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Il veto USA alla risoluzione ONU sul cessate il fuoco a Gaza scatena proteste a New York
> Il 18 settembre gli Stati Uniti hanno nuovamente posto il veto su una > risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un > cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza, suscitando condanne diffuse e > scatenando proteste fuori dalla sede delle Nazioni Unite a Manhattan. La risoluzione, co-sponsorizzata da tutti i 10 membri eletti del Consiglio, ha ricevuto 14 voti a favore, ma è stata bloccata dagli Stati Uniti. Essa chiedeva un “cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente”, il rilascio di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas e la revoca delle restrizioni israeliane agli aiuti umanitari in entrata a Gaza. Un rappresentante degli Stati Uniti ha difeso il veto, sostenendo che la bozza era “inaccettabile” perché non condannava Hamas né riconosceva il “diritto all’autodifesa” di Israele. PROTESTE ALLE NAZIONI UNITE A poche ore dal voto, centinaia di persone si sono radunate davanti alla sede delle Nazioni Unite per denunciare la decisione di Washington. I manifestanti hanno portato cartelli con la scritta “Pace per Gaza” e “Non un bersaglio”, chiedendo la fine della guerra e l’accesso illimitato agli aiuti umanitari. La manifestazione ha attirato una folla eterogenea: il cofondatore dei Pink Floyd Roger Waters, la candidata presidenziale del Partito dei Verdi statunitense Jill Stein e membri della comunità ebraica chassidica di New York si sono uniti al personale delle Nazioni Unite, agli attivisti e ai newyorkesi comuni per chiedere la pace. Una manifestazione, organizzata dagli stessi dipendenti delle Nazioni Unite, ha messo in luce la crescente frustrazione all’interno dell’istituzione nei confronti della politica statunitense. Lo stesso giorno, alcuni documenti interni hanno rivelato che sia gli Stati Uniti che Israele avevano inviato lettere di protesta alla leadership delle Nazioni Unite accusando il personale di parzialità riguardo alle loro posizioni su Gaza, alimentando ulteriormente le tensioni. CRESCENTE DIVISIONE INTERNAZIONALE Questo è stato il sesto veto degli Stati Uniti su una risoluzione relativa a Gaza dall’inizio del conflitto nell’ottobre 2023. La mossa ha sottolineato il crescente isolamento internazionale di Washington e Tel Aviv: solo pochi giorni prima, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva approvato a larga maggioranza una risoluzione a sostegno della soluzione dei due Stati, una misura osteggiata solo dagli Stati Uniti e da Israele. Con l’indignazione globale in aumento, New York è diventata il punto focale del dissenso, con i manifestanti che hanno promesso di mantenere la pressione sul governo degli Stati Uniti fino al raggiungimento di un cessate il fuoco. Foto di Anthony Donovan Pressenza New York
Il vittimismo criminale di Israele
Per chi da anni si batte per una Palestina libera vedere Gaza totalmente distrutta, con un popolo in fuga che si lascia dietro i cadaveri dei propri bambini, è un colpo al cuore che si accompagna ad un grande senso di impotenza. Cosa sarebbe necessario fare?  Sarebbe necessario che lo sdegno fosse universale e che tutti gli Stati rompessero qualunque tipo di rapporto politico, diplomatico e commerciale con gli assassini sionisti. Sarebbe necessario che l’ONU inviasse truppe di interposizione. Ma purtroppo gli interessi della geopolitica, a partire dalle scelte imperiali degli USA fino alla insignificanza servile dell’Europa, vanno da un’altra parte. Noi, militanti e gente comune, possiamo solo riempire le piazze e insistere nella nostra denuncia. A proposito di denuncia e di esigenza di fare chiarezza, uno degli aspetti più sorprendenti dell’attuale genocidio è il fatto che per la prima volta nella storia, il carnefice, per giustificarsi, costruisce la sua narrazione ingannevole spacciandosi per la vittima. Si è detto spesso del senso di colpa che annebbia la vista dell’Occidente e soprattutto di noi europei. La cosa merita però una riflessione più approfondita. Era appena finita la guerra e il mostro nazifascista era stato sconfitto. L’enormità dei crimini commessi era sotto gli occhi di tutti e tutto contribuiva a farli diventare memoria condivisa del comune sentire della gente. “I cattivi” erano ridotti al silenzio senza potersi inventare contronarrazioni ingannevoli e giustificative. I vincitori, al contrario, avevano tutto l’interesse a pubblicizzare gli orrori commessi dal nemico sconfitto per indossare gli abiti dei “liberatori”, quando in realtà, durante il conflitto, del destino degli Ebrei non fregava niente a nessuno di loro.  Il clima generale, inoltre, era favorevole: il vecchio Stato legislativo fondato sulla sola “legalità” era sostituito dal moderno Stato costituzionale che proclamava la centralità dei “diritti”. Lo stesso mondo bipolare si annunciava pieno di positive aspettative. Da una parte c’era “il sogno americano” che prometteva ricchezza e democrazia per tutti, dall’altra parte “il mito sovietico” che alimentava la speranza del riscatto degli sfruttati e della conquista della uguaglianza sociale (sappiamo poi come è andata a finire, ma questo ora non ci interessa).  