a Gaza. Ad oggi, diciassette paesi hanno chiesto l’attivazione dell’articolo 2, evidenziando come i successivi governi israeliani – da Sharon a Netanyahu – abbiano intensificato l’espansione degli insediamenti e delle detenzioni arbitrarie, i bombardamenti aerei e il blocco degli aiuti alla Striscia di Gaza, in palese contraddizione con gli impegni assunti e in aperta violazione del diritto internazionale. Nonostante queste continue infrazioni, il partenariato si è ulteriormente rafforzato. Israele è integrato nella Politica europea di vicinato, nel Partenariato euro-mediterraneo e partecipa a numerosi programmi europei, tra cui quelli finanziati nell’ambito degli schemi “Erasmus+” e “Horizon Europe – Orizzonte Europa”. Sul piano economico, i legami tra le due parti restano particolarmente solidi: secondo un recente rapporto presentato all’Assemblea nazionale francese (in francese: Assemblée nationale, un ramo del Parlamento francese insieme al Senato) dalle deputate Mathilde Panot e Clémence Guetté, «l’UE è il principale partner commerciale di Israele, davanti a Stati Uniti e Cina. Israele è, invece, il 31° partner commerciale dell’UE.» Con l’aggravarsi della crisi umanitaria nella Striscia di Gaza, il sostegno di 17 Ministri degli Esteri dei 27 Stati membri a sostegno della proposta del ministro olandese Caspar Veldkamp e la richiesta di sanzioni da parte dei governi spagnolo, irlandese e sloveno, l’Alta rappresentante dell’UE per gli Affari esteri, Kaja Kallas, lo scorso 20 maggio ha annunciato l’avvio della procedura di revisione formale dell’Accordo di Associazione. Tuttavia, una decisione ufficiale – per la quale è necessaria l’unanimità – è già stata rinviata una prima volta, poiché la sospensione dell’accordo richiede l’unanimità dei 27 Stati membri, a causa dei vincoli decisionali interni all’UE e della posizione di determinati governi nazionali, tra cui in particolare quello italiano e tedesco. I manifestanti e numerosi rappresentanti della società civile, chiedono ancora una volta misure urgenti e concrete, a partire dalla sospensione dell’accordo nel rispetto del diritto internazionale e dei valori fondamentali dell’Unione, ricordando che l’articolo 17 del Trattato sull’Unione europea (TUE) obbliga la Commissione europea, in quanto custode dei trattati, a garantire «l’applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in base ad essi». Le voci forti all’interno Parlamento europeo Durante una conferenza tenutasi lunedì 14 luglio alla House of Compassion (la “Casa della Compassione”, nella centrale Place du Béguinage a Bruxelles, in occasione della vigilia della manifestazione, l’eurodeputata irlandese Lynn Boylan, Presidente della Delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con la Palestina (DPAL), ha espresso la sua posizione chiara fondata sul diritto dei popoli all’autodeterminazione: «Non spetta a noi decidere quale tipo di Stato o di governo debbano scegliere di avere i palestinesi. Il nostro dovere è, invece, quello di fare tutto il possibile per assicurarci che sopravvivano e per porre fine al genocidio in atto, affinché possano esercitare il loro diritto all’autodeterminazione.» Lynn Boylan ha anche accusato l’UE di tradire i propri principi fondanti: «L’Unione europea, rappresentata dai propri Stati membri, continua a privilegiare gli interessi commerciali e finanziari rispetto ai diritti umani. I suoi governi si piegano alle pressioni americane e preferiscono censurare gli artisti piuttosto che fermare i massacri.» e ha concluso con un appello diretto e urgente: «Il 15 luglio è il momento di fare la cosa giusta: sospendere l’Accordo di associazione UE–Israele e dimostrare al mondo che non si commercia con regimi genocidari e fomentatori di guerre.» Il richiamo all’articolo 2 e la richiesta di revisione formale dell’Accordo di associazione UE–Israele, del resto, non sono nuove alle aule del Parlamento europeo, l’unica istituzione dell’UE direttamente eletta dalle cittadine e dai cittadini europei, e hanno costantemente incontrato le resistenze dei Governi degli Stati membri, in particolare attraverso gli altri organi principali del cuore decisionale unionale: la Commissione europea, il Consiglio europeo e Consiglio dell’Unione europea. In particolare, è importante la richiesta da parte di 63 europarlamentari presentata ufficialmente nel 2015 a Federica Mogherini, all’epoca detentrice della carica di Alta rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri, per la sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele, preceduta da una lettera con le stesse finalità che era stata preparata e firmata a livello internazionale da oltre 300 organismi tra cui associazioni per i diritti umani, sindacati e partiti politici, sempre diretta all’Alta rappresentante. Nel 2011, l’europarlamentare britannico Graham Watson, all’epoca in cui il Regno Unito faceva ancora parte dell’Unione europea, aveva già presentato un’interrogazione parlamentare (E-010294/2011) alla Commissione europea incentrata sul quesito “se Israele viola il diritto internazionale in materia di diritti umani, l’Unione europea non rispetta i propri obblighi giuridici ai sensi dell’accordo internazionale” e ricevendo una risposta liquidatoria soltanto l’anno successivo da parte di Catherine Ashton, Alta rappresentante dell’UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza fino al 2014. Le interrogazioni parlamentari presentate nel corso del 2025 da coalizioni più numerose di europarlamentari della corrente legislatura 2024 – 2029 come quella (O-000019/2025 del 28 maggio 2025) specificatamente connessa alla richiesta di revisione formale dell’accordo di associazione