È in queste condizioni che secondo alcuni analisti si determina un ribaltamento nel modo di concepire il passato, che non riguarda soltanto il mondo accademico ma che diviene comune nella cultura di massa. La figura di riferimento che emblematicamente viene considerata il soggetto che fa la storia, cessa di essere “l’Eroe” per divenire “la Vittima”. Naturalmente, nel gioco delle interpretazioni e delle contro-interpretazioni, così come nel mondo degli eroi albergano i “finti eroi” allo stesso modo accanto alle vittime si producono le “finte vittime”. È questo il gioco fatto da Israele a partire da quando nel 1972 il suo ministro degli esteri Abba Eban dichiarò che dietro l’antisionismo si celava sempre l’antisemitismo. Da allora Israele ha teso a identificarsi come unica e indiscutibile erede delle vittime dell’Olocausto e di tutte le persecuzioni subite nel corso dei tempi dalle comunità ebraiche.  Il fatto che, in questo modo, “l’Ebreo” sia diventata la figura emblematica che rappresenta la vittima per eccellenza, una sorta di “vittima assoluta” della storia, può anche apparire plausibile vista l’incommensurabile nefandezza dell’Olocausto, anche se in questo modo sembra determinarsi una paradossale forma di etnocentrismo nel definire i martiri della storia, in considerazione del fatto che le comunità ebraiche sono principalmente parte dell’Occidente, e dimenticando, per esempio, gli Armeni massacrati per mano dei Giovani Turchi, o peggio ancora i milioni di morti (forse dieci, forse venti) che segnarono nel Congo la dittatura personale del grande macellaio Leopoldo II del Belgio. Ma sorvoliamo su questo. Il punto che ci preme sottolineare è un altro. Ciò che ci appare inammissibile è che Israele si arroghi il diritto di essere l’erede testamentario delle vittime dell’Olocausto, delle vittime per antonomasia, e con esse simbolicamente di tutte le vittime della storia,  proponendo il sionista di oggi come il modello dell’uomo giusto a cui tutto è concesso per vendicare il passato che chiede giustizia.  La storia reale del sionismo ci racconta altre cose. Ci racconta, per esempio, delle strane relazioni col regime nazista  (Accordo di Haavara), quando l’interesse del regime tedesco di liberarsi degli ebrei coincideva con quello sionista di popolare le colonie in terra di Palestina considerata come res nullius, vale a dire come terra disabitata e di nessuno. Ci racconta inoltre di altri episodi oscuri di quel periodo, raccontati da Faris Yahia nel libro Relazioni pericolose, oggi “stranamente” introvabile. Ci racconta dell’uso sistematico del terrorismo contro i civili, che data da prima della nascita dello Stato sionista, a colpire non solo i palestinesi ma allora anche gli inglesi, colpevoli di non lasciare campo libero ai nuovi padroni che prendevano possesso di terre che non gli appartenevano. Il resto è la cronaca di un genocidio che non si è mai arrestato giungendo fino al triste presente. Non ci vorrebbe certo molto a smascherare la ridicola narrazione vittimistica del sionismo. Ma per i nostri governanti non è così. D’altra parte si sa che non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.             Antonio Minaldi
Grandi scintille sull’attuale cammino buio dell’umanità
Giorni fa ero ancora convinto che lo scandalo dello scandalo  caratterizzante la fase storica attuale fosse rappresentato dal fatto che, da un lato, il governo d’Israele poteva commettere una serie sciagurata di crimini contro l’Umanità e, dall’altro, il presidente degli Stati Uniti poteva compiere coscientemente una sfilza di atti vergognosi, indegni e inammissibili. Poteva con questi atti demolire i principali capisaldi della Legge, della Giustizia, del Rispetto  degli Umani, del socievole Vivere Insieme, della Natura Madre Terra, dell’Educazione, della  Pace, senza che nessuno al mondo mostrasse l’intenzione concreta di agire ed opporsi per arrestare le infernali macchine israeliana e statunitense. Né gli Stati né le grandi istituzioni pubbliche internazionali, né le reti di imprese multinazionali, né una coalizione di potenti ONG, né gli organismi mondiali morali  con miliardi di fedeli… Eppure essi sono dotati, ciascuno su basi specifiche, della  legittimità e del potere reale per farlo. Ebbene mi sono sbagliato. Anche se dovesse essere arrestata dalle bombe israeliane, la coraggiosa Global Sumud Flotilla composta da più di 70 imbarcazioni in navigazione da diversi porti del Mediterraneo verso la striscia di Gaza con viveri e medicinali per liberare i Palestinesi dal blocco totale in cui Israele li ha imprigionati per annientarli, farli morire, rappresenta una grande scintilla luminosa, l’esistenza dell’Umanità in rivolta, in difesa della giustizia. La “Flottiglia dell’Umanità”, altro nome appropriato, è il simbolo delle Vele al Vento verso una Nuova Terra  di tutti i popoli, di tutte le comunità umane. I membri a bordo, giovani in maggioranza, non hanno armi, nemmeno per difendersi. Non sono conquistadores. Hanno in mano l’Olivo, l’albero della pace, nato millenni fa proprio nei paesi del Mediterraneo. Sono  portatori di ideali di Pace, Giustizia e Fraternità . È sotto questa luce che la seconda grande scintilla è brillata a partire dal Parlamento dello Stato sub-nazionale di Santa Fe in  Argentina la settimana scorsa. Su proposta della Cattedra del Agua dell’Università Nazionale di Rosario, il Parlamento ha approvato l’inserimento nella Costituzione dello Stato di Santa Fe del diritto all’acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari, il riconoscimento del  diritto all’acqua, alla sua sicurezza ed integrità e del diritto dei fiumi, dei laghi e delle zone umide alla loro protezione. La costituzionalizzazione dei corpi  idrici in quanto soggetti titolari di diritti e doveri  fa parte del grande movimento internazionale che da anni lotta in favore di una  nuova concezione dei soggetti e dei contenuti del Diritto mondiale comprendente le specie viventi naturali e non solo la specie umana. Si  tratta di un insieme di principi ispirati  ad una visione della vita post-antropocentrica, post-utilitarista e post-guerriera. Nel frattempo, l’operato degli USA in salsa Trump, parte  integrante dell’eredità del sistema America, esalta la legge del più forte come legge dell‘ordine mondiale. Predica la rivalità per la sopravvivenza ed il primato del bianco, del maschio, dell’americano. Espelle gli immigrati e cerca di appropriarsi delle risorse della Groenlandia e del Panama e di annettere il Canada. Afferma che l’America – ed il suo capo – non deve rispettare od obbedire a nessun’altra autorità o potere al mondo proclamandosi cosi un fuorilegge mondiale. La decisione del Parlamento dello Stato di Santa Fe in Argentina costituzionalizza una cultura della vita e del mondo  centrata sull’esaltazione della Legge, della Giustizia, dell’Uguaglianza universale rispetto ai diritti, dei Beni Comuni Pubblici Mondiali essenziali per la vita, della Comunità Globale della vita sulla Terra. È immensa la differenza tra la Grande Cultura e Civiltà del Parlamento del piccolo Stato federale di Santa Fe in Argentina da un lato e la Global Sumud Flotilla, dall’altro lato. È grande la differenza tra la miserevole barbarie predatrice della Grande America dominante e l’indegnità del governo del Grande Israele. La differenza riguarda gli alleati sudditi della Grande America, in particolare i Paesi europei accomunati dalle credenze nel dio del dominio (“Only the strongest will survive”), degli dei dell’utilitarismo (“Everything is a commodity”, “The value of life is its price”, “There is no society but market”, “Not Aid, Trade”, “Water is Blue Gold”). La credenza nel dio della competitività (“The Competitivity Imperative”, “No Competitiveness, No Future”), negli dei del razzismo e del classismo (“We don’t want you here”, “Stay out”, “America First”, “Britain First”, “D’Abord la France”, “Prima gli Italiani”), e del dio della guerra (“War for Peace”) !!! Il cammino buio attuale sarà spazzato via da tante scintille, piccole e grandi, come la Global Sumud Flotilla e l’atto del Parlamento di Santa Fe in Argentina. Riccardo Petrella
Bloccati al porto di Ravenna container con armi dirette in Israele: lo stop deciso dal sindaco
Il sindaco di Ravenna Alessandro Barattoni ora chiede “una azione del Governo italiano, che fa finta di non sapere che dai nostri porti continuano a transitare armi destinate ad azioni contrari alla nostra Costituzione” BOLOGNA – Bloccati a Ravenna due contanier di armi destinate ad Israele. Lo rivela il sindaco della città Alessandro Barattoni che in seguito ad una segnalazione arrivata nella serata di ieri “da alcuni lavoratori” del porto ha ottenuto, insieme a Provincia e Regione, lo stop dalla società di gestione dello scalo. Si trattava, racconta il primo cittadino, di “due container contenenti esplosivi con destinazione Israele“. Ricevuta la segnalazione “ci siamo attivati per verificare la cosa e abbiamo avuto conferma”. IL CONTAINER È STATO STOPPATO SU RICHIESTA DEL SINDACO In qualità di soci pubblici, gli enti locali hanno “evidenziato la loro contrarietà a Sapir”, la società che gestisce il porto di Ravenna, ottenendo lo stop al passaggio dei container. La società ha raccolto l’invito e espresso la propria “indisponibilità a fare entrare nei propri terminal” quei carichi, che pertanto “oggi non transiteranno dal porto di Ravenna”. Ora, è il messaggio spedito però da Barattoni nel corso di una conferenza stampa tenuta in municipio, “serve una azione del Governo italiano, che fa finta di non sapere che dai nostri porti continuano a transitare armi destinate ad azioni contrari alla nostra Costituzione”.   Agenzia DIRE
Si ripete a Cagliari Can’t stay silent, la corsa dell’indignazione: fermiamo il genocidio
Il 19 settembre si ripete a Cagliari Can’t stay silent, con poco preavviso perché non c’è più tempo: Israele accelera la devastazione per “finire il lavoro”. Venerdì 19 settembre alle ore 18:30 torna “La corsa dell’indignazione” per dire uniti e con un’unica voce FERMIAMO IL GENOCIDIO. Anche questa volta si partirà da via Roma, fronte Consiglio regionale alle ore 18:30, si camminerà (o correrà) fino a piazza Costituzione. Gli organizzatori con l’Associazione Sardegna Palestina e al Comitato sardo di solidarietà alla Palestina si rivolgeranno al Governo regionale: “Chiediamo loro di prendere posizione attraverso azioni concrete”. “Mentre Gaza viene rasa al suolo, mentre la popolazione viene massacrata, affamata e uccisa, dopo che le Nazioni Unite hanno ufficialmente accusato Israele di Genocidio, le nostre istituzioni nazionali continuano a balbettare, mentre sostengono, finanziano e armano di fatto la pulizia etnica”. “Per questo dal nostro governo regionale vorremo una presa di posizione rispetto alla fabbrica di armi che ospitiamo in Sardegna, l’RWM, per chiarire una volta per tutte se opera nel rispetto della costituzione”. Gli organizzatori si rivolgono anche al Comune di Cagliari, come capoluogo di regione, per chiedere  che venga finalmente esposta nella casa di tutti i cittadini e le cittadine, la bandiera di un popolo al quale si vuole negare l’esistenza. Comitato Can’t Stay Silent, Comitato sardo di solidarietà con la Palestina, Associazione Amicizia Sardegna Palestina Redazione Cagliari