UE-Israele e quella immediatamente successiva (E-002193/2025 del 2 giugno 2025) sull’accesso degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, sono ancora in attesa di risposta. Una mobilitazione transnazionale e intergenerazionale La manifestazione di martedì 15 luglio si inserisce in una mobilitazione continuativa a Bruxelles che ha previsto anche una tappa della Marcia Globale per Gaza (segmento Parigi – Bruxelles) e che prosegue attraverso una serie di scioperi della fame in diverse località del Belgio e con sit-in quotidiani, come quelli che si tengono regolarmente tutte le sere a partire dalle ore 19:00 in piazza de la Bourse. Tra gli organizzatori principali dell’azione “Hunger Strike for Justice in Palestine” figurano la stessa “House of Compassion” e il collettivo “Palestinian Refugees for Dignity”, che richiama l’articolo 2 del TUE, secondo cui l’Unione si fonda “valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”. Al centro della manifestazione si prepara a emergere, con tutta la sua forza imponente e colorata, la sagoma di “Sabine, Gigantessa della Dignità”, il cui nome proprio è ispirato liberamente alla storia di Sabine Amiyeme, una parrucchiera di Liegi che ha vissuto per 13 anni in Belgio senza documenti prima di essere detenuta e minacciata di espulsione. Divenuta ormai una figura simbolica e già presente in altre azioni di sensibilizzazione, Sabine tiene in mano una bandiera che celebra l’articolo 2 ed è circondata da striscioni che chiedono la fine della complicità dell’UE a supporto dei crimini israeliani. Gli scioperi della fame per risvegliare le coscienze A Gand, dal 7 al 12 luglio, è iniziata una nuova fase con il lancio della campagna “Hunger Strike for Justice” per la Palestina. Alcune settimane prima, un primo sciopero della fame si era tenuto dal 16 al 21 giugno, nella chiesa di San Giovanni Battista al Beghinaggio (in francese Saint-Jean-Baptiste-au-Béguinage, in fiammingo Sint-Jan Baptist ten Begijnhofkerk), situata in Place du Béguinage, nel cuore del centro storico di Bruxelles e appartenente all’antico Beghinaggio, dove una trentina di volontari hanno animato e trasformato lo spazio in un memoriale vivente: bambole di bambini, teli insanguinati e uno striscione lungo 15 metri con i nomi di centinaia di vittime. Questi scioperi della fame a staffetta fanno parte di un movimento più ampio. Dal gennaio 2024, oltre 750 persone in decine di paesi (Belgio, Francia, Svizzera, Paesi Bassi, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Turchia, Libano, Stati Uniti, Canada) hanno partecipato a campagne di digiuno per denunciare l’inazione globale di fronte all’orrore. Un’offensiva legale senza precedenti Con l’attenzione puntata sul discorso di Kaja Kallas, che dovrebbe annunciare eventuali sanzioni il 15 luglio, i giuristi europei stanno preparando un’azione legale storica. L’associazione JURDI – Giuristi per il rispetto del diritto internazionale depositerà giovedì un “ricorso in carenza” presso la Corte di giustizia dell’Unione europea a Lussemburgo «per inadempimento colposo della Commissione in materia di rispetto dei suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione» di fronte ai crimini commessi a Gaza. Il ricorso, basato sull’articolo 265 del TFUE, denuncia l’inazione prolungata delle istituzioni europee dal mese di ottobre 2023. L’Associazione dei Giuristi per il Rispetto del Diritto Internazionale (JURDI – Juristes pour le respect du droit international), creata nel 2024, riunisce avvocati, magistrati, professori, giuristi e altri esperti in diritto internazionale, uniti da un obiettivo comune: promuovere il rispetto e l’applicazione del diritto internazionale nel contesto del conflitto israelo-palestinese. «Mentre sono stati imposti 18 pacchetti di sanzioni contro la Russia, nessuna misura concreta è stata adottata contro Israele, nonostante le gravi violazioni del diritto umanitario», ha dichiarato l’avvocato penalista francese Alfonso Dorado, consigliere per la Corte Penale Internazionale (CPI) e co-autore del ricorso. Una diffida formale era già stata inviata lo scorso 12 maggio da un gruppo di giuristi franco-belgi e docenti universitari. Due mesi dopo, la procedura legale prosegue, facendo leva in particolare sul rapporto curato dal servizio diplomatico della Commissione e richiesto dai 17 Stati membri favorevoli alla revisione dell’accordo UE–Israele, nel quale sono elencate le numerose violazioni del diritto umanitario internazionale da parte di Israele a Gaza e in Cisgiordania. Ex diplomatici rompono il silenzio: l’Unione europea a un bivio morale Un altro segnale forte è arrivato da 27 ex ambasciatori dell’UE in Medio Oriente e Nord Africa. In una lettera indirizzata ai vertici delle istituzioni europee, i firmatari, tra cui risulta anche l’ex ambasciatore dell’UE presso l’Autorità nazionale palestinese, Sven Kühn von Burgsdorff, denunciano l’inazione dell’Unione di fronte alla crisi umanitaria a Gaza e chiedono, come i manifestanti, la sospensione immediata dell’Accordo di associazione UE–Israele. In questo contesto, la mobilitazione del 15 luglio si svolge in continuità con lo sforzo civico collettivo per ridare significato ai principi fondanti dell’Unione europea. Una nuova generazione di attivisti, rifugiati, intellettuali e rappresentanti eletti cerca di scuotere l’UE dalla sua paralisi, riecheggiando le parole di Lynn Boylan: «La loro reputazione è a pezzi. È ora di agire.» Come recita uno degli striscioni in braccio alla gigantessa Sabine: «L’Unione si fonda sul rispetto della dignità umana». Oggi i manifestanti chiedono con forza ai leader europei di essere all’altezza di tale promessa. Anna Lodeserto