Solidarietà all’IC2 di Biella: la scuola non può restare in silenzio
LA VICEPRESIDENTE DELLA REGIONE PIEMONTE ELENA CHIORINO E L’ASSESSORA ALL’ISTRUZIONE DI BIELLA LIVIA CALDESI HANNO DEFINITO “INACCETTABILE” CHE IL COLLEGIO DOCENTI DELL’ISTITUTO COMPRENSIVO BIELLA 2 ABBIA APPROVATO LA MOZIONE DEL SINDACATO USB IN SOLIDARIETÀ CON LA PALESTINA. PUBBLICHIAMO IL COMUNICATO CHE LA SCUOLA PER LA PACE DI TORINO HA REDATTO IN RISPOSTA A QUESTA PRESA DI POSIZIONE DELLE DUE ESPONENTI POLITICHE BIELLESI. La Scuola per la pace Torino e Piemonte esprime piena solidarietà alle/i docenti e al Dirigente scolastico Paolo Sisto dell’IC2 di Biella la cui mozione “in difesa del popolo palestinese” è stata oggetto di un pesante intervento sanzionatorio da parte della vicepresidente della Regione Elena Chiorino e della assessora all’Istruzione del Comune di Biella Livia Caldesi. Le due esponenti politiche parlano di “propaganda politica” e di “strumentalizzazione” probabilmente senza rendersi conto che l’IC2 Biella non è solo: in centinaia di scuole italiane centinaia di docenti, di studenti, e anche di dirigenti scolastici, hanno deciso di non restare in silenzio davanti a quello che proprio oggi la Commissione di inchiesta ONU ha definito un genocidio, un atto inaccettabile per ogni essere umano dotato di coscienza. Le istituzioni rappresentative delle/i cittadine/ avrebbero un altro dovere: quello di riconoscere i dettami del diritto internazionale e la volontà della maggior parte della cittadinanza, che chiede rescindere ogni rapporto diplomatico, politico ed economico con lo Stato di Israele al fine di fermare un genocidio di cui la storia chiederà conto. 16 settembre 2025 Redazione Piemonte Orientale
Blocco del porto di Trieste contro le armi per Israele e per l’applicazione del Trattato di pace. La mobilitazione di USB
Nei prossimi giorni, Trieste diventerà un epicentro della protesta sociale: sindacati, movimenti, associazioni e partiti politici si uniranno per sostenere la Sumud Flotilla globale e chiedere un Trattato di pace reale, puntando a fermare il traffico di armi verso Israele. L’USB ha iniziato venerdì con una mobilitazione presso Ronchi dei Legionari, da cui è partito un corteo verso la sede di Leonardo, azienda di armi coinvolta in accordi con imprese israeliane e nella fornitura di sistemi considerati utili all’esercito israeliano per i bombardamenti su Gaza. Fonti affidabili segnalano che Leonardo ha firmato partnership con l’Israeli Innovation Authority e l’Università di Tel Aviv (Ramot) nell’ambito dell’innovazione, un terreno che includerebbe tecnologie con applicazioni militari. Secondo Greenpeace Italia, Leonardo è coinvolta in esportazioni dal 2019 al 2023 verso Israele che includono elicotteri leggeri (AW119 Koala) e cannoni navali, oltre al contributo attraverso radar e componenti elettronici. Leonardo ha affermato che non sono state concesse nuove autorizzazioni all’export di armi verso Israele dopo il 7 ottobre (data che ha segnato l’inizio degli attuali eventi in Gaza); ma organizzazioni per la trasparenza chiedono chiarimenti su quali siano effettivamente i materiali implicati. Nel mirino anche la joint venture con la turca Baykar, che ha dato impulso alla produzione di droni, veicoli senza pilota e sistemi avanzati per il puntamento. Tuttavia, non tutte le fonti confermano che Leonardo produca proprio quei droni specifici usati sulla Striscia di Gaza; ciò che è certo è che l’azienda è tra i player del complesso militare-industriale con relazioni economiche/inventariali verso Ma è il futuro del porto franco di Trieste a concentrarsi come tema centrale della protesta. Il corteo partirà da Piazza Sant’Antonio per rivendicare che venga finalmente applicato il Trattato di pace del 1947, che prevedeva Trieste come “zona neutrale” (Stato di zona neutrale). Si tratta di una norma che, secondo gli organizzatori, è rimasta largamente disattesa. Oggi si denunciano violazioni gravi: trasformazione dello scalo in una piattaforma per il transito di merci belliche, e un coinvolgimento sempre più evidente nella logica strategica NATO. Preoccupa i lavoratori portuali anche la ricaduta che avrà su di loro il progetto IMEC (“corridor network” infrastrutturale che collegherebbe India, Medio Oriente e Europa), che farebbe passare merci — anche militari — attraverso porti come Haifa (Israele) e tramite Trieste come snodo europeo. Fonti istituzionali confermano infatti che Trieste è candidata come porto europeo del corridoio IMEC, in virtù della sua posizione strategica e delle infrastrutture logistiche della regione. Il 15 settembre dunque è previsto uno sciopero in porto, con presidio dei lavoratori che si rifiuteranno di movimentare merci con destinazione o origine israeliana. È una modalità di protesta che punta concretamente a bloccare la catena logistica. Questa mobilitazione non è isolata: si inserisce in una campagna nazionale dell’USB, già attiva in porti come Genova e Livorno. Il motto è chiaro: “Facciamo noi l’embargo se non lo fa lo Stato.” Giovanni Ceraolo, coordinatore nazionale porti USB, annuncia che sono in corso contatti con delegazioni europee per estendere queste azioni di boicottaggio. Ruben Cernelli, portuale triestino, sintetizza l’obiettivo: “Vogliamo riuscire a chiudere completamente con la guerra e con la possibilità del passaggio di merci belliche nei porti”. La manifestazione testimonia la forza del dissenso collettivo. A Trieste nasce un fronte di resistenza che non si limita a parole, ma agisce con concretezza per spezzare la catena che va dalle fabbriche ai moli adriatici e sostiene le popolazioni oppresse. La protesta vale non solo come gesto simbolico, ma come azione politica incisiva: mette sotto accusa chi beneficia, direttamente o indirettamente, del commercio delle armi, e chiede trasparenza, responsabilità, indipendenza del porto e rispetto del diritto internazionale. Il porto triestino sta diventando sempre di più uno snodo logistico essenziale per i fronti bellici. Il diritto internazionale è chiarissimo a riguardo e il Trattato di Pace, all’Allegato VI, Articolo 3 – tuttora vigente – stabilisce con estrema chiarezza la neutralità e la smilitarizzazione del Territorio Libero e del Porto Franco Internazionale di Trieste. “Il nostro Porto non può e non deve divenire parte attiva di qualsiasi conflitto in corso, e i triestini vanno informati tempestivamente su ogni traffico di materiale bellico. Chiediamo piena trasparenza su questo genere di traffici, spesso opachi quando non proprio secretati, i venti di guerra si faranno sempre più forti, anche qui a Trieste”, affermano i lavoratori dell’USB. Il porto di Trieste, pur chiudendo il primo semestre 2025 sostanzialmente stabile in termini di tonnellaggio movimentato (–0,21%) rispetto al 2024, sta crescendo nei collegamenti Ro-Ro e nei treni con la Germania, elemento che testimonia la sua importanza logistica nell’Europa centro-orientale e nell’asse commerciale verso Est e Medio Oriente. Questa protesta assume quindi un valore doppio: internazionale, perché si lega a questioni umanitarie e geopolitiche ben oltre i confini locali, e concreto, perché tenta di incidere sulle strutture materiali del potere — porti, traffici, industrie. Laura Tussi
Charlie Kirk, un omicidio perfetto?
Charlie Kirk, 31 anni – influencer cofondatore dell’organizzazione giovanile conservatrice d’estrema destra Turning Point Usa (Tpusa), cristiano evangelico integralista e grande propagandista di Trump – è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco durante un raduno il 10 settembre in una università dello Utah.  Mentre era sul palco è stato colpito da un proiettile che lo ha raggiunto al collo. Trasportato in ospedale è morto poco dopo. Il cecchino si dice fosse appostato a 200 MT di distanza. Kirk, giovane esponente della destra radicale, ha aiutato Trump in modo determinante, facendogli prendere i voti necessari per vincere le elezioni, con circa 10/12 milioni di voti portati tramite sit-in in scuole universitarie e college, grazie ai suoi video virali e ad azzeccate campagne di promozione. “Le armi salvano vite” – diceva Charlie Kirk da convinto sostenitore delle armi, aggiungendo – “Vale la pena accettare qualche morto in più, se questo significa poter esercitare il diritto di avere un’arma per difendere gli altri diritti concessi da Dio”. Fu profetico! Per anni è stato un costruttore assiduo, sui social media e in tv, di una narrazione tossica, fascista e disumanizzante dell’Altro. Tra le altre: “Se mia figlia di 10 anni fosse stuprata, dovrebbe partorire il bambino”; “I neri stavano meglio quando erano schiavi perché commettevano meno crimini”; “La legge perfetta di Dio dice che i gay andrebbero lapidati a morte”; “I bambini dovrebbero assistere alle esecuzioni pubbliche”; o che le personalità afroamericane famose (come Michelle Obama) “non hanno le capacità cerebrali per essere prese sul serio” e che “hanno rubato il posto ad un bianco”; e che Israele non sta affamando il popolo palestinese. La sua carriera politica di ideologo di Trump si è fondata sull’odio, sulla banalizzazione, sul tono autoritario, sulla violenza verbale e sulla giustificazione della violenza fisica. Per anni Charlie Kirk ha difeso il modello di società armata, polarizzata, presentando il conflitto come virtù e le armi come “garanzia di libertà”. Cronache Ribelli, sulle sue pagine social ha scritto: “Da quando Charlie Kirk è stato ucciso chi non esprime pubblico cordoglio, chi non si straccia le vesti, chi non è disposto a colpevolizzarsi per questa morte diventa automaticamente un criminale. Insomma, noi dovremmo provare empatia per un uomo che non aveva empatia per alcuna categoria umana che non fossero i multimiliardari, bianchi e sani. Per lui le donne stuprate dovevano partorire e stare zitte, i neri stavano meglio quando c’era la schiavitù, i ciechi non possono fare i medici, a Gaza non c’è alcuna crisi umanitaria e nessun crimine. Per gli estremisti come lui i morti sul lavoro non sono violenza, i morti per mancate cure sanitarie non sono violenza, i morti di fame, sete, povertà non sono violenza. Persino i genocidi non sono violenza. Questa strategia la conosciamo bene. Si basa sulla normalizzazione: se tanta gente muore di lavoro o sul lavoro allora diventa normale. Sulla frammentazione: se la violenza non arriva come un colpo singolo ma a piccole dosi (mancati screening, malattie professionali, precarietà, marginalità, inquinamento) allora non è violenza. Sulla comparazione: di che ti lamenti c’è sempre chi sta peggio di te. Sull’invisibilità della sofferenza delle classi subalterne, che vengono espulse da ogni narrazione mediatica. Noi continuiamo a dire che se la violenza deve essere condannata, allora si cominci da quella sistemica e profonda. (…)” Una nazione, gli USA, che presenta più di 392 milioni di armi da fuoco in circolazione: numero infinitamente più alto di tutta la popolazione statunitense. Di quale libertà stiamo parlando? Evidentemente stiamo parlando della “libertà” autoinflitta della popolazione statunitense di rischiare di morire quotidianamente per colpi di arma da fuoco sia di persone “normali” sia di persone mentalmente instabili: una strage silente di 45.000 persone morte per colpi d’arma solo nel 2024. Ma non è l’unica opzione che sta dietro alla morte di Kirk. Dietro a questo marasma di violenza normalizzata quotidiana e di giustizia a mo’ di Far West, gli USA sono anche la nazione dei complotti: dei complotti veri, non quelli inventi saltuariamente da qualche “complottista da tastiera” o da qualche propagandista di Trump. “Complotti” che abbiamo visto negli ultimi decenni: golpe blandi spacciati per “regime-change” (tentativi terroristici contro Cuba); guerre spacciate per “operazioni di peacekeeping” o “guerre umanitarie” (Iraq, Jugoslavia); interventi e occupazioni militari di suoli esteri spacciati per “esportazione di democrazia, diritti umani e diritti delle donne” (Afghanistan); colpi di Stato neonazisti spacciati per “rivoluzioni” (Euromaidan in Ucraina nel 2014); spacciare per “resistenze” quelle che in realtà sono scontri etnonazionalisti tra eserciti nazionali (conflitto russo-ucraino dal 2022); additare di “terrorismo” le vere resistenze di popolo e le lotte per l’autodeterminazione (Palestina); regime-change violenti spacciati per “rivoluzioni pacifiche” (paesi post-sovietici); omicidi mirati con drone di persone definite “pericolo per la sicurezza degli USA” (funzionari iraniani). Tutte cose che è la storia degli USA a raccontarci, che essi siano governati da Democratici e Repubblicani. Secondo le indiscrezioni Charlie Kirk negli ultimi mesi aveva cominciato ad essere ingombrante, a denunciare un sistema di controllo eterodiretto sui principali mainstream, a dubitare di Israele, a criticare fortemente le politiche di aggressione dell’entità sionista che prima sosteneva. Secondo le testimonianze di un amico di lunga data di Charlie Kirk, a The Grayzone (Articolo di Max Blumenthal e Anya Parampil – 12 settembre 2025), fu lo stesso Kirk a rifiutare un’offerta fatta all’inizio di quest’anno dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu di organizzare una massiccia nuova iniezione di denaro da parte sionista nella sua organizzazione Turning Point USA. Nelle settimane precedenti al suo assassinio, avvenuto il 10 settembre, Kirk aveva iniziato a detestare il Primo Ministro israeliano, considerandolo un “bullo”, ha detto la fonte. Kirk era disgustato da ciò a cui aveva assistito all’interno dell’amministrazione Trump, dove Netanyahu cercava di dettare personalmente le decisioni del Presidente in materia di personale e sfruttava risorse israeliane come la miliardaria donatrice Miriam Adelson per tenere la Casa Bianca saldamente sotto il suo controllo. Secondo l’amico di Kirk, che aveva anche avuto accesso al Presidente Donald Trump e alla sua cerchia ristretta, Kirk aveva fortemente messo in guardia Trump lo scorso giugno dal bombardare l’Iran per conto di Israele. “Charlie è stato l’unico a farlo”, hanno detto, ricordando come Trump “gli abbia urlato contro” in risposta e abbia chiuso adirato la conversazione. La fonte ritiene che l’episodio abbia confermato nella mente di Kirk l’idea che il Presidente degli Stati Uniti fosse caduto sotto il controllo di una potenza straniera maligna e stesse conducendo il suo Paese verso una serie di conflitti disastrosi. Il mese successivo, Kirk era diventato il bersaglio di una prolungata campagna privata di intimidazione e rabbia smodata da parte di ricchi e potenti alleati di Netanyahu, figure che lui stesso definiva pubblicamente “pezzi grossi” e “personaggi ingerenti” ebrei. “Aveva paura di loro”, ha sottolineato la fonte. Kirk aveva 18 anni quando lanciò il TPUSA nel 2012. Fin dall’inizio, la sua carriera fu trainata da donatori sionisti, che inondarono la sua giovane organizzazione di denaro attraverso organizzazioni neoconservatrici come il David Horowitz Freedom Center . Nel corso degli anni, ripagò i suoi ricchi sostenitori scatenando un’incessante ondata di diatribe anti-palestinesi e islamofobe , accettando viaggi di propaganda in Israele e bloccando severamente le forze nazionaliste che contestavano il suo sostegno a Israele durante gli eventi del TPUSA. Nell’era Trump, pochi gentili americani si erano dimostrati più preziosi di Charlie Kirk per l’autoproclamato stato ebraico. Ma mentre l’attacco genocida di Israele alla Striscia di Gaza assediata scatenava una reazione senza precedenti nei circoli di destra di base, dove solo il 24% dei giovani repubblicani ora simpatizza con Israele piuttosto che con i palestinesi, Kirk iniziò a cambiare idea. A volte, seguiva la linea israeliana, diffondendo disinformazione sui bambini decapitati da Hamas il 7 ottobre e negando la carestia imposta alla popolazione di Gaza. Eppure, allo stesso tempo, cedeva alla sua base, chiedendosi ad alta voce se Jeffrey Epstein fosse una risorsa dell’intelligence israeliana, mettendo in dubbio se il governo israeliano avesse permesso che gli attacchi del 7 ottobre proseguissero per promuovere obiettivi politici a lungo termine, e ripetendo a pappagallo narrazioni familiari al suo più accanito critico di destra, lo streamer Nick Fuentes.  A luglio 2025, al suo Summit d’azione studentesca TPUSA, Kirk ha offerto un forum alla base della destra per sfogare la propria rabbia per l’assedio politico di Israele all’amministrazione Trump. Lì, relatori come gli ex sostenitori di Fox News Tucker Carlson e Megyn Kelly, e il comico ebreo antisionista Dave Smith , hanno denunciato l’assalto sanguinoso di Israele alla Striscia di Gaza assediata, hanno bollato Jeffrey Epstein come una risorsa dell’intelligence israeliana e hanno apertamente schernito miliardari sionisti come Bill Ackman per “averla fatta franca con le truffe” pur non avendo “alcuna competenza”. Dopo la discussione, Kirk è stato bombardato da messaggi di testo e telefonate infuriate da parte dei ricchi alleati di Netanyahu negli Stati Uniti, compresi molti di coloro che avevano finanziato il TPUSA. Secondo il suo amico di lunga data, i donatori sionisti hanno trattato Kirk con assoluto disprezzo, intimandogli di fatto di tornare sui propri passi.  “Gli veniva detto cosa non era permesso fare, e questo lo stava facendo impazzire”, ha ricordato l’amico di Kirk. Il leader dei giovani conservatori non solo era alienato dalla natura ostile delle interazioni, ma anche “spaventato” dalle reazioni negative. Kirk è apparso visibilmente indignato durante un’intervista del 6 agosto con la conduttrice conservatrice Megyn Kelly, mentre discuteva dei messaggi minacciosi che riceveva dai pezzi grossi filo-israeliani.  In una delle sue ultime interviste, condotte con il principale influencer israeliano negli Stati Uniti, Ben Shapiro, Kirk ha cercato ancora una volta di sollevare la questione della censura nei confronti dei critici di Israele.  “Un amico mi ha detto, in modo interessante: ‘Charlie, ok, abbiamo respinto i media sul COVID, sui lockdown, sull’Ucraina, sul confine'”, ha detto Kirk a Shapiro il 9 settembre. “Forse dovremmo anche chiederci: i media stanno presentando la verità assoluta quando si tratta di Israele? Solo una domanda!”        “È caccia al Killer”, così hanno titolato le principali notizie subito dopo l’omicidio di Kirk. Inizialmente non era stato ancora trovato l’assassino, e sempre ovviamente Trump e la sua amministrazione repubblicana hanno subito puntato il dito contro le “sinistre radicali”. Altrettanto ovviamente fin da subito si percepiva che fosse una bugia. Poi il killer è stato trovato: il capro espiatorio, funzionale per tutte le stagioni e tutte le evenienze. E’ il 22enne Tyler Robinson, che sui proiettili del fucile usato per uccidere Kirk avrebbe inciso lo slogan “Bella ciao, bella ciao ciao ciao” e “Hey, fascista beccati questa!” (hanno riferito le autorità americane in conferenza stampa, confermando l’arresto del 22enne Tyler Robinson), sparando da un tetto al 31enne attivista conservatore. Notizia che potrebbe dare l’impressione di un classico omicidio politico, ma qualcosa risulta dissonante rispetto alla narrazione mainstream. Robinson è un affiliato al Partito Democratico? O è di “sinistra radicale”? O è appartenente dell’amalgama della “sinistra neoliberale”? No. Robinson, che non ha alcun precedente penale, è un maschio bianco di famiglia repubblicana che vive con la sua famiglia e i suoi due fratelli minori nella contea di Washington, a St. George. https://x.com/benryanwriter/status/1966651218232832325 I dubbi sono molti e più approfondiamo, più ci sono elementi che avvolgono il caso di mistero. O siamo di fronte ad un caso di omicidio particolare, o stiamo parlando di una società che sta implodendo su stessa e non riesce più a gestire il dissenso nè interno nè esterno.   Ulteriori info: https://edition.cnn.com/2025/09/12/us/tyler-robinson-charlie-kirk-shooting-suspect-invs https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/09/12/chi-e-tyler-robinson-killer-charlie-kirk-proiettili-bella-ciao/8124904/ > L’omicidio Kirk è una tragedia e un disastro Lorenzo Poli
Brasile, sentenza storica. Bolsonaro e altri condannati per tentato colpo di Stato nel 2022 contro Lula
Bolsonaro è stato condannato per cinque reati: tentato colpo di Stato, tentata abolizione dello Stato di diritto democratico, appartenenza a un’organizzazione criminale, danneggiamento di proprietà pubbliche e danneggiamento di proprietà protette. Con una sentenza storica, giovedì il sistema giudiziario brasiliano ha condannato l’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro a 27 anni di carcere per aver guidato un complotto golpista dopo la sua sconfitta elettorale nel 2022, al fine di impedire l’insediamento dell’attuale presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Questa decisione arriva dopo che quattro magistrati della Corte Suprema Federale del Brasile (STF) hanno votato a favore della condanna. I giudici hanno ritenuto che Bolsonaro abbia cercato di rompere con la democrazia con l’aiuto di membri del suo governo, agenzie di intelligence e membri delle forze armate. Alla lettura della sentenza, il giudice Alexandre de Moraes, che ha guidato il processo giudiziario, ha sottolineato che Bolsonaro ha cercato “la perpetuazione del potere del suo gruppo politico, indipendentemente dalle regole democratiche e repubblicane”. “Intendeva annientare i pilastri essenziali dello Stato di diritto democratico attraverso la violenza, gravi minacce e attacchi sistematici alla magistratura, cercando il ritorno della dittatura in Brasile”, ha aggiunto. Il voto è stato così suddiviso, i giudici Alexandre de Moraes, Flávio Dino, Cristiano Zanin e Carmen Lúcia hanno votato a favore della condanna e solo il giudice Luiz Fux contro. In particolare, Moraes ha proposto la condanna a 27 anni e 3 mesi per Bolsonaro per associazione a delinquere armata, tentata abolizione violenta dello stato di diritto, colpo di Stato, danni qualificati e danneggiamento del patrimonio storico. Inoltre, Mauro Cid, ex assistente e informatore di Bolsonaro, ha ricevuto due anni di carcere in regime semi-aperto per la sua collaborazione. La sua difesa ha chiesto l’assoluzione, ma Moraes ha respinto la richiesta e ha criticato le proposte di amnistia. “Rifiuto la grazia giudiziaria, perché la grazia non è appropriata, né lo è l’amnistia. Sono clemenza costituzionale. Una grazia presidenziale, né un’amnistia del Congresso, né una grazia giudiziaria per crimini contro la democrazia sono appropriati”, ha detto Moraes. Il generale Walter Braga Netto, ex capo di stato maggiore ed ex ministro della Difesa, è stato condannato a 26 anni e 6 mesi di carcere, secondo la proposta di Moraes. Fux suggerì sette anni, ma era in minoranza. Anderson Torres, ex ministro della Giustizia, è stato condannato a 24 anni di carcere, con il voto di Moraes sostenuto da Dino, Zanin e Lúcia. Anche l’ex comandante della Marina Almir Garnier è stato condannato a 24 anni per aver sostenuto il tentativo di colpo di stato, secondo l’accusa. Augusto Heleno, ex ministro della Sicurezza istituzionale, ha ottenuto 21 anni di carcere, con la sua età di 77 anni considerata nella sentenza. Paulo Sérgio Nogueira, ex ministro della Difesa, è stato condannato a 19 anni, dopo una riduzione proposta da Dino, che sosteneva che Nogueira cercava di fermare le azioni golpiste di Bolsonaro. Moraes aveva suggerito 20 anni. L’STF ha sottolineato la gravità dei crimini, che includevano atti di violenza e danni al patrimonio storico, dopo che migliaia di sostenitori di Bolsonaro hanno invaso gli edifici del Governo, del Congresso Nazionale e della Suprema Corte Federale durante l’assalto dell’8 gennaio 2023 a Brasilia. https://www.telesurtv.net/bolsonaro-condenado-27-anos-carcel-golpista/   da Viva Cuba Libre Redazione Italia
Fermate il genocidio a Gaza
Dall’ultimo incontro tra membri effettivi e simpatizzanti del 27 luglio, è stato formato un team ad hoc per coordinare una campagna sul genocidio a Gaza. Questo includeva un documento di denuncia, che è stato inviato alle ambasciate israeliane di tutti i governi dei paesi in cui ha sede il PH. Inoltre, è stata avviata una campagna interna tra i membri effettivi per garantire che ciascun membro fosse responsabile della distribuzione di tale documento di denuncia, rafforzandolo attraverso una massiccia distribuzione presso ambasciate, consolati e governi di paesi stranieri con sede centrale o rappresentanza locale.  Gli ECN già formati o in formazione sono stati inoltre incoraggiati a diffondere il documento sui social media e sui social media, rendendolo noto. Di seguito il testo del documento: ——————————————————————————————————– La Federazione Internazionale dei Partiti Umanisti denuncia il genocidio del popolo palestinese per mano di Israele e dei suoi operatori umanitari. Esortiamo la coscienza internazionale ad agire concretamente contro questa sistematica e massiccia violazione del diritto alla vita e alla pace. È giunto il momento di abbandonare le illusioni del passato e riconoscere che l’Accordo di Oslo, i suoi protocolli e le conferenze per l’attuazione pacifica della soluzione dei “Due Stati” sono falliti e che Israele ha deciso di opporsi a questa soluzione. Apprezziamo il fatto che un’alta percentuale della società israeliana sia consapevole e si batta per una soluzione pacifica e democratica contro il sionismo. Allo stesso modo, sosteniamo le comunità internazionali che riconoscono la gravità di questi eventi ed esprimono il loro sostegno attraverso marce e manifestazioni di massa in tutto il mondo, denunciando i massacri e la fame di persone indifese, il blocco degli aiuti umanitari, la distruzione di intere città, i bombardamenti di ospedali, scuole e moschee, la repressione dei manifestanti, gli omicidi e l’incarcerazione di giornalisti e attivisti internazionali che denunciano trattamenti crudeli e disumani, il degrado dei diritti umani e che chiedono la possibilità di una Palestina libera e sovrana. Chiediamo ai leader politici e religiosi del mondo di denunciare questa indescrivibile situazione di abusi e crudeltà, in cui il potere militare israeliano agisce nella totale impunità, calpestando tutti i diritti del popolo palestinese. Chiediamo che chiedano il boicottaggio e la non cooperazione con lo Stato di Israele e che rispetti i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale, così come con gli Stati complici di una nuova Shoah. Israele deve essere giudicato per i suoi continui attacchi all’integrità fisica e mentale, alla libertà e alla dignità dei palestinesi, e i suoi crimini devono essere condannati. Il popolo palestinese deve essere liberato e i suoi diritti territoriali e politici riconosciuti. Quello a cui stiamo assistendo oggi NON è una guerra; è un GENOCIDIO, non solo contro il popolo palestinese, ma contro tutta l’umanità. “… Ogni volta che un individuo o un gruppo umano si impone violentemente sugli altri, riesce a fermare la storia…” (6a Lettera ai miei amici: Documento del Movimento Umanista, Capitolo III “La posizione umanista”, Silo). ——————————————————————————————————– Se siete venuti a conoscenza di questa mobilitazione, vi preghiamo di fare la vostra parte inviando il testo della lettera all’agenzia governativa del vostro Paese, Stato o Comune. Questa è una campagna meritevole che dovrebbe essere sostenuta da tutti gli esseri umani che desiderano un mondo meno violento, più libero e più giusto!   PACE, FORZA E ALLEGRIA Partido Humanista Internacional